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Autore: Ibizase80    25/01/2016    3 recensioni
Annabeth, la ragazza da cento e lode, dovrà mettere la testa in qualcosa di completamente nuovo e fuori dai suoi standard. Un collegio le apre le porte: riuscirà a varcarle, uscendo dai suoi schemi e dalle sue convinzioni più profonde? E se la musica si mettesse in mezzo?
La regina dagli occhi di diamante scenderà dal suo trono per scoprire un nuovo mondo?
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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-Dimmi quali sono i tuoi poteri a me sconosciuti, Chase. Mi fai sempre più paura.
Il viso di Piper non era cambiato. Era serio, tirato, e sembrava non avere nessuna intenzione di continuare il discorso. Si girò, con calma, per poi andarsene via senza dire niente.
Annabeth la guardò per qualche secondo, per poi andarle dietro; ignorava il dolore alle ginocchia, che si stava facendo sempre più insistente. Aveva l’impressione che si fosse gonfiato, muovendolo, ma in quel momento non le importava. Tutto ciò che voleva e cercava erano risposte, che, a quanto pareva, erano state rivelate solo in parte.
-Piper, aspetta! Non riesco a camminare!
Non era del tutto vero, ma sperava in un impeto di bontà dell’amica; l’altra era, però, ormai lontana, e sembrava essersi totalmente dimenticata di lei. La frustrazione della bionda salì alle stelle. Vedeva luci vagare nella sua visuale, e i ciottoli a terra sdoppiarsi. Le sembrò più saggio sedersi da qualche parte; sicuramente stare ferma nella scomoda posizione di dieci minuti prima non era stato il massimo, e l’essersi tirata in piedi di colpo non aveva contribuito. Raggiunse, lentamente, la porta del dormitorio femminile; trovò, allungando le  braccia davanti al suo volto, delle scalette, e ci si buttò sopra. Poi chiuse gli occhi, leggermente sofferente. Che ora era?
Era Piper ad avere l’orologio, non lei. E, per colpa dell’entusiasmo e dell’avere qualcuno con cui scambiare due parole – che non fosse la sua coinquilina, aveva lasciato il suo cellulare in stanza. La chiave era nella tasca destra dei jeans di Piper. Battè il piede destro a terra, cercando di sfogarsi; ma il dolore lancinante che le arrivò bastò per farle capire di aver fatto la scelta sbagliata. Strinse i denti, e imprecò contro Perseus. O Percy. Quel dannatissimo pallone gonfiato.
Era infuriata anche con Piper, ma decise di eliminare quel pensiero dalla sua mente.
Non aveva nessunissima voglia di alzarsi; le sue gambe si erano fatte pesanti, e stare lì ad osservare un po’ di movimento nel cortile non le dispiaceva, considerando il fatto che, malgrado fosse lì da una settimana, non aveva mai visto dalla sua finestra più di tre persone contemporaneamente.
I ragazzi se ne stavano in gruppetti ben distribuiti, non lasciando nessuno spazio vuoto; molti si abbracciavano, oppure erano intenti a raccontare la loro estate.
La sua era stata tremendamente noiosa, anche se le dispiaceva ammetterlo. L’unica cosa che aveva fatto ininterrottamente era studiare, passeggiare, dormire e studiare di nuovo. Il padre le chiedeva scusa ogni giorno che passava, per non potersi permettere un viaggio in qualsiasi luogo, neanche il più vicino; lei mentiva spudoratamente, dicendogli che le sue vacanze non potevano essere più belle di così. La verità era che, quando il padre non era in casa, si sentiva tremendamente sola.
Non aveva amici, né cugini, che abitavano troppo lontano per passare del tempo insieme a lei. I parenti di sua madre non li aveva mai conosciuti; o almeno, ne aveva ricordi sfocati. Non che si potesse pretendere nulla di più da una bambina di tre, massimo quattro anni; ma dire che, ogni volta che ci ripensava, le si stringeva il cuore, era niente. L’unica cosa che distingueva chiaramente, erano degli occhi: dei grandi, grandissimi occhi tempestosi. Erano la copia spiccicata dei suoi…come poteva solo pensare di poterli dimenticare?
Era l’unica cosa che ricordava sul serio. E la rendeva, forse, anche più sola.
Abbracciò le gambe, sospirando. In un posto come quello, aveva tutto tranne che voglia di sentire quella sensazione bruttissima. Eppure, quando vedeva i suoi vecchi compagni in cerchio, da lontano, nella sua vecchia scuola, non sentiva lo stomaco restringersi in quel modo…
Diresse lo sguardo verso il dormitorio maschile. I cinque ragazzi erano spariti nel nulla. Ma, se solo si fossero trovati lì in quel momento, Annabeth non li avrebbe odiati. Invidiati, sarebbe stata la parola giusta per dare voce ai suoi pensieri più oscuri e nascosti. Erano uniti; ridevano insieme, erano in sintonia, anche nel buttar per terra una persona presa a caso. O forse, a quel punto, non così
a caso.
Poggiò la testa, che si era fatta pesante, al muro. Chiuse appena gli occhi, godendo la brezza fresca; sentiva i suoi capelli sfiorarle appena il volto.
Dopo un po’, qualcosa le solleticò il braccio destro; pensò immediatamente ad un insetto, ma per essere sicura non verificò. Rimase lì, in pace col mondo, per la prima volta dopo tanto tempo. Ma sentì nuovamente qualcosa nello stesso punto; questa volta era più simile ad un tocco leggero.
Allora aprì solamente la palpebra destra, e per poco non cadde; vide la bocca di Hazel muoversi, senza però sentire nessun suono; piano piano, iniziò a percepire una voce ovattata. Il suo udito ritornò il solito solo quando la riccia l’aveva aiutata a rialzarsi; le indicava le ginocchia, gesticolava appena, ma il sorriso aveva nuovamente preso posto nel suo viso scuro. Annabeth ondeggiava la testa da destra verso sinistra, cercando di farle capire che non riusciva a comprendere una sola parola di tutto quello che stava dicendo.
-…non ti trovavamo da nessuna parte! Volevamo-
- Ciao, Hazel.
La bionda sorrise, e un briciolo di buonumore le tornò in corpo. Il volto radioso di Hazel era un più che ottimo toccasana; era come se la sollevasse lentamente dai problemi, dalle sue preoccupazioni più assurde, e le facesse rimettere i piedi per terra.
-Ero venuta a trovarvi nella vostra stanza, ma non ho trovato nessuno; la porta era chiusa. Dove siete state?
Annabeth si ricordò di cosa le aveva detto Piper, ovvero che Talia non doveva sapere assolutamente niente di tutto ciò che avevano fatto. Ma si ricordò anche di essere arrabbiata con la coinquilina, e soprattutto realizzò che, strano ma vero, Hazel non era Talia.
Stava per riferirle la verità, e nient’altro che la verità; ma qualcosa la bloccò.
-Abbiamo fatto un giro, tutto qui.
-E perché non siete insieme?
La bionda aveva tutta la voglia di sputare veleno, ma si trattenne e inventò la scusa più credibile possibile.
-Doveva fare una cosa, mi ha detto di aspettare qui.
Indicò le scale, con aria innocente.
-Ma da quanto siete in giro?
-Ah, non saprei. E’ Piper ad avere l’orologio…
-Non sai da quanto tempo aspetti qui?
-…no, sinceramente no.
Hazel le rivolse uno sguardo strano. Quella ragazzina era intelligente, accidenti; con molta probabilità, era anche parecchio più scaltra di lei, e aveva fiutato l’enorme baggianata.
Ma fece finta di nulla; alzò le spalle, si guardò il polso sinistro, e lo mostrò alla bionda.
-Sono quasi le cinque.
Annabeth perse qualche battito. Per quanto tempo era rimasta su quelle scalette? Da quanto diceva la riccia, si era con molta probabilità addormentata, senza averne la minima intenzione.
Ma si sentiva più rilassata, ed era una cosa molto positiva.
La riccia abbassò lo sguardo.
-Le tue ginocchia, non sono messe molto bene.
-Oh, al diavolo le ginocchia, sto benissimo. Andiamo a fare una passeggiata, che dici?
Una Hazel leggermente stupida annuì.
-Sei sicura di sentirti bene, Annabeth?
-Mai stata meglio.
Scesero le scalette, fino a trovarsi nuovamente sui ciottoli bianchissimi; la bionda lasciò guidarsi dall’amica, che senza volerlo la precedeva di qualche passo.
Iniziarono a chiacchierare amabilmente, del più e del meno; ripresero la discussione avvenuta poco prima dell’evento che aveva rovinato la giornata di tutte, e rimossero quest’ultimo dalle loro menti. Annabeth scoprì che, in realtà, il cortile era molto più grande di quanto pensava; si estendeva per circa quattro, o cinque minuti di camminata dal dormitorio, e portava ad altri edifici. Hazel le rivelò che quelle sarebbero stati i luoghi in cui avrebbe passato buona parte della sua vita fino all’estate successiva – o più, se fosse rimasta..
-Quella sarebbe la…”scuola”?
-Esattamente.
-E’…strana.
La riccia rise, facendo muovere freneticamente i suoi capelli in aria.
-Anche a me ha fatto questo effetto, la prima volta in cui l’ho vista. Ma, fidati, dentro è qualcosa di stupendo! C’è un laboratorio di chimica…
Sembrava davvero appassionata, nel raccontare le sue avventure scolastiche. Doveva davvero amare quel posto, realizzò Annabeth nel vedere i suoi occhi, già vispi, illuminarsi di una luce nuova e finora sconosciuta.
Probabilmente aveva aspettato tutta l’estate per tornare lì, tra i banchi. Aveva confessato alla bionda di essere stata ammessa solo grazie alla sua media, poiché la retta era qualcosa di esagerato per una famiglia non proprio benestante; dai suoi racconti, lei e la madre vivevano in una casa popolare.
-L’anno scorso, mi è sembrato di raggiungere finalmente il mio sogno. Non so come spiegartelo…ho visto il cortile, sono entrata là dentro e mi sono sentita davvero a casa. E’ una sensazione bellissima!
-Immagino!
-Tu non…non hai mai provato niente di simile prima d’ora?
-…a dire il vero no, non credo.
Il viso di Hazel cambiò radicalmente; gli occhi si allargarono, lasciando il posto ad un espressione che era un misto tra stupore e dispiacere.
-…sul serio?
La bionda annuì senza entusiasmo.
-Ho un sogno, ma…è lontano. Decisamente lontano. Ed ora che sono qui, è decisamente irraggiungibile.
-Qual è il tuo sogno, An?
-Io…
Guardò in volto della riccia, fatto di pura curiosità.
-…vorrei fare l’architetto.
-…non l’avrei mai detto, ci credi?
Hazel scoppiò in una risata, ed iniziò a saltellare appena senza un motivo apparente.
-E perché ti piacerebbe?
La bionda rimase senza apparenti parole. Riflettè per qualche secondo, ragionando il perché fosse così ancorata a quell’idea da anni.
-…forse perché, quando costruisci qualcosa, hai sempre la speranza che rimanga per sempre…pensa al Partenone: è stato fatto secoli fa, ed è ancora in piedi!
La riccia era sempre più stupita ogni secondo che passava.
-Ripensandoci bene, ti si addice proprio, come sogno. E’ lineare come te.
Annabeth ridacchiò appena.
-Cosa intendi chiamandomi “lineare”?
-Sei…per quello che ho potuto constatare in un giorno, sei una persona posata, malgrado pretenda molto da se stessa. E’ un po’ quello che serve per fare l’architetto. Devi avere belle idee, anche un po’ folli, ma bisogna rimanere sempre coi piedi ben ancorati a terra. Sennò, vedrai come dopo neanche un anno la casa crolla!
Fece un occhiolino, sorridendo appena.
La bionda si complimentò mentalmente con lei; nessuno le aveva mai fatto una scannerizzazione simile in neanche un giorno; la maggior parte delle persone che la conoscevano non la capivano mai oppure ci mettevano parecchio, pensando a suo padre – che l’aveva iniziata parzialmente a capire solamente dopo dieci anni circa. O la conosceva da molto prima e non lo dava a vedere. Le ipotesi erano molte.
-Che mi dici di te?
-In che senso?
-Qual è il tuo sogno?
La riccia chiuse ripetutamente le palpebre per una decina di volte; probabilmente era il suo modo per concentrarsi. Si guardò i piedi, prima di tornare concentrata sul viso di Annabeth.
-Voglio studiare.
-E…basta?
-Per ora si, non voglio fare altro.
-Cosa ti piacerebbe studiare, nello specifico?
-…mi piacciono i minerali!
La bionda la guardò dritta negli occhi; Hazel non poteva essere più seria.
-E’…strano, come sogno. Di solito si pensa ad un obiettivo da raggiungere, dopo lo studio.
 Tornarono sui loro passi, e ripresero la strada conosciuta da Annabeth. Le fronde degli alberi si muovevano ogni tanto, come distratte; il sole, malgrado fosse ancora abbastanza alto nel cielo, stava iniziando lentamente a calare.
-Sai, quando non sei sicuro di riuscire neanche a studiare, credimi…è un sogno più che valido.
-Lo credo bene, accidenti.
I minuti successivi non furono occupati da nessun tipo di conversazione. La bionda si era finalmente calmata; le ginocchia non le facevano più male, la coscia sinistra aveva smesso di friggere e l’aria profumata le aveva permesso di dimenticare tutta la tensione accumulata durante la giornata e, probabilmente, durante tutta la settimana.
Era rilassata, finalmente. Anche la testa non le faceva più male; probabilmente il dolore era provocato solamente da una gran dose di nervosismo.
Però doveva risolvere ancora un problema, se così poteva essere chiamato.
 
 
-Hazel, senti…
-Dimmi!
-Tu…
Doveva trovare un modo per non destare sospetti. Domande troppo dirette e puff, saltava tutto; e, tanto per cambiare, Hazel era una persona estremamente sveglia. Meno cose le riferiva, e meglio sarebbe  stato.
-…tu sei un’appassionata di musica?
-…perché me lo chiedi?
La riccia sorrise appena; probabilmente la domanda era di suo gradimento. Annabeth tirò un primo sospiro di sollievo; aveva attirato la sua attenzione e, a quanto pareva, non in modo negativo.
-…così, per chiedere!
-…un sacco.
-Sul serio?
-Non potrei vivere senza musica! Non sei convinta anche tu che la musica sia la più grande forma di magia che abbiamo?
La bionda rimase stupefatta da quell’affermazione, ma si limitò a sorridere – se il suo poteva essere chiamato sorriso – e annuire. Sperando che la sua espressione non sembrasse la più falsa e tirata del mondo.
-…immagino tu non ne sia convinta. Ma è così, te lo assicuro! Hai mai pensato…alle visualizzazioni di Youtube?
-Come ti vengono in mente adesso le visualizzazioni di Youtube?
-Sono tutte le persone che hanno sentito una canzone. Magari l’hanno sentita per radio, e sono andati a sentirla di nuovo; e magari sono tornati altre cinque, sei volte nella stessa pagina, per risentirla un’altra, un’altra e un’altra volta ancora! E’ come un’attrazione. O almeno, io la vedo così.
-Una visione filosofica, devo dire.
-Neanche tanto, in realtà. Basta lasciare per cinque secondi lo scetticismo, e vedrai che non potrai fare altro che darmi ragione.
Annabeth realizzò le parole di Hazel solo quando vide quella scoppiare a ridere ed iniziare a correre, senza voltarsi; sentì qualcosa di simile ad un “Vieni a prendermi, se ne hai il coraggio!”, che non poteva lasciare la bionda indifferente.
Le andò dietro, e per qualche secondo le sembrò di librare in aria come una farfalla. Una farfalla piccola e colorata, di quelle che si catturano col retino quando si è piccoli.
Rise di gusto, Annabeth; vide la riccia zigzagare tra gli alberi, e sparire tra essi. La seguì; evitò di passare troppo vicina alla  vegetazione – le brutte esperienze del pomeriggio non erano state totalmente rimosse dal suo povero cervello stravolto -, ed ogni tanto rivolgeva lo sguardo in alto. Per un po’ aveva sentito le grida divertite di Hazel, poi più nulla; rendendosi conto di trovarsi quasi in uno di quei fantomatici gruppetti riuniti nel cortile da non si sa quanto tempo, evitò la figuraccia e si piegò in due per riposarsi. Caspita, quell’esserino in miniatura era più veloce di una scheggia.
Altro che farfalla. Una cavalletta. Una cavalletta coi ricci al posto delle antenne.
Malgrado fosse stata la punta di diamante della squadra di atletica della sua vecchia scuola, Annabeth boccheggiò; era fuori allenamento da troppo tempo, per pensare di raggiungerla.
-Come mai sei ancora qui?
La bionda fece un salto di tre metri circa. La riccia era lì, al suo fianco.
-DOVE CASPITA ERI FINITA?!
-Mi sono fermata dietro l’ottavo albero a partire dal fondo. Ma tu non mi hai visto, e mi sei sfrecciata vicino. Caspita, se sei veloce!
In quel momento, Annabeth non sentì il complimento di Hazel; si sentiva collassare.
Alzò lo sguardo verso di lei dopo un minuto circa, e, trovati i suoi occhi giallognoli, borbottò qualcosa di simile a un “Grazie”. L’altra sorrise, furba; le afferrò una mano, e si incamminarono verso il dormitorio femminile.
 
Annabeth ed Hazel stavano ancora ridacchiando tra loro, quando il cuore della bionda perse qualche battito. Vide Jason Grace uscire dal dormitorio maschile, guardarsi intorno una decina di volte e dirigersi verso di loro, con passo furtivo. La sua testa non si fermava un attivo; una volta fissava il prato, una volta la mensa, una volta un muretto. Probabilmente aveva il timore di essere seguito. Anche Hazel smise di ridere, e si fece seria; si fermò, e diede uno sguardo ad Annabeth. La bionda ricambiò, senza dire una parola.
Il ragazzo era ormai vicinissimo, quando rivolse loro un sorriso. Hazel rispose con un altro, altrettanto smagliante, mentre la bionda non fece assolutamente niente, se non guardare perplessa il nuovo arrivato.
-Ciao Hazel! Bentornata!
-Grazie Jason! Come sono andate le vacanze?
-Bene, grazie.
Mister Superman girò appena la testa verso Annabeth, ed allungò la mano destra:
-Piacere, sono Jason, fratello di Talia. Anche se penso tu lo sappia già.
Sperava non si riferisse a qualcosa riguardante Piper, ma piuttosto alle dolci parole della sorellona.
La bionda strinse appena le labbra, annuì lentamente e tese il braccio.
-Piacere mio, Annabeth.
La stretta del ragazzo non era molto diversa da quel che si aspettava, ma era bilanciata; la forza era dosata, come se volesse farla sentire a suo agio senza sembrare invadente.
Jason si mise le mani in tasca, cercando qualcosa. Dopo aver frugato per circa dieci secondi buoni nella destra, Annabeth si prese il disturbo di indicare l’altra parte, facendogli notare un minimo rigonfiamento. Subito gli occhi del ragazzo si illuminarono; infilò le mani nella sinistra, e tirò fuori un panno…non propriamente piegato. Non era fatto di un tessuto conosciuto dalla bionda; sembrava tecnico, o mirato per una determinata cosa.
Delle lampadine iniziarono ad accendersi nella sua mente, ma cercò di non darlo a vedere.
-Potreste dare questo a Talia? L’ho trovato tra le mie cose, e io non ci faccio nulla – concluse, simulando una piccola risata. Hazel lo prese in mano, sistemandolo in maniera ordinata.
-Glielo restituirò al più presto!
-Grazie mille!
Il ragazzo fece per allontanarsi, ma si bloccò a metà. Puntò gli occhi, azzurrissimi, sulla bionda, e un’espressione seria prese posto nel suo volto.
-Mi…mi dispiace per ciò che è successo, prima. Non sono riuscito a  fare niente…spero tu non ti sia fatta male in maniera grave.
Annabeth rimase lievemente sorpresa da quella novità; era vero che Piper lo aveva chiamato “gigante buono”, ma non si aspettava fosse così sul serio.
Fece un gesto appena sbrigativo con la mano destra.
-Sono ancora viva, quindi non mi è successo niente. Comunque, grazie.
-…grazie?
-…per le scuse. Grazie.
Nel viso del biondo si formò una “o”, e poi fece un sorriso amaro.
-Penso siano il minimo. Mi dispiace solamente che…
-Basta, fine. Sto in piedi. Le ginocchia mi fanno male, ma non mollo.
Stavolta il sorriso sul volto di Jason si fece radioso:
-Barcollo ma non mollo?
-…si, qualcosa del genere.
Hazel, che era rimasta in silenzio fino a quel momento, appoggiò il gomito sinistro sulla spalla di Annabeth.
-Se avremo lei in squadra, altro che tua sorella.
-Spero di no, altrimenti siamo fregati sul serio.
Risero entrambi di gusto, e anche la bionda accennò ad una piccola risata.
Jason si guardò le spalle, fece qualche passo indietro, mimò un “ciao” con la mano e il labiale, e se ne andò veloce come era arrivato.
Dopo qualche secondo di silenzio, fu Annabeth, a sorpresa, a prendere la parola.
-Non me l’aspettavo.
Hazel ridacchiò.
-Jason è fatto così. Non…
-Non farebbe male ad una mosca.
La riccia la guardò, interrogativa.
-E tu come fai a saperlo?
-Gliel’ho detto io.
 
La voce di Piper fece sobbalzare sia Hazel, che Annabeth.
La mora le raggiunse in poco meno di cinque secondi. Il suo viso era più rilassato di prima; la passeggiata sembrava averle fatto bene. La bionda si dimenticò addirittura di essere arrabbiata con lei.
-Che vuol dire? Glielo hai detto tu?
-Vuol dire che le ho parlato di lui, e le ho detto anche questo.
-…solo di lui?
Mentre Piper faceva “no” con la testa, lo stomaco di Annabeth fece una capriola. Un’ora prima le era sembrata un’assurdità dire tutto ad Hazel, e invece…
-Capito. Li hai trovati tutti insieme?
-Sì.
-E lei che ha detto?
Parlavano della bionda come se non esistesse. Lei aveva voglia di dire qualcosa come “Ehi, guardate che sono qui!”, ma era troppo curiosa della piega che stava prendendo la conversazione.
-Che odia Jackson.
La riccia, dopo un primo attimo di stupore, iniziò a ridere quasi isterica. Era strano guardarla; la testa era buttata all’indietro, e i ricci si muovevano frenetici intorno al suo volto.
-E’ una cosa così divertente?
Hazel realizzò la domanda dopo un minuto circa, quando si fermò e si asciugò una lacrima.
-No, di solito le ragazze lo amano alla follia…ma sai, un po’ di sano odio non fa altro che bene in certe situazioni! – disse con voce appena roca, e rincominciò a ridere sguaiatamente.
Piper soffocava una risata sotto i baffi, ed Annabeth la guardava con la sua perfetta aria di sufficienza.
Mentre la riccia si stava sforzando di non soffocare, la bionda rivolse uno sguardo alla coinquilina, che ricambiò con espressione colpevole.
-Ero un pelettino scioccata; sai com’è, non pensavo ci arrivassi così presto.
-Così presto cosa?
Hazel si reintrodusse senza esitazioni nella conversazione.
-A capire perché Jackson e la sua amabile truppa ce l’ha con noi.
La bionda alzò le spalle, con noncuranza; la riccia le rivolse uno sguardo che andava dallo scioccato all’estremamente preoccupato.
-Cosa hai capito tu?
-Io…suonate, giusto?
L’espressione della riccia cambiò di nuovo; ora sfociava nell’arrabbiato.
-Ecco perché mi hai chiesto della musica!!
-Le hai chiesto cosa?
-Le ho chiesto se le piaceva la musica, tutto qui…
-TUTTO QUI?! Stavi cercando di smascherarmi come se niente fosse!
-E’ un segreto di stato?
-…no, in realtà no.
-DOVEVI DIRMELO FIN DALL’INIZIO!
-Non pensavo potessi…
-…ok, adesso stiamo tuuuutti calmi. Hazel, respira. Annabeth…mi sembri abbastanza calma.
La bionda annuì.
Gli occhi della riccia leggevano sulla sua fronte un “colpevole” scritto a caratteri cubitali.
-Senti, Hazel, capiscimi, mi ha abbandonato così su due piedi…
-Ma tu devi FIDARTI di me!
-TI CONOSCO DA STAMATTINA ALLE UNDICI, TI PREGO!
Hazel finalmente si calmò appena. Guardò Annabeth dritta negli occhi.
-Scusami, hai ragione. Do’ troppe cose per scontato.
-Adesso, non esagerare…
La bionda si sforzò di sorridere; l’altra apprezzò il gesto, e ricambiò a sua volta. Piper tirò un sospiro di sollievo.
-Ora che siamo tutti più calmi…
-Io ho una domanda!
La mora guardò la coinquilina col sopracciglio destro alzato.
-…quale domanda…
-Cosa suonate?
Hazel e Piper si scambiarono un rapido sguardo.
-Io in realtà non suono niente, l’anno scorso ho imparato qualche accordo con la chitarra. Ma adoro cantare – ribadì la mora, con aria sognante.
-Io suono il flauto traverso, ma…con loro mi occupo di effetti speciali e pc. Non immagini quanto sia divertente!
Annabeth vide di nuovo gli occhi di Hazel scintillare. Le doveva piacere davvero tanto, suonare.
-Ma seguite un corso, o cosa?
-Ti ricordi di oggi a pranzo?
-Ovvio.
-Di cosa parlavate oggi a pranzo?
-Ohh, sta zitta Pip, tu non c’eri!
-Ahh, era quando…
-TACI un attimo, gentilmente.
La mora sbuffò con espressione corrucciata.
-Dicevo: c’è un corso, a scuola. In realtà non è molto frequentato, se non dalle top model che provano un giorno e poi se ne vanno.
-Che vuoi dire?
-Si fa fatica. Non è che devi essere solo intonato, o saper fare Fra Martino al pianoforte. E’ roba seria. Ci vanno solo quelli che vogliono veramente imparare a suonare, oppure migliorarsi, come ragazzi che magari frequentavano conservatori in giro per l’America e poi sono venuti qui a studiare.
-In realtà, anche chi canta non ha una vita semplice – ribadì Piper.
-Oltre ad essere intonato, appunto, devi studiare solfeggio come ogni musicista, preparare l’esame, studiarti cori, canti e controcanti, ‘nsomma…se è vero che un corso è obbligatorio, quello di musica non è molto indicato per gli sfaticati.
-Mi piace, come disciplina. Lavora, lavora, lavora. Si, mi piace proprio.
La bionda non stava scherzando. Le piaceva quell’organizzazione. Vuoi fare qualcosa di serio? Bene, sei il benvenuto. Vuoi stare qui solamente per sembrare estremamente figo e non alzare neanche un dito? Alzati e vai via.
Era un po’ la sua filosofia di vita.
-Quindi, anche Talia…
-Si, c’è anche lei.
-E studia?
-Dovrei essere io a dire certe cose su di me, non vi pare?
Alle tre il sangue nelle vene smise di circolare.
Mentre Hazel e Piper erano girate, Annabeth riusciva benissimo a vedere l’espressione della punk.
Rabbia, mista a collera, con un pizzico di desiderio di picchiare qualcuno.
La bionda deglutì lentamente, facendo un minuscolo passo indietro.
Sarebbero stati attimi di fuoco.



Angolo autrice: guardate il positivo, è passata solo una settimana.
A parte gli scherzi, eccoci qua un nuovo capitolo! Mi sono lasciata un po' andare, ed è leggermente più lungo dei precedenti, ma...se siete arrivati fin qui, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto!
Ne approfitto per informarvi della mia presenza su Wattpad (io sono ibizase80)! Non ci capisco assolutamente niente, ma questi sono particolari...
Se avete anche voi un profilo lì e scrivete cosine su PJO, magari mandatemi un messaggio privato col vostro nome, così perdo un po' di tempo lì invece che studiare! - sob -
Niente, vi lascio, che devo studiare greco - arisob -! Vi ringrazio ancora per essere arrivati fin qui, e aver letto i capitoli precedenti!
Se volete lasciatemi un parere, sarò ben felice di ascoltarli!
Alla prossima, ovvero speriamo il prima possibile! <3
Elisa
  
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