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Autore: Manu75    27/01/2016    1 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Lo dico e lo ripeterò sempre, io adoro Aloise Alderman, è un personaggio con una sua etica, una donna forte, una strega potente, una madre amorevole...Buona lettura!


UN GELIDO DESTINO

 

Quattordicesimo capitolo

 

( Malesseri)



 

Una donna dallo sguardo cupo, dal passo svelto e dall’incedere deciso, attraversava i lunghi corridoi di Hogwarts, illuminati a tratti dalla luce pallida di marzo.
Arrivata ad una grande e doppia porta di legno scuro la aprì, senza tante cerimonie, ed entrò in un grande stanza rettangolare.
Sul lato sinistro vi erano sei letti e altrettanti paraventi, alla destra vi erano degli armadietti chiusi a chiave ed un’altra porta che si apriva su quello che aveva tutta l’aria di essere un piccolo ufficio.
Il letto più lontano dalla porta era anche l’unico ad essere occupato al momento; tra le lenzuola giaceva la figuretta di una ragazzina, il cui volto pallido e sofferente posava su due voluminosi cuscini, confondendosi quasi con il bianco delle candide federe.
Ai lati del letto stavano due donne, che sembravano fronteggiarsi in una muta sfida.
- Eccomi qua, mi hai fatto chiamare Chips?- chiese la donna, che portava degli occhiali dalla montatura rettangolare, rivolgendosi alla donna bassa e rotondetta che indossava un’immacolata divisa da infermiera.
-Minerva, eccoti finalmente!- sussurrò l’altra, sospirando di sollievo.
L’altra donna, che era alta e ossuta, si voltò con gli occhi lampeggiati.
- Perché Lei? Ho chiesto espressamente del Professor Slughorn che, si da il caso, è il CapoCasa di Rubinia…-
- E si da il caso – intervenne, decisa, Minerva Mc Granitt – Che il Professore sia impegnato e abbia delegato a me questo delicato compito.- le narici della donna si dilatarono nel pronunciare il nome del collega, il quale odiava, risaputamente, le situazioni scomode e delicate - In considerazione del fatto che sono la Vicepreside, tra l'altro. - aggiunse con un tono che non ammetteva repliche.
L’altra parve ingoiare a forza le parole sgradevoli che, certamente, avevano fatto capolino sulla sua bocca sottile e sostenne lo sguardo della Professoressa per qualche istante ma poi, dinnanzi agli occhi decisi dell’altra, fu costretta a distogliere i propri, che si posarono sulla povera figuretta scarna di sua figlia.
- Signora Alderman – proseguì Minerva – Non abbiamo potuto esimerci dal richiedere la Sua presenza. E' la quinta volta che sua figlia finisce in infermeria, la quarta solo da gennaio, da quando è rientrata dopo le vacanze. – fece una pausa per lasciare che le parole facessero presa nella donna, che si ostinava al silenzio – E' stato tentato ogni rimedio possibile per questi dolori che Rubinia lamenta, ma nulla è servito…- si bloccò e fece cenno alle altre due donne di allontanarsi dal letto.
- La conclusione più plausibile è che abbiano un’altra origine…- e qui, la Professoressa parve esitare per la prima volta -...Riteniamo che siano di origine nervosa e nessuna pozione o decotto può servire per questo.-
La Signora Alderman lanciò uno sguardo furente alla VicePreside, impallidendo sempre di più.
- Mia figlia non è pazza!- esclamò, con aria offesa – E' il cibo di questa scuola che è pessimo!-
L’infermiera parve indignata e intervenne per la prima volta.
- Il cibo di Hogwarts è ottimo ed inoltre si da il caso che sappia curare un’intossicazione alimentare, io! Rubinia lamenta dolori di stomaco ma non ha altri sintomi, senza contare che questi dolori le si presentano senza alcun motivo apparente! Quella povera piccola ha solo un forte stress! -
- Il punto è - la interruppe la Mc Granitt – Che Rubinia con noi non vuol parlare, ma ha lasciato intendere che ha degli incubi che la perseguitano e che ha paura di qualcosa, o di qualcuno…-
- Sciocchezze!- la Signora Alderman sollevò il mento, furente -La porterò al San Mungo, mi pare ovvio che qui non ci sono persone qualificate abbastanza!-
Madama Chips fece per dire qualcosa, ma la VicePreside la bloccò con un'unica occhiata.
- Naturalmente, se desidera sentire un altro parere è liberissima di farlo. – disse poi con voce quieta – Tuttavia, Le consiglierei di parlare con Sua figlia; inoltre, sarebbe un peccato che perdesse la Scuola adesso, visto che è un’alunna diligente.- osservò ancora un attimo il volto non bello di Aloise -La lasciamo sola con Rubinia, vieni Chips!-
La Professoressa e l’Infermiera uscirono, mormorando tra di loro.
La Signora Alderman rimase ferma dov’era qualche istante poi si avvicinò al letto dove giaceva sua figlia, che la fissava con gli occhi spalancati-
- Non voglio andar via mamma…- mormorò con voce timida.
- E’ per il tuo bene, poi starai meglio.- le rispose la madre, decisa – Coraggio ti aiuto a vestirti.-
- Mamma non voglio! Voglio restare a Scuola…- piagnucolò Rubinia debolmente.
- Ti ho detto di non discutere, muoviti!- gli occhi della donna lampeggiarono e sua figlia sembrò accartocciarsi dalla paura.
Passò qualche istante e la ragazzina scostò le coperte con aria disperata e fece per alzarsi, ma in quel momento entrò Narcissa e Rubinia si bloccò, osservando prima la sua amica e poi sua madre con aria spaventata.
-Buongiorno.- salutò fredda Narcissa, rivolta alla donna – Ruby, ritorno più tardi…-
- E’ inutile, Rubinia se ne va, se devi dirle qualcosa, fallo ora. – annunciò fredda la Signora Alderman.
I suoi occhi lampeggiarono mentre osservava la figuretta di Narcissa, ma un lampo di trionfo represso le balenò in fondo allo sguardo gelido.
- Non importa.- disse Cissy, decisa a nascondere la sorpresa e il disappunto alla notizia che la sua amica sarebbe andata via – Ruby ti dirò quando ritorni!- disse fiduciosa, rivolta alla ragazzina, e si voltò uscendo a testa alta.
-Mamma, io voglio restare qui…- sussurrò allora Rubinia – Non voglio perdere la scuola e non voglio tornare a casa…- due grosse lacrime scivolarono lungo le guance scarne.
- Sciocchezze!-  la voce di Aloise fu come una frustata -Ti curerò io stessa, non devi preoccuparti, e avrai un insegnante privato!-
-M-mamma, io c’ero…- sussurrò allora, in maniera quasi impercettibile, sua figlia -…Ero li, ero venuta a cercarti, stavo male, ma tu stavi parlando con le tue amiche e allora mi sono nascosta per il mal di pancia, mi sono stesa su un sofà.- cadde un attimo di silenzio -Perché hai fatto del male a Cissy?-
Sollevò gli occhi, ora colmi di terrore, verso sua madre.
-Cosa intendi? Non capisco…- mormorò la signora Alderman, che invece sembrava capire anche troppo bene.
-Lo sai, alla festa - le spiegò Rubinia, con uno sforzo -Io lo vedo quello che hai fatto a Cissy,  lo vedo sulla sua pelle! E’ un’ombra scura…anche su sua sorella…ma di lei non mi importa nulla! - sospirò piano – Ma Cissy, invece! La sua pelle era così bella e bianca…ed io, ora, la vedo solo con quelle ombre scure, dei segni neri, non riesco più a vederla come prima…- gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre quelli di sua madre la fissavano con muto orrore.
-T-tu vedi la maledizione? Tu la vedi?!- la voce era bassa, ma, allo stesso tempo, acuta.
Rubinia annuì lentamente, con aria poco convinta e con il volto pallido rigato di lacrime.
-M-mamma, io non voglio sposare Rodolphus! E’ orribile, lo è davvero, ti prego mamma!-e, stavolta, scoppiò in singhiozzi stringendosi la pancia con le mani –Ho sempre male quando ci penso, ti prego mamma! Sposerò un altro, qualsiasi altro, o starò sempre con te ma, ti prego, lui no…-
La Signora Alderman cedette di schianto sul letto, troppo inorridita per parlare.
- Tu sei un Testimone, hai sigillato la maledizione…- mormorò la donna, con un tono raccapricciato -Credevo di bastare io, dovevo bastare io! Ma tu eri li, io non ti ho vista! Perchè eri li Rubinia?Perchè?!….il tuo sangue…il mio sangue, la maledizione lo esige!-
Fuori il cielo era azzurro e terso ed il sole brillava, luminoso ma freddo.
Ma mai freddo quanto il cuore della Signora Alderman, che aveva capito che sua figlia era condannata, condannata per mano sua.

 

La Pasqua si avvicinava e nella cittadina di Whitechurch fervevano i preparativi, come sempre per ogni occasione importante.
Andromeda era coinvolta nei festeggiamenti, in quanto ormai faceva parte di quella piccola comunità e tutti la trattavano come se la conoscessero da sempre, conquistati dal carattere solare e allegro di quella ragazza così graziosa che, da qualche settimana, girava mano nella mano con quel fortunello di Ted Tonks.
Andromeda viveva quei giorni godendosi ogni istante, in quanto era fin troppo consapevole che il mese seguente Ted sarebbe partito per la Norvegia e lei sarebbe dovuta rientrare a Weirwater.
Lui faceva progetti per l’estate, quando sarebbe rientrato per le vacanze, raccontandole l’itinerario che aveva pensato per il loro viaggio.
Lei taceva, sognando insieme a lui e celando in fondo al cuore la paura che aumentava giorno dopo giorno.
Ted non sapeva nulla della sua famiglia, delle sue origini. Non sapeva nemmeno chi lei fosse e il senso di colpa si ingigantiva ogni giorno che passava, crescendo come l’amore che provava per lui.
- Andromeda – le aveva detto Hellen pochi giorni prima, vedendola tormentata – La tua situazione è ben diversa dalla mia, la mia famiglia è felicissima all’idea che io accantoni ogni cosa che riguardi i miei poteri, la magia, Hogwarts... ma tu, tu non puoi farlo, lo sai! Prima o poi, Ted dovrà sapere e, credimi, prima è meglio è!-
Andromeda aveva annuito, stropicciando inconsapevolmente la stoffa della sua gonna pantalone.
Amava Ted, come non amava nessun altro, e l’idea di perderlo la terrorizzava; era talmente concentrata su di lui che nemmeno pensava ai suoi genitori e alla sua famiglia.
Ogni mattina si svegliava piena di buoni propositi e ogni sera andava a dormire senza aver risolto nulla.
Erano giorni che non mandava sue notizie a casa.
Quel giorno di fine marzo stava passeggiando mano manina con Ted, socchiudendo gli occhi alla luce del sole che si affacciava timidamente in cielo.
- Il mio volo parte a mezzogiorno, giovedì prossimo. – le stava raccontando il ragazzo – Il primo mese non potrò muovermi, ma poi tornerò ogni quindici giorni.- la rassicurò.
Lei annuì, senza dire nulla. L’idea di stare senza di lui la lasciava senza fiato.
- Potrei venire io - sussurrò la ragazza, sapendo che smaterializzandosi avrebbe potuto fare avanti e indietro ogni volta che lo desiderava.
- No!- le rispose, deciso – Non posso permettere che tu spenda tanto, puoi stare tranquilla, io non mancherò di tornare. –
Le sorrise e le diede un bacio leggero sulle labbra.
Accadde in un attimo.
Lei chiuse gli occhi per ricambiare il bacio e quando li riaprì era distesa su una panchina, con la testa sulle ginocchia di Ted, che la fissava pallido in volto.
-Meno male!- le sussurrò, angosciato -Non sai che paura ho avuto, mi sei svenuta tra le braccia! Come ti senti?-
Andromeda sbatté le palpebre e si rialzò lentamente.
Si sentiva debole, ma nel complesso abbastanza bene.
-Non so come mai, nel momento in cui ho chiuso gli occhi...- cercò di sorridergli.
- Ti porto subito da un medico!- esclamò il ragazzo, aiutandola ad alzarsi in piedi.
-No, no! Sto bene, sul serio!- rispose lei, che effettivamente si sentiva molto meglio – Sarà un po’ di stanchezza!-
Lui la osservò poco convinto, poi la prese tra le braccia, con dolcezza.
- Caspita!- esclamò all’improvviso, Ted – A quest’ora dovevo già essere all’Università per presentare il progetto di cui farò parte!Oddio, non posso lasciarti qui da sola! Prima ti riaccompagno, poi vado!-
Lei rise, di fronte alla sua agitazione.
-Ted!Corri subito e non preoccuparti!- gli disse, dandogli una spintarella – Io sto benone, credimi!Tra poco Hellen sarà qui, proprio qui, perché abbiamo un appuntamento!- indicò una fontana poco lontano, che di soluto fungeva da ritrovo per le compagnie di ragazzi del paese -La aspetterò su questa panchina, come d’accordo, buona buona, ok?-
Lui esitò ancora, ma davanti alle proteste di Andromeda cedette.
- Ti amo infinitamente lo sai vero?- le disse, stringendola forte – Lo sai si, che sei la mia unica gioia? L’unica vera gioia della mia vita?-
Lei gli si strinse, commossa, tuffando le mani nei suoi capelli morbidi, che amava tanto.
- Lo so, ti amo anch’io!- gli rispose con dolcezza, schioccandogli un ultimo bacio sulle labbra.
- A dopo allora! Solita ora e solito posto, ok?- così dicendo si avviò, sventolando la man per salutarla.
Lei annuì sorridendogli con calore e seguendolo con lo sguardo mentre scompariva all’orizzonte.
Poi si sedette e chiuse gli occhi, respirando l’aria fresca e godendosi il quieto silenzio del parco.
Non c’era nessun altro.
Quindici minuti dopo arrivò Hellen, trafelata.
- Andromeda scusa!!- esclamò – C’era una fila infernale e io…-
Ma non c’era nessuno ad accettare le sue scuse, la panchina dove Andromeda avrebbe dovuto essere seduta era vuota e li intorno non c’era anima viva.

FINE QUATTORDICESIMO CAPITOLO

  
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