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Autore: Alex Wolf    27/01/2016    1 recensioni
(Ambientata nel Giappone feudale)
Kunoichi, ninja donne che nel giappone antico venivano addestrate separatamente dai loro pari uomini. Sono elementi importanti in un clan quanto la controparte maschile, tant'è che il loro nome scomposto vuol dire sia "donna" che "una dei nove". Erano addestrate nell'arte della seduzione e nel combattimento corpo a corpo: spesso agivano usando veleni e armi nascoste come i Neko-te. Lavoravano puntando sui travestimenti che la loro femminilità gli permetteva di ricoprire, ed erano letali killer silenziosi.
Genere: Azione, Generale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Giappone feudale
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Daimyo


Piccola Annotazione Iniziale:Ricordo che questa storia è coperta da copyright.©
La storia è ambientata più o meno nel periodo Ashikaga o Muromachi (1333 - 1573); nonostante Ashikaga Yoshimitsu fece cessare lo scisma nel 1393 proclamandosi Shōgun e dando al paese un periodo di pace, il secondo Shogunato giapponese non mantenne mai l'effettivo governo sul paese e subì un lento declino, segnato dal crescente potere dei daimyo, i signori locali.
Dal 1467 al 1568 il caos politico del paese diede vita a infinite battaglie, che costituiscono l'era Sengoku (Stati combattenti). Nel 1573 l'ultimo Shogun Ashikaga fu deposto da Oda Nobunaga.









La grande residenza dei Mochizuki si poteva riconoscere da metri di distanza a occhio nudo. Era una grande abitazione recintata, il cui interno era recluso agli occhi dei viandanti da mura alte e un possente portone di spesso legno; gli alberi che fiorivano al suo interno coloravano la cima di quei muri con colori vivaci (il rosa dei ciliegi, il bianco dei peschi) e inondavano l'aria con correnti di profumi dolcissimi.
Nel punto in cui si trovava, la Kunoichi riusciva a scorgere l'engawa e la moltitudine di piccole lanterne che la madre aveva fatto accendere in giardino per aiutarla a non sbagliare strada. Sembravano un insieme di lucciole, li, solo per lei. Risplendevano pallide contrastando i fulmini gialli che si ramificavano nell'immensità del buio.
Con un abile salto la giovane atterrò prima sulla sommità della recinzione e successivamente sulla strada che conduceva alla residenza. In lontananza, ancora immerso nell'abbraccio della notte morente, udì il suono della piccola fontanella di bambù che le dava il ben tornato e le bocche delle carpe che mordicchiavano la superfice dell'acqua in cerca di cibo e ossigeno.
La ragazza non si fermò che per un fuggevole sorriso e poi corse dentro la dimora, scampando a un'improvvisa versa che si scontrò con violenza sul verde manto dove giacevano i fiori tanto amati della madre.
Si tolse le scarpe lasciandole fuori dalla dimora, gettò gli abiti lontani e sciolse i capelli poggiando i vari accessori sopra un piccolo comodino.
Dannazione, pensò notando allo specchio che la sua pelle era rimasta macchiata più del previsto a causa della presa dell'uomo. I suoi polsi erano divenuti viola, sembrava che qualcuno le avesse appoggiato sulla pelle delle bucce di susina e, se provava a toccare gli ematomi, dolevano terribilmente. Cosa avrebbe raccontato a suo padre se li avesse visti? Non poteva certo dirgli che l'uomo che aveva ucciso, quello stesso essere che suo padre le aveva ordinato di far fuori, prima di morire l'aveva stuprata e ferita. Si sarebbe sentita dire che non era in grado di portare a termine il proprio lavoro, oppure che era una delusione per l'intera famiglia.
Ungendo gli ematomi con una crema pregò che l'indomani quelle tumefazioni sarebbero quanto meno affievolite di tono.
Infilò la casacca da notte e iniziò a spazzolare i capelli, mentre le sue orecchie udivano il rumore di passi farsi più forte e vicino. Fino a fermarsi innanzi alla porta della sua camera.
«Chi è che ha deciso di disturbare a quest'ora tarda di notte?» domandò con voce tagliente, quasi fosse colpa del nuovo venuto se lei era ancora in piedi. Sperava vivamente che non si trattasse di un domestico, o di uno dei loro figli; non li aveva mai sopportati molto quei ragazzini.
«Mi spiace, mia signora» sussurrò una voce dal corridoio, «ho sentito dei rumori e ho pensato vi foste sentita male.» Era solo una semplice guardia. La giovane tirò un sospiro di sollievo.
Si alzò, stirando accuratamente con le mani la stoffa pregiata che ricopriva il suo corpo e poi fece scivolare la porta verso sinistra. Innanzi a lei, nel semi buio stava inginocchiato un uomo dai capelli corvini e l'elsa di una spada più rossa del sangue. L'ombra che si allungava alle sue spalle ricordava alla ragazza quella di un demone, ricurva e densa.
L'uomo alzò lo sguardo sulla giovane, incontrando i suoi occhi serafini, e lo riabbassò subito dopo. «Mi spiace di averla disturbata, mia signora.»
Lei sospirò come per far intendere che la sua vista la stava stufando e, per marcare con più solidità quell'affermazione, sventolò la mano nella direzione da cui l'uomo era arrivato. «Voglio riposarmi come si deve, la bellezza non si mantiene con il solo pensiero» aggiunse infine, rintanandosi nuovamente nella propria stanza.
Il giorno dopo sembrò salutarla più per dovere che per piacere. La luce si poggiò sui tatami come volesse fargli una carezza e si allungò fino a risalire sulla superfice del fusuma.
Nascosta dalle coperte del futon la giovane si voltò a pancia in su, poggiò un braccio sulla fronte e respirò a pieni polmoni. Al leggero materasso aveva fatto l'abitudine da anni, perciò la schiena non poteva dolere per quel motivo. Probabilmente, pensò, la sera prima quel mercenario non doveva solo averle inferto ferite sui polsi; ma lei, non voleva saperne di ciò che le marcava la pelle sotto le spalle. Avrebbe resistito finché ogni cosa non sarebbe andata per il meglio e il dolore non sarebbe scomparso del tutto.
Si alzò e si vestì con uno degli splendidi kimoni che il padre le aveva portato dal suo ultimo viaggio. Si trattava di un lungo abito dai colori che rimandavano alla primavera: verde acqua, perla, rosa; splendidi disegni di gru e fiori di ciliegio adornavano il tutto. Chiamò una serva dalla quale si fece acconciare i capelli e sistemare il trucco, poi s'incamminò verso la stanza del tè.
La madre l'aspettava, seduta con la schiena dritta e una tazza di tè fumane fra le mani ben curate. Ogni volta che incrociava i suoi occhi grandi e freddi la ragazza non poteva far a meno di chiedersi quanto fosse scura l'anima della genitrice; quante persone erano state vittime delle sue movenze prima di essere uccise, a sangue freddo? Sarebbe stata anche lei una di queste? Era anche lei una sua pedina? Ma più provava a trovare una risposta, più l'incertezza le copriva le spalle come una coperta.
«Onorevole Madre» sussurrò rispettosa, chinando il capo. Com'era interessante il pavimento in confronto al famigliare che le sostava innanzi. Rialzò la testa, poggiò le mani sulle ginocchia piegate e disse: «L'incarico che mi avete affidato ieri, Onorevole Madre, è stato portato a termine con successo.»
«Non come speravo, devo supporre» obiettò immediatamente la donna, sorseggiando con calma apparente il proprio tè caldo.
La giovane nascose un moto d'incertezza nella stretta che racchiuse un pezzo di tessuto soffice all'interno della propria mano.
«Una delle mie sentinelle ha notato strani aloni sui tuoi polsi questa mattina. A quanto pare», poggiò la tazzina sul piccolo vassoio rialzato e accarezzò graziosamente il proprio abito con le mani, «sei stata incauta.»
La Kunoichi abbassò lo sguardo, subito dopo aver incrociato quello della madre. Si sentiva tremendamente imbarazzata per la poca attenzione che aveva riposto nei dettagli mentre si stava preparando, nell'essersi esposta incautamente a quell'unica domestica che l'aveva aiutata. Avrebbe dovuto stare più attenta. Si ripromise di esserlo in futuro.
Dopo un intenso e breve silenzio, la genitrice le versò del tè e riprese la propria tazza. «Tutta via, hai portato a termine il tuo incarico come ti era stato richiesto. Sei più vicina al tuo obiettivo di quanto tu non creda, figlia mia.»
La ragazza sentì il cuore scaldarsi un poco.



҉



Il sole splendeva leggero sulla casa dell'anziano. Con le prime luci dell'alba la vita era tornata ad affollare la piccola aia che possedeva. Le galline raspavano placidamente a terra, sorvegliate da una coppia di gatti rossi ora svegli ora sonnecchianti.

Un piccolo rumore fece sollevare una palpebra al Capo Villaggio. «L'estate è sbocciata splendidamente, non trovi, Ryuu?»
«Si.» Il giovane prese posto accanto al vecchio e si mise ad osservare il panorama. «Si sta davvero bene qui, nonno.»
Kukunodate era bella in qualsiasi periodo dell'anno, anche se il giovane la preferiva in primavera, quando gli alberi di ciliegio sbocciavano e coloravano le strade lungo il fiume di rosa, imperversavano profumi intensi e il caldo non era troppo afoso da far si che la gente si chiudesse in casa in cerca di fresco.
«Hai riposato bene?»
«Come sempre, quando vengo qui» sorrise il giovane, adagiando fra le mani dell'anziano parente una tazza di tè. «Spero sia venuto decentemente, questa volta» sussurrò l'ultima frase con fare imbarazzato, velocemente. Il Capo Villaggio l'osservò, portando lentamente un sorso alle labbra. Ryuu rimase col fiato sospeso. «Allora?» chiese, coltivando silenziosamente una speranza.
Il vecchio sorrise, delle piccole rughe si ramificarono attorno ai suoi occhi. «E' tremendo.» Il giovane gettò la testa verso il basso, sconsolato. «Oh, ma non perderti d'animo nipote mio» si affrettò ad aggiungere «fra qualche giorno dovrai pensare solo ad essere un buon Daimyo per Kukunodate. Avrai al tuo fianco una ragazza meravigliosa, che penserà a te e ti darà molti eredi. La figlia di Kenshin è un bocciolo appena fiorito. Si sì, diventerà davvero una splendida donna.»
Ryuu chiuse gli occhi. Cercava in continuazione di immaginare che aspetto avesse quella giovane di cui suo nonno cantava le lodi e, ogni volta, gli passava sotto le palpebre l'immagine di una ragazza diversa; poteva assomigliare alla figlia del pescivendolo, alla moglie del contadino che abitava loro vicino oppure, ancora, a una mercante straniera proveniente da oltre mare (viaggiando verso Kukunodate ne aveva viste molte sulla costa, alcune con la pelle scura come la notte e altre dai capelli del colore del sole).
«Non dubito di una sola delle tue parole, caro nonno» sorrise. Successivamente, voltandosi verso l'engawa e scorgendovi una figura di spalle scosse il capo e avvicinò le labbra all'orecchio del parente. «Ma è necessario che le tue guardie del corpo siano affidate a me, adesso?»
«Si.» Il vecchio accese una lunga e sottile pipa. «Da questo pomeriggio diventerai il nuovo Signore di Kukunodate, la Squadra dei Nove è al tuo servizio», l'uomo affilò lo sguardo oscurandosi d'un tratto, «e con loro ti sono caduti sulle spalle tutti i segreti che si aggirano nel nostro villaggio.» Allungò una mano verso il collo del nipote e lo avvicinò bruscamente al proprio volto. «Non spifferare questi segreti a nessuno, nemmeno alla tua futura moglie, altrimenti scoppierebbe il caos. Ci siamo capiti?»
Ryuu annuì.
Da dietro la leggera porta sulla quale era appoggiato, Katashi aprì gli occhi e sospirò pensieroso. Sarebbe stato in grado, Ryuu, di gestire un intero villaggio in continua evoluzione?
Alzando lo sguardo verso il cielo, ancora tinto di arancio, il ninja pregò che tutto andasse bene. Sia per il nipote del Saggio Anziano che per lui, in quanto sua futura guardia del corpo.

 
  
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