L'uomo con una nuvola di capelli grigi
L’uomo con una nuvola di capelli grigi
entrò nel cimitero,
camminando con lo stesso passo zelante di uno studente che sta
ritornando a
casa. I pochi visitatori di quel soleggiato martedì mattina
alzarono per un
attimo gli occhi dalle tombe dei propri cari e, nel
notare che l’uomo non si era nemmeno fatto
il segno della croce, qualcuno gli lanciò uno sguardo di
disapprovazione: una
mancanza perdonabile, forse, per un adolescente, ma non certo per un
signore di
mezza età. Da quando, però, i signori di mezza
età se ne andavano in giro con
una chitarra elettrica sulla schiena e un paio di ray-ban a coprire gli
occhi? Quell’uomo
sapeva di eccentricità lontano un miglio, e
l’eccentricità era parecchio
disturbante, specialmente in un cimitero: in luoghi del genere, meno ci
si fa
notare e meglio è. L’uomo, invece, non riusciva
proprio a passare inosservato,
e probabilmente non se ne rendeva nemmeno conto:
l’eccentricità doveva essere
qualcosa di quotidiano, per lui. Eppure, quel giorno si trovava
lì per lo
stesso motivo degli altri visitatori: lasciare un mazzo di fiori sulla
tomba di
qualcuno.
Il mazzo di fiori in questione era stretto con una presa incerta, come
se
l’uomo non fosse abituato a tenere in mano qualcosa del
genere. Era un mazzo
decisamente vistoso, forse fin troppo: il genere di mazzo che un marito
infedele regala alla propria moglie perché si sente in colpa.
L’uomo che si sentiva in colpa continuò a
zampettare da una tomba all’altra,
con quelle gambe e braccia così lunghe da farlo assomigliare
ad una marionetta.
Iniziava ad avere dei dubbi: era forse l’usanza giusta,
portare dei fiori
davanti ad una tomba terrestre? Non ne era certo. In effetti quel
giorno era
uscito dal Tardis con una scatola di cioccolatini, ma un morto che se
ne
sarebbe fatto? Beh, anche dei fiori non sarebbero stati molto utili, in
tal
senso… E i visitatori avrebbero preferito sgraffignare dei
cioccolatini, al
posto dei fiori. O forse sarebbe stato meglio portare una bottiglia di
vino?
L’uomo con la chitarra sulla schiena scosse la testa: ormai
aveva portato i
fiori, e non sarebbe tornato indietro… Anche
perché temeva che, poi, non
sarebbe più riuscito a rientrare in quel cimitero,
nonostante non sapesse
nemmeno a chi stava per fare visita.
Oh, beh, in un certo senso lo sapeva: aveva un nome.
Clara.
Aveva indagato su quel nome nelle ultime settimane e si
sarebbe aspettato
di tutto, tranne che fosse morta. Era per quel motivo, forse, che aveva
deciso
di dimenticare tutto? No, non era da lui: i morti sono gli ultimi a
meritare di
essere dimenticati. Altrimenti a cosa serviva, una tomba?
Lui, però, questa defunta l’aveva dimenticata
ugualmente. E tra poco sarebbe
stato davanti alla sua lapide, e non avrebbe provato assolutamente nulla. Solo un po’ di senso di
colpa.
L’uomo si chiese: quei fiori erano abbastanza numerosi?
Abbastanza belli?
Abbastanza colorati? Abbastanza… abbastanza?
Ormai, però, non poteva più perdere
tempo con quei pensieri sconclusionati.
La tomba era vicina: gli sarebbe bastato svoltare a destra, e
poi…
Svoltò a destra.
Una tomba semplice, uguale a tante altre, se ne stava
lì silenziosamente. Qualcuno
aveva già portato dei fiori, ed erano così tanti
che sulla lapide si potevano
vedere le parole “Clara Oswald”, ma non la
fotografia a pochi centimetri di distanza.
L’uomo allungò una mano per scostarli, ma poi si
trattenne. Si sentiva in
sospeso, in mezzo tra due situazioni altrettanto scomode: sapere o non
sapere?
Vedere o non vedere? Tanto, in ogni caso, quella Clara Oswald era morta.
A song.
A sad song.
Era morta: per questo quella canzone era così
triste?
Anche solo averla dimenticata, però, era abbastanza triste.
Ma in quel
momento non provava tristezza, no, solo spaesamento. E quel
maledettissimo
senso di colpa, perché lui non dimenticava mai nessuno. Mai. Avrebbe voluto che i suoi occhiali
da sole nascondessero
qualche lacrima, o almeno un paio di occhi lucidi, ma quello che voleva
nascondere era il fatto di non essere per niente triste.
Clara Oswald. Clara Oswald era
stata
triste? Prima di morire, quando si era resa conto che lui non
l’avrebbe mai più
ricordata? L’uomo provò ad immedesimarsi in quella
ragazza che nemmeno
conosceva… Gli venne in mente una certa segretaria redhead di Chiswick e si
rifiutò di rimuginare oltre.
Sì, Clara Oswald doveva aver sofferto.
L’uomo si sbarazzò di quel pensiero poggiando il
vistoso mazzo di fiori davanti
alla lapide. Se ne stette a fissarlo per qualche istante, poi lo
girò e lo
spostò leggermente a sinistra. Ci ripensò subito
e lo rimise com’era prima, per
poi però ricredersi di nuovo e cercare di poggiarlo in
piedi, cosa impossibile
anche per lui. Cambiò posizione ai fiori più e
più volte e, alla fine, li
lasciò nella medesima posizione con cui li aveva appoggiati
venti minuti prima.
Nei film si vedevano i terrestri parlare alle tombe dei loro cari, ma
nella
pratica una cosa simile non avveniva mai. L’uomo, tuttavia,
aprì la bocca per
dire qualcosa, per poi richiuderla subito. Forse pensava che i fiori
fossero
più che sufficienti… o che nessuna parola sarebbe
mai stata abbastanza.
Da dietro le lenti scure, gli occhi dell’uomo si fissarono
sui fiori che
coprivano la fotografia di Clara Oswald. Fu tentato un’ultima
volta di vedere
in faccia colei che aveva dimenticato, ma poi con una giravolta diede
le spalle
alla tomba e iniziò a sgambettare verso il cancello del
cimitero.
Clara Oswald, per lui, sarebbe stato solamente un nome.
Oppure no?
L’uomo con una nuvola di capelli grigi in testa
fece dietrofront e, con un
paio di movimenti veloci della mano, spostò i fiori che
stavano coprendo la
fotografia che lo stava ossessionando. La sua espressione fu di pietra
per un
istante, poi fece qualcosa che, fino a un secondo fa, non avrebbe
considerato
come reazione.
Sorrise.
Il senso di colpa dell’uomo con la chitarra si fece
un po’ meno pesante:
Clara Oswald, la ragazza che aveva dimenticato, non era affatto morta.
No, non
ancora. E, nonostante tutti i suoi viaggi con lei fossero stati
cancellati, un
ricordo di lei rimaneva: l’estremo addio, quello che lui non
aveva nemmeno
saputo riconoscere come tale. E il senso di colpa ritornò ad
essere insistente, se non di più.
Ma non era morta, no. Era là fuori, da qualche parte: non
riusciva a spiegarsi come, ma non aveva importanza. Clara Oswald arebbe
morta
quell’anno, sì, ma avrebbe fatto il giro
lungo… E, forse, la ragazza morta e
l’uomo con il senso di colpa si sarebbero rivisti. E lui,
questa volta,
l’avrebbe riconosciuta.
Alla fine della giornata,
l’uomo che non aveva fatto il
segno della croce fu l’unico ad uscire dal cimitero con un
sorriso sulla
faccia.