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Autore: Leonhard    29/01/2016    2 recensioni
"Il Lifestream circola all'interno del Pianeta: vedilo come un corso d'acqua all'interno di un percorso circolare".
"Allora, se io ad un certo punto getto un ramo all'interno del Lifestream, dopo qualche tempo lo vedrò passare nuovamente dal punto in cui l'ho buttato?". Cloud si prese il suo tempo per rispondere.
"Spero di no..." rispose, ma la faccia era seria, preoccupata. Aveva probabilmente colto nel segno.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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5. Dimmi di non farlo


“Oh Cloud” salutò Rufus. “Stavo per convocarti: siamo proprio in sintonia io e te”. Cloud non rispose: era palesemente una provocazione, esattamente ciò che bisognava aspettrsi da un uomo come quello. Scese dalla moto senza posa, avvicinandosi all'uomo e lasciando che il crepuscolo del tramonto di Junon gli desse una tonalità più ambrata ai capelli. Si fermò a qualche metro da lui e lanciò un fagotto ai suoi piedi e dal pacchetto fecero capolino qualche ciuffo biondo insanguinato.

“Presumo che tu mi debba qualche spiegazione” disse Cloud asciutto.

“Da quando decapiti la gente?” chiese.

“Non l'ho fatto io” fu la risposta.

“Ma l'hai trasportata” osservò Rufus, cercando di nascondere un ghigno compiaciuto. “Non ti fermi davanti a nulla, eh?”.

“Non prendermi in giro” ringhiò il giovane. “Questo qui era uno dei Riuniti ed aveva la mia stessa faccia: mi hanno clonato?”. Rufus abbandonò la sua aria sicura e sprezzante: si fece improvvisamente serio e sbattè più volte le palpebre, perplesso.

“Ti aspetti che io lo sappia?” chiese. “Io non c'ero, ma non credere che sia rimasto con le mani in mano”. Si avvicinò al fagotto e ne scostò i lembi: la testa rotolò lievemente di lato, fissando i suoi occhi vitrei su un particolare inesistente del cielo. Il vento scompigliò lievemente i biondi capelli morti, che mal si sposavano sul grigio pallore del volto. “Ho fatto delle ricerche interne ed ho scovato la talpa”.

La talpa: Cloud si era completamente dimenticato di questo particolare. Rimase in attesa, certo che l'uomo sapesse di doverlo mettere al corrente dei suoi spostamenti, così come doveva fare lui. Davanti al silenzio dell'uomo, sbuffò stizzito: odiava chiedere.

“Chi era?”.

“Chi erano” corresse Rufus. Il SOLDIER aggrottò le sopracciglia, poi fu colto da un sospetto. Si guardò intorno, stranito dalla tranquillità e dal silenzio da cui erano circondati: il porto era deserto, solo loro due sulla banchina metallica ed il vociare della città era solo un lontao brusio senza importanza. Dovette chiederlo nuovamente, ma questa volta la stizza fu accompagnata da un sottile brivido freddo lungo la schiena.

“Dove sono i tuoi tirapiedi?” chiese. L'uomo sospirò e continuò a camminare verso di lui, scavalcando la testa che continuava ostinata a guardare l'infinito che c'era tra lei ed il sole.

“Effettivamente non era poi così difficile da capire” disse. “Insomma, i miei ricercatori hanno il divieto di uscire dalle aree di ricerca e tu, beh...tu sei solo un fattorino”. Cloud provò un moto di stizza: lui stesso si definiva solo un fattorino, ma detto da Rufus suonava come un insulto, quasi lo stesse sminuendo. “Nessuna delle persone con cui ho avuto contatti sapeva delle mie ricerche, quindi mi è bastato fare due più due: avrei dovuto farlo prima. Errore mio”.

“Quindi...?” chiese Cloud, anche se aveva capito perfettamente cos'era successo.

“Reno e Rude erano le talpe” confermò l'uomo. “E per precauzione ho sciolto i Turks e zittito i componenti”.

Zittito i componenti. Cloud distolse lo sguardo da Rufus, cercando di metabolizzare la cosa: zittito i componenti. Sciolto i Turks. Reno e Rude erano le talpe. Si chiese se aver vissuto e militato in quel mondo gli desse il diritto di dire di conoscerlo, perché in quel momento si sentiva come catapultato da qualche altra parte. La Shin-ra, i SOLDIER, i Turks: erano l'uno complementare all'altra ed erano tutti ufficialmente spariti. Almeno per quanto riguardava i Turks.

“Ho bisogno del tuo aiuto, Cloud” disse la voce dell'uomo. “Non hai portato a termine il tuo compito, ma rinnovo comunque il tuo contratto: devo chiederti di sostituire i Turks e proteggere la mia persona”.

“Non mi interessa” replicò subito il biondo.

“Beh dovrebbe” osservò Rufus. “Un lavoro non portato a termine non è una bella nota sul tuo curriculum. Un lavoro commissionato da me, poi...”.

“Io sono un fattorino”.

“Ma prima eri un mercenario: per soldi facevi qualsiasi cosa ti veniva chiesta, compreso far saltare reattori Mako e giocare al fidanzato protettivo con una Antica. Sinceramente non capisco perché questo lavoro ti puzzi così tanto”.

“Tu non mi piaci Rufus” ringhiò Cloud. Gli piantò uno sguardo raggelante negli occhi. “Hai combinato un mucchio di casini, hai messo più volte in pericolo me ed i miei amici per non parlare dei tuoi galoppini che sono stati una seccatura nella migliore delle ipotesi. Wutai ti voleva morto, Sephiroth ti voleva morto, persino il pianeta stesso ti voleva morto e quelle Weapon sono state molto chiare su questo punto: sei solo contro tutto il creato ed io dovrei proteggerti?”.

“Tu sei l'unico che può farlo”.

“E non ti soffermi a chiederti se voglio farlo?”.

“Non serve”. Rufus fece ricomparire il sorrisetto strafottente. “Tu lo devi fare: il tuo contratto con me non è stato portato a termine ed io, in qualità di tuo datore di lavoro, ti cambio la mansione. Io posso farlo e tu devi accettare. E per la cronaca...Sephiroth voleva morti tutti: io facevo parte di questo insieme”.

Non aggiunse altro: superò Cloud e si diresse tranquillamente verso il paese. Il SOLDIER si volse verso di lui.

“Rufus...ti stai facendo crescere i capelli?” chiese. Una domanda stupida, ma sentì di doverlo chiedere. L'uomo si volse, sempre con quel sorrisetto stampato sul volto.

“Ti contatterò presto Cloud” rispose. “Tieniti a disposizione”.


Tifa si sedette su una delle poche panche ancora integre della Chiesa. Del campo di fiori di Aerith non era rimasto molto, solo una fossa con poche dita di acqua santa, che riluceva e vibrava, come se fosse costantemente increspata da una brezza sconosciuta. Le era parsa molto strana la chiamata di Cloud: era strano il fatto stesso che l'avesse chiamata. Le aveva chiesto di aspettarlo alla Chiesa dei bassifondi e lei aveva lasciato Marlene e Denzel ad occuparsi del bar: non era la prima volta che lo faceva e i due erano perfettamente in grado di farlo. E poi, quella non era l'ora degli ubriaconi abituali a cui preferiva occuparsi lei stessa, ricoprendo il ruolo di monito su quello che sarebbe accaduto in caso di grane: potevano ubriacarsi quanto volevano, ma le ciucche moleste le si smaltiva fuori.

In lontananza sentì la Fenrir spegnersi, qualche secondo di pausa e poi il portone si spalancò, seguito dai pesanti passi cadenzati di Cloud. La ragazza si volse con un sorriso di benvenuto, che tuttavia mascherava non troppo bene la perplessità di quell'invito e la richiesta di spiegazioni. Il biondo le lanciò il suo solito sguardo penetrante e si fermò accanto a lei.

“Ciao Cloud” salutò, sapendo che lui aspettava quello.

“Hey” replicò lui. “Grazie per essere venuta”.

“Nessun problema” rispose lei. (Ok, i convenevoli sono finiti: potresti spiegarmi che succede per favore?).

“Seguimi” disse semplicemente lui. Si avviò nuovamente verso il portone e lei lo seguì. Il cortile fuori era polveroso e arido ed i rottami del piatto delimitavano l'unica strada che portava alla Chiesa. Dagli squarci nello spesso strato di ferro e tubi sopra di loro filtrava la luce morente del sole. I due si fermarono a qualche metro di distanza l'uno dall'altro.

“Non ti ho sentito tornare ieri sera” buttò lì Tifa, giudicando opprimente il silenzio tra di loro. “E stamattino non ti ho visto uscire”.

“Non sono rientrato ieri sera” rispose lui. “Scusa, dovevo riordinare le idee”.

“Che succede Cloud?” chiese. Il ragazzo sospirò poi si volse verso di lei.

“Tifa...attaccami” disse. La ragazza rintuzzò sorpresa: ammesso che ci fosse mai stata una volta in cui avevano fatto a botte, e lei dubitava seriamente, era talmente lontana che non se la ricordava.

“Cloud...” mormorò. “Che stai dicendo?”.

“Rufus mi ha assoldato come sua guardia del corpo” rispose semplicemente.

“E allora?” chiese, ma fu una domanda inutile: sapeva, capiva la sua riluttanza a ricoprire quel ruolo. “Tu non sei più un mercenario: non lo può fare”.

“Ho fallito il compito del contratto” replicò lui, mettendosi in posizione di guardia, in attesa di un suo attacco. “Ha variato i termini ed io non posso farci nulla se voglio essere pagato”.

“E tu non farti pagare!”.

“Finirà come nota di demerito sul mio curriculum. E poi sappiamo tutti e due che tipo è quello: gonfierà la cosa ed io non avrò più clienti”. La ragazza sospirò, ma si mise in guardia.

“Quindi anziché far gonfiare la cosa da lui vuoi farti gonfiare da me?” chiese, cercando di sdrammatizzare. Lui accennò un sorrisetto.

“Preferisco” annuì. La ragazza lo attaccò: scattò velocissima verso di lui e mosse un diretto al naso. Il biondo scomparve rapidissimo dalla sua visuale, ma istintivamente mosse il braccio di lato, parando un calcio alla spalla. Spazzò la gamba e mosse un secondo diretto, che venne prontamente afferrato; Cloud le torse il braccio, ma lei si liberò abilmente e lo allontanò con un calcio. Il ragazzo barcollò in avanti, ristabilizzandosi con una rotolata in avanti. Tifa lo rincorse ed attaccò nuovamente.

Voleva fare a botte. E tra tutti, proprio a lei aveva chiesto. Capì il perché di tanto mistero: se glielo avesse chiesto per telefono, avrebbe rifiutato sicuramente e non ci sarebbe stato verso di convincerla. Si abbassò per schivare un calcio e rivide davanti ai suoi occhi un ragazzino.

Un ragazzino dall'assurda chioma bionda che faceva a botte in un vicolo con tre ragazzi più grandi e soprattutto più grossi di lui. Ricordò che lì per lì non aveva dato particolare importanza alla cosa ed era passata oltre, lasciando che quei bulli lo gonfiassero per bene. Ricordò una roccia con biondi capelli a punta sulla strada per il reattore, ai tempi in cui lei cercava la madre defunta.

Ricordò la cisterna dell'acqua sotto un cielo stellato.

Spaccò il suo tempo e spazzò con un calcio le gambe di quel ragazzino, che nel frattempo era cresciuto, si era fatto la sua gavetta alla Shin-ra ed era tornato come testimone di quel mondo, con i suoi pro ed i molto più numerosi contro. Cloud, non seppe prevederlo e si ribaltò a terra; la ragazza gli fu sopra in un attimo e, immobilizzatolo con un avambraccio alla gola, caricò un pugno dietro la sua testa.

L'aria stagnò: il combattimento era finito. Il respiro affannato dei due era la sola cosa che fendeva il silenzio assoluto.

“Ti facevi riempire di pugni da tre bulletti a Nibel e pretendi di affrontare me?” chiese.

“Facile così: sei più grande di me” sbottò lui, sconfitto.

“Ma tu sei un uomo!” protestò la donna, senza tuttavia muoversi. “Dovresti proteggermi”.

“E tu dovresti proteggere l'uomo che deve proteggerti!” replicò lui.

“No, l'uomo che protegge dovrebbe proteggersi da solo: la donna deve proteggere sé stessa e non proteggere l'uomo che la deve proteggere!”. Seguì un attimo di silenzio, poi Cloud parlò nuovamente.

“Non so cosa ribattere” borbottò. “E credo anche di essermi perso...”. Tifa scoppiò in una risata e tolse il braccio dal suo collo, senza tuttavia scendere da lui.

“Ti senti meglio?” chiese. Lui annuì.

“Sì: una basta e avanza” replicò. Fece per alzarsi, ma la donna non si mosse.

“Sai...” disse, giocherellando con il colletto della giacca con un sorrisetto malizioso. “Questa scaramuccia mi ha messo un po' caldo...e dentro c'è ancora un po' di acqua santa: fresca e pulita acqua santa”.

“Non è che magari qualcuno si offende?” replicò lui, sorridendo di rimando e stando al gioco. Tifa scrollò leggermente le spalle e gli circondò il collo con le braccia. I loro volti erano sempre più vicini.

“Chissà...” sussurrò. “Non sei un amante del pericolo?”.

“Dipende che genere di pericolo”.

“Beh, mi hai fatto venire qui e ti ho fatto contento: non è il caso, caro il mio marcenario fattorino...di ricambiare il favore? Sai no? Do ut des, queste cose qui...e poi ci sono altre stanze se hai paura di un castigo divino...”. Giocherellò con la zip per qualche secondo poi la abbassò. Lentamente, come piaceva a lui.

Non ci volle tanto: Cloud si alzò e la prese in braccio, correndo all'interno della Chiesa ed ascoltandola ridacchiare eccitata. Fecero l'amore così, cogliendo l'attimo, senza cose come atmosfera, nidi d'amore ed altre smancerie che la ragazza gli avrebbe chiesto la sera stessa, al sicuro nella loro stanza.

Ma quello era il “dopo”, quello era il “più tardi”: ciò che importava era “l'adesso” e l'eccitazione che dava la trasgressione di farlo in una Chiesa, in particolare in QUELLA Chiesa. La trasgressione, il senso del divieto e del proibito e la consapevolezza di disobbedire dava loro una foga. Ad impeto finito i due caddero in ginocchio sul polveroso pavimento della stanza laterale nella quale era piombati, cercando quel pizzico di intimità, requisito minimo ed in quel caso l'unico, che aveva permesso loro di spogliarsi.

“Non credere che sia finita qui, mio bel SOLDIER” ansimò Tifa, rabbrividendo per la serotonina che le correva nelle vene. “Adesso si va a casa: non esiste che una cosetta come questa possa soddisfarmi per più di mezz'ora”. Lui per tutta risposta la abbracciò posandole piccoli baci sulla spalla e sul collo. Lei sorrise e si accoccolò contro di lui, felice, riuscendo a non pensare a lui come guardia del corpo forzata di Rufus Shinra ma solo come ad un uomo. Il suo uomo: quello che aveva aspettato, che aveva inseguito e guarito.

Quello stesso uomo che, ancora non sapeva, da lì a cinque giorni sarebbe morto.
   
 
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