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Autore: Osage_No_Onna    29/01/2016    1 recensioni
[Slash://]
Due ragazzi.
Un mese di vacanza.
Quattordici biglietti lasciati su un muro.
Quindici fiori ad accompagnarli, scelti accuratamente in base al loro significato.
L' evoluzione di un rapporto, dalla fredda indifferenza all' amore.
I sentimenti sono imprevedibili: cambiano in un batter di ciglia e non sempre si trova il modo adeguato per esprimerli appieno.
Ma le possibilità sono tante, quasi infinite.
Sta a noi sfruttarle al meglio.
E se il mezzo di comunicazione è decisamente desueto, la situazione si fa più intrigante...
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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08: All the perks of being a kiddie



Alla fine il tanto sospirato momento era arrivato.
Finalmente era guarita.
La sua ferita si era chiusa e non avrebbe più permesso che fosse riaperta.
Sorrise all’ archetto del suo violino, con il quale stava componendo le note di uno dei tanti brani del Rondò Veneziano. Aveva sempre amato quella musica che sapeva librarsi leggera ma solenne nell’ aria, creando meravigliosi arabeschi e disegni di un’epoca ormai andata ma che sembravano così vivi.
Quando l’ascoltava i suoi occhi brillavano e le dita dei piedi fremevano: la tentazione di volteggiare leggera per la sala seguendo il ritmo della melodia era sempre fortissima, ma anche in quel momento avrebbe dovuto trattenersi a scapito della sua gioia.
Pazienza” pensò con una scrollata di spalle “mi rifarò più tardi”.
Con la felicità le braccia parvero rinvigorirsi, la testa s’ alzò di scatto, le palpebre si abbassarono sulle iridi marroni sfumate d’ azzurro e le dita cominciarono a guidare più speditamente l’ archetto.
La ragazza e il suo strumento divennero una cosa sola e la musica divenne espressione non solo della sua gioia, della quiete dopo la tempesta, ma anche di quei pensieri che, troppo concentrata sui suoi atti per poterli esternare immediatamente, le scaldavano l’ anima.
Era scoppiata in riconoscenti singhiozzi di gioia quando, la sera prima, accoccolatasi sul letto nella stanza del campus, aveva terminato di leggere le parole gentili dell’ amico, che avevano avuto il potere di farle realizzare appieno che era finalmente uscita dal torpore in cui era caduta pochi mesi prima.
Come aveva fatto, lei, a non accorgersene?
Il processo di “guarigione” era stato lento, graduale, un po’ come lo sbocciare placido di un fiore, e lo stato di tranquillità a cui aveva portato poteva essere paragonato all’ atterraggio aggraziato, ma decisamente rallentato, di un’ abile ginnasta dopo lunghi esercizi sulla trave: talmente naturale da sembrare scontato, ma la sensazione del terreno solido al di sotto delle piante dei piedi era strana e liberatoria, foriera di una singolare pace.
Sarebbe stata finalmente spianata, la strada che s’ avviava verso l’ orizzonte? E quale paesaggio si sarebbe presentato ai suoi occhi che brillavano di una nuova, determinata luce?
Non lo sapeva ancora, ma era decisa a scoprirlo e il suo cammino era appena iniziato: non le importava affatto del numero d’ ostacoli che avrebbe trovato, li avrebbe superati anche a costo di ulteriori graffi e sbucciature.
Mai più avrebbe permesso di essere abbattuta in quel modo.
E lui, in tal senso, aveva avuto un ruolo determinante, doveva riconoscerlo.
Se era vero che “l’ apparenza inganna”, lei ne aveva avuto la prova definitiva:  quando l’ aveva conosciuto l’ aveva lapidariamente etichettato “ragazzino”, l’ ultimo tipo di persona con cui avrebbe voluto avere a che fare. Allegro, noncurante, fin troppo burlone, di quelli che fanno battute a sproposito in momenti decisamente inopportuni.
Inutile perder tempo con persone così, aveva pensato con un sospiro, e aveva rivolto la sua attenzione alla compagna di stanza fiorentina, tranquilla e studiosa quanto basta per discutere per ore di arte e letteratura, e al timido afroamericano “nerd” con il quale aveva condiviso varie maratone notturne di videogiochi e confidenze sbucate fuori all’ improvviso da momenti apparentemente fin troppo silenziosi.
Era solo grazie al tempo che avevano passato insieme che aveva potuto appurare che anche quel tibetano sbarazzino aveva delle qualità: la sua allegria talvolta risultava decisamente utile, specie se la tensione era troppo alta, e aveva un acuto spirito d’ osservazione nonché una vasta conoscenza, per la sua giovane età, nel campo dell’ etologia e della botanica.
Celava inoltre una sensibilità fuori dal comune, che veniva allo scoperto solo quando aveva a che fare con piante, fiori ed animale, inoltre in fondo alle sue iridi azzurre spiccava una piccola macchia grigia, ancora non del tutto sbiadita, che lo rendeva talvolta più malinconico e riflessivo.
Una macchia che, nonostante l’ intensità del colore, non aveva quasi alterato la sua allegria: lui non sentiva affatto il peso di quel fardello a lei sconosciuto e procedeva a passi spediti e leggeri. Probabilmente, se lo avesse voluto, avrebbe potuto superare con un solo slancio la distanza che lo separava dal suo paese natio, alla stregua di Mercurio o della bella Iride, la messaggera dell’arcobaleno.
Era la sua gioia a tenerlo sempre vivo, al impedire che sprofondasse nella palude della disperazione, come invece era successo a lei. Era un dono che non le era stato concesso e che avrebbe disperatamente voluto avere, alla luce dei fatti, ma evidentemente le virtù non venivano distribuite in egual misura.
Al contrario di quanto capitava a lui, lei non riusciva affatto a prendere tutto con leggerezza: se aveva un obiettivo da perseguire, spendeva tutte le proprie forze per ottenere il miglior risultato possibile; non riusciva a digerire facilmente né dolori né offese. Quanti affanni inutile avrebbe potuto risparmiarsi!
Lui ne veniva sfiorato appena e lei aveva la certezza che se quella macchia, in passato, poteva averlo profondamente scosso, da quell’ avvenimento nulla più avrebbe potuto turbarlo.
Ma come poteva esserne così sicura non lo sapeva bene nemmeno lei. Avrebbe voluto approfondire la questione, ma probabilmente la cosa migliore da fare era tacere ancora per un po’: non voleva certo ferire il suo angelo.
Sì, angelo, lo vedeva così perché davvero il loro incontro era stato provvidenziale e lui era stato il messaggero del cambiamento[1].
E da quell’ angelo voleva imparare a tornare bambina, a trovare la gioia nelle piccole cose, a correre sulla spiaggia al tramonto con il vento tra i capelli per poi crollare esausta sulla sabbia, a non aver paura di parlare a voce alta e di far capire chiaramente cosa provasse, a ridere anche quando non era il momento di farlo.
Voleva imparare a rinascere.
Perché, a volte, “purificare” vuol dire anche “ricominciare”.
Accostò i due bicchieri che teneva sulla scrivania e fissò, con aria inconsapevolmente sognante e beata, i fiori al loro interno: l’ iris blu che una fioraia dal viso conosciuto le aveva regalato quella mattina aveva decisamente riacquistato forze e aveva un che d’ ipnotico ma rassicurante, con quei petali segnati da venature scure e quella grossa macchia gialla che dalla base s’ allungava verso il centro come una fiammella.
L’ issopo poi, nonostante quei fiori piccolini che pure si trovano in antesi[2], riuscì a strapparle un sorriso decisamente più luminoso del solito. Quella pianticella all’ apparenza tanto insignificante le era molto cara, non solo perché le ricordava casa sua, ma anche per i suoi svariati usi: non era solo ottima come pianta ornamentale e sacra per la religione di suo padre, poteva anche essere usata per facilitare la digestione e curare tosse e raffreddori!
E lei che si era chiesta a cosa potesse mai servire quello steluccio alto poco più di mezzo metro!
Inebriata dal suo profumo, sfiorò con timore quasi reverenziale i sepali azzurri e i pochi pistilli ribelli che osavano farsi notare e poi, stando bene attenta a non lasciar cadere gocce d’ acqua sul pavimento, estrasse lo stelo dalla parte legnosa, dalla base.
Era giunto il momento di consegnare il messaggio.
Quando, con un risata fugace, varcò il portone d’ ingresso del campus, le campane suonarono le cinque del pomeriggio.
 
 
“Ancora un ringraziamento, stavolta per avermi aiutato a purificarmi. Forse per te è stata una cosa da niente, ma io ti sono debitrice, davvero.
Ti prego inoltre di insegnarmi la tua arte.
Fammi ritornare bambina.
Qual è il tuo segreto?
-Y”
 
[1] Tutta la frase gioca sul significato originario della parola "angelo", che in greco antico significa, appunto, “messaggero”.
[2] Antesi: piena fioritura.
   
 
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