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Autore: Manu75    30/01/2016    1 recensioni
"…e tu, femmina dai capelli chiari e dagli occhi freddi e algidi, nel tuo orgoglio soccomberai…prigioniera in una cella di ghiaccio, né calore, né gioia, né amore…tutti voi sarete condannati…io vi maledico! Black, da questa sera, vorrà dire disgrazia e sofferenza e prigionia…e morte! Così è stato detto, che così accada!"
Quando il dovere e l'orgoglio ti spingono contro il tuo cuore, quando una maledizione incombe con tutto il suo potere, quando i sentimenti infuriano nel petto senza poterli placare, il destino sembra solo una gelida trappola. Narcissa Black lo sa bene.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Evan Rosier, Lucius Malfoy, Narcissa Malfoy, Severus Piton, Sorelle Black | Coppie: Bellatrix/Voldemort, Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Severus/Narcissa, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra, Più contesti
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Ringrazio, come sempre, Ecatecallisto per aver recensito e tutte le persone che leggono questa mia ff. 
Questo capitolo è uno di quelli che ho scritto con grande facilità e resta, anche a distanza di tanto tempo, uno dei miei preferiti e spero possa piacere anche a chi lo leggerà, trasmettendogli qualcosa. Buona lettura!


UN GELIDO DESTINO

 

Diciottesimo Capitolo

 

(Ritorsione – prima parte)


L’ultimo giorno di scuola fu caldo e pieno di sole, una dolce premessa per gli studenti che, superato l’ostacolo degli esami, si apprestavano finalmente a godersi un po' di meritato riposo.
Narcissa lasciò Hogwarts con uno stato d’animo che contrastava fortemente con il cielo luminoso e l’aria profumata di giugno.
Gli ultimi tre mesi erano stati privi di qualsiasi gioia, qualsiasi emozione positiva.
L’anno scolastico si era concluso brillantemente per quello che riguardava gli esami e lei era risultata la prima del suo anno, senza alcuna fatica.
Avrebbe dovuto esultare di ciò e invece aveva accettato quei risultati, fino a poche settimane prima attesi con ansia ed emozione, con indifferenza.
Lasciare Hogwarts significava per lei andare a rinchiudersi nella casa di Londra, visto che suo padre aveva detto chiaramente che Weirwater sarebbe rimasta chiusa e sigillata.
Per sempre.
Tutta l’estate in quella casa insieme a suo padre, che ormai passava il suo tempo rinchiuso nel suo studio senza parlare
praticamente con nessuno e sua madre, che era indifferente a tutto e a tutti. Per non parlare di Bella.

Narcissa aveva sempre creduto che, nonostante i profondi mutamenti avvenuti negli ultimi anni in sua sorella, Bellatrix conservasse ancora dentro di sé le tracce di quella che era stata, della bambina testarda e volitiva, ma comunque piena di passione.
Si sbagliava.
L’indifferenza con cui aveva accolto la notizia della fuga di Andromeda e il lampo soddisfatto che aveva colto in lei quando Cygnus aveva ordinato di non nominare per nessuna ragione al mondo quella figlia, avevano aperto finalmente gli occhi a Narcissa e qualcosa si era rotto in lei, per sempre.
Andromeda.
C’erano delle volte in cui il nome della sua perduta sorella le echeggiava nella mente insistentemente, quasi urlando.
Aveva paura che suo padre potesse udire quel grido, un grido colmo non solo di rimpianto ma anche di rimprovero.
Un babbano…come aveva potuto sua sorella cadere così in basso?!
Come se non bastasse, nelle ultime settimane, Lucius l’aveva ignorata spudoratamente.
Se si era illusa che lui provasse qualcosa per lei, che il breve bacio che si erano scambiati avesse apportato qualche mutamento nel loro strano rapporto e che lui si fosse addolcito, l’atteggiamento del ragazzo aveva bandito ogni speranza.
Lucius sembrava preso da tutt’altro in quel periodo.
Narcissa aveva ingoiato quella delusione, mista ad una forte sensazione di umiliazione, e aveva mostrato lei stessa un volto indifferente e noncurante, nascondendo con parsimonia, anche a se stessa, tutti quegli strani sentimenti che le si agitavano dentro e che emergevano durante il sonno.
Infine, in quella piovosa primavera Narcissa, che aveva avvertito il peso della solitudine come mai prima, aveva perduto anche l’unica amica, l’unica compagnia, l’unica persona che le stesse accanto senza una motivazione a lei oscura.
Rubinia non aveva fatto ritorno ad Hogwarts e Cissy non aveva più avuto sue notizie.
Alla fine, ignorando il proprio orgoglio, che le suggeriva di non farlo, aveva deciso di chiedere informazioni a qualcuno.
Avrebbe potuto rivolgersi al CapoCasa dei Serpeverde, il Professor Slughorn ma, nonostante le pesasse l’idea di rivolgersi al CapoCasa dei tanto disprezzati Grifondoro, aveva optato per la Professoressa Mc Granitt che era molto più autorevole e affidabile e che godeva comunque della stima della ragazzina.
La donna l’aveva osservata per qualche istante, seduta alla scrivania dell’aula di Trasfigurazione,con aria pensierosa e Narcissa aveva cercato di non cedere alla vergogna della propria debolezza e di non arrossire.
- Rubinia, da quello che posso sapere – le aveva detto i la Professoressa dopo un po' – Non ritornerà più ad Hogwarts, perché sua madre preferisce farla studiare a casa con un insegnante privato, mi dispiace…- le ultime parole erano colme di autentica compassione e Narcissa si era sentita rimescolare dentro quando aveva compreso che buona parte di quel, seppur gentile, sentimento di pietà era riservato a lei.
‘Come si permette di provare pena per me?’ si era chiesta sconvolta, tornando nella propria sala comune.
Così Cissy si apprestava a vivere quell’estate con un grande peso che le comprimeva l’anima.
Esisteva da qualche parte, in un qualche luogo, una persona che potesse colmare il vuoto che sentiva dentro di sé, allentando la presa che sentiva sul cuore e che le toglieva il respiro?
Quella domanda la faceva sentire sciocca e le faceva provare rabbia verso se stessa e tuttavia emergeva pigramente dal suo subconscio, quando meno se lo aspettava, tormentandola.
C’era qualcuno che la amasse?
Quello fu il periodo in cui Narcissa iniziò a fare degli incubi ricorrenti.




 

La stanza di Rubinia era sempre stata una stanza ordinata e pulita, priva di qualsiasi personalità e colma di libri pesanti e preziosi che giacevano inutilizzati.
Rubinia non aveva mai amato leggere e, in effetti, non aveva mai amato fare nulla in particolare. Aveva sempre passato il proprio tempo libero fantasticando in un mondo tutto suo, dove nessun altro che lei avrebbe potuto trovare qualcosa di interessante o affascinante.
Non aveva mai amato nulla in particolare Ruby, finché non aveva conosciuto Narcissa Black.
Una bambina come lei, eppure tanto superiore a lei per bellezza, intelligenza, spirito e carattere. Aveva amato tutto di lei.
I suoi bei capelli biondi, il viso così bello che faceva parere il suo così scialbo, la sua fierezza che aumentava la sua sensazione di inadeguatezza a dismisura.
Poi tutto era cambiato.
Quella sera sua madre aveva fatto qualcosa e Cissy, ai suoi occhi, non era più stata la stessa.
Era divenuta spaventosa e terrorizzante, con la pelle che pareva contaminata da quegli orribili serpenti neri che sembravano strisciare senza posa sulla sua pelle diafana, avvolgendola e rendendola prigioniera con le loro spire oscene.
Da quel giorno stare accanto alla sua amica era stato un tormento.
Aveva avuto paura anche solo di sfiorarla con lo sguardo perché in ogni momento, in ogni istante, essi erano la: orribili e spaventosi.
Quando sua madre l’aveva portata via aveva provato un misto di sollievo e tristezza e poi, quando si era ritrovata sola nella propria camera, la seconda aveva prevalso e Rubinia aveva preso a passare tutte le sue giornate inginocchiata in terra, fissando le tende della sua camera.
Indifferente a tutto e perduta nei propri sogni.
Una sera di aprile, tuttavia, qualcosa era accaduto andando ad infrangere quella calma apparente.
La Signora Alderman era nel sotterraneo della propria casa e, circondata da strane sostanze e fitti vapori, distillava le sue pozioni con grande perizia.
Da quando aveva appreso che sua figlia era un Testimone e che aveva sigillato la Maledizione che, con grande potenza e godimento, aveva scagliato sulle ragazze Black, non faceva altro.
Era fredda e spietata Aloise ma, nonostante tutto, amava sua figlia e l’idea di averla condannata ad un destino così crudele la sgomentava.
Non era giusto che fosse Rubinia a pagare il prezzo di colpe altrui.
Le colpe di suo padre, di quella Bellatrix Black e, quanto le costava ammetterlo, le sue.
Doveva esserci un modo per liberare sua figlia dal terribile prezzo che la maledizione pretendeva. Se Rubinia non fosse stata presente la Maledizione si sarebbe ritorta contro di lei e Aloise avrebbe potuto convivere con quella specie di sanguisuga malefica che le avrebbe succhiato via la vita, poco alla volta.
Lei avrebbe potuto contrastarla a lungo, Rubinia non poteva e così sarebbe morta dopo una lunga agonia e atroci sofferenze.
La Signora Alderman strinse la boccetta che teneva in mano con uno spasmo tormentato, concentrandosi al massimo in quello che stava facendo.
Un secondo dopo la boccetta si infranse al suolo rompendosi in mille pezzi.
Un urlo straziato e quasi disumano era giunto dai piani superiori e, nonostante fosse quasi irriconoscibile, quella voce apparteneva a Rubinia.

 

La Signora Alderman si smaterializzò in un istante e riapparve nella stanza di sua figlia, con il cuore in gola.
Rubinia era seduta in terra, come sempre ormai, le gambe ripiegate sotto di sé con la schiena diritta e il volto contorto in un’espressione di puro terrore, mentre contemplava il braccio destro che teneva fermo e diritto con la mano sinistra.
- …Noooooo…- ripeteva all’infinito, gli occhi sbarrati e la bocca aperta e immobile, mentre quel grido sembrava provenire da un punto imprecisato all’interno del suo corpo, come se qualcun altro gridasse dentro di lei, per lei.
- Rubinia!- esclamò la donna, gettandosi ai piedi di sua figlia, cercando di scuoterla e di farla rinvenire dallo stato di incoscienza terrorizzata nella quale era precipitata – Svegliati, sono io, sono la mamma!-
Ma la ragazzina aveva gli occhi incollati al proprio braccio, ammaliati e orripilanti insieme da quello che vedevano.
La Signora Alderman sentì la disperazione e la paura attanagliarla come non mai.
- Sono io!Sono la mamma….la mamma!-
Finalmente le sue parole parvero far breccia nel muro di orrore che sembrava imprigionare sua figlia e Rubinia sbatté le palpebre.
- Mamma!- chiamò disperata, come se potesse udire la voce di sua madre ma non potesse vedere la donna né capire dove fosse – Mamma….è su di me!Mamma, fallo andare via…..mamma!!!- urlò sempre più forte, precipitando nuovamente nello stato di incoscienza nel quale era caduta.
Qualunque cosa vi vedesse, l’origine di quella paura e di quel terrore era in quel braccio.
La Signora Alderman aprì con enorme fatica le dita della mano sinistra di Ruby, che artigliavano con una forza inaudita il braccio destro e, dopo aver trattenuto il fiato un secondo, torse il magro braccino con tutte le proprie forze.
Si udì uno schiocco secco e Rubinia urlò, questa volta di dolore, e poi svenne tra le braccia di sua madre,che scoppiò in singhiozzi disperati, baciando con foga il braccio spezzato di sua figlia.


In quello stesso istante, a poche miglia di distanza, Bellatrix voltava le spalle ad Andromeda lasciandola in terra piangente.


Il braccio di Rubinia fu risanato in un istante da Aloise. Bastò un colpo di bacchetta.
Diverso fu per la rottura che sembrava essersi creata nella bambina, che rimase a letto consumandosi lentamente e non disse più una parola per settimane, fino ad una calda mattina di luglio.
Quel giorno, il Signor Alderman piombò nel sotterraneo della moglie, con il volto pallido deformato dalla disperazione e dalla paura.
-…Rovinati…- mormorò tremulo, incapace di posare lo sguardo su Aloise e incapace di stare fermo in un posto - …Io…noi, rovinati!- ripeté nuovamente - L’affare nel quale mi ero impegnato…con Abraxas Malfoy…-
La Signora Alderman lo fissò senza capire per qualche istante.
-Cosa dici?- gli chiese lentamente, distogliendo l’attenzione dall’ennesima pozione che stava preparando nella speranza di, se non guarire, almeno rallentare il deperimento di Rubinia, la quale andava spegnendosi ogni giorno di più.
Ma ormai l’unica vera soluzione era ben chiara nella sua mente, doveva solo decidersi a metterla in pratica.
-Tutti i nostri averi…- sussurrò l’uomo, con le lacrime che ora facevano tremare la sua voce -Abraxas Malfoy mi aveva detto che era qualcosa di sicuro e, invece, sono in debito con la Gringott e con lui stesso: non abbiamo più nulla di nostro!- terminò, reprimendo un singulto di disperazione e prendendosi la testa tra le mani.
La Signora Alderman fissò l’uomo che una volta aveva creduto di poter amare, quell’uomo vile e debole, e scoppiò a ridere.
- Stolto!- la parola uscì dalla sua bocca, bruciante come lava incandescente –Ti sei messo in affari con un Malfoy!- l’ilarità era spezzata dall’incredulità -Proprio con Abraxas Malfoy? Che diverrà presto parente dei Black?-
La verità parve farsi strada nella mente sconvolta del Signor Alderman, che si lasciò cadere in terra affranto.
- Capisci ora…?- gli sussurrò sua moglie, senza più traccia di divertimento nella voce - Scommetto che questo grande affare ti è stato proposto dopo Natale, vero?- il tono era sferzante ora – Che uomo patetico che sei! E la cosa triste è che proprio in queste mani io devo lasciare…- non finì la frase, lo fissò ancora qualche istante – Per una volta sii uomo, rialzati e trova la forza di andare avanti, fallo per nostra figlia. Per una volta non pensare solo a te stesso. Io vado da Rubinia adesso – mormorò, più piano – Tu rialzati, paga i tuoi debiti e pensa a lei-
Aloise superò suo marito e non lo degnò più di uno sguardo, risalendo lentamente le scale che portavano alla stanza di sua figlia.
Come sempre Rubinia era distesa a letto, gli occhi socchiusi che sembravano fissare un punto imprecisato e lontanissimo da lei.
Aloise le accarezzò con delicatezza il viso scarno, simile ad un piccolo teschio coperto di una pelle fragile e trasparente.
- Ebbene, amor mio, se è il sangue che la Maledizione esige, che sangue sia…- sussurrò la donna con voce serena – Sappi che ti ho amata tanto, carne della mia carne, sangue del mio sangue…tanto come non credevo possibile amare un altro essere vivente.- posò un lieve bacio sulla fronte di Rubinia e si allontanò dal letto -Non odiarmi per ciò che sto per fare ma amami sempre e vivi. L’odio serbalo per qualcun altro, porta a compimento il mio desiderio di vendetta, figlia mia, e ripaga il sangue di tua madre con altro sangue.- un fremito scosse le ciglia di Rubinia a quelle parole, la ragazzina parve riprendere lentamente coscienza e sbatté le palpebre, stordita.
-M-mamma..?- chiese incerta, la voce arrochita dal lungo silenzio.
Aloise sorrise lievemente.
-Bentornata…- sussurrò la donna, poi il volto si fece duro – Guarda tua madre e conserva dentro di te questo momento: cullalo, nutrilo e poi colpisci coloro che hanno colpito noi, colpisci i Black Rubinia! – la voce divenne dura e spietata – Colpiscili!- la voce si alzò di tono e Rubinia sussultò, scuotendosi definitivamente dal proprio torpore.
Aloise levò la propria bacchetta e la puntò contro se stessa, all’altezza dello sterno.
- Addio Rubinia…- le sorrise con infinito amore, ed il suo volto parve quasi bello in quell’ istante.
Una luce verde e accecante uscì dalla punta della bacchetta e il corpo della Signora Alderman cadde in terra, privo di vita.
La bacchetta volò lontano, dall’altra parte della stanza.
- Mammaa!!- urlò Rubinia, ormai pienamente cosciente, e scese dal letto gettandosi sul corpo di sua madre – Mamma, mamma, mamma!- ripeté tra i singhiozzi, mentre il nero serpente che avvolgeva il suo corpo e sembrava strisciare sotto la sua pelle, svolgeva le spire e scivolava lentamente via, abbandonando Rubinia e avvolgendo il corpo della Signora Alderman, per poi sparire per sempre.
Il tributo era stato pagato.

FINE DICIOTTESIMO CAPITOLO


ps: come ho già avuto modo di dire, io amo molto il personaggio di Aloise...grazie ancora ^_^
  
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