Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Sofyflora98    30/01/2016    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Era bambino. Ancora bambino, in età da quinta elementare. Stava giocando con i suoi compagni, non sapeva bene a cosa. Era inverno, attorno a loro, la neve era caduta di fresco e abbondantemente. Faceva freddo, ma non tanto da non potersene isolare con un bel cappotto di lana, una sciarpa ed un paio di guanti.
Non sapeva esattamente cosa si stessero dicendo lui e i suoi amici, ma era sicuro del fatto che si trattasse di qualcosa di molto divertente, a giudicare dalle risate sue e degli altri.
Fu quando stava per inseguire e trascinare per terra un compagno per fare la lotta, che vide con la coda dell’occhio un’ombra. Incuriosito, si voltò verso quella sagoma scura, e ci si avvicinò ad ampi passi. Era un ragazzino più giovane. Un fanciullo completamente avvolto in un lungo cappotto nero, con una coltre di riccioli bruni ad incorniciargli il viso, che aveva lo stesso colore della neve tutt’attorno. Posò su di lui lo sguardo più infelice e malinconico che John avesse mai visto, senza dir nulla.
John rimase incantato da quella visione. Non era semplicemente bello. Era ultraterreno, delicato e inquietante, pareva talmente fragile che sarebbe bastato un piccolo urto a spezzarlo, ma in quegli occhi tristi, quei meravigliosi occhi simili a stelle strappate al cielo stesso, c’era anche una forza latente che avrebbe potuto scatenarsi al minimo impulso.
Mosse le labbra senza emettere alcun suono, boccheggiando. Si piegò in due, il viso contratto, le palpebre serrate, i denti che tagliavano le labbra dalla forza con cui le mordevano. John si sporse avanti, intenzionato ad aiutarlo, a cercare di capire cosa gli dolesse. Non gli ci volle molto a vederlo.
Era appena riuscito a prendergli le spalle esili, quando video che i suoi vestiti, sulla schiena, erano impregnati di sangue. Preso dal panico, saltò indietro, e rimase come paralizzato a vedere come il rossore si espandeva.
Il bambino si sfilò l’indumento, e a John ora furono esposti senza alcun filtro due grandi tagli all’altezza delle scapole, profondi e sanguinanti.
- Aiuto – ora la voce uscì. Un mormorio, nulla di più.
Quando il fanciullo si raddrizzò nuovamente, a John mancò il fiato. I suoi occhi erano cambiati. Erano ancora azzurri, ma non erano umani. Somigliavano a…
 
Si svegliò con il battito a mille.
Era stato un sogno, solo un sogno, realizzò con sospiro.
John mise lentamente a fuoco la stanza. Aveva il collo indolenzito, e sentiva un peso sul lato sinistro del corpo. Gli ci volle qualche secondo in più per rendersi conto di trovarsi sul divano del salotto. Si chiese cosa diavolo ci facesse lì, perché non fosse nel suo letto. Poi ricordò il giorno precedente, il disegno sul pavimento, le fotografie. E Sherlock, che gli diceva della sua intenzione a raccontargli quelle parti della sua vita che aveva tanto gelosamente celato, Sherlock che gli era così vicino, che quasi gli si accoccolava addosso. Sherlock che, ad un certo punto, lui aveva praticamente abbracciato, e a cui aveva consentito di addormentarsi sulla sua spalla.
Sulla sua cosa?!
John si stropicciò gli occhi con la mano destra, perché la sinistra era bloccata da quel peso che sentiva. Voltò il capo in quella direzione, e constatò che effettivamente il detective gli stava dormendo addosso. Provò a ricordare quando esattamente era successo. Beh, era stato la sera prima. Ricordava di avergli avvolto le spalle con un braccio, e poi... e poi? Ah, già! Di essere rimasto lì, con tutta l'intenzione di aspettare che si tranquillizzasse abbastanza da tornarsene in camera propria, conscio che Sherlock in certe occasioni andava trattato con le pinze, come fosse un bambino particolarmente sensibile. E forse effettivamente lo era, ma non era quello il punto.
Il punto era ricordare perché non fosse tornato in camera sua. E soprattutto, perché nemmeno John lo avesse fatto.
Poi tornò a galla l'immagine di Sherlock che cominciava a respirare regolarmente e piano, di lui che realizzava con sollievo che si era addormentato, e che finiva per farlo lui stesso, non avendo alcuna voglia di muoversi da lì, né intenzione di svegliarlo proprio una delle rare occasioni in cui chiudeva gli occhi.
Con un gemito soffocato, pensò a cosa sarebbe successo se la signora Hudson avesse visto quello spettacolo. A chiunque non fosse stato a conoscenza degli avvenimenti precedenti, quello sarebbe apparso senz'ombra di dubbio l'abbraccio di una coppia. E già normalmente tantissime persone li credevano per l'appunto una coppia. Certo si rendeva conto che di regola non era nella norma dormire in quel modo, nemmeno tra amici. Okay che le ragazze lo facevano, ma lui non era una ragazza, e.... e che mucchio di sciocchezze! Da quando passava così tanto tempo a rimuginare su inutilità simili? Doveva smetterla immediatamente.
Provò con cautela a sfilare il braccio, cercando di non svegliare il suo coinquilino. L'operazione si rivelò estremamente difficile, nonché fallimentare. Non perché non fosse riuscito a liberare l'arto, ma perché il suddetto coinquilino si svegliò eccome. In quanto a grazia, non era esattamente da prendere come esempio.
- Quale delicatezza, John – mormorò Sherlock strizzando le palpebre. Nemmeno di prima mattina perdeva la sua lingua tagliente e il suo sarcasmo. Il dottore sbuffò.
- Quella di dormire sul divano è stata una pessima idea -  sentenziò l'ex soldato – Ora avrò il collo indolenzito per tutto il giorno. La prossima volta che dovrai dirmi qualcosa a certe ore, vieni a riferirmela direttamente in camera mia! -
Sherlock sollevò un sopracciglio, ora già quasi completamente sveglio. Sembrava divertito dalle sue parole.
Oh.
Solo a quel punto John si rese conto di come quella frase potesse essere fraintesa come un invito ad andare in camera sua. Si maledisse mentalmente.
Aprì la bocca, già sul punto di balbettare spiegazioni e scuse. - Io non intendevo certo... assolutamente non... -
S'interruppe quando Sherlock si alzò in piedi con un movimento fluido e sinuoso.
- Ci conti, dottor Watson – gli disse, dandogli un colpetto sulla spalla mentre gli passava accanto. Aveva un sorrisetto per nulla rassicurante. John trattene il fiato, e non lo lasciò andare fino a che l'altro non si fu allontanato sufficientemente, ovvero non si fu trovato in un'altra stanza. Solo allora espirò di nuovo.
Se non si fosse trattato di Sherlock Holmes, l'asessuale detective sociopatico sposato con il suo lavoro, quella risposta sarebbe stata inequivocabilmente un flirt. Il punto era che si trattava proprio di Sherlock Holmes, e di conseguenza non aveva la più pallida idea di perché gli avesse fatto quella frecciatina.
Esperimento? Improbabile, no. Sherlock non faceva esperimenti di quel genere. Decise che lo stava soltanto prendendo in giro per essersi lasciato sfuggire quella frase sfortunata nel momento sbagliato. Ecco, ridere degli errori stupidi altrui era molto più da Sherlock.
Perlomeno, non sembrava più turbato come il giorno precedente.
Sentì suonare il campanello. Dopo aver realizzato di essere ancora vestito dal giorno prima, scese le scale, per andare a vedere chi fosse.
Quando aprì la porta, però non c’era nessuno.
Invece c’erano tre corpi abbandonati davanti all’uscio.
 
Il pomeriggio precedente aveva avuto una lunga conversazione con suo fratello. Conversazione per modo di dire, dato che si era trattato solo di uno scambio di messaggi all'inizio, e di raccomandazioni a senso unico quando si era deciso a telefonargli. Sherlock non aveva mai avuto un rapporto pacifico il maggiore, ma nonostante la rivalità di certo non lo detestava come voleva lasciar intendere. Ovviamente Mycroft ne era consapevole, ma quasi sempre stava al gioco, prendendo parte a quella sfida tra cervelli.
Sherlock sapeva di essere l'unico punto debole del fratello, e che per questa ragione Mycroft non intendeva perderlo d'occhio un istante, anche se qualche volta era riuscito ad eludere la sua sorveglianza. Era più che normale un'attenzione simile, dopo quello che era loro accaduto in passato, ma quel dettaglio non era sfuggito al loro più pericoloso nemico. Un individuo folle e contorto, nato dalla stessa tragedia da cui erano nati i fratelli Holmes attuali.
L'incidente dei laboratori di Baskerville aveva portato molti più effetti collaterali nel paese di quanto si fosse creduto. Era a causa di quell'incidente che tutto era successo. Un piccolo errore da parte di un ambizioso professore, una piccola distrazione, che aveva portato centinaia di persone alla morte.
Quando, una manciata di anni dopo la Fuga, avevano preso a separarsi e definirsi le due fazioni, individui che per molto tempo erano state a strettissimo contatto avevano finito per imboccare strade differenti. Così era stato nel loro caso: colui che sarebbe stato successivamente noto come il Ragno, faceva parte della fazione di sotto, e ne aveva preso gradualmente il controllo e il comando. Gli Holmes, invece, era i più illustri membri di quella di sopra.
Proprio l'essere così conosciuti, perlomeno di nome, costituiva il loro svantaggio. Il Ragno sapeva quali erano le loro debolezze, e non avrebbe perso occasione di sfruttarle per far prevalere una fazione sull'altra. L'aveva già provato a fare più volte. L'essere stato aggredito, poco prima del suo incontro con John Watson, era stato solo l'ultimo dei suoi tentativi di mettere sotto pressione il capo della fazione di sopra. Era una minaccia rivolta a Mycroft, con la quale faceva intuire che non si sarebbe fatto problemi ad uccidere Sherlock se questi non si fosse fatto da parte.
Naturalmente, Mycroft non era il solo a dover prestare attenzione ai propri punti deboli. Sia lui che Sherlock facevano del proprio meglio per non legarsi alle persone, e a tenerlo segreto nel caso accadesse. La propensione di entrambi all'isolamento e la tendenza all'autismo del minore avevano facilitato loro in questo, ma non poteva certo impedire a Mycroft di preoccuparsi ogni volta che qualcuno si approssimava a Sherlock con l'intenzione di avere un qualsiasi tipo di rapporto con lui, fosse anche solo un tentativo di amicizia. Chiunque gli si avvicinasse veniva da lui osservato, studiato ed esaminato, al fine di verificarne l'attitudine, usando sue parole. In breve, voleva essere sicuro che nel caso qualcosa fosse accaduto, avrebbe saputo prendersi cura di suo fratello. E, ancora più importante, doveva accertarsi che non gli avrebbe fatto del male se per caso l'avessero giudicato sufficientemente degno della loro fiducia da essere messo a parte del loro segreto più grande: quello di essere Creature.
Quando Sherlock e John si erano casualmente incontrati, per quasi dodici ore Mycroft non lo aveva saputo, e quando ne era venuto a conoscenza era andato immediatamente in allarme. Ma Sherlock e John erano sembrati talmente compatibili, al maggiore degli Holmes, che aveva stranamente accettato la sua convivenza con il medico militare.
Avevano discusso più volte della questione, e la loro ultima conversazione era stata la più accesa. L'argomento principale era se dire o meno a John della loro natura, e se sì, anche quando e come farlo. Mycroft voleva che lo facessero al più presto. Da qualche settimana sembrava preso da una strana smania nel fare tutto, una fretta nervosa la cui causa non era che da attribuire alle recenti azioni del Ragno.
Non era un caso se gli attacchi delle Creature sembravano diminuiti agli occhi degli umani. In realtà non erano affatto diminuiti, solo che avevano modificato le modalità, rendendo le vittime indistinguibili da tutte quelle non coinvolte con loro.
Era iniziato con il Rospo, il tassista del veleno. Gli omicidi da lui compiuti non erano che esperimenti, per verificare se fosse loro possibile utilizzare gli umani morti da poco, invece che ancora vivi e vegeti. Avevano scoperto che era possibile raggiungere i loro scopi anche in quel modo, per cui la fazione di sotto aveva dato precise direttive ai suoi membri, di uccidere gli umani con armi o veleni comuni, in modo da occultare le loro azioni.
 Sherlock era costretto a rifiutare ogni caso che gli veniva offerto, quando le vittime erano state uccise dalle Creature della fazione di sotto. Ovviamente loro erano in grado di capire se una Creatura era coinvolta nell'omicidio, ma agli umani mancavano gli strumenti per farlo. L'olfatto, principalmente. Le Creature avevano degli odori molto particolari, che potevano mutare a seconda del loro stato d'animo e della salute. Un cadavere con un certo odore veniva da lui immediatamente riconosciuto se toccato da una Creatura, e avrebbe potuto anche dire se questa Creatura era malata, mentalmente instabile o altro se si fosse trattato di una Creatura che conosceva.
Anche con queste possibilità, l'occultamento degli attacchi complicava non poco le cose alla fazione di sopra, soprattutto dopo palesi segni di sfida e minacce da parte del Ragno.
E tutto tornava a Mycroft, e alla sua preoccupazione per Sherlock, che a suo parere si metteva troppo in pericolo e non badava a se stesso.
Sperava che Watson sarebbe stato abbastanza aperto da accettare la verità su di loro, e continuare a restare accanto a Sherlock. Questo glielo aveva detto esplicitamente, senza mezzi termini, per cui il minore dedusse che doveva essere davvero in pena per lui. Era rimasto molto sorpreso e sconcertato da questa dimostrazione d'affetto: l'ultima che aveva ricevuto risaliva ad anni prima.
Il maggiore gli aveva detto, al telefono, di trovare una maniera per spiegare a Watson la situazione senza scioccarlo, di fargli capire in quale situazione difficile si trovassero, e specialmente ficcargli in testa il fatto che solo una parte delle Creature era ostile e pericolosa. Un alleato in più avrebbe fatto loro comodo, soprattutto un ex soldato con nervi d'acciaio ed un ottima mira.
Sherlock era titubante, però. A differenza di ciò che gli veniva continuamente raccomandato dal fratello, aveva finito per farsi coinvolgere molto più di quanto avrebbe creduto possibile, o perlomeno possibile per lui. Si era attaccato a John Watson, non riusciva a capire come fosse successo, ma quelli erano i fatti. Desiderava che restasse con lui, che lo accompagnasse nelle indagini, che continuasse a scrivere quello sciocco blog sulle loro avventure, che preparasse pranzo e cena per due nonostante sapesse che di rado Sherlock si sarebbe unito a lui  tavola. E che gli facesse forza come la sera prima, sul divano. Voleva dormirgli sulla spalla ancora e ancora, aveva persino avuto l'idea di fingersi triste solo perché John tornasse a consolarlo, cosa ridicola e insensata ovviamente.
Gli piaceva quando John lo guardava con quegli occhi blu così caldi e affettuosi, privi della freddezza del fratello e dell'ostilità delle altre Creature. Oh, adorava quello sguardo colmo di ammirazione ma privo di timore! E poi John restava ad ascoltarlo come incantato quando cominciava a snocciolare le sue deduzioni, ed esclamava “Straordinario”, “Fantastico”, “Incredibile”. A quel punto Sherlock sentiva l'impulso di stringerlo forte per non lasciarlo mai più.
E ancora, c'erano quelle occhiate attente e dolci che gli rivolgeva al mattino e alla sera, e a volte anche quando accettava di mangiare qualcosa. Lì avrebbe potuto benissimo scoppiare in lacrime, se non avesse imparato a contenere le emozioni.
Tutto questo lo terrorizzava. Aveva già avuto qualche inizio di amicizia, ed una volta era stato colto da una leggera infatuazione, ma questa valanga, questa tempesta di sensazioni che lo investiva rischiava di farlo capitolare da un momento all'altro.
Avrebbe voluto dirglielo, dirgli come lo faceva sentire. Aveva bisogno che John capisse quanto benefica fosse la sua presenza. Non aveva la più pallida idea di come fare, però. Non sapeva nemmeno esattamente cosa doveva fargli capire. Non sapeva molto dei sentimenti, non riusciva a riconoscere ciò che lui provava. Sapeva che era bello, ma anche doloroso. Si sentiva come se John non fosse mai abbastanza vicino, mai abbastanza attento a lui. Ogni giorno che passava questo peggiorava.
Non voleva dirgli di essere una Creatura, proprio per questo. Non sarebbe riuscito a sopportare un suo sguardo disgustato o spaventato. Non avrebbe retto alle parole che avrebbe potuto rivolgergli. Se se ne fosse andato, se l'avesse abbandonato, era certo che sarebbe crollato. Ripensare a com'era andata l'ultima volta che aveva rivelato il segreto ad una persona, peggiorava solo le cose. Non credeva che John sarebbe mai arrivato a tanto, ma non poteva esserne sicuro.
Mycroft però era irremovibile: non avrebbe potuto tenerlo all'oscuro per sempre, se continuava a voler vivere con lui. John l'avrebbe potuto scoprire in moltissimi altri modi, magari peggiori, e farsi un'idea del tutto sbagliata. Il Ragno stesso avrebbe potuto fare in modo di raccontarglielo storpiando i fatti reali, e distruggendo Sherlock agli occhi dell'umano.
Solo un altro po', si diceva, un'altra settimana e glielo avrebbe detto. Ancora qualche giorno. Magari un mesetto. Il tempo di diventare ancora più vicini, di avere ancora più della sua fiducia, e poi gli avrebbe parlato.
Nel frattempo, non aveva ancora detto nulla.
 
- Sherlock! - urlò John, arretrando di scatto.
Aveva provato a strizzare gli occhi, darsi un pizzicotto per assicurarsi di essere già del tutto sveglio, ma quei tre cadaveri continuavano a restare lì sul marciapiede, esattamente davanti al numero civico duecentoventuno.
Si posò una mano al cuore, cercando di regolarizzare il respiro.
- Sherlock, dannazione, vieni qui! - esclamò di nuovo.
La via era vuota, era ancora troppo presto perché qualcuno potesse essersene accorto uscendo di casa.
Finalmente il suo coinquilino si degnò di raggiungerlo. Sherlock scese tranquillamente le scale, senza degnarsi del suo tono di voce allarmato. John si annotò mentalmente di prendersi tutto il tempo che voleva la prossima volta che l'altro avrebbe avuto bisogno di lui.
- Non mi sembra il caso di urlare così la mattina, John – brontolò il detective mentre si approssimava all'uscio. Fu a quel punto che si accorse dello spettacolo che lo aspettava proprio lì di fronte.
All'inizio sembrava più stupore che altro, l'emozione che gli aveva fatto ingigantire gli occhi e spalancare la bocca. Mentre era come paralizzato ad osservare la macabra immagine che era stata allestita durante la notte, John poteva quasi sentire il suo cervello lavorare ininterrottamente per processare l'avvenimento. Gli ci volle quasi un minuto intero a riprendersi, e solo per essere a sua volta interrogato dal dottore, che da come lo guardava pareva del tutto convinto che lui conoscesse la ragione della sorpresa che si era trovato di prima mattina.
- John, torna dentro. Chiama la polizia, per favore – mormorò con un filo di voce. La sua espressione fu ciò che fece affrettare il passo all’ex soldato. Non sembrava scioccato, arrabbiato o spaventato. era come sperduto, o abbandonato. Lo sguardo sembrava passargli attraverso, come se non lo vedesse più, e quando gli chiese se stava male, Sherlock all’inizio non lo sentì, accorgendosene solo dopo che la domanda gli era stata posta più volte.
Scotland Yard non ci mise molto a presentarsi. Era la prima volta, dopo moltissimo tempo, che avveniva qualcosa del genere a Baker Street. A sentire Lestrade, da quando Sherlock ci aveva abitato la prima volta, prima che ci si trasferisse John dopo il suo ritorno dall’Afghanistan, in quella via ed alcune di quelle circostanti non c’erano più stato incidenti e non erano stati compiuti crimini superiori a qualche furtarello. Una strana coincidenza, aveva commentato l’ispettore, ma John ebbe l’impressione che non fosse affatto un caso.
Un’altra strana coincidenza, pensò invece, era che quei tre cadaveri fosse proprio davanti al loro appartamento, e proprio il giorno dopo aver ricevuto quella misteriosa minaccia da parte del misterioso criminale a cui aveva accennato Sherlock. Probabilmente non era una coincidenza nemmeno quella.
- Voi siete sicuri di non aver sentito nulla durante la notte? - domandò per la decima volta Greg. Entrambi scossero la testa.
- Ci siamo dovuti occupare di una questione personale che si è rivelata a dir poco stancante – spiegò Sherlock, riacquistato l'autocontrollo di sempre. - John in particolare ha dormito come un sasso -
John gli rivolse un'occhiataccia. Fino a poco prima sembrava in trance, ed ora cominciava a fare le sue frecciatine mentre la polizia prelevava i tre cadaveri dal marciapiede sotto la loro casa. La voglia di strozzarlo, ogni tanto, non poteva essere messa del tutto a tacere.
Lestrade aggrottò le sopracciglia. - Interrogheremo tutto il vicinato per sentire se hanno qualcosa da dirci. Ma voi due, nel frattempo, tenetevi fuori dai guai. Intesi? -
Ricevuta la quasi sicuramente falsa conferma dai due, sembrò più tranquillo, anche se sia lui che John sapevano che Sherlock difficilmente non avrebbe almeno provato a svolgere delle indagini in prima persona. Il soldato sapeva però che probabilmente il colpevole era un criminale di livello superiore a quelli a cui erano abituati, e soprattutto che l'amico aveva già avuto a che fare con lui, quindi poteva sperare che non si sarebbe lanciato nel pericolo a capofitto come suo solito.
Solo quando tutte le procedure furono eseguite, i due coinquilini rimasero nuovamente soli al 221B.
- Vuole che io mi tolga dai piedi – disse ad un certo punto Sherlock con voce piatta, mentre John sbocconcellava una fetta di pane tostato e imburrato. Quest'ultimo sollevo gli occhi ad incontrare quelli del detective, in una muta richiesta di ulteriori delucidazioni. Sherlock sospirò. - Si tratta dell'individuo di cui ti avevo parlato – spiegò. - Quel messaggio disegnato che abbiamo trovato ieri, e questi tre corpi sono un promemoria. Lui vuole che io smetta di investigare su criminali legati a lui -
John annuì. - Pensi che prima o poi potrai dirmi almeno il suo nome? - chiese, deglutendo un boccone.
Sherlock esitò, prima di rispondergli. - Moriarty. James Moriarty. Ci conosciamo da anni -
- Era in quelle foto, vero? -
Il consulente investigativo confermò le sue parole.
- Il bambino con occhi e capelli neri – stavolta non era una domanda. Sherlock, comunque, fece segno di sì.
Qualcuno bussò alla porta, proprio quando il dottore stava per porre un altro quesito all'investigatore. Pochi minuti dopo, Mycroft Holmes fece la sua comparsa nel salotto, ombrello alla mano e cappotto al braccio.
Mai che il signor “governo inglese” non fosse presente ai grandi avvenimenti, si ritrovò a pensare infastidito Watson. Non era passata neanche un'ora da quando Scotland Yard aveva tolto il disturbo che lui faceva capolino in casa loro, già pronto a riempire il fratello minore di raccomandazioni, e a ribadire quanto lui fosse l'intelligente della famiglia Holmes. Sapeva che la rivalità tra i fratelli non lo riguardava, ma John non poteva fare a meno di sentirsi irritato ogni volta che accadeva.
- Fratellino. Vedo che la tua mattina è iniziata in modo molto... eccitante – esordì il più vecchio.
Sherlock sollevò un sopracciglio, e raddrizzò la schiena. Fece leva sugli avambracci per alzarsi dalla poltrona e fronteggiare il fratello maggiore. - Buongiorno anche a te Mycroft. A quanto pare è così, negli ultimi tempi le sorprese non fanno che piombarmi addosso -
Mycroft assottigliò lo sguardo, mentre volgeva questo verso Watson. – Quanto gli hai detto? – chiese al fratello.
Sherlock alzò le spalle. – Un po’ – disse con tono vago.
Il maggiore alzò gli occhi al cielo, questa volta. – Ti avevo detto, Sherlock, di… -
- Sì, me l’hai detto! – sbuffò lui. – Ma non l’ho ancora fatto –
Chinò leggermente la testa, guardando il fratello dal basso verso l’alto. I due si scambiarono una lunga occhiata, che fece venire a John il dubbio che potessero comunicare telepaticamente. Quando i loro occhi si staccarono, Mycroft lasciò andare un sospiro che sembrava in parte rassegnato e in parte di rimprovero.
Poi fece una cosa che lasciò John senza parole. spinse Sherlock fino a farlo tornare a sedere sulla poltrona, si abbassò posando un ginocchio a terra di fronte a lui, ed allungò una mano ad afferrare le dita affusolate e pallide del fratello. Le avvicinò al viso, scrutandole attentamente, come in cerca di qualcosa a loro ignoto. Sherlock sgranò gli occhi, stupefatto.
- Sto benissimo! Lasciami stare! – esclamò, e cercò di ritrarre la mano, ma senza successo.
Dopo qualche altro secondo di osservazione, Mycroft aggrottò le sopracciglia e si alzò di nuovo, stavolta per chinarsi ed esaminare Sherlock in volto. Questi affondò nella poltrona, nel tentativo di allontanarsi dall’altro. Mycroft gli bloccò la testa con le mani, con un cipiglio severo.
Stettero diversi minuti in quel modo, diversi minuti che lasciarono John sconcertato. Gli sembrava di star assistendo ad uno di quei film di fantascienza dove gli alieni si parlavano solo guardandosi negli occhi. Anche se forse questi erano meno inquietanti dei fratelli Holmes. Sherlock sembrava voler cavare i bulbi oculari al più vecchio, mentre Mycroft era completamente impassibile.
E infine avvenne l’incredibile: Sherlock abbassò lo sguardo. Lui, che non dava l’ultima parola a nessuno e che sosteneva di vivere circondato da idioti, aveva abbassato lo sguardo, in segno di resa.
- Avrei dovuto immaginarlo – borbottò Mycroft a denti stretti, tornando in posizione eretta. – Forse è in parte colpa mia, ma sei maledettamente irresponsabile. Ti avrò detto non so nemmeno quante volte di non lasciarti coinvolgere! – se all’inizio del discorso l’uomo era discretamente calmo, quando finì sembrava una via di mezzo tra l’arrabbiato e il preoccupato.
Sherlock incassò senza ribattere, cosa ancora più strana delle sue azioni precedenti. Affondò le dita nei braccioli della poltrona, e aggrottò la sopracciglia. – Lo so, Mycroft – mormorò dopo un po’, sempre tenendo gli occhi bassi.
A quelle parole, l’espressione dell’altro si distese. Sospirò, e portò le mani a massaggiarsi le palpebre.
- Sono spiacente per questo deplorevole spettacolo, dottor Watson, ma mio fratello a volte non mi lascia scelta – disse stavolta rivolto a John. Quest’ultimo accennò ad un sorrisetto poco convinto. – Immagino lei abbia già intuito da un pezzo che io e Sherlock viviamo in certe circostanze che definirei, ah… singolari – attese una sua risposta, che venne nella forma di segno d’assenso fatto col capo. A quel punto riprese. – Avviene di rado che qualcuno all’infuori di un ristretto gruppo di persone ne venga messo a conoscenza, ma l’attuale situazione rende quanto mai importante che lei ne sia messo a parte. Avevo più volte detto al mio fratellino di farlo, ma a quanto pare non ha ancora trovato le parole adatte… -
- Non sei tu a vivere con lui, quindi non puoi giudicarmi per questo, Mycroft – sibilò Sherlock, sollevando la testa dopo averla tenuta china per diversi minuti. Mycroft ridacchiò. – Non è per questo che ti giudico, Sherlock. È per l’altra cosa, ovviamente. Quella che ti impedisce raccontargli la storia con tale ostinazione. Non vogliamo un altro incidente, vero? –
Sherlock scosse la testa. – Però questa volta… -
- Una settimana, fratellino. Se non gli dici ciò che devi entro una settimana, lo farò io. E puoi star certo che non sarò reticente nei dettagli –
Con un ultimo saluto, Mycroft afferrò l’ombrello che aveva appoggiato ad una sedia, e si diresse verso l’uscio. Chiuse la porta delicatamente, e Sherlock seppe per certo che era stato attento a raddrizzare il battente sul portone, a differenza di ciò che faceva lui ogni volta.
E la visita fu classificata da John come la più breve e misteriosa che il maggiore degli Holmes avesse mai fatto loro.
- John –
L’interpellato rispose con un teso e ansioso “Sì, Sherlock?”.
- Vado in camera per un po’. Palazzo mentale. Non entrare, per favore –
 
Sherlock aveva bisogno, doveva assolutamente scappare dallo sguardo del coinquilino. Non riusciva a reggere di vederlo così attento ad ogni sua mosse, come se temesse che potesse infrangersi da un attimo al successivo.
Non era l’unico a guardarlo così: anche Mycroft spesso faceva lo stesso, ma lui era diverso. Mycroft lo considerava la sua massima priorità da quando avevano perso i genitori, tanti anni prima. Mycroft gli aveva salvato la vita quando erano nella “stanza bianca”, durante la Fuga, e molte altre volte ancora. Lo vedeva sempre come il suo piccolo e debole fratellino minore, e niente avrebbe potuto cambiare questa condizione, per cui ci era abituato.
La signora Hudson, invece, era stata madre, e si era presa molto cura di coloro che erano fuggiti dalla “stanza bianca”, per cui il suo istinto di protezione nei suoi confronti era normale. Lei era la loro seconda mamma, in un certo senso.
Ma gli estranei non conoscevano quei lati di Sherlock Holmes che invece venivano visti da Mycroft e dalla signora Hudson. Per loro era un genio disadattato notevolmente attraente e altrettanto stronzo, e lo trattavano o con freddezza o reverenza. Gli individui che avevano visto oltre la sua maschera di ghiaccio erano infinitamente pochi, e alcuni di questi avevano fatto una brutta fine o gli si erano allontanati in gran fretta, terrorizzati da ciò che avevano scoperto.
La preoccupazione di John era qualcosa di nuovo e differente. Anche senza sapere la loro storia, Sherlock ne era certo, l’ex soldato era riuscito a percepire che qualcosa non andava, che non era forte come voleva dare a credere. Aveva quella sorta di empatia che gli aveva permesso di avvicinarsi a lui con naturalezza, ed era abbastanza abituato agli orrori della guerra e alla solitudine da riuscire a capire rapidamente i suoi stati d’animo.
Allo stesso tempo però, nonostante avesse senz’ombra di dubbio intuito almeno in parte che tipo di trauma fosse quello che lui e Mycroft avevano vissuto, non lo guardava con la pietà o con lo spavento degli altri rari individui ave si erano approssimati altrettanto a lui. Capiva di cosa aveva bisogno quando stava male, ma non lo faceva sentire un povero sventurato.
E allora dov’era il problema, se la situazione era questa?
Il problema era che Mycroft aveva ragione: sin era lasciato coinvolgere così tanto che il Ragno non poteva non sapere quanto Watson fosse inequivocabilmente il più grande dei suoi punti deboli. I tre cadaveri rinvenuti poche ore prima ne erano la prova: erano tre simboli, tre segni che il Ragno sapeva lui avrebbe riconosciuto. Una donna anziana e due uomini erano i morti. Simboleggiavano le tre persone che gli erano più vicine, e illustravano cosa sarebbe loro accaduto se non si fosse piegato a lui.
Sherlock si rigirò sul fianco, gettatosi sul letto, e trascinò il lenzuolo fino ad avvolgercisi completamente, dalla testa ai piedi. L’aria era calda e respirare era faticoso, sotto il tessuto bianco, ma non gli importava. Finché era chiuso in camera sua, nascosto in quel bozzolo di stoffa, poteva quasi convincersi che non sarebbero riusciti a raggiungerlo, né il Ragno con la sua tela, né Watson e il suo sorriso caldo e rassicurante. Quasi.
Nel frattempo aspettava, attendeva che il ragno facesse la sua mossa successiva. Lui non faceva mai minacce a vuoto, se lanciava segnali poi di sicuro pretendeva un contatto più diretto per mettere in chiaro la situazione di chi minacciava, e per dettare istruzioni su cosa doveva o non doveva fare. Moriarty avrebbe mandato altri messaggi, fino a condurre Sherlock nuovamente alla sua presenza. Così, lui lo aspettava.
Il cellulare di Sherlock vibrò.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note: Non so quanto mi ci vorrà per pubblicare il prossimo capitolo. Forse molto, forse no. Ma sono sicura che entro un mese, o poco più, la pubblicazione dovrebbe diventare se non più rapida, almeno più regolare.
So che su questo capitolo ho scritto cinque pagine di word e mezza per far succedere poco o niente, ma in questa storia tendo ad essere prolissa. Una volta non era così. Sarà la vecchiaia che si fa sentire con cinquant’anni di anticipo?
Un bacio ed un inchino a chi sta leggendo queste righe.
 
Sofyflora98
   
 
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