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Autore: Nemainn    01/02/2016    4 recensioni
Donna, strega, regina.
Aislin è la sovrana del suo popolo e si trova davanti a una scelta, una profezia che deve realizzare per evitare che l'orrore estingua la sua gente, cancellando anche la memoria dello stesso.
Del racconto:
“Una regina ha due cuori”, gli aveva detto Aislin una volta. “Uno è della sua gente e batte solo per loro, ma l'altro è il suo, quello che ama, quello di donna.”
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I passi tra lui e l'esterno erano sempre uno in più di quelli che aveva il permesso di fare. Per quanto cercasse di rendere ampia la falcata, il massimo risultato era stato intravedere una lama azzurra oltre le porte della città sotterranea, sfiorando la soglia con la punta delle dita, dopo essersi teso al massimo. Gli mancava immensamente l'aria profumata della foresta, il sole, la volta stellata e il vento sul viso. Gli mancava la sua libertà. Una parte di lui urlava e soffocava a causa di quello, mentre quella completamente hilm'een amava la vita sotterranea che conduceva, con le sue catene. In lui convivevano e si intrecciavano le due nature. Quella hilm'een, a causa dell'incantesimo del druido, non era diventata l'unica in lui. Doveva celare i sentimenti che la parte umana scatenava, ubbidendo ad Aislin in tutto e per tutto. Era stato difficile, a volte gli pareva di vedere il volto di sua moglie, Ynis, fissarlo con tristezza quando condivideva il letto della regina. Aveva amato, e tutt'ora amava, la donna che aveva sposato anni prima. Ricordava perfettamente la sua chioma così chiara da sembrare fatta di raggi di luna, soffice e sempre profumata. Aveva avuto occhi grigi, espressivi e grandi, dolci e colmi di gentilezza. Era stata tutto, per lui. Quando aveva trovato il suo cadavere aveva urlato, in preda al dolore e alla furia, sfiorando la pazzia.
Se non fosse stato per la sua parte hilm'een non avrebbe potuto trattenersi dal rivoltarsi contro ogni strega. Invece docilmente chinava il capo, ubbidendo a ogni ordine, sorridendo e chiamando Aislin regina, padrona, signora.
Guardò con occhi malinconici la porta che dava all'esterno, che si intravedeva oltre la curva del grande cunicolo, per poi voltarsi. Non era stata una passeggiata fortunata, neanche quel giorno aveva potuto rubare un frammento di cielo. Sbuffò, i piedi nudi che non facevano nessun rumore su quella pietra levigata e gli occhi, che ora vedevano benissimo in quella luce che appena arrivato aveva giudicato scarsa, che coglievano distintamente ogni particolare che lo attorniava. Erano passati mesi e mesi, quasi un anno da allora, eppure non era ancora riuscito nel suo intento. Si rendeva conto che l'incantesimo del vecchio druido non era fallace, non del tutto, almeno. Eppure se cercava in qualche modo di nuocere ad Aislin gli incantesimi del collare si attivavano e lo rendevano inoffensivo, fino a ridurlo a una palla urlate di dolore che si dibatteva al suolo.
“Pensavo che la soluzione fosse ucciderla, eppure non riesco a nuocere né a lei né a nessuna strega. Quel maledetto vecchio e i suoi enigmi!”
Continuò a camminare tenendo lo sguardo basso e muovendosi ai margini delle strade, il collare lo identificava come l'hilm'een della loro sovrana e per quello nessuno gli dava noia, se si comportava in modo da non dare nell'occhio. Sperò nessuno gli chiedesse dove era stato; a volte Aislin sembrava vedere oltre le apparenze e aveva paura che conoscesse il suo segreto, la presenza di quella parte ancora umana in lui.
Arrivò al palazzo vero e proprio e, entrando dalle vie riservate ai servitori, si diresse alle cucine. Era quasi ora di pranzo e uno dei suoi doveri era servire Aislin. Che fosse un pasto solitario nelle sue stanze o condiviso con la corte, era lui a doverle portare il cibo e versarle acqua e vino.
«Dov'eri?»
«Fuori.» Iraen sorrise appena all'hilm'een che lo guardava con aria inquieta. Non riusciva più a odiarli o a provare ribrezzo, non si poteva davvero rifiutare quello che veniva fatto. «Baor, ora sono qua, non è tardi e non è ancora l'ora del pasto.»
«Lo so, ma non è normale che tu esca. Non è vietato, ma...»
Sorridendo appena Iraen si appoggiò contro il muro, srotolando le ampie maniche della camicia immacolata e chiudendole ai polsi. L'altro strinse gli occhi di un colore castano intenso, quasi dorato, osservandolo con attenzione.
«Ti ho detto di non preoccuparti.»
Baor annuì, si guardò attorno e certo di essere solo con Iraen lo fissò, afferrandogli i lati del capo. «Iraen, non so cosa tu faccia e perché, ma non farti mai scoprire. Ho visto hilm'een implorare di morire sotto le mani delle streghe eppure continuare a vivere, urlando di dolore fino a perdere la voce, l'anima e impazzire. Tu non hai visto, non voglio perdere un amico.»
Qualcosa nel modo in cui l'altro gli parlò lo mise in allerta. «Cosa intendi?»
«Credi di essere l'unico a conservare qualche traccia del proprio passato? Io non ricordo molto, solo qualche vaga immagine, però penso tu abbia conservato molta più memoria di me di quando eri umano. Non assecondare quella parte, è pericoloso. Se continuerai a scavare verrà a galla, lo scopriranno e sarai torturato per giorni, settimane, a volte mesi. Ti terranno in vita con la magia usandoti come esempio per tutti noi. Non voglio che ti succeda quindi dimentica, Iraen.»
Pallido, decise di dire all'altro una mezza verità. Sapeva di potersi fidare di lui, aveva scoperto che tra gli hilm'een c'era una sorta di silenzioso cameratismo e Baor era fidato. «Ricordo il cielo, mi manca, cerco di vederlo attraverso la porta.» Era la verità, ma non certo tutta, e poteva spiegare benissimo le sue assenze sempre più frequenti, tanto che avevano spinto l'altro a scoprirlo e a parlargli. «Le stelle, le nuvole, la luna e il sole... voglio solo cercare di rivederli.»
Dopo un lungo istante l'altro gli lasciò il volto e annuì. Come tutti gli hilm'een, lui compreso, aveva tratti androgini, delicati, privo di barba e di corporatura sottile. «C'è altro, vero?» Baor sorrise appena, con un angolo delle labbra. Gli si fece più vicino, posandogli una mano sulla spalla e portandosi con le labbra al suo orecchio, così vicino che le sentì sfiorarlo. «So che non mi stai dicendo tutto, Iraen. Non so spiegarmelo, ma tu sei diverso. A volte nei tuoi occhi c'è una luce che riconosco, un fuoco che in me è stato spento. Vedo i desideri che si agitano dentro di te, le ombre che nascondi. Noi siamo fiammelle, candele in una grotta oscura... tu ardi. Sei un fuoco potente che cerca di nascondere il suo splendore.»
«Baor, cosa...»
«Zitto, Iraen.» Gelato dall'apprensione, rimase immobile quando Baor si appoggiò a lui, sentendo le labbra che gli sfioravano di nuovo l'orecchio e il fiato caldo accarezzarlo, mentre riprendeva a parlare con voce sussurrata e quieta. «Tu sei una luce senza cui non potrei più vivere. Manterrò il tuo segreto, però stai attento.»
Afferrando con gentilezza una ciocca rossa dell'altro, Baor se la girò attorno alle dita, seguendone la lunghezza per poi scostarsi con un mesto sorriso sul volto.
Iraen, immobile, fissava l'altro che ancora teneva tra le dita la sua ciocca. Sapeva che tra gli hilm'een certe amicizie erano decisamente intime, ma la cosa non lo interessava e non ci aveva mai pensato. Affetto e amore erano sentimenti che un hilm'een poteva riceve solo da un altro della stessa razza, le streghe non provavano nulla, per loro. Li possedevano, li usavano per procreare e negavano loro di considerarsi padri del frutto che avevano contribuito a creare. Erano animali da compagnia, schiavi, erano trattati bene sotto molti aspetti eppure non erano loro concessi veri diritti. Erano creature che avevano plasmato con la magia, togliendo loro ogni ricordo e identità per renderli docili.
Sapere che Baor provava qualcosa, per lui, l'aveva spiazzato.
«Io, io non... non...»
«So benissimo che è no.» L'altro lasciò cadere i suoi capelli e sogghignò. «Magari prima o poi ti sentirai solo e cambierai idea, ma non è questo il punto. Non farti scoprire, testa rossa.»
«Se continuiamo a rimanere nascosti in questo angolo qualcuno scopre qualcosa di sicuro.» Sbottò Iraen, imbarazzato, uscendo da quel punto in ombra. La cosa, però, poteva rivelarsi interessante, pensò con mente fredda mentre oltrepassava l'ultima svolta per le cucine. Se tutti avessero pensato che lui e Baor erano una coppia di amanti, se fosse stato assente come quel mattino avrebbero pensato che era con lui. Poteva, però, coinvolgere l'altro, ingannarlo e usarlo?
“Baor è prima di tutto un amico, mi ha aiutato così spesso... senza di lui sarei impazzito, lo so. Non posso fargli questo, non posso usarlo e mentirgli.”
Entrò nell'enorme cucina, dove i camini senza fumo producevano un calore decisamente fastidioso. La grande tavola poco lontano cominciava a caricarsi di vassoi che la cuoca e le sue aiutanti, tutte streghe a parte qualche hilm'een, riempivano di cibo sistemandolo in modo da presentarsi artisticamente.
«Sei qua, finalmente!» Era stato apostrofato dalla cuoca, una strega con un viso morbido e fiammeggianti e corte ciocche scarlatte che sembravano vive sul suo capo. «Avevo una mezza intenzione di mandarti a cercare da una guardia, vuoi essere punito?»
«Chiedo scusa, signora. Ero distratto e non mi sono accorto dell'ora.»
«Prendi il vassoio della regina e portaglielo immediatamente! Se non ci sei tu non possiamo iniziare!»
Chinando la testa assunse un'espressione contrita, prese il vassoio di lucido argento su cui era sistemato il cibo e si avviò, indossando al suo meglio la maschera mite e docile che era il volto di ogni hilm'een.


 



Le luci della camera da letto della regina erano basse, il soffitto di pietra era di liscio quarzo rosato, inciso a motivi spiraleggianti intrecciati tra loro. Odiava quando veniva convocato lì, lo detestava. Non sopportava di dover tenere tra le braccia Aislin come se fosse il suo amante innamorato, ma era quello che lei voleva e a un ordine non poteva disubbidire. Nel tempo il senso di colpa nei riguardi di Ynis aveva smesso di tormentarlo ferocemente. Sua moglie era morta, non poteva rammaricarsi vedendolo con la strega, non poteva soffrirne, eppure, se dall'Aldilà lo vedeva, era certo che avrebbe compreso. Non aveva smesso di amarla, anche se quel sentimento non era più quello di una volta. Non era meno forte, era solo diverso, mitigato dal tempo che aveva sciolto gli spigoli del suo dolore, posando con dolcezza il nucleo di quell'amore in un punto della sua anima dove avrebbe vissuto per sempre.
«Vieni qua.»
La voce di Aislin era melodiosa come sempre, mentre lo invitava a salire sul letto coperto di pellicce. Ubbidiente, si sedette sul bordo, osservando di sfuggita la sua figura nel grande specchio mentre passava davanti a quella superficie argentea. Quella era un'altra delle ragioni per cui odiava essere convocato in quel luogo, uno dei pochissimi di tutto il Palazzo di Pietra in cui ci fosse uno specchio.
Vedersi era stata, agli inizi, un'esperienza terribile.
Non si riconosceva nel suo riflesso, non era più un uomo, non era più Iraen: ne aveva perso le fattezze mutando in quell'aspetto delicato. I suoi occhi erano diventati di un verde più chiaro e la pupilla si era fatta verticale; la pelle era coperta da sottili linee blu, appena visibili in realtà, che creavano un disegno simile a un rampicante.
«Volete che vi baci, padrona?»
«No, oggi no. Voglio solo che tu mi dia piacere, dopo avrò una notizia per te.»
Lui ubbidì, giacendo con la regina delle streghe come faceva da lunghi mesi, fino a quando non fu lei ad allontanarlo, soddisfatta, con un leggero sorriso.
Iraen aveva scoperto quasi subito che le corna erano solo un abbellimento, trovando che senza la pittura e quelle collane di ossa e zanne fosse simile a ogni altra donna. Con lentezza scese dal letto; non era stato congedato, ma sapeva che non poteva rimanere su quelle pellicce. Si portò quindi verso la porta, aspettando di essere accomiatato. A volte accadeva che non lo mandasse via subito, facendolo aspettare anche ore, completamente dimentica di lui. Mentre attendeva la strega però gli fece un cenno e Iraen si avvicinò, inginocchiandosi accanto al lato del letto, guardando Aislin sedersi e stiracchiarsi.
«Hai finalmente compiuto il tuo dovere, la profezia si è compiuta e nessuno, ora, potrà più cercare di minare o intralciare i miei piani. Attendo una figlia e pensavo fosse giusto informarti.»
Qualcosa, in Iraen, si incrinò. Nella sua anima, con il rintocco potente e fastidioso di una campana crepata, quelle parole risuonarono. Aislin era incinta. La strega che odiava più di chiunque altra, a cui si era piegato per perseguire solamente i suoi scopi, attendeva una figlia ed era anche sua.
“No... il druido non aveva detto questo, aveva detto che avrei vendicato chi amavo, che avrei portato la pace tra le due razze.
Le sue parole esatte, però, sono davvero state quelle, o ha lasciato che le interpretassi come volevo io? Ha voluto che seguissi il suo scopo credendolo mio? Non posso ucciderla, gli incantesimi mi vincolano. Non posso fare nulla, imprigionato con catene invisibili. Il druido mi ha ingannato, è in combutta con le streghe?”

Eppure non era possibile che lo fosse. Aveva difeso durante tutta la sua vita quelle terre, celandole agli occhi delle Cail'ka, delle maestre delle cacciatrici. Lui, e gli altri druidi, erano sparsi nelle terre di confine dove la vita era dura, in bilico, ma dove potevano garantire la libertà degli uomini che si avvicinavano ai loro sacri cerchi di pietre.
«Non hai nulla da dire? Mi pari sorpreso, non pensavi che sarebbe accaduto?»
Aislin vide quelle iridi dello stesso colore delle piccole foglie primaverili guardarla piene di confusione, odio e angoscia. Non si era mai illusa di avere meno dell'odio da parte di Iraen, nessuna strega poteva essere amata da un hilm'een. «Pensi che non veda la tua anima, Iraen? Sono la regina, la più potente del mio popolo, la più vecchia. Non si direbbe, vero? Ma ho più di trecentocinquanta anni di vita. Ho visto il nostro popolo uscire dalle ombre e riprendersi ciò che li spetta di diritto: voi avete dimenticato, noi no.»
«Padrona, io...»
«Taci, Iraen. La verità non mi è mai stata celata, vedo perfettamente l'uomo, in te. Non so come sia stato possibile, o perché, ma tu sei diventato un hilm'een senza dimenticare la tua vita umana, mantenendo quella parte di te intatta. La vedo nei gesti, negli occhi, la sento nella tua voce. La Cail'ka mi aveva avvertito che non eri domato, ma volevo osservarti e gli incantesimi ti impediscono di nuocermi. Il tuo popolo non ricorda, vero, quello che ci avete fatto?»
«Siete uscite dalle ombre della foresta, cavalcando orsi e cinghiali, lupi e cervi, armate di una magia che avevamo dimenticato. Avete ucciso i nostri eserciti evocando creature mai viste prima, facendo piovere maledizioni dal cielo e oscurando il sole. Siete uscite dal ventre della terra come una malattia, strappandoci la vita e la libertà!» Strinse i pugni, mentre dimentico di tutto fissava senza celare più la sua natura umana la strega. Non poteva neppure toccarla senza il suo permesso e mai come in quel momento aveva desiderato ucciderla, vedere il suo sangue e la luce abbandonare quello sguardo.
La risata di Aislin era triste, bassa, mentre si alzava dal letto e si avvolgeva una sottile stoffa verde attorno ai fianchi. «Credete di sapere tutto, stupidi umani. Vivete così poco, per pochi anni in confronto a noi, eppure avete l'arroganza e la pretesa di essere i detentori dell'unica verità.
«Voi non ricordate più chi ci spinse nel cuore oscuro della Madre. Chi ci costrinse a scomparire nei cunicoli di pietra. Ci avete chiamato il popolo delle tenebre, raccontando ai vostri figli favole di malvagie donne che uccidevano e si cibavano di neonati per nascondere la vostra colpa. Siete stati voi umani a darci la caccia, a ucciderci, a strapparci dal ventre le nostre figlie. Ciò che è differente fa paura. Bisogna voler comprendere, capire, essere aperti al diverso e voi non lo siete mai stati. Siete arrivati nelle nostre terre da oltre le nebbie, fuggendo a un conquistatore che vi aveva strappato la libertà, bruciando le città dove vivevate e i vostri boschi. Eravate qua come mendicanti, supplici, e vi abbiamo accolto, dandovi terre e vivendo con voi sotto il sole. La prima piaga che avete portato alla nostra gente è stata la malattia: ogni maschio della nostra razza iniziò a morire, nulla che potevamo fare fermava l'epidemia. Lentamente, senza uomini, la nostra razza si stava estinguendo. Trovammo il modo di generare nuove vite e alcuni di voi, inizialmente, si offrirono per il mutamento. I primi hilm'een erano uomini liberi, che mantenevano memoria e umanità intatte. Ciò portò a un certo equilibrio, ma nascevano solo femmine, dovevamo quindi affidarci sempre a voi per poter avere nuove vite dentro di noi. Eravamo pacifiche, schive, mentre voi eravate un popolo di guerrieri alti e forti, eppure c'era equilibrio.
«Volevate di più, però. Avevate iniziato a guardare alle nostre città, ai nostri poteri, alle nostre conoscenze, pretendendo di avere quello che sarebbe bastato chiedere con gentilezza. Dimenticaste di essere stati accolti con benevolenza e alzaste le armi centro di noi, iniziando a darci la caccia. Improvvisamente i nostri poteri non erano più comodi, per voi, ma fonte di paura. Nacquero storie su rituali crudeli, su malvagità e atrocità che le streghe commettevano ai danni degli umani. Noi, che mai avevamo impugnato un'arma, ci trovammo braccate, assediate in città prive di mura, ridotte a un numero sempre più esiguo fino a quando mia nonna, riunendo tutte le superstiti, non creò la prima città sotterranea nascosta dagli occhi degli uomini.»
«Non può essere vero, tu menti!» Iraen ringhiò. Tutto quello era impossibile!
«Mento? Hai in te la memoria del mio popolo, come ogni hilm'een. Devi solo volerla vedere.»
Iraen si alzò, sentendo le catene della magia che gli impedivano di avanzare verso la strega e colpire quella bocca menzognera. «Quindi noi saremmo arrivati da qualche altro posto, e saremmo noi ad aver iniziato tutto questo? Ad avervi perseguitato per prime?»
«Esatto.» Aislin strinse una larga fascia di un verde più cupo attorno al seno, legandone i capi al di sotto. «Abbiamo dovuto sopravvivere nel sottosuolo, uscendo di notte nei luoghi più selvaggi, imparando a sopravvivere, combattere, a modificare la nostra magia in mondo che fosse anche offensiva. Rapivamo bambini e bambine, mutandoli per non estinguerci, quando era necessario, questo è vero. Però la malattia è stata portata da voi. Mia madre credeva che fosse stata creata con la magia: era un male inspiegabile, che nulla poteva fermare. Uccideva ogni maschio, uno dopo l'altro, senza pietà. Lei era piccola, ma aveva visto morire il padre, gli zii e i fratelli. Aveva ancora nelle orecchie le grida disperate, il dolore, i fuochi delle pire funerarie che sembravano non spegnersi mai. Anche voi avevate una specie di magia, i vostri saggi sono chiamati druidi e in quel lontano passato vi hanno guidato attraverso le nebbie che uniscono e separano i mondi, in un tentativo disperato di fuga. Questa è stata la gratitudine di un popolo che ha morso la mano di chi gli ha offerto ospitalità, terre, e un nuovo inizio.»
Sentendosi assalito da tutto quello, incredulo, l'hilm'een si trovò a scivolare di nuovo in ginocchio. La consapevolezza di cui la strega aveva parlato, quella memoria comune a chiunque avesse il sangue delle streghe nelle vene, era emersa.
“Vero, è tutto vero. Siamo noi ad aver iniziato e ora non posso più pensare che siano loro il male. Certo, ci braccano, ma cosa abbiamo fatto noi, a loro?
Il druido sapeva. Quel vecchio conosceva benissimo tutto questo! Perché mi ha mandato qua, allora? Non era per ucciderla, ora ne sono certo. Me lo ha lasciato credere per spingermi lungo questa strada. Mi ha ingannato, ma qual è il suo vero scopo?”

«Pensi che non sappia, Iraen, che il tuo unico desiderio è uccidermi? Ma ho voluto credere che ci fosse un'altra strada.» La strega si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto e posando la mano sul capo dell'hilm'een, dal volto pallido e angosciato. Sentiva i dubbi che lo attanagliavano, le sue certezze sgretolarsi.
Vedeva, nella sua mente, quello che lei aveva narrato.
La memoria ancestrale del suo popolo era alla portata di tutti, streghe e hilm'een, una volta che la via fosse stata indicata. Le sue parole l'avevano evocata e ora le vite delle streghe del passato vibravano in lui, confondendolo e sopraffacendolo.
«Potrebbe esserci una strada pacifica, che unisce uomini e streghe. Questa figlia potrebbe inaugurarla, ma ho bisogno del tuo aiuto. La profezia è oscura, come ogni predizione confonde e agita le acque del futuro, dandoti una visione nebbiosa di quello che potrebbe essere. Però sono incinta e tu sei rimasto in parte umano, come i primi hilm'een.»
Iraen alzò gli occhi, guardando quelli della regina.
Non l'aveva mai vista così.
Non l'avevi mai voluta vedere così.
“Era solo e sempre la strega da uccidere e odiare, ora è solo una vittima quanto me. Una donna che non vuole vedere il suo popolo perire, che sente le grida di ogni altra strega morta, del lutto, del dolore di generazioni. Ora vedo una regina lungimirante che vuole il meglio non solo per la sua gente, ma un futuro pacifico. Era meglio non sapere tutto questo, ma ora che lo so, tutto è cambiato, tutto è difficile. No, non è vero, sono io a essere diverso.”
«Cosa dice la profezia?»
«Non sono parole, è un'immagine.» Aislin sospirò appena, lo sguardo stanco. «Ci sono io con una giovane strega dai capelli rossi, e poi ci sei tu. Attorno a noi c'è quello che rimane di una battaglia, ma uomini e streghe sembrano uniti.»
Annuendo appena, Iraen si passò la mano sul volto. «Non aiuta molto.»
«No, ma quando ti vidi nella mente di una delle streghe che aveva avuto il compito di inseguire e fuggitivi di un villaggio, capii subito che l'hilm'een della profezia eri tu. Ti ho fatto catturare dalla migliore delle Cail'ka e ora sono incinta. Se fino a qua è tutto vero, quello da capire è come sia possibile quell'alleanza, e come mai siamo su un campo di battaglia. Voglio la pace, Iraen. Voglio che che ci sia almeno una tregua tra umani e streghe, in modo che nessuno debba più schiacciare l'altro per poter sopravvivere. Il mio popolo ha paura, però, che lasciando la libertà al tuo si ripeta di nuovo tutto e si comporta con crudeltà. Gli uomini dimenticano, sono preda di paure e viltà più di chiunque altro. Eppure sono in grado di sentimenti nobili quanto quelli di qualunque strega.»
«Perché mi stai dicendo ora tutto questo, Aislin?»
«Perché ho bisogno di te, Iraen. Del tuo aiuto per un progetto così grande da essere spaventoso. La pace.»
«Di me? Cosa posso fare, io? Sono uno schiavo che può solo assecondare ogni tuo volere, ordina e obbedirò lo stesso, che lo voglia o no.»
L'amarezza nella voce di lui colpì la regina. Era vero. «È per questo che ho bisogno del tuo aiuto spontaneo, il primo passo per la fiducia è che gli hilm'een non ci odino. Noi abbiamo paura di voi, ma abbiamo bisogno di uomini, di mutarli; ne cancelliamo la memoria per assicurarci che non ci tradiscano e li vincoliamo all'ubbidienza. Questa è paura. Il primo passo è la fiducia, costruire con gli hilm'een una tregua, un patto. Sarai tu a mettere le basi.»
«Certo, ora vado da ogni altro hilm'een e gli dico che dobbiamo metterci una pietra sopra, volervi bene e che così andrà tutto a posto. Non possiamo toccare voi, ma credo che mi sveglierei con la gola tagliata. Cioè, non mi sveglierei più.» La risata di lui era amara, scettica.
«Abbiamo molto tempo davanti, se condividerai il mio sogno possiamo farcela. Non vuoi la pace, Iraen? Non vuoi che gli uomini e le streghe tornino a convivere senza paura, senza morti e in piena armonia? Ora sai anche tu com'era un tempo; noi tutte lo sappiamo, ma abbiamo paura. Se vedendo che voi, per primi, non vi rivolterete contro di noi, forse potrò avere vero sostegno in consiglio e muovere i primi passi.»
«Parliamo di anni, Aislin.»
Lei annuì, accennando un sorriso. «Non abbiamo molto altro da fare, però, no?»
Iraen rifletté, mentre la memoria delle streghe e le parole della Regina delle Corna si mescolavano e il suo dolore, il suo rancore, assumevano una dimensione diversa.
Sorridendo a sua volta, annuì.
La pace non era un brutto ideale a cui dedicarsi.

 

 

 


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