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Autore: Lady Stark    01/02/2016    1 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter V 

Il sole di mezzogiorno fiammeggiava tra un sottilissimo velo di nuvole. Nel cortile del fortino, la polvere ambrata si sollevava a sbuffi a causa del calpestio degli stivali di una cinquantina di uomini.

Gemiti di fatica ed esclamazioni di giubilo si mescolavano al rumore stridente delle lame che cozzavano le une sulle altre. Nugoli di scintille accendevano l'atmosfera, ustionando le braccia e le mani di coloro che si allenavano al crudele gioco della guerra.

«Credete forse d'essere in un parco giochi? Forza con quelle spade!»

Len si voltò di scatto verso il proprio avversario e, schivando un goffo fendente, gli assestò un calcio al centro del petto. Questi crollò all'indietro con un lamento incastonato tra le labbra; la spada cadde nella polvere, graffiando la pelle del possessore. Il soldato, sotto lo sguardo sprezzante del suo comandante, toccò con una smorfia il graffio imperlato di sangue.

«Non riesco davvero capire come ci si possa ferire con delle lame dalle punte arrotondate.» Len asciugò il sudore che gli gocciolava lungo le tempie e, con un gesto impaziente, scostò dalla fronte i capelli bagnati. La casacca si era incollata alla pelle dei suoi pettorali in modo tanto fastidioso da fargli desiderare di strapparsela di dosso.

Un uomo rotolò accanto ai suoi piedi, latrando a denti stretti contro il proprio avversario.

Le gengive erano sporche di sangue, probabilmente a causa di un pugno che aveva trapassato la sua guardia. Altri due soldati nerboruti si stavano picchiando nella polvere, strattonandosi per le spalle ed i capelli, accompagnati dalle grida eccitate dei più svogliati commilitoni.

«Si può sapere cosa diamine sta succedendo?!» Len gridò, colpendo con una percossa le gambe allacciate dei due. Sputando per terra, il soldato dalla testa rasata si sollevò da terra per spazzarsi via di dosso la sabbia dell'arena. L'altro, in tutta risposta, si girò sulla pancia per vomitare qualche dente assieme ad un grumo di sangue denso.

«Andatevi a ripulire, cialtroni.»

«Sì, comandante.» biascicò il soldato, alzandosi zoppicante al fianco d'un amico che, sorreggendolo, lo condusse verso l'infermeria. Len si massaggiò la base del naso, stufo di vedere quel branco di incompetenti azzuffarsi come mocciosi. Con un gesto della mano congedò tutti i rimasti, raccogliendo da terra la propria spada per continuare ad allenarsi da solo. Len chiuse gli occhi ed immaginando di trovarsi di fronte a centinaia di temibili nemici, cominciò a danzare, fendendo l'aria che lo circondava. Teste, arti, dita volavano attorno a lui simili a macabre farfalle, disegnando nell'aria archi di sangue scarlatto. Malgrado fosse disgustato dalla violenza con cui i suoi sensi rispondevano al richiamo della battaglia, Len non poteva che sentirsi appagato dal guizzare dei muscoli sotto la pelle. La puzza del sudore, la carezza viscida che sentiva lungo il viso contribuivano a farlo sentire vivo, potente, indistruttibile.

«Ehi, ragazzo! Fermati.»

Len s'interruppe all'istante, a metà d'un affondo contro un nemico dai capelli neri come il catrame.

Il fantasma si dissolse nell'aria, non prima d'avergli lanciato un'occhiata di puro disprezzo.

Era forse quello il viso dell'ultimo uomo che aveva ucciso?

Non lo ricordava.

Il capo lo stava guardando da lontano, appoggiato alla ringhiera di legno che delimitava il circuito d'allenamento dei soldati. Sotto il naso affilato, i baffi bianchi sembravano diventare, giorno per giorno, più folti come se possedessero vita propria.

«Signore. Mi perdoni, non l'avevo vista.» chinando il capo per salutare il vecchio, Len rinfoderò la spada nel fodero di pelle marrone.

«È sempre un piacere guardarti combattere, ragazzo. Sei fenomenale.»

«La ringrazio infinitamente per i suoi complimenti, signore.»

L'uomo sorpassò con un balzo goffo la bassa staccionata ma nel farlo, un dolore fulminante si impossessò delle sue anche, irrigidite dall'età. Il ragazzo, spaventato dal suo cupo lamento, fece un passo avanti per aiutarlo ma lui, alzando una mano, protesse il proprio orgoglio dietro lo scudo del rifiuto. Raddrizzandosi e sistemando le falde della casacca, scoccò un sorriso entusiasta al giovane combattente.

«Ho delle interessanti novità sul ballo di cui ti ho parlato!» l'enfasi nella voce del vecchio insospettì il ragazzo, facendogli drizzare i capelli sulla nuca. La fronte dell'uomo, vestito con i pesanti abiti da comandante, era imperlata di sudore. Inoltre, Il suo respiro si era fatto pesante, come se gli costasse fatica stare lì, in piedi, sotto l'impietoso martellare del sole.

Malgrado conoscesse perfettamente il temperamento difficile del comandante, il soldato non poté far a meno di allarmarsi.

«Signore, forse è meglio spostarci in un luogo più fresco.»
Il veterano scosse la testa, rifiutando d'accettare la decadenza del proprio corpo.

«Un ballo in maschera!»

«Come, scusi?» Len sperò d'aver capito male malgrado il suo udito non l'avesse mai tradito.

«Non è un'idea geniale? Questo allontanerà la noia dei soliti ricevimenti.»

Len storse la bocca, appoggiando la mano contro il proprio fianco. C'era qualcosa che non lo convinceva in tutta quella faccenda.

Le novità non gli erano mai piaciute, forse a causa del potenziale pericolo che si nascondeva in esse.

«Non crede sia meglio mantenerci..»

«Ragazzo, cosa ti preoccupa?» l'uomo l'interruppe prima che potesse terminare la frase. Evidentemente deluso dalla titubanza del suo interlocutore, l'anziano aveva incrociato le braccia sul petto con un cruccio appiccicato alle labbra.

Accorgendosi del nervosismo del suo superiore, Len decise che non avrebbe ulteriormente contrastato la sua volontà. Inghiottendo i dubbi, imbrigliò la voce della propria indipendenza, scuotendo il capo in cenno di diniego.

«Niente, signore. Era un mero pensiero di passaggio.»

Asciugandosi l'ennesima, fastidiosa goccia di sudore colatagli lungo la guancia, Len appoggiò distrattamente la mano sull'elsa della spada.

«Per quando è previsto il ballo??» il ragazzo, malgrado fosse infastidito da quell'onere, cercò di non lasciar trapelare nessuna emozione dalla sua voce. Il vecchio, apparentemente rinfrancato dall'interesse del suo sottoposto, gli appoggiò le mani sulle spalle.

«Domani. Stanno già lavorando.»

«Ma non aveva parlato di maschere, signore?» Len era alquanto stupito dalla velocità con cui l'ex sindaco aveva messo in moto l'organizzazione della serata danzante. Effettivamente, quella mattina, il via vai dei camerieri nei corridoi del fortino gli era sembrato molto più frizzante del solito.

Aveva visto servette e camerieri portare tra le braccia pile di piatti di porcellana e stoffe dai colori sgargianti come l'arcobaleno. Cuochi dai cappelli color neve andavano avanti ed indietro portando in buste di stoffa alimenti di ogni genere e dimensione.

Il profumo speziato della carne si mischiava a quello dolciastro della frutta secca e del pane bianco.

«Il sindaco ci ha proposto il semplice uso di maschere per il viso.»

Il vecchio sorrise ancora, arricciando tra le dita la punta dei baffoni bianchi. Poi, con un gesto elegante, si sfilò dalla tasca un fazzoletto di seta, portandoselo di fronte agli occhi ad imitare il futuro travestimento.

«Sarà divertente, ragazzo.»

«Certo, signore.» Len cercò di suonare convincente.

Il vecchio socchiuse la bocca per aggiungere dell'altro ma, improvvisamente, una richiamo titubante risuonò nel cortile.

«Credo che qualcuno abbia bisogno di lei.»

«Possibile che questi caproni non sappiano fare nulla da soli!?» borbottò a voce alta, girandosi per fare un cenno all'impettito soldato che l'attendeva al fianco della porta di legno scuro.

«Ah, Len, un'ultima cosa!» il vecchio, avviantosi lungo il sentiero di terra battuta, si girò un'ultima volta per scoccare uno dei suoi scaltri sorrisi al giovane sottufficiale.

«Hai una preferenza di colore per la maschera?»

Len, divertito da quella domanda infantile, inclinò il capo di lato facendo così scivolare i capelli umidi contro la spalla.

«Nera, signore.» le sue parole risuonarono sicure nello spazio che li divideva. Poi, l'impercettibile eco di un sussurro si dissolse nell'aria.

«..Come la mia anima, signore.»

 

Rin stava parlando ormai da una buona mezz'ora, gesticolando di fronte al solito bicchiere di birra scadente. Nella fretta di raggiungerlo, si era dimenticata di lavarsi via dal viso il pesante trucco usato per la rappresentazione. L'uomo strizzò gli occhi, cercando di concentrarsi su ciò che la ragazza gli stava raccontando, senza però ottenere alcun successo.

L'argomento non era di certo noioso ma la sua mente ronzava ossessivamente attorno all'evento del giorno seguente. Len avvertiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco; un disagio sconosciuto che sembrava punzecchiare il suo istinto come uno spillo. Quando Rin s'accorse di star dialogando con un pezzo di cera, abbandonò il proprio racconto ed appoggiò le mani sopra quelle del ragazzo.

«Ti vedo pensieroso sta sera.. c'è qualcosa che non va?»

Len scosse la testa e chiuse le dita della giovane nella presa della propria mano. Con il pollice cominciò a disegnare degli imprecisi ghirigori sulla pelle di lei, perdendosi a contemplare quell'avvicendarsi continuo di linee invisibili.

C'era qualcosa che gli sfuggiva, ma davvero non riusciva a capire di che cosa si trattasse.

Forse aveva solo bisogno di rilassarsi un po'.

«Hanno organizzato un ballo in maschera, per domani sera.»

«E questo ti allarma?» Rin ridacchiò, appuntando i propri occhi color cielo nelle iridi del soldato che, in tutta risposta, aumentò l'intensità della propria stretta, per poi carezzarle la guancia.

«Domani sera non potrò vederti.. quindi, sì, quel dannatissimo evento mi angoscia.»

La ballerina si sciolse nell'udire quella frase e, per quanto detestasse ammetterlo, l'idea di non poterlo incontrare faceva male anche a lei.

I loro appuntamenti notturni erano diventati fondamentali; più importanti della stessa aria che respirava. In prospettiva della sera, la sua giornata assumeva un senso nuovo, colorato come l'esplosione di un fuoco d'artificio.

«Stai forse cercando di comprarmi con delle lusinghe? Con me non attacca.» scherzò, sperando di stemperare un po' la tensione che contraeva i tendini del collo dell'ufficiale.

Fortunatamente, la battuta sembrò divertire il ragazzo che, sghignazzando, roteò gli occhi al cielo.
«Io non ho bisogno di comprarti.»

I suoi occhi color oceano baluginarono, attraversati da una scossa elettrica.

Rin sapeva che sotto quell'accezione maliziosa si nascondeva dell'altro, perciò socchiudendo le palpebre, lo esortò a continuare.
Scoprendo i denti perfetti in un sorriso irriverente, Len inglobò la guancia della ragazza nel palmo della mano per poi protendersi repentinamente in avanti.
Rin trattenne il fiato quando le labbra del ragazzo si fermarono ad un soffio dalle sue, tradendo le sue dolci aspettative.
«Perché sei già mia, zuccherino.»
La ballerina avvampò. Il suo orgoglio fiammeggiò, riversandole nel petto un sentimento strano, a metà tra la rabbia ed una piacere incomprensibile. A quel punto, se si fosse trattato di un altro uomo, le sue unghie si sarebbero già fatte strada sul viso di quell'impertinente.

Ma Len era diverso dagli altri.

Mai nessuno, aveva avuto il privilegio di possedere una tanto vasta porzione del suo cuore.
«Non chiamarmi più così, intesi?»
La mano della giovane afferrò alla radice i capelli folti del ragazzo, tirandoli indietro con decisione. Lui la lasciò fare, reclinando la testa per seguire il movimento brusco di lei.
«Altrimenti??» insinuò.
«Te ne pentirai.»

Ringhiando, la ragazza sfiorò con le labbra la gola scoperta del soldato. Poi, abbandonando la presa, tornò ad appoggiare la schiena contro la spalliera della sedia.
Len aveva come l'impressione d'essersi liquefatto.

Il suo cuore s'agitava come quello di un fanciullo, smanioso di provare altre sensazioni tanto inebrianti. La giovane ballerina stringeva tra i suoi artigli un cuore ormai nudo e privo di qualsiasi difesa. Al suo cospetto, tutto ciò che lo determinava si tramutava in polvere.

Forza, determinazione, fama non avevano più importanza; lei, come un demiurgo dagli angelici occhi, avrebbe potuto rimodellarlo con un solo tocco di dita.
«Noi ragazze di strada non siamo come quelle gallinelle di corte.»
«Siete creature molto più complesse.» Len si sfiorò il collo con un dito, lì dove il bacio di lei aveva lasciato un'umida traccia.
«E pericolose.» Rin fece guizzare la lingua tra le labbra per imitare il tipico gesto del serpente.

«Dovrò stare attento, allora.» con un gesto, l'uomo sollevò il proprio boccale di birra facendo così ondeggiare il liquido contenutovi.

La spuma biancastra colò lungo le scanalature del vetro, finendogli tra le dita. Rin lo imitò, inclinando il capo di lato con un punto interrogativo incollato al viso.

«Brindiamo al pericolo a cui il fato ci ha posto di fronte. Sale di questo nostro rapporto.»

«All'amaro sapore del rischio, mio caro ufficiale.» l'assecondò, colpendo il bordo del boccale con il proprio.

Rovesciando le teste all'indietro, i due terminarono in un soffio la birra scadente per poi guardarsi e scoppiare a ridere. Le loro mani si ricercarono sul piano del tavolo e, intrecciandosi, i loro occhi si scambiarono centinaia di segreti messaggi.

Tra loro non c'era bisogno di parole.

Una rete invisibile di connessioni sembrava tesa tra i loro cuori pulsanti.

Rin, ammirando il viso del suo compagno, non poté far a meno di chiedersi dove l'avrebbe condotta quell'amore così follemente intenso.

All'inferno? O forse in Paradiso? Non lo sapeva.

La verità era che non riusciva a preoccuparsene.

Finché ci fosse stato lui, la sua vita avrebbe avuto un senso.

Per quanto il futuro fosse oscuro, incerto e traballante, la giovane non riusciva a curarsene.

Solo il presente aveva importanza.

Al futuro avrebbe pensato in seguito, se non fosse stato troppo tardi.

   
 
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