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Autore: Ilune Willowleaf    19/03/2009    1 recensioni
Yumichika sostiene che la sua spada sia vanitosa, egocentrica e rompiscatole, e ci litiga sempre. Lo abbiamo visto mentre Ikkaku cercava di insegnare a lui e a Rangiku il modo per arrivare al Bankai, sulla Terra. Ma cosa succede, effettivamente, ogni volta che Yumichika cerca di entrare in comunicazione con la sua zampakuto? *Attenzione, spoiler capitolo 322, volume 37, e 325, volume 38*
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Dialogo con la mia spada
ovvero: perché Yumichika litiga a morte con la sua zampakuto ogni volta che cerca di entrarci in comunicazione
 
Il Quinto Seggio dell’Undicesima Brigata si era sistemato in un angolo tranquillo del giardino che ornava, inutile da anni salvo che per lui, una zona della caserma dell’11° brigata.
L’ombra gentile delle fronde creava splendidi giochi di luce sui suoi capelli neri e lucidi, e lui sapeva benissimo che ciò lo rendeva ancora più bello.
Non c’era nessuno ad ammirare cotanta meraviglia, ma Yumichika godeva del fatto di sapere di essere bello, indipendentemente dal fatto che ci fosse presente qualcuno che lo rimirasse.
Era seduto sull’erba morbida, con la zampakuto posata sulle ginocchia.
Ikkaku gli aveva spiegato i vari passi per arrivare al bankai: comunicazione con la zampakuto, e sottomissione. Una conoscenza profonda e solida con la propria arma era indispensabile, e aveva insegnato all’amico come entrare in comunicazione con la zampakuto.
Sulla Terra, né lui né Matsumoto erano riusciti a stabilire un buon rapporto con le rispettive armi. La provocante luogotenente sosteneva che la sua arma fosse capricciosa e snob. Un carattere perfetto, per un gatto di cenere, ma anche molto simile a quello della padrona.
Riflettendoci a mente fredda, in un raro momento di umiltà, Yumichika aveva dovuto ammettere che litigava con la sua Ruriiro Kujaku anche perché i loro caratteri erano, essenzialmente, troppo simili.
Accarezzò sensualmente la lama della spada.
-Ruriiro Kujaku. Vediamo se oggi hai voglia di fare due chiacchiere. Tra belli dovremmo andare più d’accordo, sai?- mormorò, avvicinando la lama alle labbra, fino a sfiorarla. Gli parve che la lama della sua zampakuto vibrasse leggermente, compiaciuta dall’essere chiamata, per una volta, col suo vero nome.
Malgrado detestasse avere una zampakuto basata sul kido, una zampakuto i cui immensi poteri poteva usare solo di nascosto, come il peggiore dei ladri, amava l’eleganza del vero sprigionamento della sua arma.
Chiuse gli occhi, e si trovò immerso nell’azzurro.
 
Azzurro, azzurro ovunque guardasse. La tonalità preferita da Fujaku, in tutte le sfumature dall’azzurro pallido dell’alba al blu chiaro.
Era immerso in un cielo, e nubi color azzurro-viola lo percorrevano, placide.
-Sei un egoista, Yumichika. - lo apostrofò una voce androgina alle sue spalle.
Il ragazzo si voltò, deliberatamente lento, trovandosi dinnanzi la materializzazione della zampakuto.
Un essere androgino, alto e snello, l’ampio petto coperto di piume di un vibrante azzurro, sì che non si poteva dire se era maschio o femmina.
Del capo si vedevano solo il mento e le labbra, perché la parte superiore era coperta da una maschera di pavone, il cui becco porporino ombreggiava il naso.
La maschera si fondeva alla carne, e gli occhi blu che si aprirono rifletterono per un istante tutto il cielo, e lo shinigami dinnanzi alla creatura.
Un fruscio delle piume che scendevano dal capo e dai fianchi, come un manto, accompagnò il movimento della creatura. Fiori color celeste chiaro, splendidi e teneri, occhieggiavano tra l’azzurro intenso delle piume, cadendo a terra, subito rimpiazzati da altri.
-Sei davvero un egoista. Trattarmi così male e poi venire a chiedermi aiuto quando nessuno guarda. È così mortificante…-
Le labbra sottili si tesero in un bellissimo broncio. Involontariamente, Yumichika sorrise, ricordando la prima volta in cui la zampakuto gli aveva rivelato il suo nome, la prima volta che aveva visto quell’essere nato dalla sua anima, androgino e bellissimo come lui stesso lo era.
Le zampakuto, in fondo, hanno sempre qualcosa, molto, del loro padrone. Aveva detto che era l’essere più bello che avesse mai visto, escluso sé stesso ovviamente. Avevano iniziato subito a bisticciare, per questo.
-Non essere sciocco, mia caro. Le conosci le regole del gioco: mai, MAI di fronte a qualcuno che non sia un nemico da uccidere. Nessuno deve vedere e restare vivo per raccontarlo. -
La creatura agitò un braccio.
-E dire che sono così bello e potente… Potrei ricacciare il titolo di Zampakuto più elegante a quel cumulo di ghiaccio di Sode no Shirayuki! Basterebbe che tu dicessi il mio nome, il mio vero nome, e io lo farei, lo sai. Ma mi chiami sempre in quell’orrendo modo!-
Incrociò le braccia, coperte di piume color blu, dai riflessi metallici violacei. Le lunghe piume terminante con gli “occhi” di pavone che scendevano dalle sopracciglia fremettero di sdegno.
-Ruriiro Kujaku. - Yumichika pronunciò il nome della zampakuto piano, ma lo vide fremere di piacere, come un gatto sotto una carezza -Ricorda che sono sempre uno shinigami dell’undicesima brigata. Non usiamo il kido. Se scoprissero che sei una zampakuto che usa il kido, diverrei la barzelletta di tutti. -
-E allora fatti cambiare di brigata! Tanto ormai lo sanno tutti che hai battuto quello shinigami vicecapitano! Potresti diventare un vicecapitano!- l’essere scivolò su piedi dalla pelle turchina, fino alle spalle di Yumichika, circondandone le spalle con le proprie braccia color del cielo.
-Potresti anche divenire un capitano, adesso. Quell’arrancar che ha battuto Madarame, che è stato sconfitto dal capitano-bestia… con me, tu avresti potuto batterlo. Con me, chiamandomi col mio nome. -
-Mi ha fermato quel bastardo di Shuuei. - cercò di troncare Yumichika.
-Se tu fossi stato un bravo ragazzo e mi avessi trattato bene fin dal principio, avremmo distrutto subito quell’arrancar assegnato a noi. - il sussurro della creatura scivolava nelle orecchie di Yumichika, le piume che gli accarezzavano sensualmente il collo -E poi, saremmo potuti andare ad aiutare il tuo amico Ikkaku. -
Se c’era una creatura asessuata, mezza uccello e coperta di fiori bianchi, che poteva esprimere lussuria e lascivia, era Ruriiro Kujaku. Yumichika arrossì fino alle orecchie.
-Stupido, stupido Fuji Kujaku!- il ragazzo scansò l’essere.
Per fare lo shikai, era sufficiente conoscere il nome della spada.
Per il bankai, era necessaria la sottomissione, ma ogni volta che provava a incontrarsi, e scontrarsi con la sua spada, finiva tutto per degenerare in interminabili bisticci e provocazioni. Yumichika lo detestava, perché la sua zampakuto conosceva ogni suo più piccolo segreto, ogni più recondito desiderio anche inespresso, e non esitava, malizioso, a spiattellarglieli in faccia.
Al sentirsi chiamare Fuji, la creatura si inalberò, con una smorfia di disgusto.
-Io sono e resterò per sempre uno shinigami dell’undicesima brigata. -
Stavolta fu Yumichika ad avvicinarsi.
I volti dell’uomo bellissimo e della creatura bellissima erano vicini, e Yumichika capì perché il mento delicato e le labbra eleganti della creatura gli erano subito piaciute: le vedeva ogni mattina allo specchio, erano le sue labbra e il suo mento.
-E tu, mia caro, resterai il mio piccolo, sporco segreto. Farà pari per tutti i segreti che tu hai su di me. - i capelli di Yumichika s’intrecciarono con le piume della maschera-volto.
-Sei così crudele… - mormorò la zampakuto, prima di spingerlo via.
Yumichika aprì gli occhi sul giardino dell’undicesima brigata.
Si alzò, elegantemente, e rinfoderò la spada.
-Sei così crudele, e mi fai arrabbiare e mi ferisci, ma continuo ad amarti, mio splendido shinigami.- mormorò Ruriiro Kujaku a sé stessa.
 
-Ikkaku, sei sveglio? Ti ho portato un pensierino!-
Ikkaku aprì un occhio, dal suo letto nella stanza dell’ospedale, e guardò la porta.
-Con te che strepiti in tal modo, sarebbe difficile dormire comunque. – borbottò.
Yumichika posò sul comodino una bottiglia di sakè e due bicchierini, e subito vide Ikkaku illuminarsi.
-Come vanno le ferite? –
-Uno strazio. Mi hanno detto che gli organi interni sono ancora messi male, e che devo muovermi il meno possibile. La cosa brutta è che temo abbiano ragione, perché se mi muovo troppo sento dei dolori atroci. Il capitano Unohana dice che la mia milza era quasi spappolata, e l’intestino annodato come un gomitolo attorno al fegato, e mi ha detto di stare steso fino a nuovo ordine. – Mi viene a controllare ogni due o tre ore.
Yumichika inarcò le bellissime sopracciglia. Il capitano Unohana, eh? Ecco perché Ikkaku se ne stava buono buono. Quella donna sapeva essere spaventosa.
Lui non si era mai fatto tanto male da dover essere minacciato per stare a letto, le sue prognosi erano sempre di un paio di giorni di riposo a letto o di una dozzina di giorni in cui non doveva strapazzarsi, ma Ikkaku, quando si feriva, lo faceva in grande stile, facendosi sbregare da capo a piedi, o frantumare le ossa come grissini.
-Ci hanno pestati ben bene, eh? Anche io ne avrò ancora per un po’ con questo braccio. – indicò il braccio, fasciato e appeso al collo. Una tripla frattura spalla-avambraccio-braccio, scomposta, non era una cosa divertente, neanche dopo essere passati per le mani dei migliori elementi della Quarta Compagnia.
-Già…- commentò cupo Ikkaku, a cui, più che il dolore fisico, bruciava l’orgoglio, calpestato dalle parole di Iba.
Yumichika gli porse il bicchiere di sakè, pieno.
-Se lo scopre Unohana taichou, mi distrugge, mi cura e poi mi distrugge di nuovo, ma non potevo non portartelo. – disse, in tono complice.
Ikkaku rise, bevvero assieme, e poi nascosero la bottiglia nel comodino, dietro gli effetti personali del ferito.
-Sai, ho provato di nuovo a dialogare con la mia zampakuto, prima. – fece Yumichika, sorseggiando il sakè.
-Ah si? E come è andata?-
-Come al solito. È testarda, vanitosa e presuntuosa, si può fare davvero poco con un tipino del genere! Ogni volta che ci parliamo litighiamo a morte!- disse, apparentemente seccato, ma sorrideva.
In fondo, ogni spada ama il suo padrone, e ogni padrone ama la sua spada, anche se ci litiga ogni volta che ci fa due chiacchiere.
 
  
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