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Autore: My Pride    19/03/2009    10 recensioni
«È strano come certe cose cambino le persone.
Prima che tutto questo avvenisse, non avevo mai visto Oka-san comportarsi così
»
[ Missing Moment: Evento RoyEd Marriage del 10/10/10 { 30 } ]
[ Terza classificata al «Flash Contest» indetto da Addison89 { 14 / 20 } ]
[ Sesta classificata al «A contest, a rose and a story!» indetto da Roy Mustung sei uno gnocco { 26 } ]
[ Storia fuori serie: 16 { Dedicata a Red Robin }, 18, 19, 20, 21, 23, 24, 25 { Dedicata a Red Robin }, 26, 27, 28, 29 ]
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shattered Skies ~ Stand by Me' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Heart burst into fire_Episode 18 Titolo: La colpa è sempre della tua mamma!
Autore: My Pride
Fandom: FullMetal Alchemist

Tipologia: One-shot [ 2128 parole ]
Personaggi: Roy Mustang, Edward Elric, Jason Mustang
Genere: Slice of life, Sentimentale, Commedia
Rating: Giallo
Avvertimenti: Shounen ai, What if?



FULLMETAL ALCHEMIST © 2002Hiromu Arakawa/SQUARE ENIX. All Rights Reserved.



[ STORIA FUORI SERIE ] EPISODIO 18: LA COLPA É SEMPRE DELLA TUA “MAMMA”

    Non avevo fatto altro che pensare alla serata che ci aspettava.
    Sebbene fossi stato costretto a firmare documenti arretrati dal Tenente Hawkeye - che non mi aveva nemmeno concesso il lusso d’un buon caffè nonostante fossi appena rientrato -, non avevo potuto fare a meno di pensarci. Dopo tanto tempo in astinenza, avrei forse potuto godere d’una bella nottata da solo, e in tutti i sensi possibili ed immaginabili, con Edward. Cenetta romantica, un po' di champagne, fragole zuccherate e... sesso. O almeno il piano era quello, se Jason ce l’avesse permesso. Se si fosse addormentato ben dopo mezzanotte, la serata sarebbe andata a farsi benedire per l’ennesima volta.
    Ero davanti ad una libreria, adesso, indeciso su quale libro d’alchimia comprare al mio caro figlioletto mentre reggevo distratto un bouquet per Edward.
A causa di una missione un po' spinosa, ero mancato da casa per quasi tre settimane, non avendo potuto festeggiare con loro l’undicesimo compleanno di Jaz. Poi, rientrato stanchissimo, li avevo salutati appena prima di crollare addormentato come un sasso. E quando avevo aperto gli occhi, ero subito dovuto correre al Quartier Generale per rimettermi in pari con il lavoro, riuscendo a malapena a trovarli svegli. In poche parole, ero a Central da meno di ventiquattr’ore e avevo appena finito di sgobbare sulle scartoffie lasciate ad ammuffire da troppo tempo. Ma, naturalmente, non era quello il mio primo pensiero, ora come ora.
    Rimiravo ancora gli scaffali, in piedi come un idiota appena mollato dalla propria donna e che non aveva nemmeno avuto la decenza di far sparire i fiori che le aveva comprato. Ci passai ben dieci minuti, finché non mi decisi finalmente a prenderne uno d’alchimia avanzata - sicuro al 100% che Jaz l’avrebbe letto come fosse stato un libro per bambini - e andare dal commesso per pagarlo, chiedendogli gentilmente il favore d’incartarlo. E mi ero portato dietro quei piccoli fardelli per tre isolati, prima che salissi di corsa le scale nonostante il caldo asfissiante e tirassi fuori le chiavi dalle tasche per fiondarmi dentro.
    Trovai entrambi i miei uomini in cucina.
Edward, che indossava una canotta nera per l’afa, stava preparando la cena e lanciava di tanto in tanto qualche occhiata a Jaz, che scarabocchiava su qualche foglio mentre girava distrattamente le pagine di Introduzione all’Alchimia.  Era da parecchio che lo studiava da solo, e aveva fatto notevoli progressi. Diavolo, aveva ragione Maes. Crescevano troppo in fretta. «Siete tanto assorti da non notarmi?» sghignazzai, e mentre Edward, con un sopracciglio inarcato, fissava perplesso i fiori, Jason lasciò subito perdere i suoi appunti per corrermi incontro, cingendomi i fianchi per abbracciarmi.
    «Bentornato, ‘Ka-san!» esclamò, lo sguardo puntato in alto per poter meglio incontrare i miei occhi.
    Gli sorrisi e gli scompigliai la zazzera mora nonostante avesse corrugato le sopracciglia, tirando fuori dalla busta di plastica che reggevo il libro che gli avevo comprato. «Auguri in ritardo», dissi, porgendolo quando mi lasciò andare.
    Per un po' restò a guardare la carta regalo come se fosse confuso, prima che un sorriso irradiasse anche il suo volto e cominciasse a scartarlo, rivelando sì la copertina un po' consunta, ma un libro di tutto rispetto in campo alchemico. Gli brillarono gli occhi quando lesse il titolo. «Grazie, ‘Ka-san!» cinguettò allegro prima di abbracciarmi ancora una volta tutto contento, scansandosi per cominciare a voltare qualche pagina, già concentrato. Aveva preso proprio da Edward, su quel punto.
    «Un nuovo libro d’alchimia, eh?» commentò proprio lui, divertito, asciugandosi le mani per avvicinarsi a noi, o meglio a me, visto che Jason si era già fiondato al tavolo per consultare il libro in pace e in maniera molto più approfondita.
    Mi limitai solo a scrollare le spalle e a rivolgergli un sorriso furbo, porgendogli galantemente il mazzo di rose. «Delle belle rose per un bell’uomo», mormorai allusivo, facendo un piccolo inchino.
    Lui sollevò ironicamente entrambe le sopracciglia, poi mi tolse il bouquet di mano, scuotendo la testa, esasperato. «Credevo si dicesse Delle belle rose per una bella donna», replicò per prendermi in giro, dandomi un buffetto sul naso. «Trattami da uomo, lo sai che detesto essere scambiato per la donna, mamma».
    «Non ti si può nemmeno fare una sorpresa...» mi lagnai e, ignorando deliberatamente il modo in cui mi aveva chiamato, mi chinai verso il suo viso per aspirare almeno ad un bacio; ma lui mi tappò la bocca con la mano d’acciaio, agitando distratto l’indice dell’altra.
    «C'è Jaz», disse, come se la cosa spiegasse tutto. Anche la serata che avevo così elegantemente immaginato era ormai un lontano ricordo.
    «Quante storie», borbottai una volta che ebbe allontanato la mano, e prima che potesse tornarsene anche lui accanto al tavolo per dare a sua volta una sbirciatina al libro e posare i fiori in un vaso, gli afferrai il braccio d’acciaio per attirarlo stretto a me, petto contro petto, labbra contro labbra. Cercò di divincolarsi, ma dopo un po' lasciò perdere, gettandomi le braccia al collo e allentando la presa, cosicché il bouquet cadde a terra con un fruscio.
    «Bleah...» fu il commento di Jason, e io lo guardai con la coda dell’occhio, vedendo una smorfia di disappunto dipinta sul suo volto, tipica dei bambini della sua età. Quando Ed sfuggì alle mie grinfie per recuperare il mazzo di fiori e riporlo in un vaso, mi voltai definitivamente con un sopracciglio sollevato.
    «Non si guarda quando i grandi fanno queste cose», gli dissi in tono fintamente arrabbiato e accusatorio, vedendolo gonfiare le guance mentre sentivo la risatina che si era lasciato sfuggire Edward.
    «Anche io sono grande», replicò, nell’ormai consacrato tono che aveva reso celebre il mio caro Alchimista d’Acciaio. «Mica starai dicendo che sono piccolo quanto una formica che si può vedere solo al microscopio, eh, ‘Ka-san?!» Il timbro della voce aveva assunto una sfumatura alterata degna di qualsiasi sfuriata a cui Edward avrebbe potuto dare vita.
    «Och, nay», cambiai prontamente discorso. «Allora, ti piace il libro?» chiesi, così da sviare completamente tutto.
    Anche se un tantino corrucciato, Jason si lasciò andare ad un sorriso e annuì, gettando un occhio alle pagine quasi ingiallite e antiche. «Ci sono cerchi molto più complessi», mi informò, accarezzando lievemente i fogli come se avesse paura che potessero sgretolarsi. «Mi servirà il tuo aiuto, ‘To-san», soggiunse, alzando lo sguardo per localizzare la figura di Edward, appena tornato ai fornelli.
    «Non posso aiutarti io?» domandai, poggiando i gomiti sul tavolo.
    Mi lanciò un’occhiata come se fosse rammaricato, chiudendo il libro prima di guardare ancora una volta Ed, gli occhioni azzurri avevano al loro interno un velato divertimento. «‘To-san ha detto che sei pericoloso con l’alchimia», buttò lì semplicemente, scrollando le spalle come se nulla fosse. «Non vuole rischiare che dai accidentalmente fuoco alla casa».
    «Ed!» lo richiamai, risentito, ma lui si limitò a sghignazzare, dando ad entrambi le spalle per girare la carne in padella.
    «Ho detto solo la verità», si difese, prendendo qualche spicchio d’aglio. «E poi, dato che i tuoi turni sono maggiori da quando sei Generale, non potresti insegnargliela comunque, se non di sera. E Jason non può restare alzato fino a notte fonda».
    «Sì che posso, ‘To-san», replicò il diretto interessato, mascherando un piccolo sbadiglio.
    «Ecco, questa è la prova che non puoi», ribatté ancora Edward, sghignazzando e riconcentrandosi sulla cena senza che nessuno di noi due fiatasse più. Quando fu pronto, portò tutto a tavola, accomodandosi a sua volta armato di coltello e forchetta.  «Mangia e vai a dormire, okay?» disse a Jaz, con un tono che non ammetteva repliche. «Se vuoi uscire con Glacier ed Elicia devi svegliarti presto».
    «Non pensavo conoscessi il significato della parola presto», replicai io sarcastico, subentrando nel discorso mentre ero impegnato a tagliare distrattamente, ma disinvolto, la carne nel mio piatto. Mi fece astenere dall’aggiungere altro un calcio d’acciaio allo stinco.
    «Ma io voglio leggere un po', ‘To-san», si fece sentire lamentosa la voce del popolo, gli occhioni grandi e azzurri sembravano quasi supplichevoli.
    «Jaz, se Oto-san ha detto che devi andare a dormire, non discutere», dissi, naturalmente con un secondo fine ben stampato in testa. Con la dovuta cautela, avrei potuto godere anche di pochi attimi d’intimità con Edward.
    «Non anche tu, ‘Ka-san!» si lagnò ancora, abbandonando il cozzetto di pane nel sugo della carne per provare a dissuadere me con il suo sguardo da cane bastonato. Ma quella sera fui irremovibile, dato che gliela davo sempre vinta. Quando poi, dopo varie lotte, vide che non crollammo e non cambiammo decisione, finì di mangiare e diede il bacio della buonanotte ad entrambi, prima di fiondarsi verso il bagno per sciacquarsi, mettersi il pigiama, lavarsi i denti e filare a letto.
    Una volta soli in salotto, provai a dar vita alla mia espressione da seduttore nato.
Stranamente, ma con mia grande soddisfazione, Edward mi lasciò tranquillamente libero di fare quello che mi andava, limitandosi solo ad intrecciare le dita fra i miei capelli quando mi chinai verso il suo collo per creargli un succhiotto. Mugolò tutto il suo assenso, piacevolmente, con una vaga conformità d’erotismo dipinta sul volto diafano; socchiuse gli occhi mentre mi apprestavo a volere di più, le mani erano ormai diventati arti che avevano una vita propria e non seguivano più i comandi della mia mente. Ne feci scivolare una lungo il suo fianco sinistro, scendendo rapido a massaggiargli la coscia, poi più giù, verso la gamba e il polpaccio d’acciaio. Mi gettò le braccia al collo quando, al di sopra del pantalone dalla stoffa leggera, risalii per far danzare distrattamente due dita sul punto in cui il ginocchio si legava con la carne, proprio dove c’erano le cicatrici.
    «Dai, smettila», fece flebile, mugugnando ancora una volta quando riuscii a far scivolare una mano al di sotto della canotta che indossava, sfiorandogli fugace il petto e un capezzolo.
    «Lo sai che non la smetto, inutile dirlo», mormorai in risposta, i polpastrelli dell'indice e del medio della mia mano avevano cominciato a disegnare invisibili cerchi sul suo torace.
    «E tu sai che posso farti smettere quando voglio», replicò, ma non sembrava intenzionato a rendere veritiere le sue parole. Si abbandonò completamente sul divano, divaricando di poco le gambe per permettermi di starne al centro, ormai succube di quelle mie carezze che facevo diventare sempre più insistenti. Ma quando provai a varcare le porte dell’Olimpo con una mano, lui mi bloccò, con un biondo sopracciglio inarcato, come a voler indicare un inconfutabile scetticismo. «Sei rozzo, se dopo tanto vuoi farlo sul divano», mi prese in giro sarcastico, poggiandomi una mano sul petto per scansarmi con poca gentilezza. Rimessosi a sedere, si sistemò distratto la maglietta e mi gettò un’occhiata in tralice come se fosse arrabbiato per qualcosa, liquidandomi con un piccolo Tsk prima di voltarsi saccente e alzarsi in piedi.
    Scombussolato, se non sconvolto, seguì con lo sguardo la sua figura che si defilava svelta nel corridoio, verso la nostra camera da letto. Rimasi per un po' lì in salotto, a boccheggiare come un idiota. Ancora incapace di credere che io, il Generale Roy Mustang, l’Eroe d'Ishvar, nonché Alchimista di Fuoco, fossi stato piantato in asso in quel modo, mi drizzai in piedi di scatto, raggiungendo la nostra stanza in poche falcate solo per trovare Edward accanto al comodino; mi avventai su di lui come una volpe avrebbe potuto avventarsi su una lepre, sentendo appena la sua esclamazione sorpresa mentre rotolavamo sul pavimento, avvinghiati l’uno all’altro, tra risatine soffocate e, spesso, parole campate per aria e senza significato alcuno.
    Non me ne accorsi subito che avevamo uno spettatore.
Fu Edward a farmelo notare, quando ci ritrovammo l’uno sopra l’altro, quasi accanto alla soglia della camera. Jason, con indosso solo una canottiera larga che gli faceva da pigiama, fasciandogli il corpo mingherlino e nascondendo alla vista i boxer, ci guardava con disappunto, atteggiandosi a grand’uomo. Non sembrava né sconcertato né sconvolto, ma in fondo viveva con noi da otto anni, quelle piccole pazzie in cui io e Edward ci gettavamo ogni tanto erano ormai diventate d'ordinaria amministrazione. Soprattutto per lui che ci beccava quando capitava.
    «‘To-san, ‘Ka-san», ci richiamò, vagamente stizzito. «Non posso dormire se continuate a fare tutto questo chiasso».
    Beh, e come dargli torto. Ma mi limitai solo a guardarlo, come se avesse parlato un’altra lingua. Edward fu invece più svelto di me, scansandomi con così tanto garbo che mi ritrovai con il culo per terra. Guardò lui e poi me, senza dire una parola, ma sia io che Jason sapevamo fin troppo bene cosa significasse quello sguardo.
    La colpa è della tua mamma, Jaz.
La colpa è sempre della tua mamma!






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