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Autore: Blakie    05/02/2016    4 recensioni
«Mi sei mancato così tanto mentre non c'eri, Daryl Dixon».
Una versione alternativa in cui Beth e Daryl si ritrovano tra le mura di Alexandria.
[bethyl | alexandria what if]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
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and well be good 4 definitivo
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And we'll be good
capitolo 4



Nell'euforia del momento non mi resi conto che il giorno dopo non avrei potuto dare una regolata ai capelli troppo lunghi di Daryl: avevo un turno in ambulatorio che mi avrebbe tenuta occupata per tutta la giornata. Quando mi ricordai quel particolare per nulla irrilevante, imposi a me stessa di tenere ben presente, da quel momento in poi, che nonostante l'aria di novità e felicità che aveva portato l'arrivo della mia famiglia, le mie mansioni erano rimaste le stesse: come prima, avevo il dovere di svolgerle per il bene della comunità.
Così, la mattina successiva, mi recai a casa loro, sia per salutare mia sorella prima di andare in ambulatorio, sia per avvisare – e vedere – Daryl. Lo trovai sotto al portico, intento a fumarsi una sigaretta, coi gomiti appoggiati al parapetto; notai che non aveva la balestra con sé e per questo mi venne da sorridere.
«Buongiorno, Daryl», esclamai superandolo, mentre mi avvicinavo alla porta d'ingresso.
«Beth», rispose, a mo' di saluto e voltandosi verso di me.
Che bello, sentirlo pronunciare il mio nome. Come al solito non si lasciò andare a troppe parole: in un primo momento, pensai che si fosse in qualche modo pentito di quello che era successo poche ore prima, seppur non avessimo fatto proprio nulla di male.
Forse credeva di essersi avvicinato troppo? Cercai la risposta nei suoi occhi, che erano due specchi di quiete limpida e blu. Ora che lo guardavo meglio, gli angoli delle sue labbra erano appena sollevati.
Bussai alla porta, udendo già da lì fuori il tintinnio dei piatti e il vociare calmo della mia famiglia: stavano di sicuro facendo colazione. Mi aprì Carol che, appunto, reggeva nella mano una tazza fumante contenente, lo intuii dall'odore, del caffè.
«Buongiorno Beth», proferì con un sorriso, mentre si spostava di lato per farmi entrare. «Sei arrivata giusto in tempo per la colazione».
Prima che potessi rispondere, notai subito che aveva cambiato gli abiti con cui era arrivata qui il giorno prima. Non ero abituata a vederla così, avvolta in un golfino colorato e con una camicia piuttosto femminile addosso. «Wow, Carol, che cambio di look! Ti dona».
«Grazie, è per conservare le apparenze», disse, facendomi l'occhiolino.
«A me sembra soltanto ridicola», si intromise Daryl.
Carol si sporse quel tanto che bastò per lanciargli un'occhiataccia e dirgli: «Potrai parlare quando ti sarai fatto una doccia».
Scoppiai a ridere. «Speriamo accada presto», la appoggiai, seguendola dentro casa e lasciando Daryl a inveire contro la porta chiusa.
Li ritrovai attorno alla penisola della cucina che facevano colazione e, per un secondo, mi venne da dimenticare che, fuori dalle mura, c'era ancora l'inferno. Sembrava una mattina normalissima, di un giorno normalissimo, in un mondo normalissimo.
Sorrisi d'istinto, mentre Maggie mi abbracciava e mi augurava il buongiorno. «Ehi, Beth, sei venuta a fare colazione con noi?», domandò mia sorella, sospingendomi verso la penisola.
«Ho già fatto, sono venuta a salutarti prima di andare in ambulatorio», dissi, lanciandole un sorriso di scuse.
«Ah, giusto, i lavori di Deanna! Molti di noi la incontreranno stamattina».
«Io e Rick esclusi», intervenne Michonne. «Dice che deve ancora pensarci bene».
Le sorrisi, guardando prima lei e poi Rick, che stava dando il biberon a Judith.
«Deanna è molto perspicace in questo. Quando vi assegnerà un lavoro, sarà quello giusto per voi». Rick e Michonne mi sorrisero a loro volta, senza rispondere.
«Io vado allora», dissi, posando un bacio sulla guancia di Maggie. «Fate in modo di non avere bisogno di me, per oggi! Non voglio vedervi arrivare in ambulatorio», esclamai, con la mano già sul pomello della porta, mentre sentivo la mia famiglia liberare una risata.
Daryl mi dava ancora le spalle, quando uscii di casa. Lo affiancai, appoggiando i gomiti al parapetto per imitare la sua posizione. «Ehi, tutto bene?», domandai, voltandomi verso di lui per guardarlo. «Mi sembri serio. No, beh, più serio del solito», mi corressi infine.
Mi scrutò con la coda dell'occhio, prima di mugugnare un «mmm-mmmh» di affermazione. Laconico come sempre.
«Se è il taglio di capelli che ti preoccupa, per oggi puoi star tranquillo. Ho il turno in ambulatorio e devo rimanerci tutto il giorno, perciò non ho proprio tempo di occuparmi del tuo restyling», lo resi partecipe, sorridendo.
Alzò gli occhi al cielo, liberando un profondo sospiro di sollievo. Mimò un «grazie» con le labbra, piegando la testa all'indietro e volgendo il viso verso l'alto.
«Ehi!», esclamai, fingendomi offesa e tirandogli una gomitata nelle costole.
In tutta risposta, si voltò verso di me, sghignazzando e guardandomi negli occhi. Tutto d'un tratto tornò serio, le labbra gli si appiattirono tanto velocemente quanto si erano dispiegate. Lanciò un'occhiata fugace alle sue spalle, come ad accertarsi che nessuno ci stesse guardando o ascoltando. Si vergognava al tal punto di aver instaurato un legame con me?
«Devo parlarti», disse a bassa voce, prima che le mie paranoie prendessero il sopravvento.
Il mio cuore accelerò il suo ritmo in un battito di ciglia. «Accompagnami all'ambulatorio, ti va?».
Iniziammo fianco a fianco a percorrere le strade di Alexandria e, nonostante ci fossimo allontanati dagli altri – perché era evidente che non volesse farsi sentire proprio da loro – l'arciere non si decideva ad aprire bocca.
«Puoi parlare, adesso», gli ricordai, abbastanza preoccupata.
Si mise le mani in tasca, osservandosi le punte degli scarponi, mentre continuava a camminare. «Stamattina sono stato fuori dalle mura con Rick e Carol».
«Perché?», domandai, perplessa.
Lui esitò qualche istante, ma poi parlò, serio. «Siamo... Sono andati a riprendersi delle pistole che avevamo nascosto prima di entrare qui».
Mi voltai verso di lui, interdetta. «Cosa? Hanno delle armi?». Non rispose, né annuì, ma non ce ne fu bisogno.
Il suo atteggiamento la diceva lunga.
«Non capisco...», mormorai, delusa. «Loro... Non vi faranno del male! Non sono io stessa una prova sufficiente a riguardo?!».
Lui scosse la testa. «Non è questo il punto, Beth».
«Allora qual è?».
«Rick e Carol credono che questa gente, essendo vissuta sempre qua dentro, non sappia cosa bisogna fare per rimanere al sicuro, per combattere i vivi e i morti. Per sopravvivere», spiegò con tono tranquillo e, per la prima volta, conciliante.
«Pensano che ci metteranno nei casini...».
«Sì».
«E tu sei d'accordo?», domandai, cupa.
Attese qualche secondo, prima di rispondermi con un «sì» netto. Precedendo qualsiasi tentativo di protesta da parte mia, aggiunse subito dopo: «Però non sono d'accordo col fatto di tenersi delle armi di nascosto».
Lo guardai, attonita, provando ad ignorare il calore intenso che iniziava a nascere dal centro del mio petto. «Tu... non hai che la balestra, quindi?».
«Non ho che la balestra».
Provai a fermare le mie gambe che mi proiettarono verso Daryl, provai a tenere lungo i fianchi le braccia che, invece, si allargarono e andarono a circondargli il collo, stringendomi a lui. Ci provai, davvero, ma non ci riuscii. Fallii miseramente, perché più passava il tempo e più mi rendevo conto di che persona meravigliosa fosse Daryl. Non sapevo in che altro modo esprimergli la mia gratitudine. Riuscii a immaginarmi la sua espressione interdetta, mentre si domandava quale frase da lui pronunciata avesse scatenato quello slancio di affetto. La verità è che non lo sapevo nemmeno io il perché, ma ero orgogliosa di lui per non aver accettato le pistole rimaste nascoste là fuori. Voleva dire tanto per me, tutto. Era cambiato, tanto e in meglio. Stava iniziando a fidarsi di me, stava iniziando davvero a credere che esistessero persone buone.
«Grazie», dissi, stringendomi a Daryl e tenendomi in equilibrio sulle punte. Mi allontanai da lui subito, per non risultare troppo appiccicosa.
«Per cosa?», domandò, perplesso e cercando di restare sulle sue.
«Per la tua fiducia», risposi, le labbra piegate in un sorriso.
Daryl, in tutta risposta, sbuffò, volgendo lo sguardo da un'altra parte in evidente disagio. «Smettila con le tue cazzate sentimentali», sbottò infastidito, ma la sua voce era rimasta morbida.
«E tu smettila di fare la parte del burbero di turno a cui non frega nulla delle persone che ha attorno».
«A me non frega nulla, infatti. Puoi dirlo forte».
Alzai gli occhi al cielo. «Certo Daryl, per questo sei venuto a parlarmene, vero? Perché non te ne frega niente».
«Sono venuto a parlartene perché sapevo che sarebbe importato a te», rispose con prontezza, stringendosi nelle spalle. Quando voleva sapeva essere piuttosto abile nell'avere l'ultima parola. Rimasi in silenzio qualche secondo, notando distrattamente che eravamo arrivati davanti all'ambulatorio.
Lasciai il suo fianco per fermarmi di fronte a Daryl, guardandolo con sguardo preoccupato. «Pensi che dovrei parlare con Rick e Carol?».
Lui ci pensò qualche istante. «No», proferì, voltandosi poi ad osservare la porta dello studio medico. «Non ancora, ecco».
Mi sentii sollevata: non ero decisamente pronta per... affrontare? due membri così importanti della nostra famiglia. Credevo che fosse esagerato tenere delle armi di nascosto, certo, ma cosa avrei potuto dire a riguardo? Era grazie alla prontezza di due persone forti e decise come Carol e Rick se eravamo riusciti a sopravvivere fino a quel momento. Grazie ai loro metodi non sempre ortodossi – ma c'era rimasto qualcosa di ortodosso, in quel mondo? – e alla loro diffidenza. Loro sapevano destreggiarsi nel mondo là fuori, molto più di me e ancora di più rispetto agli abitanti di Alexandria, che si erano protetti con alte mura sin dal primo giorno, non sapendo assolutamente nulla di come si potesse sopravvivere ad una crisi del genere. Se però avessero cercato di fare del male – anche se mi riusciva molto difficile crederlo – a qualche membro della comunità, non sarei certo rimasta a guardare.
«Lo credo anche io. Magari hanno solo bisogno di ambientarsi...».
Daryl non mi rispose, ma dal suo sguardo capii che non riteneva quell'ipotesi fondata. Cercai di ignorare la cosa e evitai di farmi ulteriori problemi: tempo al tempo.
«Ad ogni modo, grazie per avermelo detto», aggiunsi dopo qualche secondo di silenzio, rivolgendogli un sorriso. L'arciere si strinse nelle spalle, mugugnando qualcosa di incomprensibile e guardando da un'altra parte. Sarei rimasta tutta la mattina con lui, se avessi potuto, ma purtroppo il dovere mi chiamava.
«Beh, io vado», lo informai, sollevando un braccio e indicando l'ambulatorio dietro di noi con il pollice.
«D'accordo, Infermiera Greene», rispose con un ghigno.
«Molto divertente», replicai, alzando gli occhi al cielo e lasciandomi scappare un sorriso. «Ah, a proposito: devi vedere anche tu Deanna questa mattina? Per i lavori, sai».
Mi avvicinai alla porta dello studio e lui mi seguì, sbuffando. «No. Deve ancora inquadrarmi», mi informò, enfatizzando l'ultima parola con tono sprezzante.
Scoppiai a ridere per la voce che gli era uscita. «Deve mettersi in fila, allora», commentai, lanciandogli uno sguardo eloquente.
Mi aspettai proteste o sbuffi di ogni tipo, che, però, non arrivarono: Daryl, contro ogni previsione, sollevò appena gli angoli delle labbra, guardandomi negli occhi e sorridendomi con spontaneità. Allacciai lo sguardo al suo, ricambiando il sorriso e lasciando che il calore che si stava diffondendo dal mio petto mi cullasse. Era un sorriso appena accennato, discreto, ma sincero. E del quale non riuscii a carpire il significato. Senza che potessi impedirlo, i miei occhi lasciarono i suoi e scivolarono verso le sue labbra ancora atteggiate a sorriso: per un secondo, nella mia mente balenò l'istinto di toccare il suo sorriso col mio. Guardai da un'altra parte non appena mi resi conto di come lo stavo guardando, rossa di imbarazzo, col cuore che iniziò a correre.
«Fila al lavoro, ragazzina». Il tono di Daryl era divertito, ma nella voce, quasi roca, percepii una lieve nota di rimprovero: se n'era accorto? Aveva captato il mio sguardo per nulla discreto?
Sentii il disagio strisciarmi nello stomaco.
«Vado», mormorai, afferrando la maniglia in un gesto repentino. Feci un respiro profondo e lo guardai di nuovo, provando a sorridergli per nascondere la soggezione. «Buona giornata, Daryl».
Rispose con un cenno del capo, sorridendomi in modo abbastanza enigmatico. «Infermiera Greene», replicò, a mo' di saluto: chiusi la porta alle mie spalle, con le labbra che ancora ridevano e il cuore più leggero.

~

Si respirava un'aria diversa, da quando la mia famiglia si era presentata ai cancelli di Alexandria, ed ero convinta che non fosse solo una mia impressione. Certo, per quel che mi riguardava era più che normale - ero coinvolta emotivamente nell'arrivo di miei cari - ma mi sembrava che questa novità avesse influito sulla quotidianità di chi viveva qui anche prima di me. Questa impressione si era accentuata quando Deanna aveva deciso che si sarebbe data una festa per celebrare l'entrata di Rick e gli altri nella comunità.
Deanna ce lo aveva comunicato mentre eravamo tutti insieme a cena, due giorni dopo l'arrivo della mia famiglia. A me era sembrata una splendida idea, ma, dando un'occhiata generale ai visi seduti alla tavola tutti intorno a me, gli ospiti d'onore della festa non sembravano essere dello stesso avviso. Forse erano contrariati dal fatto di essere finiti sotto i riflettori, forse organizzare una festa gli sembrava fuori luogo, abituati com'eravamo ad avere la sopravvivenza come unico scopo nella vita.
Le uniche reazioni "positive" arrivarono da Michonne -- che, assieme a Rick, era stata nominata poliziotto di Alexandria -- e da mia sorella. Ovviamente anche Carol si finse entusiasta all'idea, per non far saltare la sua copertura di casalinga mite e conciliante.
«L'organizzazione coinvolgerà tutti gli abitanti della comunità», ci informò Deanna sistemandosi dietro di me, posandomi le mani sulle spalle e facendo finta di non essersi accorta della perplessità dei miei cari. «Ci tengono molto a darvi il loro benvenuto».
«È da ieri mattina che continua ad arrivare gente alla nostra porta per darci il benvenuto. Abbiamo afferrato il concetto», sbottò burbero Daryl, che era seduto di fronte a me.
Io gli lanciai un'occhiataccia, ma Deanna scoppiò a ridere. «Beh, signor Dixon, grazie a questa festa eviterà la seccatura di sentire bussare ogni cinque minuti».
«Credo che eviterò direttamente la festa, signora Monroe», replicò Daryl, stringendosi nelle spalle e avventandosi di nuovo sulle pietanze nel suo piatto.
Alzai gli occhi al cielo, esasperata, tirandogli un calcio sotto il tavolo che non sortì nessun effetto: mi ignorò spudoratamente, continuando ad ingozzarsi con la sua solita grazia.
«Non è obbligato a partecipare, Daryl», chiarì Deanna, sorridendogli. Poi si guardò attorno, incrociando gli sguardi degli altri. «Nessuno di voi lo è, ma vi farebbe bene staccare la spina, non pensare a niente per una sera. In compagnia di persone amiche e della migliore birra che siamo riusciti a trovare».
«Birra, eh? Potrei fare uno sforzo», si lasciò sfuggire Abraham. Io soffocai una risata, imitata da Carl.
Con un certo sforzo, Rick sfoderò un sorriso appena accennato e diede il benestare a Deanna per organizzare la testa, per la mia contentezza. Non ero totalmente sicura, dopo la chiacchierata che avevo avuto con Daryl, del fatto che Rick non avesse qualche piano in mente, ma mi faceva piacere che ci stesse almeno provando. Deanna se ne andò sorridente e ci lasciò, scusandosi per aver interrotto la nostra cena.
Da quel momento, due giorni passarono veloci più o meno nella stessa routine, in un ritmo cadenzato e rassicurante.
A tutta la mia famiglia Deanna aveva assegnato delle mansioni da svolgere, dei lavori, che sembravano piuttosto azzeccati, a dire la verità. Maggie era stata affiancata a Deanna per aiutarla con la gestione e l'organizzazione della zona sicura; Glenn, Abraham e buona parte del gruppo erano stati assegnati ai gruppi che si occupavano di uscire dalle mura per raccogliere provviste e qualsiasi cosa fosse utile alla protezione della città; Carol sarebbe rimasta dentro le mura per cucinare e aiutare le persone poco autosufficienti, come gli anziani.
L'unica persona per la quale sembrava non esserci nulla di adatto era Daryl.
«Mi dispiace che Deanna non ti abbia ancora trovato nulla da fare», gli dissi, sincera, mentre fumava una sigaretta sotto al portico. Avevamo appena finito di cenare assieme a tutti gli altri, com'era diventata un'abitudine da quando erano arrivati.
Lui scrollò le spalle, indifferente. Provai a capire se fosse solo una facciata o se davvero non gliene importasse nulla. «Credo che questa volta l'infallibile signora Monroe abbia preso un grosso granchio», sghignazzò con soddisfazione.
Lo guardai contrariata. «Prima o poi assegnerà qualcosa anche a te. Non puoi fare nulla tutto il giorno, Daryl. Ti cacceranno».
«Che mi caccino, se proprio devono. E poi non è vero che non faccio nulla: ho ripulito la zona circostante da diversi vaganti, in questi due giorni».
«Già, sei stato fuori e non mi hai portato nemmeno un po' di stufato di serpente», mi lamentai, fingendomi risentita.
«Esco anche domani, te lo posso portare fresco».
«Domani sera c'è la festa, vedi di tornare per tempo».
«Ecco, adesso che me l'hai ricordato spero vivamente che un'orda di vaganti abbia la meglio su di me».
«Smettila!», esclamai, alzando gli occhi al cielo per nulla divertita.
Sapevo che stava scherzando, perciò la mattina dopo, quando partì, lo andai a salutare ai cancelli con l'animo piuttosto tranquillo. Lui rispose alle mie raccomandazioni con un cenno del capo, girò i tacchi e varcò le mura di Alexandria. Lo guardai finché il cancello non venne chiuso da Nicholas e Daryl sparì dalla mia visuale. Mentre tornavo indietro, incrociai Aaron, chiaramente diretto verso l'uscita della città.
«Ciao Beth», mi salutò, trafelato. Sembrava essere piuttosto di fretta.
«Ehi, Aaron. Stai andando a reclutare?», gli domandai, dubbiosa. Strano, era domenica.
«È il mio giorno libero», replicò infatti, con un sorriso. «Devo parlare con Daryl».
«Oh, è uscito poco fa! Se ti sbrighi dovresti riuscire a raggiungerlo, era diretto a sud», replicai, abbastanza sorpresa dalla sua risposta.
«Grazie!», esclamò, riprendendo la sua corsa.
Lo guardai allontanarsi, sempre più perplessa: per quale motivo avrebbe mai dovuto parlare con l'arciere? Forse non ero stata abbastanza attenta e mi era sfuggito, ma mi sembrava che in quei giorni i due non si fossero nemmeno rivolti la parola. Cercai di dare un freno alla mia curiosità e mi diressi a casa: con tutte le cose che avevo da fare, sarebbe stato facile non pensarci e attendere il ritorno dei due per una spiegazione.
Finire i preparativi per la festa mi impegnò per tutto il pomeriggio: mi occupai delle pietanze che sarebbero state servite durante la serata, con all'aiuto di Maggi e Carol e di altre volontarie di Alexandria. Quando fu tutto pronto, lasciai la casa di Deanna per tornare alla mia e prepararmi. Fui tentata dal fare una piccola deviazione per passare da Eric e assicurarmi che Aaron e Daryl fossero tornati, ma mi dissi che non ce n'era bisogno: stavano bene, erano tornati.
Dovevo cercare di non stare troppo addosso all'arciere: considerando il suo modo di essere, assumere un atteggiamento assillante sarebbe stata la via più facile per allontanarlo.
Mi rilassai sotto il getto caldo dell'acqua e lasciai che la stanchezza della giornata scivolasse via, preparandomi poi in tutta calma. Meditai a lungo su come vestirmi: nonostante cercassi di evitare quel tipo di pensieri per non sentirmi ridicola, non potevo fare a meno immaginare quale sarebbe stata l'espressione di Daryl se, per una volta, mi avesse vista truccata e pettinata al meglio.
Volevo che mi trovasse desiderabile e non potevo farci nulla. Volevo che mi vedesse come una donna bella e sicura di sé, almeno per quella sera, e non come la ragazzina che era solito bistrattare con commenti poco gentili. Probabilmente non gliene sarebbe fregato nulla del mio vestito o del mio make up, Daryl non sembrava certo il tipo da dare importanza a quelle cose. Forse avrei fatto solo la figura della ragazzina frivola.
Scossi la testa, sbuffando e lasciando perdere l'idea di sistemarmi in modo troppo elaborato. Aprendo l'armadio mi ricordai che, alla fine, non avevo poi una scelta così ampia, per quel che riguardava gli abiti eleganti. Puntai su un semplice tubino nero con fantasia floreale, abbinato a collant scuri e stivaletti: sarei stata comunque più carina di quando ci trovavamo in mezzo al bosco, almeno.
Decisi di stirare i capelli e lasciarli sciolti lungo le spalle, e di applicare sulle labbra del semplice lucidalabbra rosato, più una leggera punta di mascara per far risaltare gli occhi.
Uscii di casa con un sorriso, lo stesso che mi riservò Aaron quando aprì la porta dopo avermi sentito bussare.
Mi fece accomodare in cucina, dove Eric stava finendo di preparare la cena; mi offrii di apparecchiare, cercando di non saltare i convenevoli per chiedergli di cosa avevano parlato - se avevano parlato - lui e Daryl mentre erano nei boschi.
«Non pensarci nemmeno, Beth», mi rimbrottò Aaron. «Sei nostra ospite. Rilassati, finché non viene pronta la cena. I preparativi della festa devono essere stati stancanti».
«Non più di tanto», risposi, facendo spallucce e appoggiandomi all'isola della cucina. «Anzi, è stato bello mettersi così di impegno per qualcosa che non riguarda la sopravvivenza».
«I tuoi amici come si sono trovati? È ancora tutto nuovo, per loro», commento Eric con comprensione.
Gli rivolsi un sorriso. «Bene, tutto sommato. Credo solo che gli serva del tempo, ad alcuni più di altri».
Aaron mi lanciò un'occhiata allusiva. Risi, ricambiando lo sguardo d'intesa. «Allora, com'è andata là fuori? Lo hai trovato?».
«Ho rischiato una freccia in fronte, ma sì, l'ho trovato alla fine», rispose, ridendo e appoggiandosi al ripiano del bancone con le braccia incrociate.
«Sono sicura che gli sei arrivato alle spalle!», lo accusai con un sorriso, puntandogli contro l'indice. «Non lo sopporta. Daryl è un segugio, è lui che segue le persone a distanza, non il contrario».
«Lo conosci bene, eh?», commentò Eric. Notai una lieve nota maliziosa, dietro al tono apparentemente neutro.
Alzai gli occhi al cielo, ignorandolo. «Quindi, Aaron? Di cosa avete parlato?», domandai, arrendendomi alla mia stessa curiosità.
«Volevo solo capire come mai per Deanna è così difficile individuare il lavoro da assegnargli e capire un po' che persona è», mi spiegò, tranquillo.
Sorrisi, provando a immaginarmi un Aaron amichevole e un Daryl burbero e scostante, desideroso soltanto di farsi gli affari propri ma costretto a sopportare la compagnia indesiderata del reclutatore. «E ci sei riuscito?».
Mi sorrise, trionfante. «Sì, ci sono riuscito».
«I miei complimenti! Io devo ancora riuscire a capirlo del tutto», scherzai.
«Gli hai trovato anche un'occupazione?».
L'espressione allegra di Aaron si spense: quella che la sostituì non l'avrei definita preoccupata, più... indecisa, ecco. Lanciò uno sguardo fugace ad Eric, che si voltò subito per continuare a mescolare il sugo che stava preparando.
«Io... sì. Gliene parlerò stasera», rispose, titubante.
«Beh, è fantastico!», commentai, sinceramente entusiasta. Forse Daryl avrebbe cominciato veramente a sentirsi parte di quel posto. «Di cosa si tratta?», domandai, curiosa.
Aaron attese qualche attimo, prima di decidersi a parlare. «Pensavo di chiedergli se vuole prendere il posto di Eric e andare là fuori con me. A reclutare le persone».
Spalancai gli occhi, non sapendo bene cosa dire: la sua risposta mi aveva lasciata basita, e non so come Aaron interpretò la mia reazione.
Mi guardava intensamente, preoccupato. «Beth, ascolta, so che è egoista da parte mia chiedergli una cosa del genere e probabilmente mi odierai per questo-», cominciò, accorato, parlando in fretta come se si volesse giustificare.
«Aspetta», lo interruppi, perplessa. «Perché dovrei odiarti?!».
«Perché per tenere al sicuro la persona più importante per me, metto in pericolo quella più importante per te».
Strinsi le labbra, abbassando lo sguardo e cercando di non farmi travolgere dall'ondata di imbarazzo che mi montò dal fondo dello stomaco. Aaron aveva appena paragonato lui ed Eric - coppia, innamorati - a me e Daryl. Dovevo dire qualcosa, qualunque cosa. «Oh, ecco, no Aaron, ti sbagli, io e Daryl non...», balbettai, confermando ancora di più l'idea che si era fatto dei miei sentimenti per l'arciere. «No», terminai, chiudendo il mio intervento per nulla brillante. Feci un respiro profondo, ignorando lo sguardo di intesa che si scambiarono i miei amici. «Non ti considero egoista, né ti odierò se chiederai a Daryl di diventare reclutatore», sorrisi, ancora rossa d'imbarazzo. Lui mi studiò attentamente, valutando se poteva credermi o no.
«Quell'uomo, Beth», proferì, alzando un braccio e indicando con l'indice un punto imprecisato di ciò che lo circondava,«è incredibilmente bravo a capire la differenza tra le brave persone e le cattive persone», affermò, la voce intrisa di ammirazione. «Per questo voglio che diventi il nuovo reclutatore di Alexandria. Non riesco a pensare ad un sostituto più adatto di lui».
Lo fissai, senza dire una parola.

«Quindi credi che esistano ancora brave persone. Perché hai cambiato idea?».

Daryl era passato dal credere che non esistessero più persone buone, all'essere scelto come reclutatore proprio perché riusciva a riconoscerle, in quel mondo andato a rotoli. Ero orgogliosa di lui e assolutamente felice che Aaron gli riservasse quelle parole e che lo volesse con sé. Daryl aveva tanto da dare a quella comunità e lo avrebbe fatto, pur agendo fuori dalle mura. Sarebbe stata la soluzione perfetta per lui.
«È... fantastico, Aaron», sussurrai, sincera. «Non ti dirà di no. Hai trovato il modo perfetto per farlo rimanere qui senza che si senta soffocato dalle mura».
Lui ed Eric mi guardarono, sorridendo ampiamente. «Sei sicura?», domandò Aaron, avvicinandosi a me e posandomi le mani sulle spalle.
Lo guardai negli occhi, entusiasta. «Sicurissima. Sei un genio», dissi, abbracciandolo. Ero ben conscia di quello che mi aspettava se Daryl fosse diventato reclutatore: giorni interi di perenne ansia e preoccupazione, chiedendomi se, in quello stesso istante, ovunque si trovasse, stesse bene e fosse al sicuro; giorni interi senza vederlo, senza parlarci, senza averlo vicino.
Sarebbe stata dura, lo sapevo, ma Daryl sarebbe stato felice: era un incarico perfetto per lui, là fuori, nei boschi, in pericolo, certo, ma lontano da quelle mura che sembravano intrappolarlo in una realtà nella quale lui non si rivedeva.
«Parli del diavolo», intervenne Eric, divertito, scrutando qualcosa fuori dalla finestra. Seguii il suo sguardo, notando che Daryl, proprio il quel momento, stava passando davanti a casa loro. Senza rendermene conto, mi fermai a fissare la sua figura, resa poco visibile dall'oscurità.
«Chiedigli se vuole cenare con noi», mi suggerì Aaron, ancora coinvolto nel nostro abbraccio, sorridendomi intenerito.
Annuii, sorridendo imbarazzata e ignorando la risatina di Eric quando raggiunsi di corsa la porta di casa.
«Ehi, Daryl», lo chiamai quando fui uscita.
Lui si voltò verso di me, fermandosi e lanciandomi un'occhiata sorpresa. «Cosa ci fai qui?», domandò.
«Eric e Aaron mi hanno invitata a cena, ci vado dopo alla festa», spiegai, indicando la porta aperta alle mie spalle. «Piuttosto, potrei chiederti la stessa cosa».
«Lo sapevi che non sarei andato a quella buffonata», mi ricordò, burbero, mentre scendevo gli scalini e mi avvicinavo a lui.
«Aaron ha appena messo gli spaghetti in tavola, perché non mangi con noi?», gli domandai, con un sorriso ed ignorando il suo tono ostile. «Non hai cenato, immagino».
Daryl guardò prima me, poi – con diffidenza – la porta ancora aperta, alle mie spalle. «No, infatti».
«Allora vieni», lo esortai, prendendogli una mano tra le mie, con tutta l'intenzione di trascinarlo con me nella casa dei miei amici. Con mia enorme sorpresa, non oppose resistenza. Doveva essere davvero affamato, pensai, divertita. Volevo che restasse a cena non solo per il puro e semplice piacere di averlo vicino e al sicuro, ma perché non vedevo l'ora che Aaron gli facesse la sua proposta.
«Buonasera, Daryl», lo accolse Aaron, non appena facemmo il nostro ingresso in cucina. L'arciere rispose con un cenno del capo e uno sguardo illeggibile.
«Siamo contenti di averti a cena con noi», aggiunse Eric, mentre spegneva il fornello sulla quale poggiava un'enorme pentola colma di spaghetti al sugo. Aaron gli si avvicinò con fare premuroso, obbligandolo a sedersi per non affaticare la caviglia e a lasciare il resto a lui.
Io e Daryl ci sedemmo l'uno accanto all'altra e non mi sfuggì la rigidità con cui occupava il suo posto; Aaron mise la pentola in tavola e lo aiutai a distribuire gli spaghetti nei piatti. Ovviamente, a Daryl spettò la porzione più abbondante.
Iniziammo a mangiare in silenzio, un silenzio non proprio complice, ma nel quale si avvertiva un leggero senso di imbarazzo. La situazione, però, si alleggerì non appena fu palese la foga con cui Daryl, con la sua solita eleganza, si era avventato sulla sua porzione. Io ero abituata ai modi non proprio raffinati di Dixon di stare a tavola, ma lo stesso non si poteva dire dei due padroni di casa. Si guardarono con la coda dell'occhio dopo aver osservato l'arciere, poi lanciarono un'occhiata fugace anche a me: Eric si stava mordendo l'interno delle guance con disperazione, cercando di non ridere, mentre Aaron non riuscì a trattenere un sorriso appena accennato. Vedere come si sforzavano rischiò di fare ridere anche me, mentre Daryl continuava beato a strafogarsi di spaghetti, per nulla infastidito dal silenzio che aleggiava. «Grazie», bofonchiò dopo un po', divorando l'ultima forchettata di spaghetti.
«Felice che ti siano piaciuti», rispose Eric, sorridendo divertito. Daryl si raddrizzò sulla sedia, appoggiando la schiena contro lo schienale per sistemarsi in una posizione rilassata, liberando un sospiro soddisfatto e pulendosi le labbra con la manica della camicia.
Gli lanciai un'occhiataccia, guardandolo disgustata. «Daryl!», lo rimbrottai, dandogli una gomitata.
«Che vuoi?», berciò lui, in tutta risposta. «Esprimo il mio apprezzamento».
«Puoi esprimerlo anche senza comportarti da uomo delle caverne», replicai, sollevando un tovagliolo e parandoglielo davanti alla faccia. «Questi servono per pulirsi, lo sai?».
Daryl alzò gli occhi al cielo e sollevò le braccia, incrociando le dita dietro alla testa.
Aaron ed Eric ci osservavano, con sguardi maliziosi che temevo Daryl avrebbe notato. I loro occhi mi parlavano, senza che ci fosse bisogno di pronunciare mezza frase: “sembrate proprio una coppia”. Li guardai in modo piuttosto eloquente.
«Okay, prima che vi mettiate a litigare», proferì Aaron, attirando la nostra attenzione, «Daryl, vieni un attimo con me in garage».
L'arciere lo fissò per qualche secondo, senza dire nulla. «Perché?», domandò, in tono diffidente.
Alzai gli occhi al cielo. «Vai con lui», lo esortai, seccata dal suo fare sospettoso.
Daryl si alzò dalla tavola con uno sbuffo e, totalmente controvoglia, seguì Aaron. Insieme, sparirono dietro la porta che conduceva al garage. Nell'attesa che tornassero, aiutai Eric a sparecchiare e a sistemare la cucina. Sentivo le loro voci, attutite dalla porta che ci separava, ma non riuscivo a capire cosa si stessero dicendo. Eric ridacchiò, notando la mia curiosità impellente.
Tornarono mentre io ed il mio amico stavamo chiacchierando, comodamente abbandonati sul divano. La prima cosa che cercai fu lo sguardo dell'arciere: sapevo che gli occhi con cui lo guardai erano pieni della speranza che accettasse.
«Allora?», mi lasciai sfuggire, impaziente.
Daryl mi guardò, interrogativo. «Cosa?».
«Hai accettato?», domandai, provocando la risata di Aaron.
«Tu lo sapevi?!», sbottò l'arciere, contrariato.
Alzai gli occhi al cielo, seccata dal suo rispondere alla mia domanda con un'altra domanda. Mi rivolsi al mio amico. «Ha accettato?».
La voce di Aaron coprì il grugnito di Daryl. «Martedì partiamo», disse soltanto, con un sorriso. Rimasi in silenzio qualche secondo, rivolgendo all'arciere un sorriso a trentadue denti.
«Lo sapevo che avresti detto di sì!», esultai, saltando in piedi e avvicinandomi a loro. Daryl borbottò qualcosa di incomprensibile, sminuendo la cosa con un'alzata di spalle e volgendo lo sguardo altrove; io continuai a fissarlo, sorridendogli emozionata.
«Propongo un brindisi per il nuovo reclutatore di Alexandria», intervenne Aaron. Stava per prendere la birra dal frigo, ma l'occhiata truce di Daryl lo gelò sul posto: «non ti azzardare», proferì con voce grave, «là fuori saremo solo io e te. Non ti conviene farmi incazzare».
Aaron alzò le braccia in segno di resa. «Okay, okay, niente brindisi», ritrattò, muovendosi tanto lentamente come avrebbe fatto se Daryl gli avesse puntato la balestra contro.
I ragazzi ci invitarono a bere un paio di birra in compagnia senza fare necessariamente un brindisi, ma rifiutai, dicendo che, in realtà, dovevamo fare un salto alla festa a casa di Deanna.
Nonostante qualche sua resistenza iniziale, riuscii ad uscire da quella casa con Daryl che, nonostante l'espressione funerea, acconsentì ad accompagnarmi alla festa.
La nostra famiglia ci accolse in modo caloroso, immersa da prima di noi in quell'atmosfera rilassata e quasi surreale. Tutti vestiti bene, tutti – più o meno – sorridenti, con il vociare indistinto e la musica a fare da sottofondo a quella realtà calda e luminosa.
Ancora una volta, in barba a quello che stava succedendo fuori dalle mura.
Studiai con attenzione i volti dei miei cari e non mi sfuggì la diffidenza che, nonostante tutto, continuava ad essere presente sul fondo del loro sguardo. Non erano a loro agio, nonostante i sorrisi e le voci allegre. Ma andava bene così: eravamo lì, ed eravamo insieme.
Mentre li osservavo, pensai che, forse, le cose avrebbero davvero potuto funzionare, quella volta. Che un giorno sarebbe stato possibile per loro fidarsi delle persone che mi avevano accolta. Che la mia famiglia e la mia comunità sarebbero potute diventare una cosa sola, cooperando in equilibrio perfetto.
Capacità di sopravvivere e quotidianità rassicurante, unite in modo vantaggioso.
La mia ingenuità si scontrò ben presto con la realtà. Fu un attimo, qualcosa di talmente improvviso che non riuscii a cogliere appieno: un'occhiata sbagliata, una battuta provocatoria della signora Neudermeyer nei confronti di Daryl, vicino a me.
L'arciere, ovviamente, si incazzò. Di brutto. La insultò, ribattendo che la macchina per la pasta se la sarebbe dovuta infilare in un certo posto.
Mi interposi tra loro, bloccando sul nascere un'altra cattiveria che sarebbe uscita dalla bocca di quell'arpia e difendendo apertamente Daryl. «Cristo, Shelly, le sue stronzate se le tenga per lei ogni tanto!», esclamai con rabbia.
Tutto questo, ovviamente, davanti agli sguardi basiti dei presenti. Deanna e Rick erano sul punto di intervenire, quando Daryl ci diede le spalle per andarsene e sbattere rumorosamente la porta.
Lanciai un'occhiata truce alla signora Neudermeyer, che mi guardava scandalizzata per le parole poco fini che le avevo appena rivolto, e mi precipitai fuori da quella casa per seguire l'arciere.
«Daryl, aspetta!», lo pregai, sbattendo la porta alle mie spalle per impedire agli altri di ascoltare. Si stava già allontanando e non mostrò la minima intenzione di volermi dare ascolto. Scesi di fretta gli scalini del porticato e lo raggiunsi, posandogli una mano sulla spalla e stringendo la presa, per fermarlo. «Daryl, resta! Possiamo sistemare tutto!».
Lui mi afferrò il polso e mi tolse la mano dalla spalla con un gesto brusco, poi si girò di scatto con un'espressione furiosa. «Puoi scordartelo! Sapevo che era un'idea di merda venire qui, lo sapevo, cazzo!».
«No, è Shelly Neudermeyer ad essere una stronza!», mi lasciai sfuggire. «Non devi ascoltarla, lei–».
«Oh, ma a me non frega un cazzo di quello che dice quella sgualdrina con le sue amichette, che parlino pure», ribatté con foga, interrompendomi.
Lo guardai perplessa. «Allora... Allora perché te ne sei andato?».
Mi guardò dal basso verso l'alto, sprezzante. «Perché non sopporto quella gente, ma sopporto ancora meno di essere difeso da altri, specialmente da una ragazzina testarda e impulsiva come te».
Sentii le mie labbra dispiegarsi, ma non uscì nessun suono. Le sue parole ebbero il potere di ferirmi e farmi sentire stupida per quello che avevo fatto. Poi ci pensai su: mi stava umiliando semplicemente perché avevo preso le sue difese?!
«Ma qual è il tuo problema?! Io volevo aiutarti!», sbottai con rabbia, stringendo i pugni e sporgendomi verso di lui.
«Non te l'ho chiesto!», ribatté, facendosi avanti anche lui e sovrastandomi in tutta la sua altezza. Il suo viso era distorto dalla collera, rosso, e i muscoli del collo erano tesi. Non mi intimorì per nulla, anzi, vedere quanto si stava stupidamente arrabbiando mi fece infuriare ancora di più.
«Ed io l'ho fatto lo stesso, perché voglio che tu ti senta finalmente parte di qualcosa di normale!».
Lui liberò una risata carica di disprezzo. «Oh, perfetto, ora la signorina Greene vuole imporre alle persone come sentirsi!».
«Beh, scusami se odio vederti nei panni dell'emarginato!».
«Tu vuoi solamente realizzare la fantasia della famigliola felice che vive in una villetta del cazzo, come se fuori dalle mura il mondo non stesse andando a puttane!», ribatté infervorato, affilando ulteriormente lo sguardo.
Spalancai gli occhi, basita. «Cosa stai dicendo?! Credi che abbia dimenticato? Pensi che sia tanto sbagliato volere un po' di normalità dopo tutto quello che abbiamo passato?!».
«Penso che sia fottutamente stupefacente vedere quanto poco ti ci è voluto per diventare una di loro!», affermò con durezza e di nuovo a voce alta.
Sentii gli occhi schizzare fuori dalle orbite, sempre più incredula di quello che stavo ascoltando. Aveva battuto forte la testa durante il viaggio fino a lì e non lo sapevo? «Una di loro? Io sono una di voi – per rafforzare il concetto, gli puntai l'indice contro il petto – siete voi la mia famiglia, cazzo, Daryl! Dici sul serio?!».
Scostò la mia mano con un gesto brusco. «Ormai parli come loro! Quali sono i problemi più grandi che ti toccano qua dentro, eh? Il fatto che non sei soddisfatta della razione di cioccolata che ti spetta? I miei fottuti capelli che sono troppo lunghi? O ancora, il fatto che non mi importa un cazzo dei discorsi vuoti delle persone lì dentro e non ci penso proprio ad adattarmici?! Apri gli occhi, ragazzina, e guarda le cose come stanno!», mi aggredì.
Aveva ripescato una ad una le cose che gli avevo raccontato e le aveva usate contro di me per farmi sentire ulteriormente idiota. Quella volta mi aveva ferita in un modo che probabilmente non avrebbe mai compreso. Non era stato come la litigata di fronte alla baracca, quando si era arrabbiato e mi aveva insultata per ragioni fondamentalmente giuste; Daryl mi stava accusando ingiustamente, insinuando che fossi cambiata in peggio.
Mi vedeva come l'abitante medio di Alexandria: inadatta a sopravvivere là fuori, afflitta da problemi stupidi e frivoli se confrontati con la crudeltà del mondo con cui io, Daryl e gli altri ci eravamo misurati fino a poco tempo prima.
Come se mi fossi dimenticata di tutte le persone che avevo perso.
Come se avessi scordato tutto quello che lui stesso aveva condiviso con me nel breve tempo in cui eravamo rimasti da soli.
Come se non avessi trovato il coraggio di scappare con le mie forze – senza aspettare tutti loro – per fuggire dal Grady Memorial.
Gli lanciai uno sguardo carico di delusione: non avevo nemmeno più voglia di urlare o spiegargli le mie ragioni, tanto non avrebbe capito.
Annuii, esibendo un mezzo sorriso pieno di amarezza. «Vedo che, nonostante tutto, la tua opinione su di me non è cambiata».
Per un secondo soltanto, intravidi nei suoi occhi una luce nuova, come se nelle iridi blu cobalto avesse lampeggiato il pentimento, ma fu qualcosa di talmente fugace che probabilmente lo avevo solo immaginato.
Daryl rimase in silenzio: non mi diede ragione né mi smentì. Rimase semplicemente a guardarmi con la sua solita, indecifrabile maschera di rabbia. Sentivo le lacrime spingere per uscire, non dovevo assolutamente permetterlo: mi morsi le guance e respirai profondamente, stringendo i pugni.
«Io torno dentro», dissi soltanto, voltandomi e dirigendomi verso la porta. Le lacrime scesero già prima che fossi in grado di afferrare la maniglia: fino a quel momento sperai che mi fermasse, mi chiamasse, facesse qualsiasi cosa.
Non fece nulla, assolutamente nulla: quando mi richiusi la porta alle spalle, se n'era già andato.







Angolo autrice.
Chi non muore si rivede, eh?
Prima di tutto, vi rinnovo le scuse per il ritardo. Sono stati dei mesi veramente di fuoco: ho iniziato l'università, per un periodo ho lavorato e a gennaio sono iniziati gli esami. Non ho avuto tempo per nulla. Ho avuto anche un calo di ispirazione, oltre all'oggettiva mancanza di tempo. Non so se sia stato dovuto alla (per me) deludente prima metà della sesta stagione di The Walking Dead: le ho viste tutte le puntate, ovviamente, ma ho fatto una fatica immonda. La prima parte mi ha annoiata, la seconda invece mi fa paurissima (Negan, vade retro!).
Voi invece che ne pensate di TWD 6? Vi è piaciuta fino ad ora? :) fatemi sapere!
Passiamo al capitolo: questa, in realtà, è solo la prima parte. All'inizio volevo pubblicarlo tutto, ma già fino a qui sono 15 pagine e stava uscendo qualcosa di infinitamente lungo, quindi ho deciso di tagliare e postare la seconda parte a breve!
Nonostante non succeda niente di particolare, ne sono abbastanza soddisfatta ma ho paura che a voi non piacerà, per la lunghezza appunto, o forse perché manca di azione e potrebbe risultare noioso: se è così, mi dispiace. Ma Beth, essendo coinvolta così “internamente” nella comunità di Alexandria – lavorando nello studio medico la maggior parte del tempo la passa tra le mura – non ha più molto modo di vivere situazioni che comportino dell'azione; non come nella serie, se non altro.
Prometto però che il prossimo sarà più movimentato: senza spoilerare troppo, ci sarà un acceso litigio tra le sorelle Greene e altre cose accadranno.
La festa in onore della nostra famigliola non è ancora finita ;)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vogliate darmi il vostro parere a riguardo :) ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi l'ha inserita tra le seguite/preferite, ne sono contentissima!

Al prossimo capitolo!
Un abbraccio,
Blakie


   
 
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