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Autore: Leonhard    05/02/2016    2 recensioni
"Il Lifestream circola all'interno del Pianeta: vedilo come un corso d'acqua all'interno di un percorso circolare".
"Allora, se io ad un certo punto getto un ramo all'interno del Lifestream, dopo qualche tempo lo vedrò passare nuovamente dal punto in cui l'ho buttato?". Cloud si prese il suo tempo per rispondere.
"Spero di no..." rispose, ma la faccia era seria, preoccupata. Aveva probabilmente colto nel segno.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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6.    La vera madre


Cloud guardava il cielo. Era una bella notte stellata e dalla finestra dell’appartamento sopra il bar lo si poteva apprezzare appieno, senza quelle dannate impalcature che correvano per la città o le macerie di quella che una volta era stata la sede centrale della Shin-ra. Guardava il cielo perché gli piaceva, perché gli dava quel senso di quiete che non riusciva a trovare sulla terra: in cielo nulla poteva andare storto, non c’era povertà e desolazione e pericoli. Niente uomini da proteggere, mostri da uccidere o cloni da decapitare. Nessuna delusione, ferita, senso di inadeguatezza: il cielo era per tutti.

Come ogni sera, Cloud guardava il cielo ed ascoltava il silenzio di Midgar fuori dalla finestra, le pale della ventola sopra il letto che pigre giravano dando solo un’idea di brezza, la sua ragazza che dormiva al suo fianco e già che c’era si beava del lento e regolare suono del suo respiro. Era un vero peccato che Aerith avesse paura del cielo. Ah, ma quello non era un ricordo suo: con tutta probabilità l’aveva confessato a Zack.

Cloud guardava il cielo e pensava a ciò che l’avrebbe aspettato con spirito più sereno, senza stare a farsi troppi pensieri: era notte, quello era un cielo stellato ed anche lui meritava un minimo di riposo. Come gli suggeriva il suo stesso nome, Cloud guardava il cielo.

Con un sospiro, tornò con gli occhi su Tifa: la sua espressione era serena, le labbra erano piene e socchiuse che vibravano ad ogni respiro e solo il lenzuolo nascondeva quel corpo che fino a poche ore prima era stato suo. Non aveva scherzato nella Chiesa e, tornati a casa, aveva mentalmente ringraziato Cid, Yuffie e Barret per aver portato Denzel e Marlene a Costa del Sol per un paio di giorni. Gli scappò un sorriso: se sarebbe sempre finita così, doveva farsi atterrare più spesso da lei.

Le passò un dito sulle labbra delicatamente, lentamente, per non svegliarla. Maledette labbra, così piene, morbide e calde. La donna si mosse con un mugolio ed aprì lentamente gli occhi, cercando stranita Cloud.

“Hei…” sussurrò piano, con un sorriso stanco. “Tutto bene?”. Cloud le posò un piccolo bacio sulla fronte.

“Tutto bene” annuì. “Pensieri”.

“Belli o brutti?” chiese lei, accoccolandosi contro di lui. Lui le accarezzò una spalla nuda.

“Non saprei” rispose. “Solo…pensieri”.

“Vuoi condividere o posso tornare a dormire?” chiese lei con un risolino. Cloud non rispose: la abbracciò e si mise comodo sotto il lenzuolo.

“Meglio dormire” disse. “Domani dovremo lavorare entrambi”. Lei mugolò soddisfazione e si premette contro di lui.

“Allora buonanotte grande soldato” disse. “E sappi che potrebbe non essere molto lusinghiero”.

“Cosa?” chiese lui, a metà tra il curioso ed il disorientato. Sentì il suo sorriso contro il torace.

“Dopo una maratona di almeno tre ore, hai ancora il coraggio di essere sveglio?” chiese. “Non ti è bastato dover rifare il letto due volte prima di decidere che eravamo soddisfatti?”.

“E poi abbiamo scoperto che non lo eravamo” annuì il biondo. “Beh, adesso mi è venuto sonno: non vale come ripiego?”.

“Facciamo finta di sì…” rispose lei, con una risatina divertita. La mente di Cloud fu attraversata da un ultimo pensiero, che tuttavia ebbe il potere di togliergli il sorriso dal viso: dal giorno dopo sarebbe stato alle dipendenze dirette di Rufus in persona. Quell’uomo aveva sempre portato guai e non aveva mai smesso di farlo: la società, tutte le facce di bronzo così servili con il padre e poi pronte a scoprire i denti al minimo cenno di crisi, le Weapon con la loro missione di proteggere il pianeta, Sephiroth che nel suo intento di distruggere il mondo era partito proprio dalla compagnia. Lui avrebbe dovuto proteggere il target di tutto il mondo. Sentì il bisogno di lasciare il segno e lo fece.

“Tifa…” chiamò. “Ti amo…”. La donna perse all’istante quel lieve torpore che le appesantiva le palpebre. Alzò lo sguardo verso di lui, che aveva voltato la testa e guardava il comodino con espressione corrucciata, come se fosse colpevole di chissà cosa. Quando tuttavia il suo sguardo imbarazzato tornò su di lei, boccheggiò scuotendo la testa, senza la minima idea di cosa dire per prima: anche io, oh Cloud, sposami, perché me lo stai dicendo ora era tutti validi candidati ma proprio non sapeva che pesci pigliare.

“Oddio…” mormorò infine. Il ragazzo per un istante credette di aver sbagliato e scosse la testa.

“Scusa se ti ho turbato” disse. “Ma è una cosa che mi sono sentito di dire e…”. Non riuscì a continuare: Tifa si aggrappò stretta a lui e le spalle cominciarono a sussultare, mentre contro il torace una sensazione di umido gli diede la conferma che forse avrebbe dovuto tacere.

Era palese che l’amava: non era mai stato tipo da andare a letto con persone a cui voleva solo bene. Lui amava Tifa e gliel’aveva provato più e più volte durante il loro rapporto o almeno nell’ultimo periodo: l’ultima dimostrazione di questo suo trasporto risaliva a poche ore prima.

“Cloud…” mormorò la donna dal suo petto. “Non…non so cosa dire…è stupido lo so…ma non mi hai turbata e non devi assolutamente scusarti”.

“Tifa che hai?” chiese lui, alzandole la testa. Il volto era arrossato, le lacrime rigavano le guancie e gli occhi scarlatti erano lucidi e tremuli. Ansimava per trattenere un sorriso.

“Nulla Cloud” mormorò. “Sono solo tanto felice”. Il bacio che seguì era umido e sapeva di lacrime, ma fu bello e sentito. Si cercarono e si strinsero in un abbraccio, facendo attenzione a non separare le labbra: era quel salato che lega, quel salato che unisce, quel salato che sapeva di dolce. Tifa staccò le labbra dalle sue il tempo necessario per rispondere.

“Anche io, Cloud: ti amo anche io” soffiò. “Non immagini da quanto tempo…”. Esaurite le lacrime fu la volta del calore: si accoccolò contro di lui, contro il suo uomo ora a tutti gli effetti, e si addormentò, rifiutandosi di far sparire quel sorriso commosso: ogni cosa a suo tempo, ci avrebbe pensato il giorno dopo. Quello era il momento dei sogni, della felicità, dell’amore: i sospetti e la paura sarebbero arrivati, ma in quel momento decise che dovevano mettersi in coda.

Pochi minuti dopo toccò a Tifa guardare il cielo. Non era mai stata dedita alle preghiere: lo trovava stupido e, viste le sue esperienze, anche inutile. Dov’era Dio quando Sephiroth aveva ucciso Aerith? E quando in cielo appariva il profilo rosso della Meteor? E quando Cloud era caduto nel Lifestream? Dov’era Dio ogni volta che lo aveva interpellato, supplicandogli una mano?

In quel momento non seppe resistere e pregò. Lo fece silenziosamente, guardando il cielo: pregò per LEI, per LUI, per quel LORO appena nato. Pregò un futuro per quel LORO, una speranza, un aiuto: chiunque fosse, solo Dio sapeva quanto ne aveva bisogno. Guardò il cielo e istintivamente strinse la mano del suo uomo, fermamente decisa a godersi il tepore del suo corpo, che dal giorno dopo sarebbe stato lontano.

Tifa guardò il cielo e pregò.

Perché quel ti amo sembrava tanto un addio.


Rufus lo aspettava poco fuori Midgar accanto ad un elicottero. Cloud si presentò all’appuntamento in orario, perché la puntualità era uno dei suoi marchi di fabbrica, ma lanciò un’occhiataccia al veicolo alle spalle dell’uomo.

“Salve Cloud” salutò affabile. “In perfetto orario: mi piace”.

“Sì…” borbottò lui, smontando di sella. Rufus non fece caso alla sua riluttanza a parlare con lui e continuò.

“Ho bisogno del tuo intervento come SOLDIER” disse. “Non darti pena: è l’unico incarico che ti darò, poi potrai tornare a casa con il mio pagamento ed il curriculum impeccabile come sempre”. Cloud lo guardò, in ascolto. Odiava chiedere, ma quell’uomo sembrava odiare prendere l’iniziativa.

“Quindi…” cominciò lui, sentendosi quantomeno fuori posto. “Non hai ascoltato quando ti ho detto che ora sono solo un fattorino”.

“Così come tu non hai ascoltato quando ti ho proposto questo lavoro” ribatté l’uomo, scostandosi un ciuffo dalla faccia.

Un attimo…

Cloud fece caso ai capelli di Rufus: erano più lunghi e andavano schiarendosi. La sua pettinatura non era più impeccabile come la ricordava ma più ribelle, con alcune ciocche che ricadevano sul viso.

“Ti ho assunto per un altro lavoro, visto che non sei riuscito a portarmi le cellule di Jenova” continuò lui, come se nulla fosse. “E poi ti chiedo solo un’ultima volta nei panni del SOLDIER. Mi rendo conto che può mettere soggezione essere un First, specialmente a te che non lo sei mai stato…”.

“Se hai finito…” interruppe Cloud. “Io non sono mai stato un First, ma nelle tue file ho steso gente che normalmente addestra i Second”. Rufus sorrise sprezzante.

“Touché Cloud” disse. “Bene, vogliamo andare?”.

“Se ti aspetti che molli la moto in mezzo al deserto stai fresco” constatò il SOLDIER.

“Il fatto è che dobbiamo fare un viaggio oltremare” ribatté Rufus. “E la moto è intrasportabile”.

“Questo è un problema” annuì Cloud.

“Questo è un tuo problema” puntualizzò l’uomo davanti a lui.

“Guiderò fino a Junon e poi salirò sull’elicottero”.

“Come vuoi, basta che non perdiamo tempo: ogni secondo è prezioso”.

“Eppure stiamo qui a discutere nel mezzo del deserto”.

“Appunto: muoviti a montare sulla moto”.

Rufus aveva la sorprendente capacità di irritarlo con poche parole. Salì sulla moto e la spinse alla massima velocità: non gli avrebbe dato la soddisfazione di arrivare prima.


“Tu hai sicuramente sentito parlare di Lucrezia Crescent”: quella di Rufus non era una domanda.

“Dovrei?” mentì. L’uomo annuì, serio come non mai.

“Oh sì che dovresti” rispose. La sua voce era seria, la sua espressione grave: normalmente voleva dire guai in vista. “Era una ricercatrice, collaborava con Hojo ai tempi d’oro della Shin-ra. Mi sorprende che il signor Valentine non ne abbia mai parlato”.

“Devo dirgli di preoccuparsi?” chiese Cloud, volgendo un’occhiata al pilota: pilotava con assoluta serenità, disinteressandosi completamente ai loro discorsi.

“Perché?” chiese Rufus, attirando nuovamente l’attenzione su di sé. “Ha combinato qualcosa che dovrei sapere? Con Underground ha fatto un ottimo lavoro. Ad ogni modo, Lucrezia è la madre naturale di Sephiroth”. Cloud sapeva anche questo, ma la notizia gli procurò comunque una sorpresa che tenne celata: ancora non poteva credere che una calamità come quella di Sephiroth fosse nata come un normale bambino.

Se si poteva definire normale.

“Abbiamo scoperto che la base dei Riuniti è alla caverna in cui lei giace cristallizzata” concluse l’uomo con calma, quasi con noncuranza.

“Abbiamo?” chiese Cloud. “Tu e chi?”.

“Beh, credi veramente che i Turks fossero gli unici miei dipendenti?” chiese lui. “Il mio centro di ricerche, così come le mie spie sono operative e discretamente efficienti: prima si sono occupati della talpa, pardon delle talpe e poi si sono prodigati per trovare il rifugio. Alla fine non è stato poi così difficile”.

(Se non era così difficile, perché non l’hanno fatto prima?) pensò Cloud. (E poi, ci sono riusciti in tempi così brevi?). Rufus sembrò leggergli nel pensiero.

“La tecnologia fa miracoli Cloud” disse. “Il mio centro ricerche non ci ha messo molto ad attivare un vecchio satellite in orbita sul pianeta: abbiamo scansionato con il radar termico il pianeta ed abbiamo scoperto fonti di calore dove non avrebbero dovuto esserci: se poi aggiungi che Lucrezia è la vera madre di Sephiroth e che molto probabilmente i suoi geni sono reperibili anche da lei…beh…ci arrivi da solo o ti serve una spiegazione?”.
Improvvisamente un pizzico sul collo. Non più di una puntura di spillo, ma Cloud si sentì improvvisamente rigido. Istintivamente si volse alle sue spalle: il pilota lo stava guardando attraverso un paio di occhiali, sul volto un sorrisetto soddisfatto, ciuffi biondi facevano capolino da sotto il casco e, attraverso le lenti, due occhi verdi resi quasi fluorescenti dal mako lo guardavano divertiti.

“Rufus…?” biascicò, combattendo contro sé stesso per ogni secondo in più passato a controllare il suo corpo. L’uomo sorrise e scosse la testa.

“Beh, non potevo certo dirti dovevo portarti dai Riuniti per ricostruire la Shin-ra a partire dai SOLDIER, no?” disse, come se fosse una cosa logica. Si sporse in avanti e gli piazzò gli occhi nei suoi.

“La Shin-ra?” ringhiò lui: ormai non riusciva nemmeno più ad aprire la bocca. “I SOLDIER?”.

“Certo” annuì. “Tutti i progetti che la Shin-ra ha fatto servivano per risorgere, nel caso di tempi difficili come questo. Quindi adesso noi ricostruiremo la
Shin-ra a partire da ciò che abbiamo già: il suo braccio armato”.

“Quindi sei tu la talpa”.

“Ho paura di sì, caro mio”. Sul suo volto vi era un’espressione composta che tuttavia celava la vittoria. Decise che se fosse uscito vivo da quel casino, e l’avrebbe fatto, gli avrebbe piantato la spada nel collo alla prima occasione. Nella sua testa tutto sembrò quadrare ed esternò i suoi pensieri.

“Quindi non solo volete resuscitare Sephiroth ma volete anche clonarlo” disse. Con sua sorpresa Rufus scosse la testa.

“Sephiroth è l’ultima persona che voglio tra le mie fila” disse. “Il vecchio Sephiroth sta benissimo morto: ci ha mostrato gli errori che abbiamo commesso durante l’esperimento. Non ho bisogno di lui, ho di meglio”.

“Cioè io?” chiese. “Io dovrei sostituire Sephiroth?” Rufus sorrise senza posa.

“Cloud, tu SEI Sephiroth”.



NOTA DELL’AUTORE: Salve ragazzi. Lo so, vi avevo detto che vi avrei scritto a fine storia, ma devo fare qualche premessa e qualche precisazione: pochi minuti e poi potrete tornare a chiedervi cose come: CLOUD E’ SEPHIROTH? MA CHI E’ IL PUSHER DI ‘STO QUA???!?!?

Allora, i più attenti si saranno accorti che la storia ha avuto un’accelerata pazzesca, ma dovete perdonare questa eresia letteraria. Il fatto è che sto raschiando il fondo perché veramente non ho molte idee, essendo questo un fandom in cui non sono molto abituato a muovermi: parliamo di un’opera che ha avuto talmente tanti spin-off, prequel, sequel ed altre cose che hanno fatto guadagnare soldini a chi di dovere che devo muovermi con i piedi di piombo o va a finire che faccio casini con personaggi, tempi e cose varie.

Venendo a noi, più precisamente a me e voi tutti, ci tenevo a ringraziarvi: è una storia vagamente campata per aria, ma mi avete ampiamente dimostrato con recensioni e addirittura messaggi privati di apprezzarla veramente tanto. È una cosa veramente importante per me e sono veramente molto contento dei giudizi che ho avuto. Quindi sono seriamente intenzionato a scrivere gli ultimi due capitoli in modo che vi tengano con il fiato sospeso e che vi facciano apprezzare il mio lavoro come io ho apprezzato il vostro gradimento. Scusate il piccolo sfogo commosso, ma è una cosa che dovevo dirvi.

Non mi resta che salutarvi. Ci leggiamo a fine storia (stavolta sul serio).

Leonhard.
   
 
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