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Autore: Adeia Di Elferas    06/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Che bella idea, una cavalcata in campagnia!” esclamò Gian Piero Landriani, con una delle sue grasse risate.
 Al seguito dell'uomo c'erano Caterina, Chiara, Bianca, Piero e Lucrezia. Non era una vera e propria battuta di caccia, solo una scampagnata lontano dalla città.
 Si erano dapprima addentrati nelle campagne e poi avevano lasciato il sentiero per andare nei boschi a cercare un po' di tranquillità.
 Gian Piero smontò dal suo cavallo con uno sbuffo: “Ormai le lunghe cavalcate mi sfiancano...” sorrise, un po' impacciato.
 “Ho portato le spade da allenamento.” propose Piero, prendendo dalla sella l'involucro con un paio di armi non affilati al suo interno: “A chi va di fare due tiri?”
 Sua sorella Bianca ridacchiò, come se trovasse l'idea assurda, mentre Chiara, assorta nei suoi pensieri, non sentì nemmeno le parole del ragazzino.
 Caterina fu tentata di proporsi, ma Gian Piero l'anticipo: “Oh, figlio mio, hai in mente solo la spada! Forza, fai due tiri con me, anche se non so quanto fiato mi resta... Non sono più atletico come un tempo!”
 Così mentre i due cominciavano ad abbozzare qualche mossa di scherma, le donne si sistemarono all'ombra di un gelso, stendendo una grossa coperta sull'erba per non sporcarsi troppo le vesti.
 Bianca e Lucrezia facevano il tifo ora per uno ora per l'altro contendente, mentre Chiara osservava lo spettacolino senza entusiasmo. Caterina osservava il fratellastro e Gian Piero con occhio critico. Landriani aveva ragione: non era più atletico. Piero, invece, era molto atletico, grazie al suo fisico esile e giovanissimo, ma mancava di attenzione.
 Dopo qualche minuto, Gian Piero venne battuto definitivamente dal figlio, cadendo gambe all'aria, il volto rubizzo e la giubba bagnata di sudore.
 Piero lo aiutò a rialzarsi e chiese: “Nessun altro?”
 A quel punto Caterina non resistette più e si alzò. Lucrezia cercò di fermarla per l'angolo della sottana, forse preoccupata per lo stato interessante della figlia, ma questa si divincolò con gentilezza e allungò la mano verso il fratellastro: “Ci sono io.”
 Piero, che in fondo aspettava quel momento dall'inizio, le lanciò l'arma e le diede un momento per prepararsi. Caterina si sistemò i gonnelloni tirandoli un po' su, per aver maggior ibertà di movimento. Nessuno ebbe da ridire. In fondo era in famiglia.
 Piero cominciò a ondeggiare la spada davanti a lei, mentre Caterina restava in posa d'attesa. Il primo assalto del ragazzino fu carico di forza, ma senza logica. Colpiva e basta, mettendoci impegno, certo, ma non bastano i muscoli, in uno scontro uno contro uno.
 Caterina un po' schivò e un po' parò, mentre nella mente le tornavano tutti gli insegnamenti ricevuti da bambina.
 Quando Piero fu senza fiato, allora Caterina partì all'attacco a sua volta. Con pochi e precisi assalti, lo mise in difficoltà e lo scontro terminò con la lama spuntata della giovane contro la gola nuda del ragazzino.
 Piero era senza voce, gli occhi vagamente impauriti, il pomo d'Adamo che saliva e scendeva contro la spada senza filo.
 “Bene, direi che Caterina mi ha degnamente vendicato!” rise Gian Piero, mentre la giovane finalmente abbassava l'arma, respirando pensantelmente e lasciando Piero libero di riprendersi.
 
 Il resto della giornata passò in tranquillità. Mangiarono pane nero e salame, un po' di vino e si riposarono passeggiando o stando sdraiati all'ombra.
 Dopo la sconfitta cocente ricevuta per mano della sorellastra, Piero non accennò più a voler allenarsi con la spada.
 Caterina stava misurando a lunghi passi il perimetro dello spiazzo in cui si erano sistemati. Sfuggiva dal sole seguendo le ombre delle fronde e si sforzava di non pensare a nulla.
 Senza che se ne accorgesse, le arrivò alle spalle Gian Piero: “Avete fatto un ottimo lavoro con mio figlio, prima. È convinto di essere un ottimo spadaccino, ma secondo me ha ancora molto da imparare.”
 “È anche molto giovane.” constatò Caterina, quasi a voler difendere Piero.
 “Sì, però si esercita tutti i giorni... Dovrebbe avere risultati migliori, non credete?” domandò l'uomo.
 Caterina alzò appena le spalle e continuò a camminare. Allora Gian Piero si allacciò le mani dietro la schiena e proseguì: “Tempo fa, quando è passato al soldo di vostro zio Ludovico, ho avuto modo di parlare con Virginio Orsini...”
 Caterina puntò gli occhi in quelli di Gian Piero che rise: “Sapevo che questo avrebbe attratto la vostra attenzione! Comunque, dicevo, Orsini mi ha riferito che avete davvero preso parte a delle battaglie e che avevate pieni poteri decisionali, nella guerra tra Orsini e Colonna. Credevo che le voci fossero esagerate, ma quell'uomo mi pareva sincero. È così? Avete combattuto davvero?”
 La giovane annuì: “Sì.” si morse il labbro e poi cercò di sminuire la cosa: “Ma non mi sono coperta di gloria, ho solo cercato di restare in vita e di dare il mio apporto in merito all'uso dell'artiglieria.”
 Gian Piero le appoggiò la mano sulla spalla: “Orsini mi sembrava più entusiasta di voi, nel parlare dei vostri trascorsi militari. Parlatemi di Castel Sant'Angelo. Qui a Milano si sono dette molte cose, ma io voglio sapere la verità...”
 Inizialmente riluttante, Caterina cominciò a raccontare, cercando di tralasciare tutti gli aneddoti che la facevano ancora soffrire, come lo sguardo perso di suo marito, sul ponte, quando invece di guidare con lei la carica, l'aveva lasciata andare da sola nel cuore della città, poi, invece, il suo resoconto si fece sempre più ricco e accorato.

 Stavano quasi per andare, perchè il sole si stava abbassando a vista d'occhio, quando Caterina, ancora persa nei ricordi di Castel Sant'Angelo, venne avvicinata da Chiara.
 “Caterina – disse in fretta la sorella, prendendole una mano – ho un segreto da svelarti.” e così dicendo la prese quasi di peso e la portò un po' lontana dal gruppo.
 Lucrezia le vide allontanarsi, ma non cercò di fermarle. Da quando si era rifugiata da lei, dopo essere rimasta vedova, Chiara era distante e nervosa e forse solo una sorella sarebbe riuscita a farla tornare in sé.
 “Hai mai ucciso un uomo?” chiese per prima cosa Chiara.
 Caterina restò interdetta: “No.” poi si corresse: “Cioè, non lo so. Forse, quando sono scesa in battaglia, mentre cercavo di difendermi... E quasi per certo sono morti dei soldati anche quando ho ordinato di attaccare con l'artiglieria, ma...”
 A quel punto la sorella la bloccò, scuotendo il capo, come a dire che per lei quelle cose non valevano. Le stava chiedendo se aveva mai ucciso volontariamente un uomo.
 “Non ne ho parlato mai nemmeno con nostra madre.” cominciò a sussurrare Chiara, gli occhi bassi e il volto tirato: “Io ho ucciso mio marito.”
 Caterina restò pietrificata nel sentire quella confessione. Aveva sentito dire che Pietro Dal Verme era morto soffocandosi con la colazione...
 “L'ho avvelenato.” riprese Chiara, scuotendo appena il capo: “È stato nostro zio Ludovico a... suggerirmelo.”
 “Ah, Ludovico...” si lasciò scappare Caterina, con una smorfia, già immaginandosi quanto quell'uomo facinoroso avesse detto e fatto pur di convincere Chiara a sottostare al suo volere.
 “Non avevo scelta. Dovevo ucciderlo. Lui non mi avrebbe mai amata.” si giustificò Chiara, leggendo nell'espressione della sorella una certa contrarietà: “È difficile spiegarlo, ma... Ogni giorno era una tortura, per me. Se non lo avessi ucciso sarei impazzita.”
 A quel punto Caterina la fissò un momento e poi distolse subito lo sguardo, mettendosi a scritare l'orizzonte. In quel momento Chiara era uno specchio in cui Caterina non voleva vedersi riflessa.
 “A me piaceva.” specificò Chiara: “Io volevo amarlo. Io amo l'amore. Mi capisci? Capisci che vuol dire amare un uomo che non ti vuole?”
 “Io non ne so molto dell'amore.” rispose Caterina, a voce bassa.
 “Io voglio dei figli.” continuò Chiara, come se non avesse nemmeno sentito la sorella.
 “Se vuoi ti presto i miei.” fece Caterina, con un velo d'amarezza: “Ne ho cinque, tra poco sei. Hai solo l'imbarazzo della scelta.”
 “Sei incinta?” chiese Chiara, sgranando gli occhi e puntandoli all'addome della sorella.
 Istintintivamente Caterina si coprì la pancia con le mani: “Sì, ma non ne voglio parlare.”
 Chiara sporse in fuori le labbra e incrociò le braccia sul petto: “A chi il pane, a chi i denti.”
 
 “Come sarebbe a dire che mia nipote è in città? Quando è arrivata? Dov'è alloggiata e, soprattutto, perchè lo scopro solo ora?!” Ludovico era furibondo con il suo cancelliere, che gli aveva appena portato la notizia dell'arrivo, qualche giorno addietro, di Caterina Sforza a Milano.
 “E perchè Oliva non mi ha scritto per dirmi che era partita?!” continuò a inveire Ludovico, fuori di sé.
 Il cancelliere tentò di calmarlo, ma senza molto successo. Visto che non poteva placare il suo signore, Calco provò almeno a dargli un consiglio.
 Chinando un po' il capo, l'uomo propose: “Chiamatela a corte immediatamente. Adesso è ospite di Gian Piero Landriani. Chiamateli qui entrambi e trovate una scusa per giustificare la sua visita. Dite che è qui per vedere la madre malata, o i fratelli... In fondo Gian Galeazzo davvero non gode di buona salute ultimamente...”
 “Giusto, giusto...” farfugliò Ludovico: “Dobbiamo far credere a tutti che sono stato io a volerla qui, ma non per allontanarla dal marito o da chicchessia, ma per riavvicinarla alla famiglia d'origine. Ottima idea, ottima idea...”
 Calco fece un breve inchino: “Predispongo subito affinché vostra nipote e Landriani vengano chiamati a palazzo il prima possibile.”
 Ludovico annuì e scacciò il cancelliere con un gesto della mano. Come aveva potuto quella ragazzetta arrivare fino a Milano senza che nessuno si prendesse il disturbo di avvisarlo?
 

   
 
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