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Autore: germangirl    09/02/2016    6 recensioni
Slaughter suggerisce a Castle di smettere di chiedere permesso e di riprendersi sua moglie. E lo scrittore pare intenzionato a mettere in pratica questo consiglio ma... qualcuno si intromette.
Post 8x06 e da lì via alla fantasia
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Jackson Hunt, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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Capitolo 4 – For your eyes only

Niente.

Niente monitor, server, tastiere.

Nemmeno il tavolo che Vikram aveva utilizzato come scrivania per la postazione che aveva allestito nello stripper club posto sotto sequestro.

Il locale non porta alcuna traccia della nuova destinazione d’uso che l’analista di origini indiane, o qualunque sia la sua vera identità, le aveva assegnato.

Come se non fosse mai stato lì.

Come se quel luogo fosse rimasto il solito night club.

Come se da un momento all’altro potessero saltare fuori delle ballerine seminude pronte a strusciarsi intorno a un palo.

Il cervello di Kate lavora a ritmo serrato, cercando di processare le informazioni raccolte e prevedere le prossime mosse di Loksat e quale sia la strategia migliore da adottare, ma non riesce a giungere ad alcuna conclusione. La sua mente è al buio, proprio come quel locale illuminato solo dalle luci che indicano le uscite di emergenza. Nel frattempo, con passo felpato i due uomini l’hanno raggiunta e a loro volta si guardano intorno. Hunt fa cenno al figlio e alla nuora di non parlare e di ridurre al minimo i rumori. Ha subito realizzato che il posto è stato ripulito a dovere e teme che chi ha eseguito il lavoro abbia lasciato qualche cimice. Spera solo che non abbiano installato anche delle telecamere nascoste. Ha osservato con attenzione i posti dove lui le avrebbe posizionate e non ha notato nessuna lucetta o apparecchio elettronico, ma non può avere l’assoluta certezza che il night club sia sicuro.

Lentamente e nel silenzio più totale, i tre si avviano verso l’uscita, capitanati da Beckett, il cuore colmo di delusione. Non è questo che avevano in mente. Non è così che pensavano di portare a termine la loro missione. Persino Hunt, che sembrava sapere tutto, pare stupito dal non avere trovato niente, anche se la sua espressione rimane imperturbabile. Un pezzo di ghiaccio.

Appena fuori dall’edificio, nel vicolo su cui sbuca l’ingresso secondario, Rick afferra delicatamente Kate per un braccio per farla voltare verso di lui. Lo sguardo muto dell’uomo le chiede come sta, mentre l’espressione corrucciata della donna gli rivela che il suo cervello sta ancora elaborando quanto è appena successo.

“Torniamo a casa, Kate” le propone. “Vieni anche tu, papà” dice poi voltandosi verso di lui.

Entrambi annuiscono e poi si avviano verso le rispettive vetture, con Rick che tallona Beckett. E al diavolo la prudenza. Non ha nessuna intenzione di lasciare sola sua moglie in questo momento.

Il viaggio verso il loft inizia nel silenzio più totale, finché il cellulare di Beckett non si mette a vibrare. Dovrebbero essere abituati al fatto che qualcuno la possa cercare a qualsiasi ora del giorno e della notte, ma ricevere una chiamata proprio in quel momento fa sobbalzare entrambi, tanto che si scambiano uno sguardo sorpreso. Kate accosta la Crown e osserva il display. E’ il numero dell’assistente del Commissario capo del NYPD, quello che sta a One Police Plaza. Impossibile rifiutare una chiamata proveniente da lì. Fa cenno a Rick di tacere e schiaccia il tasto del vivavoce prima di rispondere: “Beckett.” Ha deciso di essere sincera fino in fondo con lui, anche perché l’aver visto quel velo di tristezza passargli sul volto quando ha scoperto che non gli aveva detto nulla di Rita le ha stretto il cuore e l’ha fatta sentire una carogna. Una carogna maleodorante, per la precisione.

“Capitano, la contatto per conto del dott. Bratton. Ha bisogno di incontrarla domattina alle ore 8. Puntuale” le ordina una voce femminile autoritaria.

“D’accordo” ubbidisce Kate, chiudendo la comunicazione e facendo un sospiro profondo. Quella convocazione non promette nulla di buono. Sa di essersi messa nei guai un’altra volta, di aver abusato della sua posizione e di aver utilizzato mezzi di proprietà dello Stato per un’indagine personale e non certo autorizzata. L’ha combinata davvero grossa e rischia la fine ingloriosa di una carriera rapida e ricca di successi.

Senza dire altro, Kate si rimette al volante e si dirige verso il loft. Anche se non era esattamente quello il programma che aveva per la serata, non vuole tornare a dormire nella scatola.

Quando tutti e tre raggiungono l’appartamento di Castle, Rick rompe il silenzio e domanda a suo padre: “OK, ammetto che sono confuso. Cosa è successo? Ci sei tu dietro a questa storia?”

Hunt risponde: “No, figliolo. Ma è un lavoro da professionisti e sono sicuro che nemmeno la scientifica riuscirebbe a trovare alcuna traccia. Domattina attivo i miei contatti e verifico. Adesso andate a dormire, domani faremo il punto. Il loft è sicuro, non preoccupatevi: ci sono un paio di miei uomini di guardia.” Dopo una breve pausa aggiunge: “Per ogni evenienza.”

Un profondo senso di gratitudine nei confronti del padre invade il cuore di Rick. Vorrebbe anche ringraziarlo, magari abbracciandolo, ma non sa come gestire il rapporto con lui. Senza considerare che l’ultima volta che si sono abbracciati il gesto è partito da Hunt e aveva il secondo (o primario?) fine di depositargli un localizzatore GPS in tasca. E così resta lì, senza dire o fare altro se non ripetergli l’invito a sistemarsi nella stanza degli ospiti.

Adesso sono rimasti solo loro due.

Entrambi avevano sognato di trovarsi da soli al termine di quella giornata, ma non avrebbero mai pensato che ci sarebbero arrivati con quello stato d’animo. I piani di seduzione che l’uno all’insaputa dell’altro aveva preparato sono totalmente fuori luogo adesso, tanto che nessuno dei due sa come comportarsi.

Rick si schiarisce la gola e le dice: “Ehm, Kate, non voglio rendere la situazione più complicata di quanto già sia, quindi se vuoi puoi dormire in camera di Alexis…”

“Ti dispiace se invece dormo con te in camera nostra?” gli chiede, quasi sussurrando, come se avesse paura di essere rifiutata.

In tutta risposta, Rick si avvicina a lei e la avvolge in un abbraccio stretto. Quello stesso abbraccio in cui, anni prima, le aveva detto Let me take you some place, Kate. Some place you’ll be safe. E vorrebbe ripeterle la stessa promessa, perché la sua massima aspirazione è tenerla al sicuro, proteggerla da tutti e magari anche da sé stessa. Se ha imparato a conoscerla un po’ in questi anni, sa che adesso si sta arrovellando il cervello, maledicendosi per non aver capito prima che Vikram la stava manipolando e si stava prendendo gioco di lei.

Kate si scioglie dalla presa del marito e, senza dire niente, lo prende per mano conducendolo verso la loro stanza. Ha bisogno di lui e non solo per dimenticare quello che è successo, ma soprattutto le serve un minimo di pace e di normalità. Rivuole il suo matrimonio, con annessi e connessi. Magari non proprio nell’ingresso del loft e con il suocero che dorme a pochi metri da loro, ecco. Meglio dirigersi verso l’intimità della loro alcova.

E una volta oltrepassata la soglia, le loro labbra, le loro mani e i loro sensi si ritrovano e riscoprono quella connessione che li ha uniti sin dalla loro prima volta insieme. Prima di perdere completamente il possesso delle proprie facoltà mentali, un lampo di lucidità attraversa il cervello di Rick e l’uomo si stacca dalla moglie, provocandole un mugolio di protesta come risposta, e le sussurra: “Kate, lasciati amare da me stanotte.”

Lei lo fissa intensamente e annuisce, mordendosi il labbro inferiore. Sa che quella richiesta nasconde ben altro. Avrà lui il comando stanotte ed è ben felice di lasciarglielo. E da quel momento le parole non servono più e lasciano spazio a baci, carezze, gemiti, sospiri, corpi che si riconoscono e si uniscono in un incastro perfetto.

 

La mattina dopo, Kate si sveglia all’alba, in un meraviglioso groviglio di arti e lenzuola. Dormire fra le braccia di suo marito le ha permesso di riposare meglio di quanto abbia fatto nelle ultime settimane, nonostante quello che è successo al night club e la telefonata ricevuta. A dir la verità, hanno dormito ben poco ed è stato meglio così. Hanno investito il tempo in attività assai più piacevoli di cui entrambi avevano sentito molto la mancanza. Ma adesso l’aspetta l’incontro con il Commissario.

Un incontro dal quale dipende il suo futuro lavorativo.

Per sua fortuna al loft aveva lasciato un sobrio tailleur pantaloni grigio antracite e una camicetta chiara, così può avviarsi al patibolo vestita in modo appropriato. Un serio chignon e un velo di trucco completano l’opera: ora è davvero pronta. Pur avendo saltato la cena la sera prima, e aver dato fondo alle sue energie durante la notte, la tensione le chiude lo stomaco e le impedisce di fare colazione. Prenderà qualcosa più tardi, prima di andare al lavoro. Sempre che un lavoro ce l’abbia ancora…

Appena giunta al numero 1 di Police Plaza, Beckett si presenta alla receptionist che la invita ad accomodarsi nella saletta numero 3 a piano terra. Kate si siede e poco dopo viene raggiunta da un uomo alto che indossa un completo nero, una camicia bianca e una cravatta nera. Se solo portasse anche gli occhiali da sole sarebbe un vero man in black che potrebbe stare bene in uno dei film di Will Smith. O almeno questo è ciò che avrebbe pensato Castle in quella situazione. Ormai Kate non si stupisce più di aver adottato lo stesso processo mentale di suo marito: il modo di pensare dello scrittore deve essere contagioso! Comunque, l’uomo di fronte a lei non è certo il Commissario, con cui il capitano Beckett pensava di avere appuntamento. Ma forse il capo della Polizia di New York è impegnato con casi più gravi o più importanti del suo e ha mandato un delegato. Speriamo che sia un buon segno.

L’interlocutore si presenta come John Smith.

Davanti a questo nome, così banale, il capitano Beckett solleva impercettibilmente un sopracciglio, cercando comunque di mantenere la sua collaudata poker face. Ci mancava giusto che dicesse my name is Bond, James Bond.

“So che le sembra un nome inventato, capitano” la precede l’agente, che evidentemente sa come leggere la mente e il linguaggio non verbale di chi gli sta di fronte. Nonostante la frustrazione per essere stata scoperta – mannaggia, questo è più scafato di lei –, Kate nota che l’uomo non ha né confermato né negato quel sospetto. “Ma non siamo qui per parlare di me” continua Smith, o qualunque sia il suo nome.

Poi le porge una cartellina, invitandola ad aprirla.

Il primo pensiero di Kate è che lì dentro ci sia la sua lettera di licenziamento. Sospira. Non vorrebbe lasciare il proprio lavoro. Non saprebbe cosa fare della sua vita senza essere un poliziotto, senza poter portare giustizia a chi è vittima di un crimine. Le è già successo dopo essere stata licenziata dall’FBI e non vuole ripetere quell’esperienza: non ha certo l’indole da casalinga. Allo stesso tempo, si rimprovera mentalmente perché, ancora una volta, sta mettendo sé stessa davanti al suo matrimonio e alla sua esistenza accanto a Rick. Questo è il suo vero problema e ha anche capito come affrontarlo. Ma adesso non è il momento. Basta farsi coraggio e vedere cosa il destino ha in serbo per lei in quel fascicolo.

Apre l’incartamento e scopre che, in realtà, il foglio riporta l’ordine immediato e tassativo di trasferimento per Vikram Singh dal Dodicesimo agli affari interni, per un incarico altamente confidenziale.

Ecco, questo proprio non se l’aspettava.

Beckett solleva lo sguardo dalla comunicazione, redatta su carta intestata del Commissario e debitamente siglata, e, corrugando la fronte, lo rivolge a Smith, fissandolo dritto negli occhi. Le sue iridi gridano a chiare lettere quanto sia determinata a non uscire da quella stanza senza una spiegazione.

Per un attimo i due si fronteggiano senza aprire bocca. Poi l’uomo esordisce: “Capitano, questa conversazione non ha mai avuto luogo, ci siamo capiti?”

Kate annuisce e la sua mente è attraversata dal titolo di un altro film di James Bond, For your eyes only. Com’è che in questi giorni pensa sempre a 007? Bah, ci sarà una spiegazione logica che al momento le sfugge.

“Stavamo sulle tracce di Singh, anche noto come Pawan Dahr, Udhai Khan, Hasnain Sukumar e altri alias, da tanto tempo e adesso che lo abbiamo trovato abbiamo intenzione di usarlo per arrivare a Loksat. So che la cosa interessa anche lei, ma non aveva e continua a non avere alcuna autorizzazione a continuare le sue indagini. Per rispetto alla sua carriera non proseguiremo con ulteriori accertamenti su ciò che lei ha fatto finora. Ma da adesso ce ne occuperemo noi. Senza ulteriori intromissioni, sono stato chiaro?” dichiara con un tono che non ammette smentite.

Beckett è combattuta. Nonostante il luogo in cui si trovano, una parte di lei non crede alle parole dell’uomo che le sta di fronte. Potrebbe essere un agente corrotto o un membro di quell’organizzazione potente di cui le ha parlato Hunt giusto la sera prima e che deve essersi infiltrata ovunque e fino nelle alte sfere. Però poi lui pronuncia una frase, apparentemente senza senso, che dissipa ogni dubbio.

Con quella consapevolezza, Beckett stringe la mano a Smith e guardandolo intensamente negli occhi si congeda da lui.

 

Nota dell’autrice

Non so se l’evolversi della storia sia in linea con quello che vi aspettavate… spero che sia comunque di vostro gradimento! Vikram è sparito e Beckett è stata convocata a 1PP, ma ci sarà davvero da fidarsi di quello che le dice Smith?

Grazie per avermi regalato il vostro tempo e al prossimo (e ultimo) capitolo,

Deb

  
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