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Autore: Nori Namow    09/02/2016    4 recensioni
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle Bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Ci sono bugie tanto commoventi da meritare di essere credute. - Alessandro Morandotti





Vereinbarung



Qualcosa, dentro di me, sapeva già la verità. Mi rifiutavo però di pensare che il Castello fosse come una gabbia aperta che riusciva comunque a tenere prigioniero il suo unico abitante. Abbassai lo sguardo, triste.
«Mi stai dicendo che il Castello…»
«È una specie di patto: io non me ne vado e in cambio, ogni cinque del mese, rivedo i miei genitori.» sospirò.
«Una giornata normale, con i miei genitori che scherzano, ridono, mi chiedono come sto. Come se fossero tornati da un viaggio di lavoro, pronti a passare una serata con il loro unico figlio. Come se non fossero mai morti.»
Improvvisamente, sentii il bisogno di stendermi. Senza pensarci un attimo, mi sedetti sull’erba umida per poi stendermi completamente, osservando il cielo azzurro e macchiato da qualche nuvola. Come un comando, Louis mi imitò, mettendosi accanto a me.
Ricordai la volta in cui mi chiese che giorno fosse e io, ricordandogli che era il cinque, l’osservai mentre sembrava tornare in vita.
“Andrà tutto bene” aveva ripetuto più a se stesso che a me, quel giorno.
Andrà tutto bene.
Se per lui era una cosa normale o quasi accettabile, per me era del tutto malata.
Subire per ventinove giorni una tortura psicologica, essere costretto ad allontanarsi dal mondo per vedere i propri genitori sotto forma di allucinazione, non era per nulla una cosa normale, né giustificabile.
«Ventinove giorni d’Inferno per riceverne uno in Paradiso, quindi?» domandai atona, mentre una nuvola sopra di noi si muoveva pigra, mossa dal vento. Allungai un braccio come a volerla toccare e spostare a mio piacimento.
«Non faccio altro che contare i giorni che mancano a quel momento.» sussurrò Louis, spiazzandomi ancora una volta.
Succube di una casa maledetta che si divertiva ad ucciderlo, giorno dopo giorno, con la consapevolezza che lui non sarebbe mai andato via. Un premio che valeva mille torture.
«E cosa fai, quando quel momento arriva?»
Chiusi gli occhi, udendo la sua risposta semplice e che a me incuteva terrore puro.
«Ricomincio daccapo. »
 Forse io non potevo capire il suo dolore, non del tutto. Lui aveva perso i genitori e nessuno sapeva come e perché, non aveva potuto dirgli addio, non se lo aspettava.
Sentii gli occhi riempirsi di lacrime ricordando mio nonno, venuto a mancare un anno prima. Mi mancava moltissimo e il mio non accettare la sua morte mi faceva capire quanto noi umani, nonostante siamo consapevoli della morte, non l’abbracciamo mai del tutto. Ci chiediamo perché fra tutte quelle persone sul pianeta tocchi proprio a noi dover dire addio a qualcuno d’importante. Per la prima volta mi domandai se il Castello delle Bugie avesse potuto donarmi una giornata con mio nonno, magari sentire la sua voce o la sua risata, fare una partita a carte con lui, sentirlo bisticciare con mia nonna per poi ridere. Chiunque vorrebbe un regalo del genere, tutti cerchiamo un modo per comunicare con i morti o comunque fargli sapere che non li dimentichiamo mai. Ricordai la durezza con la quale guardavo i miei parenti, e le lacrime che dopo un anno di distanza si presentavano quando meno me lo aspettavo, durante la notte. Non ero andata al suo funerale, dunque non gli avevo detto davvero addio. Mi mancava terribilmente e per la prima volta avvertii un peso sul cuore, simile a quello di Louis. Avrei sopportato mille torture per sentire mio nonno chiamarmi nuovamente “Nipotina mia”, ma lui avrebbe davvero voluto una cosa del genere per me? Se io morissi, non vorrei che le persone a me care si facessero del male per vedere una copia di me. Non ero io, avrebbero potuto mentire a loro stessi per tutto il tempo che volevano, ma quell’allucinazione non ero io.
«Cazzo Louis, quella casa ti tiene in pugno e tu non fai nulla per cambiare la situazione!» sbottai, alzandomi in piedi. Louis sembrò spiazzato dal mio improvviso scatto di rabbia, ma a me non importava. Louis era un ragazzo simpatico, che avrebbe potuto ottenere tanto dalla vita e la sprecava in una cazzo di casa solo perché una volta al mese vedeva i suoi genitori (falsi, perché erano solo delle fottutissime allucinazioni). Non sono loro, continuavo a ripetere a me stessa. Non sono davvero loro, e allora perché?
«Deike, non sai come mi sento tutti i giorni, ok? I miei sono morti quando avevo dieci anni, nessuno sa come, e io sono cresciuto da solo! Anche tu faresti di tutto per rivedere qualcuno che hai amato e che hai perso.»
L’ultima frase mi fece distogliere lo sguardo, costringendomi a puntarlo a terra come un animale che si sente in colpa. Perché io qualcuno che amavo l’avevo perso, e pensavo che la ferita si stesse cicatrizzando piano.
«Non lo sai Lou, non puoi saperlo. Tu non mi conosci.» una furia incontrollata mi costrinse a rialzare lo sguardo e puntarlo nei suoi occhi, più lucidi di prima.
«Il Castello ti inganna. Anche se i tuoi genitori sono morti, scommetto che non vorrebbero mai che tu vivessi tutto ciò. Loro vorrebbero che tu te ne andassi, che ti facessi una vita. Anche io desidererei profondamente rivedere una persona che ho amato e perduto, ma so che non sarebbe la stessa cosa, perché semplicemente è un inganno e gli inganni non possono abbracciarti.»
Stavo piangendo come una stupida, e mi sentivo un’idiota perché lo stavo facendo di fronte a Louis. Per quel giorno ne avevo avuto abbastanza, perciò mi incamminai verso la mia auto dopo aver salutato debolmente lui, e me ne tornai a casa con la vista offuscata dalle lacrime.
Essere amica di Louis comprendeva condividere il suo Inferno. Ma non glielo avrei più permesso.
Da quel momento in poi lo avrei costretto, anche con la forza, a vivere davvero.
 


Erano le quattro del mattino, quando mi svegliai a causa di un ticchettio insistente proveniente dalla finestra della mia camera.
Serrai gli occhi e mi voltai dall'altro lato, dando le spalle al rumore che sembrava non voler cessare. Cinque secondi dopo ringhiai infastidita e gettai le lenzuola all'aria, mentre il freddo mi investiva e mi rendeva ancor più suscettibile. Possibile che quel cazzo di albero in giardino doveva affacciare proprio alla mia finestra? Con passo felpato raggiunsi la finestra e la spalancai, pronta a strappare con violenza il ramo che batteva senza sosta contro il vetro.
«Muori, lurido ramo!» bisbigliai allungando le mani alla cieca, con scarsi risultati. Prima di realizzare che non c'era nessun ramo, un sassolino mi colpì la fronte, facendomi imprecare. Mi coprii la bocca, sperando di non essere stata sentita dai miei genitori e guardai in giù, vicino al tronco dell'albero, con sguardo omicida. Il lampione illuminò una figura bipede e con gli occhi azzurri, che rideva sommessamente e si scusava, nello stesso istante.
Louis era venuto alle quattro di notte e a casa mia, per parlarmi? Scesi in giardino facendo il minimo rumore, e lo fronteggiai in tutto il mio splendore, ovvero con pigiama antistupro e capelli inguardabili.
«Che c'è, Louis?» chiesi atona, fingendo di non essere incuriosita e addirittura lusingata da quel gesto. Lui si mise le mani nelle tasche della felpa, contemplando con interesse la punta delle sue Converse.
«Io voglio... Scusarmi con te. Per quello che ti ho detto oggi e... Per il sassolino in testa. Ma in particolare per quello che ti ho detto oggi!»
Non riuscii a trattenere un sorriso, e siccome un abbraccio mi sembrava troppo sdolcinato, gli diedi un pugno amichevole sulla spalla.
«Cosa ti dirà il Castello, quando tornerai a casa?» scherzai, immaginando la proiezione della nonna che lo insultava. Louis fece una smorfia buffa, poi alzò le spalle.
«Ultimamente le allucinazioni sono più cattive. Odia me, e odia anche te.»
«Be', l'odio è reciproco. Cosa ti fa vedere? In che senso, sono più cattive?»
«Oh, le solite cose che pensano tutti. Che sono uno sfigato, che non ho amici, che morirò da solo perché faccio schifo. Non ha tutti i torti, però...» Questa volta il pugno fu meno amichevole.
«Lo fa per demoralizzarti, Lou. Tu non sei così, sei simpatico, dopotutto.»
Ok, quello sì che mi metteva in imbarazzo.
«Deike, perché hai voluto diventare mia amica? Cosa hai visto, in me?»
Ci pensai un minuto buono, mentre osservavo il suo viso colorarsi di rosso ogni secondo di più.
«I tuoi occhi. Avevano una scintilla, all'interno, che sembrava stesse affogando nella sofferenza che loro trasmettevano. Bisogna salvarla, una scintilla così.» Gli sorrisi, e prima che me ne rendessi conto gli avevo stampato un bacio sulla guancia.
Se lui rimase interdetto, io rischiai il collasso e sette infarti.
«Buonanotte Louis. Domani fammi sapere cosa ti ha fatto vedere la tua tenera casina.»
 Dovevo cercare su Google un modo per sopprimere quella dolcezza che pian piano stava mettendo radici in me.
 

Quella mattina arrivai in classe giusto in tempo per non sentire la solita ramanzina del professor Morgan, che cominciava il suo sproloquio su quanto importante fosse la puntualità. Cercai con lo sguardo un posto libero, e ne trovai due: uno vicino a Zayn, quarta fila, l’altro vicino a Louis, sesta fila.
Cominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore, cercando di decidere bene e il prima possibile. Se mi fossi seduta vicino ad uno, l’altro si sarebbe sicuramente offeso. Passai lo sguardo da una sedia all’altra, Zayn che mi incitava a raggiungerlo e Louis che, dopo aver notato la mia indecisione, aveva abbassato lo sguardo sui libri.
Oh fanculo, Zayn sarebbe sopravvissuto per un giorno, non era mica la fine del mondo. Salutai il moro con un gesto della mano e andai a sedermi accanto a Louis così, come se nulla fosse, e gli sorrisi.
Lui ricambiò timidamente, poi prestò attenzione al professore ma pur sempre con quel bel sorriso stampato in faccia. Mi sentii tremendamente bene, solitamente io le persone le facevo incazzare. Finsi di non notare l’occhiataccia cupa di Zayn, i suoi borbottii seguiti dalle facce allibite della classe che solitamente lasciavano solo Louis e non lo degnavano di uno sguardo. Cominciavano a parlare, a utilizzare la loro linguaccia per fare supposizioni maligne e stupide. Ma a me non importava più, a loro non sarei andata bene comunque e con Louis condividevo un segreto che loro menti decomposte non potevano nemmeno immaginare.
 


«Mi scusi, signorina Evans.»
Alzai gli occhi al cielo e mi voltai verso Zayn, che mi guardava indifferente e con le braccia conserte. Quando mi chiamava in quel modo, voleva dire che era arrabbiato. Louis si limitò a rimanere accanto a me, senza né salutarlo, né spiccicare parola. Be’, Zayn incuteva un po’ di timore a tutti a causa dei suoi tatuaggi e dei suoi bicipiti scolpiti. Il moro guardò di sbieco Louis, come se avesse voluto fulminarlo con lo sguardo.
«Tu vattene, questi non sono affari tuoi.»
Alzai un sopracciglio davanti alla sua sfrontataggine. Eravamo amici e gli volevo bene, ma la mia vita era affar mio.
«Louis è mio amico e può rimanere qui quanto gli pare.» ribattei con un sorrisetto soddisfatto. Alcuni studenti si erano fermati e ci osservavano curiosi.
«Deike, forse è meglio se io…» cominciò Louis. Prima che riuscisse a fare un passo indietro, lo avevo già preso per la manica della felpa e costretto a rimanere vicino a me.
«Rimani qui, Louis. Grazie.»
Fu quello che fece imbestialire Zayn, glielo leggevo negli occhi scuri e furiosi.
«Che c’è, adesso sei amica degli svitati?» sbraitò verso di me, cercando di mettermi a disagio. Il mio volto era la maschera dell’indifferenza.
«Smettila di sentirti sostituito Zayn, io ti voglio bene e tu per me sei come un fratello.»
«Fratello un cazzo! Da quando frequenti questo tipo non mi degni più nemmeno di una parola. Che c’è, non sono pazzo quanto lui? Dovrebbero rinchiuderlo in un istituto di igiene mentale, e invece non solo dobbiamo sopportare la sua presenza, ma devo anche vedere la mia migliore amica che lo segue a ruota nelle sue pazzie!»
Probabilmente avrebbe voluto aggiungere qualche altra cattiveria, ma io non gli diedi il tempo. Sentii tremare Louis accanto a me, e un secondo dopo la mia mano schiaffeggiò con una forza immane il volto di Zayn. Dallo shock, il corridoio era calato nel silenzio, si udiva solo l’eco di quel gesto che voleva dire chiaramente “smettila con queste stronzate”. Il moro a causa dell’urto aveva voltato la testa e ora guardava gli armadietti alla mia sinistra. Non proferiva parola, e aveva capito che era meglio non farlo.
«Louis non è pazzo, lui è migliore di tutti voi stupidi coglioni messi assieme. Preferisco lui alle centinaia di bocche maligne che mi circondano. Oh certo, voi siete i “normali”. Ma sai una cosa, Zayn? Quelli che tu definisci normali ti voltano le spalle e non desiderano altro che il tuo male. Quando tornerai a distinguere i veri amici, potremo tornare ad avere una conversazione civile.»
Sotto lo sguardo di tutti, presi Louis per mano e lo portai fuori, non per un’uscita teatrale o chissà cosa, ma perché per un attimo, guardando i suoi occhi, avevo visto una lacrima scivolare piano.




Hellooo girls
mi scuso per il ritardo, purtroppo è iniziata la sessione invernale ed ho pochissimo tempo
per scrivere ed aggiornare. Uso questo tempo a disposizione u.u
allora, cosa ve ne pare? wow segreti svelati e deike che diventa mamma orsa aw
ovviamente non finisce qui, ci sono tante cose che non sapete (e le saprete fra
moooolto tempo muhahha)
with all the love,
@ecdisopixie


 

   
 
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