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Autore: SSJD    10/02/2016    8 recensioni
« Ἄνδρα μοι ἔννεπε, Μοῦσα, πολύτροπον, ὃς μάλα πολλά
πλάγχθη, ἐπεί Τροίης ἱερὸν πτολίεθρον ἔπερσεν »
« Narrami, o Musa, dell'uomo dall'agile mente, che tanto vagò,
dopo che distrusse la sacra città di Troia. »
Da amante delle CO storiche come sono, non poteva mancare il seguito de 'La guerra degli dei', che pubblicai giusto un anno fa...
Con questa però, mi sono voluto 'regalare' una AU persino dell'Odissea. Ebbene sì, ho osato sfidare Omero, dato che la sua trama sarà bella, avventurosa, incredibile quanto volete, ma diciamocelo... la conosciamo tutti e sinceramente... chi non si annoierebbe nel rileggerla ancora? Quindi l'ho modificata. Ebbene sì, a mio piacimento e diletto.
Molti dei fatti raccontati sono effettivamente riportati anche nell'opera originale dell'esimio poeta, soprattutto il viaggio di Ulisse (Vegeta) ma, per rendere la lettura più interessante, ho deciso di modificare giusto un attimino i personaggi e i fatti narrati.
Praticamente ho scritto una AU di una Cross-over... un delirio...
Ma fidatevi, il risultato finale... beh... a me piace un sacco...
Se non avete letto il mio primo racconto, vi invito a leggerne almeno l'introduzione, giusto per inquadrare i protagonisti.
Grazie per l'attenzione e buona lettura.
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: 17, Broly, Crilin, Zangya | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku, Goku/Vegeta, Pan/Trunks
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Mentre la nave di Trunks prendeva il largo dalle coste di Sparta, su una spiaggia lontana, i flutti schiumosi delle onde del mare si infrangevano pacifici sulla battigia andando a lambire, sporadicamente, le caviglie immobili di un uomo disteso sulla sabbia bagnata.
L’uomo, totalmente privo di abiti, di un nome e di qualsiasi cosa potesse far ricordare quale grande re fosse, giaceva lì sin dalle prime ore dell’alba, a fianco ad una sorta di catasta di legna che, nemmeno lontanamente, poteva ricordare la forma di un qualsiasi tipo di imbarcazione.
Il corpo privo di forze poteva apparire addirittura privo di vita, se non fosse stato per il lieve movimento, quasi impercettibile, che il torace involontariamente faceva, per portare aria a polmoni che ancora, evidentemente, ne richiedevano.
La pelle bruciata dal sole e seccata dalla disidratazione dovuta alla mancanza di acqua dolce, che un qualsiasi naufrago si vede costretto ad affrontare, dopo parecchi giorni in mare aperto, era segno evidente che, quell’uomo, doveva aver passato molto tempo in balia del niente che circondava le isole del mar Mediterraneo.
Approdato chissà da dove su quella terra sconosciuta, si era lasciato andare.
Aveva viaggiato, senza averne coscienza, per dieci lunghissimi anni. Ogni volta che era sbarcato su qualche nuova spiaggia lontana dalla sua amata patria, aveva perso uomini, speranze e, in ultimo, dignità. Dopo aver trascorso gli ultimi anni in balia di una dea crudele, malvagia e approfittatrice, che l’aveva torturato e costretto a soddisfare ogni suo desiderio e ogni suo piacere fisico, era finalmente riuscito a scappare. Sperava che il dio del mare e gli altri dei, che fino ad allora avevano manipolato con sadismo i fili del suo destino, lo avessero finalmente perdonato, ma anche questa volta, la speranza era stata vana.
Dopo giorni e giorni in balia di un mare ostile, era riuscito ad arrivare lì, su quella spiaggia, ancora una volta, sconosciuta.
L’ennesima delusione gli aveva fatto perdere le poche flebili speranze che ancora riserbava dentro di sé e, giungere in una nuova terra priva di qualsiasi riferimento che gli facesse intuire che fosse la sua fu la goccia che fece traboccare il vaso delle sue aspettative deluse. Così, senza più alcuna motivazione, si era disteso nell’esatto punto in cui aveva toccato terra e lì aveva abbandonato il suo corpo al destino che gli dei gli avevano riservato.
Non poteva di certo sapere, Vegeta, che la punizione divina era oramai definitivamente terminata e che, da quel momento in poi, il suo destino sarebbe stato deciso solo e unicamente da lui e dalla sua volontà di ricominciare.
Quando sentì il punzecchiare di un rametto appuntito sulla sua spalla, riuscì a malapena ad alzare lo sguardo, facendo penetrare i suoi occhi di tenebra dal sole accecante non completamente coperto dalla piccola figura dai lunghi capelli color pece, che gli si ergeva davanti, prima di svenire definitivamente, immerso nei suoi pensieri più cupi.
 
“Chi è madre? Lo conoscete?” chiese la vocina gentile di una bambina che camminava a passo svelto a fianco della giovane donna che, insieme a lei, aveva ritrovato il corpo dell’uomo.
“L’ultima persona che mi sarei aspettata di trovare, tesoro mio” rispose la donna lanciando prima un’occhiata all’uomo trasportato da due inservienti su una lettiga improvvisata e poi un sorriso teso alla bambina.
“Come si chiama?” insistette la piccola.
“Vegeta, re di Itaca” rispose la donna senza aggiungere altro.
 
“Ahhh...” si lamentò l’uomo mentre la stessa donna che lo aveva trovato, cercava di ripulire il suo corpo con un panno umido.
“Scusate, starò più attenta” gli disse a bassa voce continuando il suo lavoro.
La pelle dell’uomo era ricoperta da un’infinità di piccole ferite, oltre che quasi completamente ustionata dal sole e quella intorno ai polsi e alle caviglie sembrava distrutta da cicatrici vecchie di anni come nuove di giorni. Nel tentare di alleviare il suo dolore, alla donna si riempirono gli occhi di lacrime e, tutto ad un tratto, si ritrovò a massaggiare i suoi stessi polsi, imbambolata è immersa in tristissimi ricordi, che da anni non facevano più capolino nella sua memoria.
Poi, tornando in sé, si ritrovò a osservare il corpo dell’uomo di fronte ai suoi occhi e si chiese cosa lo avesse portato lì e, soprattutto, chi lo avesse ridotto in quelle condizioni.
Se lo ricordava bene, Vegeta: un re degno di tale titolo, distante anni luce come carattere e modi regali da quelli di altri re, una volta suoi alleati.
Immersa in questi pensieri, continuò il suo lavoro per tentare di alleviare il dolore di quell’uomo. Prese un unguento e si mise con cura e delicatezza a cospargerlo sulla pelle infuocata di lui, notando con lieve soddisfazione il rilassarsi del volto del re, via via che il medicamento proseguiva nella sua azione lenitiva.
Quando terminò, si sedette su una sedia e si mise ad attendere che lui, la persona che aveva salvato la vita a lei due volte e alla sua famiglia, si ridestasse.
Vegeta sembrava assopito solo apparentemente in un sonno ristoratore, ma la realtà era tutt’altra.
Gli incubi che lo avevano afflitto negli ultimi dieci anni tornavano a fargli visita ogni volta che tentava di riposare: mostri, demoni, maghe e soprattutto, la dea che lo aveva soggiogato negli ultimi anni del suo peregrinare, non gli lasciavano tregua.
Mai.
Nemmeno ora che, finalmente, il suo triste vagare era, forse, finito.
All’ennesima immagine della sua involontaria eccitazione afferrata dalle labbra e poi dai denti di quella strega che diceva di amarlo, Vegeta si issò dolorante, mettendosi a sedere sul letto sul quale era stato curato, gridando un inequivocabile e inquietante NO.
Si guardò attorno e vide la figura femminile, che fino a quel momento aveva atteso in silenzio il suo risveglio, avvicinarsi al suo letto.
In un gesto del tutto inaspettato, il re si ritrasse sempre di più e, prima che la donna gli fosse accanto, la supplicò:
“Vi prego...vi prego, lasciatemi in pace. Non ne posso più. Lasciatemi tornare alla mia terra. Vi supplico”
In tutta risposta, la donna si fermò e girò attorno al letto mantenendosi a debita distanza, per andare ad accostare leggermente le tende che oscuravano eccessivamente la stanza, non permettendogli di poterla riconoscere.
Dopo averle scostate e legate con estrema calma ad una parete, tramite un grosso cordone, si voltò lentamente e, non appena la vista di lui riuscì a riadattarsi alla nuova luminosità, gli fece un sorriso per poi chiedere:
“State tranquillo, re Vegeta, nessuno vi farebbe mai del male, qui. Sapete chi sono?”
Vegeta sgranò gli occhi.
Com’era possibile? Come poteva essere lei?
Gli occhi gli si riempirono di lacrime e iniziò a singhiozzare come un bambino felice che la mamma lo stia consolando. Poi, dopo interminabili minuti di commozione, si asciugò le lacrime e, tornando a guardarla negli occhi neri come i suoi, le disse solo:
“Chichi”
“Sì, sono io. Posso avvicinarmi?” chiese con molta cordialità.
“Vi prego, fatevi osservare, siete bellissima, come sempre” la invitò allungando il braccio con la mano tesa per indicarle che poteva avvicinarsi.
“E voi siete troppo gentile, con me, come sempre. Desiderate del cibo o del vino?” chiese la donna da perfetta padrona di casa.
“Io...desidero...Per favore, solo dell’acqua...ho infinite domande da porvi, potreste...voglio dire...avreste tempo per aiutarmi a capire tutte le questioni che mi tormentano?” domandò quasi imbarazzato.
Chichi prese una brocca dorata da un tavolino e versò dell’acqua in una coppa dello stesso materiale, proprio come lui aveva fatto con lei, la sera che l’aveva salvata dalle grinfie di Napa e gliela porse.
Il re bevve tutto d’un sorso per poi renderle il calice che venne riposto nell’esatto punto in cui si trovava precedentemente. Poi, gli fece un sorriso e gli disse:
“Credo che ci sia un’altra persona che desideri rispondere alle vostre domande. Per cui vi prego. Ora riposate. Vi ho fatto portare degli indumenti che spero siano della vostra misura. Più tardi, a cena, avrete tutte le vostre risposte. Ora devo andare, prima che mia figlia si inquieti. A più tardi, sire”
Fece per infilare la porta, ma lui la fermò chiedendole:
“Chichi! Solo una domanda, vi supplico”
“Dite, cosa volete sapere?” domandò lei tornando sui suoi passi.
“Vi siete presa voi cura di me?” chiese abbassando lo sguardo, come se si vergognasse di ciò che lei avesse potuto vedere.
Lei si fece cupa e si avvicinò al letto.
In un gesto del tutto inaspettato, gli diede una carezza sulla guancia ricoperta da una folta barba, soffermandosi sotto il mento invitandolo a sollevare di nuovo lo sguardo, per poterla guardare negli occhi. Quando riuscì nel suo intento, gli disse fermamente:
“Credetemi, sono l’unica persona che può capire come vi sentite. Ricordate?” chiese mostrandogli entrambe le cicatrici vecchie di dieci anni, che ancora si potevano notare sui suoi polsi, per poi concludere:
“Queste nessuno le può cancellare, ma il dolore per ciò che esse vi ricordano di tanto terribile, sì. Il tempo e la vostra amata moglie saranno le migliori cure per il vostro cuore e l’unica via per far sì che gli incubi non vengano più a disturbare i vostri sogni. Ve lo assicuro, Sire”
L’uomo non aggiunse nient’altro ad un ‘grazie’ pieno di riconoscenza, più per le parole che lei gli aveva rivolto che per le cure che gli aveva prestato.
Quando lei uscì dalla stanza, lui si riadagiò sul letto e, senza accorgersi, stremato, si riaddormentò.
 
Poche ore più tardi, mentre il re di Itaca si ridestava da un sonno non ancora del tutto tranquillo, la nave di Trunks veleggiava fiera, solcando un mare mosso, ma accogliente.
Pan se n'era stata tutto il pomeriggio a prua della nave, scrutando l'orizzonte pensierosa.
Al tramonto, ancora non si era scostata di un solo centimetro, nemmeno quando il mare si era alzato e la brezza aveva iniziato a impregnarle gli abiti di una fastidiosa salinità.
Solo quando il sole era ormai immerso per più di tre quarti in quell'orizzonte lontano, sentì una pelliccia calda e morbida coprirle le spalle scoperte.
Si voltò leggermente, solo per confermare a se stessa che stava per ringraziare la persona che immaginava fosse ancora alle sue spalle.
Si seccò molto nel constatare che non era chi si aspettava, ma per cortesia disse:
"Grazie, inizia a fare fresco"
"Desiderate altro, principessa?" chiese l'uomo cortesemente.
"No, ma...Chi vi ha mandato a portarmi questa gradita pelle?" domandò incuriosita, ma con tono indifferente.
"Il principe" rispose l'uomo di un’età indefinita e indefinibile timidamente.
Pan non fece altro che dipingersi in volto una sorta di smorfia per poi chiedere nuovamente:
"Dove si trova ora?"
"Sottocoperta, con Lapis" rispose l'uomo con lo sguardo basso.
"Oh, grazie. Potete andare" lo congedò gentilmente ricevendo in cambio una sorta di inchino sghembo dovuto alla gamba malandata dell'uomo.
Pan si rimise a guardare l'orizzonte. La breve pausa che si era presa per dialogare con quel marinaio le aveva fatto perdere il tramonto.
Alzò gli occhi al cielo, tirando qualche sproloquio poco cordiale al poco tempismo del marinaio, ma soprattutto al fatto che non fosse stato Trunks, a farle perdere quel bellissimo spettacolo.
Sentì il nervoso crescerle da dentro e, dopo aver osservato ancora per qualche secondo il mare rassegnata, si voltò e corse nella cabina che le avevano riservato per dormire. Chiuse la porta con il pesante chiavistello e si fece negare fino all'ora di cena quando, ovviamente, sentì bussare per l'ennesima volta.
"Principessa, ci fareste l'onore di cenare assieme a noi?" chiese una voce irriconoscibile, giunta ovattata a causa del grosso spessore della pesante porta.
"Andatevene, non ho fame" rispose secca lei che, di cenare con persone sconosciute, non ne aveva la minima intenzione.
"Beh, se cambiate idea, mi trovate in cabina, ceno con Lapis, fra non molto" la informò la voce.
A quelle parole la ragazza scattò in piedi e corse ad aprire: era Trunks.
Con un sorriso che avrebbe sciolto anche Darbula, il demone dallo sguardo pietrificante, le chiese:
"Qualcuno vi ha infastidito?"
"Oltre a voi?" rispose lei con aria irritata.
"Io?" domandò meravigliato.
"Mandate sempre i vostri uomini a compiere gesti di cortesia? Cos'è, eravate troppo impegnato per portarmi voi stesso qualcosa per ripararmi dalla brezza marina?" chiese scocciata.
"Avete detto che sapete badare a voi stessa, ma oltre a non essere stata molto socievole per tutto il giorno, non avete nemmeno compreso che non è molto salutare stare fuori sul fare del tramonto. Se volete godervelo appieno, domani sera, vi conviene munirvi di una pelle calda prima di passare la serata in balia del vento freddo"
"Mi state facendo la paternale?" lo sfidò lei avvicinandosi minacciosamente e squadrandolo dalle due fessure che racchiudevano il suo sguardo, dal basso verso l'alto.
Trunks alzò un sopracciglio perplesso. Quella ragazza era davvero impertinente e portava con sé una certa dose di incoscienza, se aveva il coraggio di affrontare in quel modo qualcuno indubbiamente più forte di lei.
 






NCA:  come credo tutti sappiano, Ulisse arrivò sull'isola dei Feaci (odierna Corfù) e fu ritrovato da Nausicaa, figlia del re Alcinoo e dalle sue ancelle. Lo trassero in salvo e Ulisse, dopo essersi ristabilito, raccontò la sua storia.
   
 
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