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Autore: Adeia Di Elferas    10/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Non devi preoccuparti per noi.” disse Lucrezia, con un sorriso ampio e caldo: “Resta tutto il tempo che vuoi.”
 Caterina si abbandonò contro lo schienale della poltroncina imbottita e disse: “Pensavo di restare almeno fino alla fine dell'estate.”
 Lucrezia annuì con allegria: “Sarebbe meraviglioso!”
 Anche Chiara era nella stanza con loro, ma ascoltava con una certa indifferenza quei discorsi. Le era appena stato comunicato che finalmente suo zio Ludovico aveva sistemato le trattative con il Cardinale Fregoso, promettendola in sposa al figlio illegittimo di quest'ultimo.
 Non aveva ancora detto nulla né a sua madre né a sua sorella Caterina, perchè temeva che la ritenessero una stupida a gioire tanto per uno sposo di estrazione così dubbia. A lei importava solo trovare qualcuno che finalmente l'amasse.
 “Anche io credo sia una bella idea.” disse improvvisamente Chiara, non riuscendo più a trattenersi: “Così potresti essere presente al mio matrimonio, che dovrebbe tenersi in luglio.”
 Lucrezia guardò la figlia con un misto di sorpresa e dubbio, mentre Caterina si accigliò: “Ti risposi?”
 Chiara le puntò gli occhi addosso con un'espressione significativa. Aveva confidato a Caterina di essere l'assassina di suo marito Pietro. Era comprensibile che ora sua sorella trovasse strano un secondo matrimonio.
 “Ormai è da qualche settimana che si sta lavorando a questo matrimonio. Questa volta andrà tutto bene, me lo sento.” specificò Chiara, sottintendendo molte cose, in quella frase.
 “Chi è il promesso sposo?” domandò Lucrezia, ancora incapace di credere che sua figlia le avesse tenuta segreta una cosa simile.
 “Lo chiamano Fregosino, è figlio del Cardinale Fregoso...” cominciò a spiegare Chiara, ma quando vide lo sguardo vistosamente preoccupato di sua madre, la voce le si fece acuta e non riuscì a evitare di sottolineare: “Anche io sono una figlia illegittima come lui! Non posso certo aspirare a un matrimonio importante! Mi basterebbe essere felice!” e così dicendo, scattò in piedi e uscì dalla stanza di corsa.
 Lucrezia aveva la bocca mezza aperta e gli occhi spalancati rivolti alla porta.
 Caterina poteva capire, in parte, sua sorella. Anche lei aveva fatto pensieri simili, quando l'avevano fatta sposare a Girolamo Riario. Si era detta che avevano scelto lei perchè era sacrificabile, in quato figlia nata fuori dal matrimonio.
 Forse Chiara avrebbe davvero avuto fortuna e il secondo marito sarebbe stato quello giusto.
 “Forse non avrei dovuto permettere a Galeazzo di portarvi a corte con lui...” prese a dire Lucrezia, mentre gli occhi le si velavano di lacrime: “Ci era sembrata la cosa migliore. Farvi dare il cognome degli Sforza e farvi vivere a tutti gli effetti come figli del Duca di Milano... Ma forse abbiamo sbagliato tutto... Avrei dovuto crescervi come figli di Gian Piero, sarebbe stato tutto più facile...”
  “A volte non vorrei essere una Sforza.” confessò Caterina, stringendo i pugni: “Avrei avuto una vita comunque agiata e probabilmente non sarei finita in moglie a un mostro come Girolamo Riario.”
 Lucrezia si mise una mano sulle labbra, mentre scrutava la figlia con apprensione. Le stava confermando i suoi dubbi e lo stava facendo con una franchezza che faceva un male terribile.
 “Ci sono state notti in cui ho maledetto mio padre per avermi dato la condanna del suo cognome.” continuò Caterina: “Però in ogni momento di difficoltà, il mio cognome è l'unica cosa che mi costringe a non arrendermi.”
 Lucrezia si alzò e allungò le mani verso di lei e Caterina lasciò che la madre l'afferrasse per le spalle e la tirasse a sé.

 Caterina quel giorno voleva trovare un po' di solitudine, per cercare di godersi appieno il sole d'Aprile.
 Aveva preso il cavallo e si era allontanata dalle zone più densamente abitate, fino a raggiungere le rive del Po. Da tantissimo tempo non si andava a sedere accanto a un fiume e poter rimirare così da vicino le acque che l'avevano vista bambina, le fece tornare un certo calore in petto.
 Dopo aver assicurato il cavallo a un albero, Caterina si avvicinò al Po, tirando un po' su la gonna, per evitare al terreno argilloso di sporcarla troppo.
 Non c'era nessuno, se non un paio di pescatori su una barchetta a qualche metro di distanza, verso l'altra riva. Oltre al rumore dell'acqua che gorgliava piena di vita, si sentivano solo le risate dei pescatori e il cinguettare di qualche uccello che si stava risvegliando alla primavera.
 Caterina si mise a sedere e meno di un metro dal fiume, avvicinando le ginocchia al petto. Era contenta di aver scelto un punto tanto tranquillo.
 Era passata almeno una mezz'ora e il piccolo peschereccio si era allontanato tanto da scomparire dietro una curva del corso d'acqua e così Caterina poté ritenersi finalmente in pace e solitudine completa.
 Chiuse un momento gli occhi e annusò l'aria, che sapeva di terra umida, acqua fresca e fronde verdi. Le era mancata la natura selvatica e irriverente della Lombradia. Anche se le piante e i fiumi li aveva trovati anche a Roma e in Romagna, quella era tutta un'altra storia...
 “Vi spiace spostarvi?” chiese una voce secca.
 Caterina si girò subito a cercare chi mai avesse parlato.
 Un uomo sui trentacinque con un sacco di roba sotto le braccia la stava fissando corrucciato: “Vi spiace andarvene?” chiese, ancora più diretto.
 Caterina alzò un sopracciglio: “Perchè dovrei?”
 L'uomo sbuffò e sistemò le cose che portava con sé sulla spiaggia, tra i ciuffi d'erba. Caterina osservò quegli oggetti e come prima cosa pensò che quello in cui si era imbattuta doveva essere un pittore.
 “Devo fare degli schizzi del paesaggio e non ho voglia di avere distrazioni.” disse l'uomo, levandosi dalla testa il cappello e mostrando dei capelli chiari e spettinati.
 Caterina in tutta risposta appoggiò i gomiti in terra e si mise ancora più comoda a guardare il fiume.
 L'uomo si grattò la barba e guardò a lungo la ragazza che lo stava sfidando. La trovò molto particolare. Il suo profilo gli ricordava il profilo visto in qualche dipinto, ma lì per lì non riusciva a ricordare quale...
 “Posso fare uno schizzo del vostro viso?” chiese il pittore, serio.
 Caterina pensò che la stesse prendendo in giro. Sbuffò e poi rise: “Come volete...!” e si rimise a prendere il sole, cercando di ignorare quello strano individuo.
 Dopo nemmeno un minuto si dimenticò del pittore che la stava ritraendo e tornò a occuparsi dei pensieri che la tenevano prigioniera quasi tutto il giorno.
 L'uomo prese un taccuino e del carboncino e cominciò subito a tratteggiare qualche linea, occhieggiando di tanto in tanto verso Caterina.
 Dopo poco attirò la sua attenzione e le mostrò il risultato.
 Caterina prese il blocco di appunti con una certa curiosità. Il disegno che aveva fatto quell'uomo la lasciò senza parole.
 Si riconobbe perfettamente in quel profilo abbozzato con il carboncino, tuttavia non ne fu felice. Benché le linee del volto fossero gentili e precise e l'immagine nella sua completezza fosse piacevole, l'espressione che aveva quel volto disegnato era triste e preoccupato.
 Caterina non voleva essere così.
 “Come vi chiamate?” chiese, ridando il taccuino al pittore.
 L'uomo sospirò un momento, forse deluso dal non aver ricevuto un complimento per il suo lavoro: “Leonardo.”
 “Siete di Milano?” domandò Caterina, senza prestare troppa attenzione a quello che il suo interlocutore diceva.
 “Voi?” face Leonardo di rimando.
 Caterina soffiò: “Non siete molto affabile.”
 “Nemmeno voi, mi pare di capire.” controbatté l'uomo, senza fare una piega.
 Caterina non poté fare a meno di sorridere. In realtà quel modo ruvido di proporsi non le dispiaceva affatto. E poi quel Leonardo aveva talento...
 “Sì, sono di Milano, ma non tornavo in città da dieci anni.” disse allora la giovane, decisa a mostrarsi un po' più cordiale.
 “Io sono di Vinci. Sono qui da cinque anni, lavoro per Ludovico Sforza.” contraccambiò Leonardo, facendosi anch'egli più gentile.
 Caterina sbuffò: “Ludovico...” disse piano. Possibile che suo zio c'entrasse sempre con ogni cosa? Era troppo ingombrante. Anche se era di fatto il signore di Milano, non si poteva fare un passo, in città come in periferia, senza sentirlo nominare almeno una volta!
 “Lo conoscete?” chiese Leonardo, mettendosi a sedere accanto a Caterina.
 Ella annuì lentamente: “Sì.” 
 “Avete detto di esser stata lontana da Milano per dieci anni... Dove siete stata per così tanto tempo?” indagò Leonardo, curioso.
 “Sono stata a Imola, a Roma e a Forlì.” elencò Caterina, sperando di non attirare altre domande.
 Forse avrebbe potuto rispondere in modo più generico o semplicemente andarsene, ma quell'uomo la intrigava. Aveva qualcosa, nel modo in cui si muoveva e negli occhi vispi, che l'attirava.
 “E conoscete Ludovico Sforza.” disse Leonardo, guardandola pensieroso.
 Finalmente il pittore capì che profilo le ricordava il viso di quella giovane. Gli pareva strano, ma non riuscì a trattenersi.
 Dopo essersi morso il labbro, chiese: “Siete per caso la nipote dello Sforza, quella che è arrivata a Milano da poco? Quella di cui si è parlato tanto qualche anno fa, alla morte di Sisto IV?”
 Caterina fece una smorfia. Poteva dire di no. Chi avrebbe osato contraddirla? E invece annuì.
 “Sì, sono proprio io.” ammise, senza la minima traccia di entusiasmo.
 Tanto bastò a Leonardo per farle mille domande su Roma e su Forlì e su come fosse riuscita a tenere per sé Castel Sant'Angelo mentre suo marito scappava di gran fretta a nascondersi.
 Caterina gli parl abbastanza liberamente e senza accorgersene i due lasciarono presto i discorsi pi altisonanti e cominciarono a parlare d'altro. Tra gli argomenti che toccarono vi furono le armi da guerra, di cui entrambi erano esperti, e l'alchimia.
 “Sapete, da tempo cerco un rimedio per questa piaga...” disse Leonardo, mostrandole un paio di capelli bianchi che si nascondevano in mezzo a quelli ancora del loro colore originario.
 Caterina ricordò subito di una pozione che aveva messo a punto qualche anno addietro, mentre era a Roma.
 Disse a Leonardo che poteva prendere appunti, se voleva e così lui recuperò il taccuino e si preparò a scrivere, mentre ella spiegava: “Per rendere i capelli scuri, dovete prendere il mallo di qualche noce fresca, farlo bollire in lasciva e poi bagnare il pettine. Pettinate con cura tutti i capelli e poi lasciateli asciugare al sole. Vedrete che ne resterete molto soddisfatto!”
 Leonardo la ringraziò e le promise che avrebbe provato quanto prima a mettere in pratica quell'insegnamento prezioso.
 “Cos'è quello?” chiese Caterina, indicando un disegnino che riempiva mezza pagina del taccuino del pittore.
 “Oh, quello...” fece Leonardo, scorato: “Ludovico mi ha chiesto di creare un nuovo stemma per gli Sforza. Vuole ammodernare la visibilità della famiglia, ma non ho idee...”
 Caterina osservò meglio lo stemma abbozzato dall'uomo e lo trovò molto dozzinale. Era il solito biscione che si snodava minaccioso e sibilava senza motivo. Anche se non era sua intenzione fare un favore a Ludovico, si sentì coinvolta, visto che quello sarebbe stato il nuovo stemma della sua famiglia d'origine, per cui cercò di pensare a come avrebbe voluto che fosse quel disegno.
 “Perchè non due vipere sulla croce di Sant'Andrea?” propose Caterina, colta da un'ispirazione improvvisa.
 Leonardo aggrottò la fronte e prese il necessario per disegnare. Fece un rapidissimo bozzetto e lo propose alla ragazza. Era decisamente meglio del primo tentativo.
 “Potrebbe andare, non credete?” fece la giovane, sorridendo.
 Leonardo fece segno di sì col capo e promise: “Lo sottoporrò al giudizio di vostro zio. Se l'idea gli piacerà, ci lavorerò sopra e gli dirò che siete stata voi a...”
 “No, vi prego, non dite nulla del genere a mio zio. Non voglio avere nulla a che fare con lui.” lo bloccò Caterina.
 Leonardo sospirò. Quanto trovava curiosa quella donna...!
 “Come preferite.” concesse.
 Poi guardò il cielo che si stava facendo roseo, malinconico. Si stava avvicinando il tramonto e non se n'era reso conto. Ma quanto tempo avevano passato a conversare?
 Anche Caterina si accorse in quel momento che si era fatto tardi. Si tirò in piedi e si tolse un po' di argilla dalla gonna con qualche colpo di mano.
 “È stato un piacere conoscervi.” disse a Leonardo: “Ma si è fatto tardi e potrebbero chiedersi che fine ho fatto. Non voglio far preoccupare nessuno...”
 L'uomo chinò un po' il capo e la salutò: “Anche per me è stato un piacere parlare con voi. Spero di rivedervi, un giorno.”
 Caterina gli sorrise e andò a liberare il cavallo. Si sentiva più leggera. Poter finalmente confrontarsi con qualcuno che la capiva e che aveva i suoi stessi interessi era stato così rilassante...
 Mentre montava in sella lanciò un ultimo sguardo al pittore, che la salutò con un gesto della mano.
 Leonardo aspettò che la giovane fosse lontana per ritornare a sfogliare il taccuino.
 “Mallo di noce... Come ho fatto anon pensarci?” sussurrò da solo, scuotendo la testa divertito.
 

   
 
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