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Autore: Lady Stark    10/02/2016    1 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter VI 

Nel giro di mezza giornata, il fortino si era trasformato in un vero e proprio diamante.

Gli affusolati corridoi erano stati decorati con nastri e fiocchi color panna; al centro di ciascuno di essi, c'era una pallina di vetro che brillava di luce propria. Dal soffitto, pendevano lucidati candelabri a quattro braccia sulle cui sommità spiccavano piccoli scrigni di cristallo simili a lacrime di gigante. Len camminava lentamente, sfiorando con la punta delle dita il mobilio tirato a lucido.

La giacca elegante, decorata sui pettorali con due medaglie al valore, perfettamente si adattava alle sue spalle larghe.

Con l'approssimarsi dell'ora decisiva, l'agitazione era schizzata alle stelle.

Gli organizzatori sbraitavano ordini a destra e sinistra, indicando piatti opachi, specchi che non splendevano e qualsiasi minuscolo dettaglio fuori posto.

Servi, cameriere e domestici sciamavano nei corridoi, simili a tante formiche vestite di nero e bianco.

Finalmente, dopo dieci minuti di passeggio, Len raggiunse il salone in cui si sarebbe svolta la serata. Abbacinato dalla ricchezza degli ornamenti, l'ufficiale si fermò in corrispondenza dello stipite per ammirare il magico gioco di luci e tinte.

Malgrado la sala non fosse propriamente aggraziata, l'organizzatore era riuscito a mascherarne la goffaggine, trasformarla in una vera esplosione di finissimo lusso e gusto.

I tre lampadari di vetro erano stati meticolosamente lucidati e, come piccole stelle, sembravano emanare luce propria.

Un nastro di raso pendeva nello spazio vuoto presente tra le lumiere, luccicando ogni qual volta un refolo di vento l'agitava. Nella stoffa erano stati incastonati tanti minuscoli pezzi di vetro, nel desiderio d'imitare un incendiato cielo stellato.

Lungo le pareti della stanza, erano stati posizionati tavoli imbanditi di cibo di ogni forma, colore e dimensione. Tacchini dalla carne dorata si alternavano a filetti di carne rossa coperta di spezie dall'odore inebriante. Al loro fianco spiccavano poi piatti ricolmi di verdure arrosto e torreggianti pile di pane bianco, la cui preparazione era stata completata appena un'ora prima.

La zona riservata ai dolciumi era ancora più variopinta. Decorate torte a piani davano mostra di sé su ampi vassoi d'argento, guarnite con chicchi d'uva rossa e bianca.

Piccoli scrigni di crema e marmellata imbandivano l'altra metà del tavolo assieme ad altrettante fettine di frutta esotica.

Tutto era perfetto.

Per l'occasione, in fondo alla sala, era stata montato un palco di legno sui cui svettavano cinque o sei sedie, preannuncianti l'arrivo del gruppo musicale.

Alcuni invitati arrivati in anticipo vagavano per la sala, stringendo tra le dita calici ricolmi di bollicine. Una donzella dai neri capelli raccolti stava osservando di sottecchi il nuovo arrivato, evidentemente annoiata dalle chiacchiere del vecchio seduto accanto a lei.

Due camerieri canuti stavano in piedi al fianco dei tavoli, rigidi come statue.

Sull'avambraccio portavano un bianco tovagliolo di servizio che perfettamente si adeguava alla camicia sotto la giacca nera.

Nel vedere quegli impettiti pinguini vestiti di scuro, Len non poté far a meno di ridacchiare.

«Ragazzi, lasciatevi dire una cosa..» il giovane si affiancò ad uno dei due servitori, accostando il viso al suo orecchio. «Non siete delle sculture, potete respirare..»

Il domestico chinò il capo, scoccandogli però uno sguardo chiaramente infastidito.

«Len! Vieni qui, voglio presentarti il nostro rispettabile amico.» tuonò con un sorriso il suo superiore, muovendo la mano per richiamarlo a sé.

Len non poté far a meno di restare deluso di fronte al tanto noto ex-reggente.

Questi, era un ometto tarchiato che da qualche anno abbondante aveva sorpassato i sessant'anni. Perlopiù, era vestito male, con una giacca tanto consunta dall'uso da avere dei buchi sfilacciati in corrispondenza dei gomiti e dei polsini.

I filamentosi capelli che ancora si aggrappavano alle sue tempie erano disordinatamente pettinati indietro, per coprire l'imbarazzante calvizie.

«È un onore conoscerti, grande condottiero.»

Il ragazzo strinse cordialmente la mano al governante, trovandola disgustosamente umida di sudore. Un brivido gli morse la carne, facendogli drizzare i capelli sulla nuca.

Che cosa gli stava succedendo? Dov'era finito il suo autocontrollo?

Nel corso della sua esistenza aveva incontrato uomini molto più repellenti di quello e non si era di certo comportato come una ragazzina insicura.

«Onore mio.»

«Le piace l'organizzazione?» L'ometto scoprì i denti in un una specie di grottesco sorriso.

Len cercò di imbrigliare i propri pensieri e, guardandosi attorno, annuì con enfasi nella speranza di risultare sufficientemente cordiale.

«Ah! Le ho preparato questa, esattamente come aveva richiesto!» girandosi in direzione della piccola borsa che portava alla cintola, l'uomo ne estrasse una maschera.

Era nera, adornata ai lati con un semplicissimo motivo serpeggiante.

«La ringrazio per la premura.»

Un momento d'imbarazzante silenzio calò su di loro, simile ad una barriera invisibile. Cercando di trovare uno spunto di conversazione, i loro sguardi rimbalzarono tra i tanti e più interessanti dettagli della sala. Len non si era mai sentito così a disagio in presenza di un uomo.

Lui ed il capitano avevano conquistato molte città ma, in nessuna di esse, i vecchi regnanti avevano cercato di mettersi in contatto con loro.

Quell'ambiguo e pacifico incontro tra vecchio e nuovo potere non lo faceva stare tranquillo.

Era passato appena un mese dal giorno dell'assedio ma l'uomo sembrava assolutamente tranquillo, indifferente all'esproprio subito.

Poteva davvero esistere un governante del genere?

«Sapete, questo palazzo è appartenuto alla nostra stirpe per due generazioni. Non è bellissimo?»

Il capitano annuì, rivolgendo il capo verso le volte affrescate e cesellate.

«Un edificio tanto raffinato è ben difficile da trovare.»

«Opera dell'esperta mano dei più grandi tagliapietre della regione.» l'uomo gonfiò il petto con orgoglio; i bottoni del vestito si tesero pericolosamente sul ventre gonfio, minacciando di scoppiare.

In quel preciso momento, le trombe cominciarono a squillare a festa, annunciando il tanto atteso arrivo degli invitati.

«Finalmente ci siamo!»

«Hai contattato tutti coloro che avevo segnato nella lista?.»

L'uomo si inchinò all'anziano in modo orrendamente servizievole. I bottoni della giacca vennero nuovamente messi alla prova da quel gesto azzardato.

«Sì, signore. Esattamente come lei aveva ordinato.»

Il comandante, indubbiamente soddisfatto, abbandonò il mellifluo governante per dare il benvenuto ai propri ospiti.

«Un uomo tutto d'un pezzo, non c'è che dire.» commentò dopo qualche secondo scoccando un'occhiata d'intesa all'ufficiale che, senza rispondere, si allontanò.

Len aveva deciso di non concedergli più confidenza del necessario.

Mentre vagava tra i tanti volti conosciuti, scambiando qualche rapida stretta di mano, una voce tonante lo richiamò. «Buonasera, ufficiale.»

«Louis! Qual buon vento ti porta qui?»

L'individuo che era apparso alle spalle del ragazzo era enorme, grande quanto un credenza.

I vestiti che indossava sembravano sul punto d'esplodere, tesi sui muscoli taurini delle spalle e del collo, coperto dal colletto alto.

La stoffa riusciva a nascondere solo parzialmente le deturpazioni lasciate dalle ferite di guerra.

«Come potevo perdermi una festa di questo calibro?» rispose l'altro, raccogliendo l'ambiente circostante con un ampio gesto delle braccia.

Il moncherino della mano destra ondeggiò, ricordando al giovane lo spaventoso assedio avvenuto tanti anni prima. Quel pomeriggio, a causa del sangue versato, il terreno si era fatto scarlatto.

Lui stesso era sopravvissuto per un puro miracolo. A causa di una sua disattenzione, un balestriere l'aveva individuato conficcandogli quattro frecce nella schiena.

«O meglio: come perdersi la possibilità di ubriacarsi anche questa sera?»

«L'alcool è una musa a cui non si può dire di no.» rise, dandogli un colpetto sulla spalla.

Dal momento in cui aveva perso l'uso della mano, Louis era stato costretto ad abbandonare il campo di guerra per dedicarsi alla noiosa e sedentaria amministrazione dei territori conquistati.

Tra i vari delegati che il comandante aveva scelto, lui era di certo il più simpatico.

«Come se non bastasse, c'è sempre la speranza che una bella ragazza desideri ballare con me.»

«Non ci sperare, amico mio!» Len scoppiò a ridere, guardandosi attorno.

Con il sopraggiungere degli invitati, la stanza si era felicemente animata.

L'alcool stava iniziando a scorrere nei bicchieri, riempendo le loro pance di vetro. Malgrado la musica fosse assente, lo spumeggiante scoppiettare dei tappi intesseva nell'aria una melodia universalmente gradita.

«Gli alcolici sono in grado di compiere veri e propri miracoli. E, tanto per rimanere in tema, vado a versarmi un bicchiere.» Louis mise in mostra i denti storti, macchiati a causa del tabacco scadente che si ostinava a comprare. L'ufficiale rifiutò cortesemente l'invito, avviandosi verso il bancone dove erano esposte le numerose portate. L'aroma ridestò il suo appetito ma prima di poter richiedere una porzione di tacchino, un paio di mani si chiusero con delicatezza attorno al suo avambraccio.

«Ufficiale! Ma quale delizioso piacere incontrarla qui.»

Quando il suo cervello riconobbe quell'inconfondibile timbro vocale, Len avvertì un brivido scivolargli lungo la schiena. Non voleva, né poteva credere alle sue orecchie.

«Lady Karinne.. qual buon vento.» la sua voce suonò terribilmente falsa, proprio come il sorriso che gli increspò gli angoli della bocca.

La fanciulla era una delle creature più belle che il ragazzo avesse mai avuto il piacere di ammirare. I lunghissimi capelli rossi erano stati arricciati con un ferretto e poi fermati sulla nuca in uno chignon ribelle. Una tiara di perle tratteneva la folta frangia che, altrimenti, sarebbe ricaduta sulla sua fronte. L'abito da sera che indossava era un autentico gioiello fatto di ricami e pizzi, probabilmente realizzati dalla sarta più costosa in circolazione. A differenza di molte sue coetanee, Karinne non era stupida; era un piccolo aspide i cui denti si nascondevano dietro un sorriso innocente.

Ma, pensando a che genere di donna era sua madre, Len non si meravigliava del fatto che la ragazza avesse ereditato quella venefica acidità.

«La mia famiglia è stata cordialmente invitata a partecipare. Non potevo perdere la possibilità di incontrarla.» affondando le unghie nel suo braccio, la ragazza si strinse a lui mettendo così in evidenza il vertiginoso scollo del vestito.

«Lady Camille è qui?» Per un attimo, il ragazzo credette d'essere sul punto di vomitare.

Len individuò la posizione della dama prima ancora che la figlia potesse indicargliela. Contornata da un ventaglio di nobildonne, lady Camille stava raccontando con enfasi un aneddoto che presumibilmente la vedeva come protagonista.

«Dato che è passato così tanto tempo, perché non andiamo a scambiare due chiacchiere da qualche parte? Magari in un luogo più..» Karinne si trattenne e, a completamento della frase, scoprì i denti in un'espressione maliziosa.

«Mi dispiace doverla deludere, ma ho qualche faccenda da sbrigare.» senza essere scortese, il giovane allentò la presa della fanciulla. Anche se disappunto era il cocente, la fanciulla chinò il capo per salutarlo e se ne andò facendo frusciare la gonna.

Quando fu sufficientemente lontana, Len tirò un sofferto sospiro di sollievo. L'inaspettato arrivo di Karinne l'aveva turbato così tanto da renderlo estraneo a tutto ciò che gli succedeva attorno.

I musicanti erano arrivati; le loro frizzanti melodie rallegravano l'aria, accompagnate dall'intenso cicaleccio degli invitati. Un'altra ondata di persone aveva varcato la soglia di ingresso, amalgamandosi al flusso di coloro che già approfittavano del generoso buffet.

«Signore, desidera un po' di vino speziato?»

Un cameriere gli passò accanto, mostrandogli un vassoio rotondo in cui erano stati disposti una decina di calici. Len avvertì lo stomaco ritorcersi su sé stesso nel momento in cui l'aroma del liquido gli sfiorò il viso. Scuotendo la testa mandò via il domestico che, impassibile, passò ad una coppia di nobili anziani seduti poco più in là.

«Non ti vedo particolarmente felice, amico mio. Non hai toccato neanche una goccia di alcool!» Louis gli circondò le spalle con un braccio e, rovesciando la testa all'indietro, catturò con la lingua l'ultima goccia di vino depositata sul fondo del bicchiere.

«Tu sei già ubriaco, invece.» la puzza emanata dall'altro rischiò di farlo star male.

«Io? Ubriaco? Quando mai!» l'uomo, ridacchiando, barcollò avanti afferrando la mano d'una servetta che reggeva tra le braccia una cesta di panini appena sfornati.

Prima che potesse cadere, Len afferrò il paniere guardando divertito la ragazzina che, imbarazzata, cercava di seguire al meglio i passi di Louis.

Sospinte dall'entusiasmo dei due ballerini, altre coppie trovarono finalmente il coraggio di lanciarsi in pista, abbandonando i calici ai parenti o vicini.

Nobiluomini e dame di tutte le età cominciarono a volteggiare, facendo così svolazzare i lembi dei propri vestiti. Len si allontanò giusto in tempo per evitare d'essere calpestato da quel vortice caleidoscopico di ricami e merletti.

Se c'era una cosa che ai balli non la smetteva mai di affascinarlo era proprio quell'incalzante rincorrersi di visi e sorrisi che sembrava non avere mai fine. Una volta catturati dal ritmo della musica e dal ticchettio dei passi sul marmo lucidato, era pressoché impossibile distogliere lo sguardo. Gli artisti, coinvolti dal trasporto dei ballerini, stuzzicarono con ancor più enfasi le corde dei propri strumenti.

Come per magia, le maschere erano apparse sui visi degli invitati, nascondendone gli zigomi e parte della fronte. Alcune di esse erano particolarmente semplici mentre, altre, erano realizzate attraverso un magnifico intreccio di tessuto e perle. Len scorse nella folla il baluginio dei capelli fiammeggianti di Karinne e, subito dopo, il viso sorridente del suo comandante.

L'anziano stava ballando con una fanciulla giovanissima che, a giudicare dal sorriso, era indubbiamente intenzionata a stregarlo. In lontananza, gli occhi rapaci di una donna a lui sconosciuta, seguivano attentamente tutte le mosse della ragazza.

Len conosceva perfettamente quello sguardo bramoso che centinaia di volte aveva visto replicato in occhi di madri diverse.

Le iridi, per quanto potessero essere differenti nel colore e nella forma, utilizzavano un linguaggio universale, comune a tutti gli uomini. Ridacchiando tra sé, la dama si aggiustò i capelli e controllò che la scollatura fosse ben in vista, pronta ad attaccare la preda inibita.

L'ufficiale distolse lo sguardo, nauseato.

In quel mondo avido e corrotto, i freni inibitori delle persone erano ormai scomparsi.

Virtù, purezza e semplicità erano stati contaminati dalla brama di denaro e titoli nobiliari.

La prole stessa era stata assoggettata a quel vile intento: una figlia era una carta da sfoderare per acquisire più ricchezza possibile; un figlio, invece, la garanzia per un futuro di fama ed effigi altisonanti.

Ovunque si girasse, Len non scorgeva altro che quell'ossessivo desiderio d'ottenere sempre di più, a costo di sacrificare la felicità di qualcun altro. A differenza di ciò che la gente credeva, l'ufficiale non aveva mai ambito a quell'aurea ricchezza che tutti decantavano.

All'epoca, si era arruolato seguendo ciò che il cuore gli aveva consigliato.

Aveva davvero creduto nella sua patria e nella necessità di combattere per difenderla. Per spingere avanti quegli ideali che gli infiammavano il cuore, aveva combattuto come un leone, scalando e sorpassando tanti suoi commilitoni più anziani.

Con sudore e fatiche inenarrabili aveva raggiunto la vetta, entrando nelle grazie del comandante che, tutt'ora, stringeva il supremo scettro del potere.

Poi, dall'alto della posizione raggiunta, si era reso conto dei chilometri di terra bruciata che lo circondavano.

I suoi ideali si erano rivelati pallidi fantasmi; la nazione per cui aveva versato il proprio sangue non era altro che un ammasso di ipocriti, smaniosi di soverchiare i vicini ed accaparrarsi le loro ricchezze. Lo stesso comandante, che lui aveva così a lungo venerato, era un calcolatore; un uomo di cui non ci si sarebbe mai dovuti fidare.

Sfortunatamente, erano passati anni interi prima che la maturità gli permettesse di comprendere tutto ciò. Non si sarebbe mai dimenticato il giorno in cui la consapevolezza aveva strappato il velo che occultava il suo raziocinio.

Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a sentire nell'orecchio le parole sussurrate del comandante e le timide mani di Karinne che si serravano sulle sue spalle.

Da quella sera, non era più riuscito a guardarsi allo specchio senza provare un forte senso di vergogna.

Spezzando l'innocenza di Karinne, l'ufficiale aveva tradito sé stesso.

Con una sola azione, aveva calpestato tutto ciò in cui aveva creduto per anni.

Dopo quella notte, dunque, il suo cuore si era tramutato in un pezzo di carbone nero, insensibile a qualsiasi stimolo esterno.

La musica terminò e, con essa, si interruppe anche il frenetico ballo.

Una cascata di applausi si riversò sui danzatori che, accaldati, stavano abbandonando il centro della sala alla volta dei propri calici.

«Com'è possibile che un uomo tanto attraente sia solo, al centro di una sala così gremita di gente?»

Len si voltò, trattenendo a stento uno sbuffo annoiato.

In quel momento, non era di certo dell'umore adatto per flirtare.

Ma, non appena i suoi occhi colsero lo sfavillio inconfondibile di quei ricci, l'ufficiale comprese d'essersi sbagliato.

Un sorriso commosso gli arricciò le labbra, incenerendo tutti i pensieri negativi che sino a quel momento l'avevano incatenato.

«Stavo attendendo la donna giusta.» sussurrò.

«E l'ha trovata?» la gonna di petali frusciò sul pavimento, disperdendo nell'aria un effimero aroma di rose selvatiche. Le perle finte, che le avviluppavano le braccia, emanavano sfavillii più intensi di quelle reali.

Sorrise e tese la mano al gentiluomo che, chinandosi in avanti, ne sfiorò il dorso con le labbra.

Rin indossava lo stesso abito della sera in cui si erano conosciuti; il viso era coperto da una semplicissima maschera di tessuto intrecciato, probabilmente ricavata a mano.

Le imperfezioni nelle trame non potevano però che rendere ancora più unico lo sforzo ed il pericolo a cui la giovane si era esposta per infiltrarsi alla festa privata.

Per un momento, l'uomo avvertì la folle brama di baciarla lì davanti a tutti, incurante degli sguardi delle persone che li circondavano.

«Sì, l'ho finalmente incontrata.»

Le braccia dell'uomo circondarono la vita di lei che, stringendosi alle sue spalle, gli appoggiò la fronte contro il petto.

Quel gesto, ricolmo di una silenziosa tenerezza, contribuì a scacciare l'asfissiante bagaglio dei suoi ricordi.

Depositando il mento tra i ricci della ragazza, Len si abbandonò all'illusione d'essere un semplice cittadino il cui passato era un lenzuolo privo di macchie.

Per un attimo, immaginò di stringere tra le braccia la donna della sua vita; sua moglie.

Il senso di pace che lo invase fu tanto piacevole da condurlo sulla soglia del pianto.

«Ti ho aspettata per così tanto tempo.» sussurrò.

Rin si strinse più forte a lui e, le persone presenti in sala, sembrarono svanire nel nulla.

 

   
 
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