Beau
foxworth
Maestro
Beau
Foxworth lasciò cadere il braccio lungo il
fianco, la testa reclinata all’indietro e un sorriso felice che gli
illuminava
il viso. Respirava affannosamente, con le dita che stringevano la
spada,
desiderose di correre al fianco dolorante ma trattenute al loro posto
da un
orgoglio spavaldo.
Eppure
Beau sorrideva apertamente, sentendosi
colmare da una grande soddisfazione euforica. Erano mesi che non
riusciva a
sentirsi così dopo un allenamento. Ripeteva ogni giorno gli esercizi di
scrima
con impegno, dedizione e la testa piena dei sogni che per tutta
l’infanzia
aveva creduto dovessero rimanere irrealizzati. Ma
allenarsi con sir Martewall era
completamente diverso dal seguire le lezioni dei soldati di Chatel
Argent,
sebbene Beau apprezzasse oltre ogni misura tutto ciò che il suo signore
Jean de
Ponthieau faceva per lui, anche attraverso le azioni dei suoi famigli.
In
realtà, Beau pensava che sir Martewall, e i suoi
insegnamenti, fossero diversi da chiunque e da qualunque altra cosa.
«
Non dovresti essere così stanco. »
Il
commento freddo del maestro arrivò alle orecchie
del ragazzino come una secchiata d’acqua gelida. Di colpo sentì tutto
il
piacevole senso d’appagamento scivolargli via dalle ossa, ed esitò un
istante
prima di compiere un mezzo giro su se stesso per guardare Martewall con
una
preoccupazione strisciante che cercò di nascondere senza successo.
Cercò
freneticamente qualcosa da dire sotto il suo
sguardo freddo e indagatore, ma Martewall lo precedette.
«
Ti ricordo che nessuno dei tuoi possibili futuri avversari
ti concederà mai di riprendere fiato per tutto il tempo che ti serve.»
aggiunse
il cavaliere, sciogliendosi dalla sua posa a braccia conserte per
avvicinarsi a
lui con la spada ben salda nella mano.
Beau
si chiese per un attimo, con un mezzo gemito,
se, per caso, Martewall stesso fosse diventato uno dei suoi nemici.
Non
ce la faccio,
pensò, ma alzò ugualmente il braccio
armato con il fianco ancora percorso da fitte dolorose, i muscoli
rattrappiti
che non rispondevano bene ai suoi comandi.
La
spada sembrava molto più pesante di prima.
E
anche il modo in cui Martewall lo guardava. Beau
sentì lo stomaco contorcersi al pensiero di aver deluso le sue
aspettative.
Abbassò
istintivamente gli occhi. Voleva dimostrare
a Martewall tante cose. Il suo valore, la sua determinazione, il suo
coraggio,
il fatto di essere diventato, oramai, un uomo.
Ma
per quanto tentasse di ignorarla, la
consapevolezza di essere troppo debole per farlo lo coglieva sempre
all’improvviso e gli mozzava il fiato. E pensava che il barone, più di
chiunque
altro, fosse difficile da accontentare, e che riflettesse questo
comportamento
anche su se stesso.
Ormai
l’ombra di Martewall incombeva su di lui. Beau
alzò lo sguardo solo un momento, per osservare con invidia, timore e
ammirazione
i muscoli agili del signore sotto la camicia nera, i suoi capelli un
po’
ribelli e la fronte naturalmente ancora asciutta.
«
Mi dispiace, signore…» mormorò il ragazzo, non
riuscendo a trovare altro da dire.
Non
sapeva come scrollarsi di dosso quell’amaro
senso di ingiustizia. Per tutto quel tempo aveva pensato davvero di
essere
migliorato molto, e di essersi impegnato a fondo per riuscirci. Aveva
ricevuto
le più sincere congratulazioni dai soldati di Chatel Argent e anche del
conte
Jean Marc, di cui non avrebbe mai scordato il sorriso orgoglioso che
gli
rivolgeva ogni volta che Beau lo osservava dopo un allenamento, sfinito
ma
felice. Gli era sembrato già abbastanza difficile guadagnarsi il suo
apprezzamento, sebbene il Falco fosse sempre gentile e incoraggiante,
almeno
fino a che Beau non combinava una delle sue bravate, facendolo
preoccupare.
Tutto
quello che aveva conosciuto in quei mesi di
addestramento da scudiero non aveva nulla a che vedere con Martewall.
Con le
sue parole dure, la soggezione che incuteva la sua intera figura e il
suo
sguardo chiaro, la sua perenne insoddisfazione.
«
non ti scusare. » gli ordinò Martewall, fermo. Si
allontanò di qualche passo e si voltò di nuovo con un movimento
elegante e
silenzioso. Incrociò la lama con quella di Beau, che si vide costretto
a
stringere i denti e la presa ed alzare il braccio che non si era
nemmeno
accorto di aver lasciato cadere.
Beau
si ritrovò a dover parare i suoi potenti affondi,
con la spiacevole consapevolezza che Martewall avrebbe potuto mandarlo
a gambe
all’aria in un battito di ciglia, se solo avesse voluto. L’ultima
stoccata fu
più veloce delle altre, Beau si rese conto di aver indietreggiato per
molti
passi e quasi non riuscì a vederla arrivare, col cuore che pompava a
ritmo
serrato e che gli mozzava il fiato. Alzò la spada all’ultimo istante,
nemmeno
lui sapeva come, e dopo non riuscì a fare altro che mettersi al riparo
prendendo qualche passo di distanza, l’arma alzata di fronte a lui.
«
Dimostrami che mi sono sbagliato. » disse Martewall,
con la sua calma perentoria.
Dubito
che qualcuno potrebbe mai riuscirci, pensò
Beau con una
smorfia.
Martewall
lo osservò mordersi il labbro per qualche
istante senza impensierirsi davanti al suo respiro accelerato. Beau
aveva la
gola secca e le gambe che minacciavano di non sorreggerlo più da un
momento
all’altro, ma aveva capito che il barone non lo avrebbe lasciato andare
via
fino a quando non avesse fatto qualcosa che gli fosse piaciuta almeno
in parte.
E
quel momento poteva anche non arrivare mai.
Beau
tossì e si asciugò la fronte, alzando ancora la
spada.
Era
la terza volta che Martewall non gli lasciava il
tempo di riprendersi dalla sorpresa del vedere i movimenti guizzanti e
fulminei
del suo braccio armato. Era la terza volta che Beau finiva con la sua
spada
puntata al petto, perché non era stato abbastanza pronto di riflessi
oppure
aveva dimenticato di difendere una parte scoperta del suo corpo,
ritrovandosi a
dover agire quando già era troppo tardi.
Beau
squadrò il suo maestro con uno sguardo
determinato.
Non
riusciva a capire il suo modo di combattere. Non
sembrava seguire schemi rigidi, eppure quando gli dava indicazioni
voleva che
fossero rispettate alla lettera, e il ragazzo si accorgeva allora che
nei suoi
movimenti sciolti c’era una grande esperienza tecnica. Ma anche se
Martewall
diceva di essersi allenato con gli stessi esercizi che faceva ripetere
all’allievo, nessuna delle sue mosse era minimamente prevedibile. Beau
non
riusciva a capire in anticipo da che parte sarebbero arrivati i suoi
fendenti,
né la traiettoria esatta delle mezze lune che disegnavano nell’aria.
Scostò
la spada del maestro con la sua, con uno
sferraglio metallico, e a Martewall non servirono altri segnali.
Ricominciò a
tempestarlo di fendenti veloci, e Beau allora decise di prendere
l’iniziativa.
Ricordò tutte le volte che Martewall gli aveva fatto notare il suo
scarso
equilibrio sulle gambe e piantò i piedi a terra con decisione, seguendo
la
posizione che gli era stata insegnata. Ma decise di slegarsi dai
movimenti
ripetitivi che aveva utilizzato per difendersi fino ad allora e riuscì
a parare
l’ennesimo colpo portando il braccio in alto, come per respingere la
spada del
maestro. La lama strusciò per un brevissimo istante contro quella di
Martewall
e si disimpegnò con molta meno fatica delle volte precedenti. Beau
aveva
percepito in un modo molto più leggero e allo stesso tempo potente il
movimento
che aveva compiuto, ed era pronto ad accettare le conseguenze di quella
sua
iniziativa fuori dagli schemi.
Ma,
contro tutte le sue previsioni, vide Martewall
sorridere per un istante così breve che temette di esserselo
immaginato.
Quando
si vide la spada avversaria lampeggiare verso
la spalla, Beau decise di schivarla invece di pararla, con l’agilità
che anni
vissuti all’aperto gli avevano insegnato. E questo gli diede il tempo
di
tentare un affondo, per la prima volta. Anche se Martewall lo parò come
fosse il
gesto infantile di un bimbo in procinto di buttarglisi fra le braccia,
Beau
sentì il cuore esultare gioioso.
Martewall
alzò le sopracciglia di fronte al suo
sorriso e gli lanciò uno sguardo ammonitore, prima di riprendere a
lanciargli
fendenti da ogni parte, il respiro sempre regolare, le gambe tanto
agili quanto
sicure.
Beau
ricevette il messaggio. Non doveva
accontentarsi di così poco. Aveva però bene in mente come avrebbe
dovuto agire
da quel momento in poi, e non poteva esserne più felice.
Martewall
continuò ad incalzarlo e a farlo indietreggiare
fino a quando non decise di impartire al suo allievo un'altra, dura
lezione.
Beau non vide nemmeno arrivare un fulmineo attacco di lato, e capì in
un
istante che Martewall poteva essere mille volte più veloce e mille
volte più
preciso di quanto non apparisse durante le loro lezioni, in cui di
certo non
faceva altro che trattenersi.
Lo
vide muoversi rapidamente, sentì il suo stivale
premere sulla caviglia e in un momento si ritrovò a gambe all’aria con
un’esclamazione di sorpresa, sdraiato sulla schiena.
Martewall
lo guardava torvo dall’alto, puntandogli
alla gola, ma non troppo vicino, la spada che aveva passato nella mano
sinistra
con un movimento noncurante.
«
L’equilibrio. » gli ricordò, secco.
*
Beau
cavalcava in silenzio, a testa bassa. Non
riusciva a togliersi dalla testa i ricordi dolorosi del giorno prima.
Non
avrebbe mai pensato che una cosa simile, che un simile disastro
ingiustificato
sarebbe mai potuto succedere. Non avrebbe mai pensato che un giorno
avrebbe
dovuto guardare il suo signore cadere in disgrazia, disperarsi a tal
punto.
Ancora
non riusciva a credere a quel che era
successo.
Martewall
lo sbirciava di sottecchi appena più
avanti di lui, di tanto in tanto, ma non disturbò mai il suo contegno
chiaramente sconvolto ed esausto. Beau lo guardava e riusciva a
sentirsi
confortato dalla sua presenza, attenuando la paura e il senso di
perdita.
«
Sono certo che rivedrai presto il Falco d’Argento…
» gli aveva detto a sorpresa sir Kerwick quella mattina, nel salutarlo
prima di
partire per l’Inghilterra. Aveva osservato a lungo anche Martewall,
come per
leggergli i pensieri attraverso il volto imperscrutabile.
Beau
non era riuscito a sentirsi rincuorato, anche
se aveva apprezzato il sorriso garbato del cavaliere e la
preoccupazione sincera
che sembrava nutrire nei confronti di Martewall.
Il
silenzio del barone però gli aveva impedito di
abbandonarsi alle fantasticherie. Nessuno poteva sapere cosa sarebbe
successo
in futuro, e Beau doveva accettarlo.
Il
ragazzino strinse le dita sulle redini con forza,
ingoiando le lacrime.
«
Io mi rifiuto di pensare che il Falco del re
finisca in questo modo. » mormorò, tra i denti, chiedendo aiuto a
Martewall con
lo sguardo. Il silenzio teso era stato incrinato all’improvviso, e i
soldati
più vicino a loro osservarono il loro signore senza proferire parola,
interrogativi.
Martewall
non si voltò, ma lasciò che il cavallo del
ragazzino arrivasse ad affiancare il suo.
Beau
vide la rabbia ferita dei suoi occhi, intuì la
profondità dei suoi pensieri e la forza naturale e fiera della sua
anima, con
la sue rotture e le sue crepe. Martewall non aveva fatto un cenno, né
mosso
neanche un angolo del suo viso. Ma quando lo guardò con una
determinazione
sincera, per nulla ostentata, gli occhi cupi e insondabili di sempre,
si sentì
riscaldare il cuore.
Anche
se tutto nel barone appariva gelido a prima
vista, il fuoco che teneva dentro riusciva a scaldare anche Beau. Lo
faceva
perché doveva farlo, con l’inconsapevolezza e la noncuranza di qualcosa
che non
si è abituati ad usare se non per distruggere il proprio dolore,
affogandolo
nella rabbia.
Beau
non sapeva che effetti avesse quel… fuoco, sul barone
stesso.
Ma
era riuscito a portare speranza allo spirito
spaventato di Beau, e il ragazzino sperava con tutto il cuore che
Martewall
imparasse presto a non bruciarsi.
Distrattamente,
considerò che sua madre fosse
bravissima nell’essere serena nei momenti più difficili, nel trovare il
raggio
di sole anche nell’antro più buio. Non avrebbe detto lo stesso di
Geoffrey Martewall.
Lui sapeva essere concentrato, lucido, letale. Ma non era mai sereno.
Non
sembrava esserci quiete nella sua calma severa e ostinata.
A
Beau mancava da morire sua madre.
Martewall
portò istintivamente una mano alla spada,
riflessivo.
«
Ci è permesso di fare ben poco su questa terra,
ragazzino. Molte cose…» era strano, davvero strano, vederlo esitare.
Martewall
era il cavaliere dai lunghi silenzi e dalle parole dette non tanto con
accortezza, quanto con sicurezza, a volte con spregio, senza nessun
timore
delle conseguenze che le sue frasi taglienti avrebbero potuto portare.
In
quel momento sembrò dover pensare a cosa dire,
non averci già riflettuto in precedenza, anche se solo per qualche
secondo.
«…
non vanno come noi desideriamo, e tanto meno come
sarebbe giusto. Ma se ci fosse qualunque cosa che potremmo fare per il
Falco,
la faremo. »
Non
la avrebbe definita speranza. Quella di
Martewall era la ricerca caparbia della giustizia, la volontà ferrea di
perseguire i propri obiettivi anche attraverso la sofferenza,
l’estenuante
rifiuto d’arrendersi.
Beau
riuscì a rivolgergli un sorriso grato e colmo
di fiducia.
Qualunque
cosa,
si ripeté.
Arrivarono
ad Auxi le Chateau a metà giornata.
Martewall smontò da cavallo agilmente, e Beau si accorse per la prima
volta
quanta fretta avesse. Non fece lasciare i cavalli a dei servi ma ordinò
che i
soldati aspettassero lui e Beau oltre i cancelli. Poi, fianco a fianco,
cominciarono a percorrere il barbacane, superando la prima cinta di
mura.
Lo
scudiero sentiva il cuore pompare forte e le dita
gelide dalla paura, ma si impose di mostrare un contegno sicuro con un
supremo
sforzo. Sapeva di non poterci riuscire, e si accontentò di tenere la
fronte
alta, anche se i suoi occhi potevano tradirlo.
Al
contrario, Geoffrey Martewall camminava con la
calma sicura del vincitore.
Beau
temeva oltre ogni misura il conte di Ponthieau,
soprattutto in quel momento. Temeva che, se lo avesse visto, avrebbe
insistito
per punirlo, e per un istante assurdo ebbe anche paura di essere
separato dalla
madre a causa della sua avventatezza di cui ancora non riusciva a
pentirsi. Inoltre,
gli ultimi avvenimenti avevano risvegliato in lui l’istinto naturale
del
ragazzino emarginato che era stato. Ammirava chi portava la spada e gli
speroni, ma temeva i nobili.
E
non si fidava di loro.
Guardò
Martewall e si concentrò sul suo contegno
cupo e attento, capendo immediatamente che di lui si sarebbe sempre
fidato. Non
lo avrebbe mai immaginato come il feudatario distante che reggeva i
fili di
tutti i suoi sottoposti con una cecità dispotica, ma come un guerriero
presente
il cui potere si respirava grazie alla sua inquietudine fascinosa
quanto oscura
e irriverente, ma di certo non grazie alle terre che possedeva.
«
Tu andrai a raccontare a tua madre l’accaduto e a
rassicurarla sulla tua salute, poi tornerai dai cavalli e ci aspetterai
lì. »
ordinò il cavaliere, perentorio.
Beau
annuì meccanicamente, ripetendosi le parole
nella testa.
«
Voglio che tu mi obbedisca alla lettera, Beau. »
Il
ragazzo alzò stupito gli occhi sul barone,
sorpreso dal sentirsi chiamare per nome e dalla severità del tono di
voce.
Annuì, in soggezione.
«
Credete che il conte lascerà partire mia madre con
noi?» chiese, sentendosi stupido a fare una domanda del genere, ma
cercando
comunque di mostrarsi sicuro. Non ebbe un grande successo.
«
Non vedo perché non dovrebbe.» gli assicurò
Martewall, ma non lo guardò in viso né modificò in alcun modo
l’espressione del
volto.
Al
ragazzino venne quindi istintivo chiedersi se
avesse parlato con reale convinzione oppure no. Geoffrey Martewall non
conosceva Guillaume de Ponthieau. Non lo conosceva quando era
arrabbiato,
quando si sentiva tradito, quando soffriva. Non era dal barone elargire
certezze che non aveva, ma evidente in quell’occasione non aveva saputo
fare
altrimenti.
«
Dama Isabeau avrà bisogno di tutto l’aiuto
possibile. Hai considerato l’idea che tua madre potrebbe voler restare
con lei,
almeno per un primo periodo? » disse Martewall, guardandolo serio.
«
No. Neanche per un momento. » rispose Beau,
raggelato da quella idea. « Mia madre… vorrà stare con me. » disse,
tentando di
convincersi, arrossendo di vergogna per la risposta che gli era uscita
spontanea dalla bocca e sentendosi colpevole nei confronti di dama
Isabeau.
Aveva
il terrore di aver commesso l’ennesimo passo
falso che si faceva fatica a perdonare. Chi avrebbe biasimato sua madre
se
fosse stata così arrabbiata con lui da volerlo allontanare per un po’?
Chi
avrebbe potuto perdonare il ragazzino che aveva rubato al signore di
Auxi le
Chateau? E chi avrebbe biasimato questo signore se avesse deciso di
punirlo
attraverso la madre, non potendolo, forse, sottrarre al barone di
Dunchester
senza scatenare un conflitto?
Mentre
la gratitudine verso Martewall cresceva,
aumentava anche la consapevolezza della situazione e la paura.
Martewall stesso
si stava mettendo sotto torchio da solo, e a quel punto era solo uno
straniero
che aveva salvato la vita al fratello che Guillaume de Ponthieau non
voleva
vedere mai più. La sua presenza non doveva essere gradita. Beau si
ricordò in
quel momento di non essere stato rimproverato dal barone per la sua
ultima,
irrimediabile bravata, e inspiegabilmente non si sentì sollevato. Un
peso
opprimente gli impediva quasi il respiro.
Beau
abbassò la testa, afflitto, continuando a
camminare, tentando di stare al passo con le gambe lunghe di Martewall.
Il
barone gli strinse la spalla solo per un momento, e Beau si sentì
attraversato
da un brivido di sbalordimento, gratitudine e felicità improvvisa. Non
avrebbe
mai pensato che qualcuno, soprattutto una persona come Martewall, si
sarebbe
mai dato pena per lui e sua madre.
«
Ne sono convinto anche io. »
Beau
fece una smorfia, abbassando lo sguardo, quando
vide una figura famigliare venire incontro a lui e a Martewall dopo
averli
osservati con sorpresa. Il barone si preparò con freddezza
all’incontro, senza
dire una parola, limitandosi solo a superare Beau di un passo.
Thibeault
de Chailly li raggiunse con movimenti
svelti e nervosi, il viso tirato dalla preoccupazione.
«
sir Martewall…» salutò, esitante, dimenticando di
salutare con deferenza e ignorando volutamente la presenza di Beau. «
il conte
non si aspetta la vostra visita… non è mai stata annunciata.»
Geoffrey
Martewall accolse con insofferenza
l’implicito avvertimento.
«
Il conte si aspetta di certo una visita. Ha ancora
qualche conto in sospeso.» affermò con il suo francese dall’accento
straniero, indicando
col mento il ragazzino accanto a lui.
Chailly
spostò lo sguardo su di lui come se dovesse
ingoiare a tutti i costi un boccone molto amaro, ma fu solo un momento,
poi
riportò gli occhi su Martewall. Si leggeva sul suo viso il rispetto e
l’ammirazione
che provava nei confronti del barone e di ciò che stava facendo, ma
anche una
viva preoccupazione.
«
Ponthieau non dovrà neanche vederlo. » disse
Martewall, interpretando al meglio i suoi pensieri.
Chailly
rifletté per un momento, chiaramente turbato
e per nulla convinto.
«
è rischioso. » considerò, gli occhi che scrutavano
quelli dell’inglese, in cerca di qualcosa che desse ragioni ai suoi
timori.
Martewall,
però, a sorpresa guardò Beau.
«
Lo sappiamo. » disse, freddo, mentre lo scudiero,
ammutolito, non riusciva a far altro che osservarlo ad occhi sbarrati,
in
attesa che continuasse. « E in un altro momento non lo avrei mai
lasciato
venire. Ma è giusto che veda sua madre. »
Chailly
si morse le labbra.
«
Cosa volete fare, esattamente!?»
«
Porterò il ragazzo in Inghilterra.» rispose il
cavaliere con decisione e semplicità. « E sua madre con lui, se vorrà
venire.»
Thibault
de Chailly sospirò, come se in fondo avesse
sempre saputo la risposta alla sua domanda, e sul suo viso non erano
scomparse
le rughe profonde della preoccupazione e del dispiacere. Per un attimo
Beau
pensò che fosse sul punto di ringraziare Martewall o augurargli il
meglio per
l’avvenire. Poi parve ripensarci e si limitò a gettargli un’occhiata
eloquente,
facendosi da parte per lasciarlo passare.
Beau
fece per seguire il barone, quando il francese
gli mise una mano sul petto.
Si
rivolse a Martewall, che guardava la scena con
freddezza.
«
Sua madre verrà lo stesso a vederlo, anche se
decidesse di non venire con voi, o il conte desiderasse tenerla accanto
a dama
Isabeau. » affermò Chailly, con una severità che prima non aveva
mostrato.
Gli
occhi di Martewall lampeggiarono per un istante,
quanto bastava perché il francese togliesse la mano dal petto di Beau,
riuscendo però a non cambiare espressione. Il ragazzino osservava
Martewall,
terrorizzato dall’idea di non poter correre subito a tranquillizzare
sua madre
dopo che lo aveva desiderato con tanta forza.
«
Se non sapessi controllare un ragazzino non avrei
promesso a Jean Marc de Ponthieau di portarlo lontano dalla Francia.
Credetemi,
questi giorni gli hanno insegnato molto. Non commetterà avventatezze. »
Beau
prese un respiro profondo, colmo d’emozione.
Non riusciva a spiegarsi completamente il comportamento di Martewall,
il
perché, stranamente, non avesse voluto lasciarlo coi soldati. Quando
Beau aveva
chiesto di poterlo seguire, Martewall non si era opposto, anche se le
sue
raccomandazioni erano state severissime e lo sguardo molto cupo. La
fiducia che
il cavaliere gli dimostrava all’improvviso, lo riempiva di felicità e
soddisfazione, anche se non ne capiva il motivo e non riusciva a
vedere, come
sempre, ciò che vedeva Martewall.
Era
certo, però, che ad entrambi non piacesse l’idea
che Brianna restasse piena d’angoscia per un solo istante in più del
necessario.
«
E, come ho già detto, il conte non lo vedrà
nemmeno. » concluse Martewall, troncando di netto la conversazione e
facendo
cenno allo scudiero di seguirlo.
Non
sai cosa abbia visto in te.
Forse
nulla, forse solo le imprevedibili svolte del
destino lo hanno portato a pensare che ciò che sta facendo sia qualcosa
di
giusto. Tenerti nella sua casa, donarti il suo tempo e i suoi
insegnamenti. Nessuno, dopotutto, l’ha
mai obbligato a fare a te, un ragazzino scapestrato che non ha nulla di
nobile,
un regalo così grande.
Geoffrey
Martewall è una stella lontana, e ti
tormenta l’idea di raggiungerla. Ma anche quando pensi a come potrebbe
essere
stato da ragazzino, lo immagini comunque troppo adulto, inquieto ma
senza
paura, perché possa somigliarti. La nobiltà del suo sguardo accentua la
distanza che vi separa.
Eppure
ti senti un prescelto dal destino.
Nessuno
ha la fortuna che hai tu. Prima eri solo un
piccolo brigante che rubava nei pollai, senza futuro né reputazione.
Adesso puoi
vedere tua madre vivere serena, al sicuro. E, accanto a lei, vi è la
sorprendente e sicura figura di Geoffrey Martewall, che per madre e
figlio sta
diventando la stella polare, lo scoglio cui aggrapparsi.
Non
gli importa che tu sia figlio di una donna
rimasta sola prima di potersi sposare, non gli importa che tua madre
abbia già
avuto un altro uomo e sia l’emblema di tutto ciò che dovrebbe evitare.
Perché una
distante carità è l’unica cosa che qualcuno come il barone potrebbe mai
regalare a Brianna Foxworth.
Di
certo non l’amore.
Ma
Martewall è libero dalle catene del mondo, dalle
convenzioni che costantemente gli vengono ricordate e che costantemente
liquida
con sprezzante indifferenza. Martewall vuole sempre le cose più
difficili da
ottenere e non sai se sia a causa del destino spietato o della sua
natura
indomita, con le spalle sempre pesanti e divisa tra frustrazione e
caparbietà.
È
il leone che è tornato ferito dalla guerra, colmo
d’onori e insoddisfazione che vorresti rendere orgoglioso.
Il
cavaliere che solo da poco ha accettato di
portarti con sé nei suoi viaggi per controllare da vicino ogni angolo
delle sue
terre, e solo dopo aver chiesto di persona il permesso a tua madre.
L’uomo che
ha distolto lo sguardo quando Brianna ha risposto, con un sorriso dolce
e
malizioso, che di lui si sarebbe fidata per sempre.
Il
barone che, una sera, dopo l’allenamento, ti ha
raccomandato di non scordare le tue origini umili, così che tu possa
essere
nobile non solo perché proprietario di una spada o di un paio di
speroni.
Solo
ora comprendi che Martewall vede in te un
cavaliere diverso dagli altri, e da ciò che pensa di essere lui stesso.
Il
ragazzino che nella forza mantiene l’entusiasmo
del sentirsi vivo, il ragazzino su cui nessuno aveva fiducia, ciò che
lui
stesso aveva visto cercare a Martewall quando osservava i suoi sudditi.
L’umiltà
che finalmente nel mondo acquistava dignità
e potenza senza distorcersi, senza confondersi col marcio.
Sai
che farai di tutto per deludere le sue
aspettative e ti senti pervaso da una convinzione fiduciosa.
Come
sempre, ti servirà solo il suo aiuto.
Angolo
di Tacet
Ciao
a tutti!
Sono
tornata, dopo un tempo interminabile, e mi scuso,
ovviamente, infinite volte per il ritardo. Se mi chiedeste cosa ho
fatto in
questo tempo probabilmente non saprei rispondere, so solo che ho dovuto
aspettare molto, tra un impegno e l’altro, per finire questa fanfic. Ma
ce l’ho
fatta, e sono felicissima, non sapete quanto, di poter tornare a
pubblicare! Spero
che mi perdoniate per la lunga assenza…
Questa
volta è stato il turno di Beau. Non so se sia il caso di
terminare con lui la raccolta. Magari dopo un po’ rischierei di
ripetermi, e
sarebbe spiacevole.
(
scusate, non so se da come ho scritto si vede che ho la febbre…
spero di no, ma se mi metto a rileggere passa un altro giorno ed è
meglio
evitare : ))
Ook…
ehm… la domanda sorge spontanea… qualcuno ha già letto Hyperversum
Next? Impressioni? ; )
Grazie
per aver letto, scusate ancora e alla prossima!
Tacet