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Autore: cartacciabianca    22/03/2009    2 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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La Dea dell’ulivo





Era stanca di dover sopportare la pietà degli altri, non avrebbe accettato che occhi complici le sorridessero ancora. Non avrebbe patito in silenzio mentre la gente che aveva attorno si scansava con un incredibile tristezza in volto. Non aveva la forza di aprire gli occhi, che le sarebbe piaciuto tenere chiusi per sempre.
La coperta le scivolò via dalle gambe, ed un brivido gelido le attraversò la pelle giungendo fino alle spalle.
Elena si sollevò in piedi, ma i suoi occhi si perdevano nel buio attorno a lei, nell’immenso quadrato uniforme e nero che era spesso oggetto dei suoi incubi.
La ragazza toccò coi piedi scalzi la terra invisibile, e le sue gambe si piegarono fino a farla mettere in ginocchio. Vestita solo della biancheria, Elena sognava ancora una volta di abbandonare il mondo reale, e di lasciarsi rimproverare dai i suoi superiori. Come quella volta dopo l’incontro con Corrado, quando le responsabilità di quel duello le erano piombate addosso come l’acqua di una doccia fredda. Quando il suo corpo aveva vagato tre le ombre dei suoi incubi e il suo sangue aveva macchiato le spade impugnate dai suoi più cari amici e conoscenti. Quando aveva desiderato che tutto finisse, accettando la condizione di essere morta, quando non avrebbe fatto nulla per impedire di mettere una pietra sopra ogni cosa, ricominciando da capo.
Ogni giorno chiedeva di poter cambiare, di poter abbandonare quella sua vita che più e più volte l’aveva costretta a spogliarsi delle sue gioie e ad inginocchiarsi al cospetto del dolore. Era stufa di soffrire le pene altrui… era stufa di mettere in bella vista le proprie.
Ma come sempre, era la collana che aveva al collo a chiamarla al suo dovere. Un destino al quale fare capolino, una missione a cui tener fede, e una famiglia nella quale reinserirsi. Se fosse morta, non avrebbe mai scoperto chi fosse suo fratello, ma si sarebbe unita a suo padre e sua madre che riposavano beati tra le braccia dell’Immenso. Proposta allettante, e Minha le aveva dato l’occasione.
Era una maledetta situazione familiare cui Elena aveva risposto sempre di essere pronta a continuare. Quando Corrado o il veleno per poco non l’ammazzavano, Elena aveva avvertito un forte richiamo verso “la luce”. Quel richiamo che è la porta di andata senza ritorno, oltre la quale vi è l’inesplorato mondo che non è dedito sapere a nessuno che non vi faccia parte per l’eternità. Paradiso o Inferno, per lei non faceva differenza. La sua lama era passata da parte a parte di una decina di uomini e più troppe volte, così tante da aver perso il conto.
La ragazza sfiorò la pietra nera del pavimento con una mano, accarezzando la fredda sensazione di sollievo che provò il suo tatto. La sua mano calda contro la terra gelata della sala. Una sala buia, nera, senza colori e composta unicamente da un’ombra infinita che chissà per quanto si stagliava in avanti, su e giù.
Stava impazzendo, mentre i suoi occhi si schiudevano beati in una condizione di sogno e realtà, mentre la sua mano correva tra le crepe di quella stanza e mentre il suo cuore rallentava sempre più.
Elena decise di attendere, di prendersi altro tempo per pensare. Infondo, quel baratro oscuro non era altro che un’immensa sala d’attesa prima della luce eterna. Si stese di fianco, un braccio teso sotto la testa e l’altro piegato e nascosto nell’incavo del collo. Una parte del suo corpo, quella a contatto con la terra, era fredda, percossa da brividi e le veniva la pelle d’oca. L’altra invece era diventata calda;, e in basso, all’altezza del fianco, si apriva uno squarto pulsante dal quale non sgorgava una goccia di sangue. Eppure era una ferita profonda, ancora aperta e fresca. Si chiese come fosse possibile che litri di sangue non si fossero già sparsi sul pavimento, e rammentò di stare sognando solo all’ultimo.
La luce si fece attendere parecchio, si disse, fin quando avvolta da un improvviso tepore su entrambi i fianchi, la ragazza chiuse gli occhi e il buio divenne ulteriormente buio. Le ombre si allungarono verso di lei, ma sul comodino accanto al letto comparve la luce fioca di una candela, mentre una sagoma retta e composta si stagliava seduta accanto a letto.
Le coperte tornarono a coprirle il bel corpo, e dietro la testa comparve d’un tratto un morbido cuscino. Il materasso si modellò sotto le sue forme, ed una mano si protese ad accarezzarle una guancia, assieme ad una voce melodiosa ed incredibilmente premurosa che sussurrava il suo nome.
Ed in fine, Elena vide Morfeo.

La ragazza si girò di lato, aprì gli occhi nel momento in cui il cuscino cadde dal letto.
Questo si rovesciò sonoramente a terra, e Marhim, rimasto seduto e mezzo assopito sulla sedia accanto a letto, balzò in piedi.
-Cos’è stato?!?!- balbettò l’assassino guardandosi attorno spaventato.
-Marhim…- Elena, sorridente in volto, allungò un braccio fuori dalle coperte e gli strinse la mano.
Il ragazzo si voltò lentamente e, meravigliato, si chinò alla sua altezza per abbracciarla. –Elena!- mormorò commosso. –Sei sveglia!- aggiunse estasiato.
La ragazza si avvinghiò a lui, che lentamente la issò seduta sul letto.
Elena soffocò un lamento straziante di dolore quando una fitta lancinante la sorprese al fianco destro, ove la lama nascosta di Minha l’aveva colpita.
Marhim la guardò allungo in silenzio, ed Elena approfittò di quel momento per ammirare afflitta il bendaggio che le fasciava tutto il basso ventre sotto la leggera canottiera di cotone. –Dio…- sibilò sbigottita, senza parole.
Era un taglio profondo, che doveva per di più ancora guarire.
Era certa di non trovarsi nell’infermeria, ma riconobbe quella in cui si trovava una delle stanze degli appartamenti delle Dee. La vista dava sullo strapiombo sul lago, e stormi compatti di colombi svolazzavano da parte a parte della fortezza preparandosi all’ultima grande migrazione. Faceva freddo, era il freddo dell’inverno. Era giunto l’inverno che coi suoi venti gelidi spingeva lontano gli uccelli e le vecchie foglie secche dell’autunno.
Marhim sedette accanto a lei, ed Elena gli volse un’occhiata sconvolta. –Quanto…-.
-Meno di quanto Adha sperasse- si affettò a rispondere lui.
-Che… che intendi?- sussurrò, passando nuovamente la mano sul bendaggio candido e scottante stretto al suo stomaco.
-Non  è trascorso neppure un giorno da quando… da quando ti hanno cucita- disse serio, celando lo spavento nel tono di voce alquanto insicuro.
-Mi hanno cucita?-.
Lui annuì. –Non c’era altro modo per arrestare l’emorragia. Mi dispiace…- lui le strinse la mano.
-Non devi dispiacerti- sussurrò la Dea guardando fuori dalle finestre, dove il sole andava nascondersi dietro delle nuvole grigiastre ma piuttosto chiare.
-Non è certo colpa tua, e ti ringrazio di essere qui- la presa sulle sue dita divenne più salda, ed Elena puntò i suoi occhi azzurri in quelli nocciola del giovane.
-Mah- rise lui –non c’era nulla di più interessante da fare, ero solo di passaggio…-.
Elena sorrise, e con lei fece altrettanto Marhim.
-Ti fa ancora tanto male?- le chiese.
-Ora non più; sono contenta che il sonnifero di Adha funzioni così bene- dichiarò allegra.
Marhim soffocò una risata. –Non sai che strazio ascoltarti mentre ti lamenti! Pensa se eri sonnambula!- ridacchiò.
-Già…- si strinse nelle spalle. –Avrei potuto prendere a calci qualcuno- borbottò.
-Minha è fuggita. Alcuni assassini sono sulle sue tracce, e sembra non sia diretta ad Acri. Ieri, mentre ero impegnato ad assistere Adha nelle tue cure, ho saputo da un assassino dell’infermeria che era diretta verso Damasco. Non chiedermi perché, ma ho pensato che saperlo ti sarebbe interessato-.
-Infatti…- mormorò lei assorta. –Grazie, anche se credo che dovresti dirlo non a me, ma a qualcuno che possa ammazzare quella maledetta il prima possibile!- digrignò, cercando di irrigidire il meno possibile i muscoli della pancia.
-Faremo tutto il possibile. Quella vipera non la passerà liscia, vedrai…- aggiunse Marhim con stesso tono.
Elena si guardò attorno, constatando che la porta della stanza fosse aperta, così chiese: -dove sono le altre Dee? Kamila, Elika, Leila… intendo- formulò tornando stesa tra i cuscini.
Marhim l’aiuto a non forzare gli addominali, accompagnandola nel gesto. –Da quando Minha è piombata nell’infermeria, le tre Dee hanno badato a te in queste stanze durante la notte. Ormai sono di casa, ormai sono di nuovo nella setta…-.
-Che gran sollievo- sospirò lei.
Marhim si fece più vicino. –Credi di farcela a camminare?- le chiese.
-Ovvio, perché?- sorrise.
-Ti accompagno alla mensa; non  ci sarà nessuno, te lo prometto, che ti vedrà zoppicare, ma hai bisogno di sgranchirti le gambe- le disse.
Elena acconsentì e Marhim l’aiutò ad alzarsi dal letto. L’assassino la prese sotto braccio e l’assistette anche nel vestirsi. Zoppicare non zoppicava, ma i suoi movimenti erano limitati dalle improvvise fitte di dolore che le attanagliavano il fianco fasciato.
Impiegarono dieci minuti buoni per vestirla di tutto punto con le vesti della setta, tralasciando la cintura di cuoio e le armi.
Le scale furono uno dei tanti ostacoli nel raggiungere la mensa, e sedersi ai tavoli anche.
Marhim consumò il pasto assieme a lei dicendole di essere rimasto a digiuno per più di dodici ore; scusa bella e buona pur di riempirsi nuovamente lo stomaco.
Quel pomeriggio Marhim l’accompagnò nella biblioteca e vi restarono allungo, parlando del più e del meno.
Ma cos’era tutta quella svogliatezza che Elena sentiva in corpo? Si chiese. Rispondeva di mala voglia alle affermazioni di Marhim e partecipava il nulla alla conversazione. Non le andava o non ne aveva la forza?…
I giorni si susseguirono lenti e monotoni. Ormai sembrava essenziale che Elena si riprendesse del tutto, e la cosa le piacque. Le piaceva come tutti i suoi conoscenti a parte Marhim la evitavano. Le piaceva dover condividere le stanze con le tre Dee senza che le rivolgesse mai una parola. Le piaceva non dover sostare a strazianti allenamenti e ramanzine da parte del Gran Maestro. Cosa più in assoluto soddisfacente, era l’assoluta lontananza da Rhami! Quanto ci godeva a non aver incontrato la sua faccia per una sola volta durante quelle settimane!
Una sera, Elena stava salendo solitaria le scale della fortezza. Raggiunse gli appartamenti delle Dee e fu per proseguire nella sua stanza, quando la porta aperta della camera di Leila la fece sobbalzare.
-Che cos’hai da guardare?- sbottò una voce femminile dietro di lei, ed Elena si voltò.
C’era Leila con le braccia conserte e il peso su una gamba. Indossava solo la biancheria, a mostrare le sue forme morbide e sode. Lo sguardo severo e malizioso suo tipico, il portamento superiore e così incredibilmente sicuro di sé.
Elena indietreggiò, avvicinandosi all’ingresso della sua stanza. –Nulla, stavo andando… a dormire- balbettò.
Leila la seguì con gli occhi fin quando la giovane Dea non si fu chiusa la porta alle spalle. Elena si appoggiò alla parete e prese un gran respiro. Contò una trentina di secondi, poi socchiuse appena l’uscio.
Nel salottino degli appartamenti c’erano due figure. Una delle quali Elena riconobbe, nonostante la lontananza e il buio della notte, come la Dea che poco prima l’aveva fatto gelare il sangue coi suoi occhi verdi.
L’altra presenza era un ragazzo. Alto, coi capelli corti e dal viso.
Elena cercò di scorgere oltre, e quelle due persone che all’inizio le erano sembrate impiegate in una normale chiacchierata, invece si stavano baciando, abbracciate in una posa di passione.
Elena rabbrividì, chiuse la porta e stabilì che ficcare meno il naso nelle faccende altrui sarebbe stato più conveniente.

Te la senti di combattere?
Sono trascorse due settimane, ma non ne ho voglia…grazie lo stesso…
Non ne hai voglia o non ne hai le forze? C’è più differenza di quanto immagini.
…Non ne ho la forza… né la voglia…
Giustamente, infondo è meglio così. Il riposo ti farà bene.
Lo spero…
Posso capire come ti senti, e non deve essere piacevole.
Esatto…
Ti va di parlarne?
Non credo…
Sei libera, ma non so per quanto durerà.
Libera da cosa?
Dai tuoi allenamenti, da quelle vesti… a proposito, per ora non ne hai bisogno, va’ a cambiarti. non ti servirà indossarle. Riporta nelle tue stanze anche le armi.
Nelle stanze… le Dee…loro…
Non badare a loro. Non ascoltarle, se non vuoi che ti facciano sentire peggio di adesso.
Perché?
Non sono cieco, ti trattano come una bambola e a stento immagino quanto possa essere detestabile.
Già…
Sarà più difficile, d’ora in poi, ma non permetterò che accada di nuovo.
Di cosa parlate?
Minha. È riuscita ad infiltrasi nel palazzo senza che nessuno se ne accorgesse. Quella strega pagherà per cosa ti ha fatto.
Sono viva… mi basta…
Non è vero. Lo leggo nei tuoi occhi. Il tuo odio per Corrado è quello dominante, ma devi imparare a controllarlo. Te l’ho detto, Minha non avrà occasione di toccarti con un dito!
Voi… siete in pena per me? Voi mi proteggereste da lei se dovesse capitare di nuovo?
Sarei pronto all’evenienza.
Per allora non avrò bisogno della vostra protezione. Per allora Leila mi avrà insegnato tutto ciò che debbo sapere per contrastare quella donna…
Sei insicura delle tue parole, c’è qualcosa che ti preoccupa?
Minha… non avrebbe mai agito in quel modo … Corrado le ha fatto qualcosa, lo sento…
Le ha promesso forse di ridargli il suo amato?!
Forse…
In che modo?! Asaf è morto!
Il Frutto…potrebbe averle promesso di farlo tornare in vita…
Può la disperazione di una donna arrivare a tanto?
… stento anche io a crederci…
A cosa ti riferisci?
Nulla…
Spiegami perché sei così distante, e saprò aiutarti.
Non ho bisogno d’aiuto.
Qui sbagli. Non sei ancora nelle condizioni di agire per conto tuo. Hai molto da apprendere prima di ritenerti indipendente.
Non è l’indipendenza che cerco…
…Mi sembra stupido chiederti allora cosa sia ciò che vai cercando.
Molto stupido…
È ovvio.
Infatti…
Ti aiuterò a trovare tuo fratello. Tharidl non ha idea di come ci si senta lontani dalla propria famiglia, ma noi sì.
Noi?…
Sono stato abbandonato quando ero ancora in fasce; pensavo che quel vecchio pazzo ti avesse detto altro di me.
Sì, ma è probabile che non abbia prestato attenzione…
Ah! Ti capita spesso, a quanto pare.
Lo so… non c’è bisogno che me lo ricordiate…
Quella volta… quella volta che ti ho sorpresa nella biblioteca, ti ho vista che leggevi le mie Cronache.
Mi spiace, non avrei dovuto… aspettate! Voi mi stavate spiando?!
Probabile… mi sorprende che tu ne sia stata tanto attratta.
Non avevo nient’altro da fare…e non ne ero “attratta”…
Ah no?
No.
Meglio così, dato che non hai approfondito poi tanto la tua ricerca.
Infatti…
Come mai?
Avevo… paura…
Di cosa?
Di quello che avrei potuto scoprire, e mi sentivo terribilmente in colpa per cosa stavo facendo…
In colpa?
Vi chiedo perdono…
Non ce n’è bisogno. Era il minimo che potessi fare…
Certe volte mi stupisco del mio buon senso…
Altrettanto…
Vi stupite del vostro buon senso?…
Buon senso…Perché chiamarlo così? Ho un qualcosa di cui non riesco a liberarmi sulla coscienza, ed ogni istante che passo con te, questo fardello mi pesa oltremodo.
Con… con me? Perché? E di che peso parlate? Perché vorreste liberarvene?
…C’è altro?
No… ma mi spaventate…
Non era mio intento.
E allora… qual’era il vostro intento?
Alcuno. Non avevo intenzione di dire quello che ho detto.
Perché?
È sbagliato!
Perché?…
Smettila. Non arriverai da nessuna parte chiedendomi questo.
E dove credete che voglia arrivare?… E cosa credete che vi stia chiedendo?
Elena!
Avete cominciato voi.
No. Qui sbagli, ancora.
Che cosa ho fatto?!
Per ora nulla…piuttosto, sarà meglio che tu vada.
E se volessi restare?
Elena!
Va bene, va bene…
Stai lontana dai guai, per favore.
Non sono così sbadata.
Sicura? Vogliamo parlare dei tuoi borseggi finiti nel sangue? Quando ti sarai ripresa lavoreremo anche sul tocco.
Mi state prendendo in giro?
Ah ah ah. No, perché dovrei?
Lo chiedo io a voi!
È la pura verità. Ho sbagliato a darti tanta fiducia. Non farò lo stesso errore.
È stato un caso! C’erano tutte quelle guardie, e anche…
Ti arrampichi bene sugli specchi, ragazza. È vero, c’erano più guardie in giro di quanto immaginassi.
Ecco!
Ma questo avrebbe dovuto metterti maggiormente in allarme.
Come?!
Avevi l’occasione di pazientare che il tuo bersaglio si allontanasse dalle strade affollate.
Giusto…
Perché non l’hai fatto?
Ero sotto pressione!
Avrei dovuto insegnarti anche questo…
Cosa avreste dovuto insegnarmi, ancora?
A mantenere la calma. Un bravo assassino ha il controllo sulle sue emozioni. Tutte quante.
Allora voi non siete un bravo assassino…
Che cosa intendi dire con questo?!
State arrossendo!
Elena!
Non chiedo la vostra compassione, ma un minimo di spiegazioni. Quando mi sarà tutto più chiaro, starò alla larga da voi…
Cosa vai dicendo?…
Non sono stupida. Lo so che vi piaccio.
… che cosa?…
Non è così?
Certo che no! Come ti è saltato in mente?!
Era… era un’ipotesi… solo un’ipotesi…
Sei una ragazzina meravigliosa, Elena ,ma non posso immaginare come si sia sentito Rhami rifiutato in quel modo.
Come… come fate a saperlo?!
Oh, diciamo che… ho occhi per tutta la fortezza.
Vi prego, io non… non saprei come fare se… se Tharidl lo scoprisse…
Non lo saprà.
…Grazie.
Ovviamente, non mi piacerebbe venire informato che fatti del genere si sono ripetuti, quindi sai bene che cosa ti chiedo.
No, cosa?
Stagli alla larga.
Lo so bene.
Non è perché nella setta non è concesso, ma quel ragazzo è solo parecchio avido.
E voi no?…
Stai esaurendo la mia pazienza.
Eh eh… Forse avete ragione, infondo siete sposato.
Smettila.
Era una battuta! Era una battuta!
Lo spero per te.
Ma voi ed Adha…
Sì?
Voi ed Adha… siete sposati?
Non ancora. Anche se…
Sarebbe imbarazzante…
Esatto.
E cosa state aspettando?…
Non… non lo so.
Dovrei chiederlo a lei?
No!
E allora?
Non… non ti riguarda!
Forse più di quanto immaginate…
Cosa?…
Avete considerato… l’”ipotesi”… che potreste essere mio fratello?
Non diciamo stupidaggini.
In quel caso Adha diventerebbe mia cognata.
Elena…
Ed io sarei presto zia!
Elena…
Sarebbe meraviglioso.
Elena…
Ed essere vostra sorella un vero onore.
Elena, fermati, ti prego…
Ora non posso neppure più abbracciarvi?
No.
Ah, grandioso…
Puoi star certa che non sono io tuo fratello, e dovresti mettere una pietra sopra questa storia.
Perché? Non mi sembra di arrecare danno a qualcuno…
Invece sì…
Per esempio?
Me.
Voi?
Sì.
Perché?…
Perché mi stai occupando tutta la giornata.
Mi spiace, davvero.
Ci sono altri… “dubbi” che ti piacerebbe condividere?
Non credo…
Ottimo,  puoi andare.
…Grazie…
Elena.
Sì?
In questo luogo non c’è nessuno che vuole ferirti… piuttosto devi imparare a difenderti da te stessa.
Cioè?
Sei rimasta sola per molto tempo, e non cercare di colmare così le tue ombre.
Ombre?
È un consiglio… d’amico.
Grazie, ma… Non capisco perché mi dite questo.
Forse più in là capirai.
Parlate come Tharidl.
Non mi stupisco che quell’uomo sia diventato Maestro.

Elena si svegliò di soprassalto.
Il buio avvolgeva le sagome dei mobili della sua stanza, mentre dalla finestra aperta entrava un venticello gelido che muoveva sinuosamente le tende. C’era una candela spenta sul comodino accanto al letto, e i vestiti gettati in disordine sulla scrivania assieme alle armi ammassate a terra ai piedi dell’armadio.
La ragazza si sedette sul materasso passandosi le mani in volto, poi tra i capelli.
Era stato un sogno assurdo, irreale, altamente fantastico.
La sua immaginazione poteva vagare senza meta a tal punto di arrivare a certe schiaccianti concAtefni? Se mai avesse rivolto quel genere di domande al suo maestro, lui avrebbe risposto a quel modo? Ovvio che no,  si tormentava da sola. Eppure i sogni erano la concezione dei propri desideri… ma dai!

Marhim le lanciò un’occhiata, ma Elena rimase china sul libro. Si era lasciata distrarre dalla lettura mentre con la testa divagava su una situazione impossibile che le sarebbe potuta accadere. Era una stupida se pretendeva di ottenere tanto libero arbitrio col suo maestro. A proposito di maestro, era un po’ che non si vedevano. Era successo qualcosa?
-Ti fa ancora male?- domandò lui.
Senza staccare gli occhi dalle pagine, lei rispose: -Sì…-.
Il ragazzo si guardò attorno, sospirò e si appoggiò allo schienale del seggio.
Erano nella biblioteca silenziosa della prima mattina, seduti ai tavoli centrali. Nell’immenso salone brillavano i raggi del sole che penetravano dal lucernario sul tetto. Gli scaffali pieni e le ombre dei saggi che vi passeggiavano; una giornata serena e tranquilla, si disse il giovane, tornando a guardare la sua amica.
-E tu come ti senti?- chiese ancora.
Elena si strinse nelle spalle. –Bene, se è quello che vuoi sentirti dire…-.
-Che cosa stai leggendo?- insistette.
La ragazza chiuse il libro di colpo, e Marhim sobbalzò. –Ti prego- mormorò con gli occhi grandi. –Ti scongiuro, se proprio devi, fai domande intelligenti- aggiunse ridendo.
-Giusto, scusa…- l’assassino poggiò i gomiti sul tavolo.
-Come va con Halef?- fece lei assorta.
-Che intendi?-.
-Gli piace il suo nuovo rango?- sorrise.
-Ovviamente, ed è anche entrato tra…- Marhim si bloccò di colpo, fissando un punto indistinto sul tavolo.
-Che succede?- Elena poggiò il libro sul ripiano e gli venne vicino. –È successo qualcosa?- domandò sospettosa.
 Marhim si riscosse d’un tratto, le strinse il polso e la tirò in piedi.
-Dove stiamo andando?!- sbottò Elena seguendolo e quasi correvano.
-Voglio farti vedere una cosa- rispose lui lasciando la biblioteca.
-Fa’ piano! Mi fa ancora male!- sibilò lei stringendosi il fianco destro.
-Scusa- rallentò l’andatura, ma proseguirono di fretta verso il piano terra della fortezza. Una volta nei giardini terrazzati, Marhim la condusse giù per delle scalette di pietra che scendevano nello strapiombo seguendo il bordo di roccia del lago, fino a raggiungere una foresta di ulivi.
Avevano passeggiato per qualche minuto con calma, l’uno affianco all’altra.
-Cosa sta succedendo?- gli chiese portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. –Perché mi hai portato qui?- aggiunse meravigliata.
In pochi minuti si erano allontanati dalla fortezza che sorgeva sul picco del pendio roccioso imponente. L’acqua calma del lago s’infrangeva immobile sulla scogliera bassa, mentre alle loro orecchie giungevano delle voci lontane.
-Mi hai chiesto che fine aveva fatto Halef, giusto?- gioì lui.
-Sì, ma…-.
-Ebbene, diciamo che un certo rango porta anche certi privilegi. Con la scusa che ti ho portata con me, forse mi faranno giocare-.
-Di cosa parli?- giocare?! Si chiese. Che razza di posto era?
Be’, c’era da chiarire che non era mica male quel posto. Era un boschetto di antichi ulivi davvero meraviglioso, e i primi accenni dell’inverno avevano lasciato un terreno umido ed erboso. C’era da considerare il sole accecante e il venticello rinfrescante.
-Stammi vicina, chiaro?- le sussurrò.
-Marhim, vuoi dirmi che succede?- digrignò. Non le piacevano quel genere di sorprese.
-Fidati, non stai mica andando al patibolo, piuttosto… ti piace qui?- chiese.
Lei si guardò attorno sorridente. –Sì, molto-.
Elena ci aveva sentito bene: c’erano delle voci che si facevano più nitide man a mano che si avvicinavano alla destinazione.
-Passa, stupido!- sbottò qualcuno.
-Sei un deficiente, non vedi che è libero?!-.
-Pensa per te!- rispose un altro.
-Usa quei pollici opponibili! E para una palla, ogni tanto!-.
-E tu fai punto, ogni tanto!-.
Elena aggrottò la fronte quando il bosco andò a diradarsi e le fu possibile scorgere delle figure che si spostavano da parte a parte di uno spiazzo erboso circondato dalla foresta. Sembrava un vecchio recinto per il bestiame, ma era vasto, in alcuni tratti la staccionata mancava ed era interrotta da degli ulivi.
C’erano dei cavalli legati ad una palizzata poco distante, delle sacche e dei vestiti gettati in un angolo del campo e ammassati disordinatamente.
Elena trattenne il fiato, e Marhim la prese sotto braccio.
-Trattieni la bava, chiaro?- ridacchiò.
Elena gli diede una gomitata.
Erano una ventina, giovani, abbronzati, bellissimi assassini a torso nudo, che correvano da una parte all’altra del campo passandosi col solo uso dei piedi l’unica palla.
Due grosse pietre delimitavano le porte avversarie, mentre ad arbitrare la partita Elena riconobbe Leila seduta sui rami alti di un ulivo spoglio.
La Dea fischiò, e la partita s’interruppe all’istante.
-Che c’è, ora?!- si lamentò un ragazzo.
Quello con la palla sotto il piede prese a giocarci abilmente palleggiando con le ginocchia. –Maledetta, stavo per fare punto!- eruppe.
Leila allungò le labbra carnose in un sorriso malizioso. –Calma, signori, abbiamo visite- fece con voce soave.
Gli assassini si voltarono a guardarla, ed Elena si strinse alle spalle di Marhim che avanzò di un passo.
-Che ci fa quello, qui?- proferì uno chinandosi a stringere le cinghie degli stivali.
-Buono, tu. È il fratello di Halef- lo rimproverò un altro.
Leila, dall’alto dell’ulivo fischiò di nuovo con due dita chiamando a sé il silenzio.
-Dunque, dunque…- osservò la Dea sporgendosi dall’albero. –Qual buon vento, Marhim?- gridò, e la sua voce acuta e melodiosa attraversò la valle.
-Dov’è mio fratello?- domandò di risposta Marhim.
Leila allungò il suo sorriso. –Ora è occupato- sussurrò.
-Cosa?- Marhim avanzò ancora, appoggiandosi alla staccionata.
-Sono qui, stupido!- sentì la voce di Halef, che era nascosto dietro un albero poco distante. –Sono occupato, un attimo!- aggiunse infastidito.
Elena soffocò una risata, muovendo lo sguardo altrove.
Marhim guardò altrove. –Ah, ti pareva!- ridacchiò.
-Leila, noi riprendiamo! Con o senza il tuo fischietto!- strillò un ragazzo, sottraendo la palla dai piedi del compagno di squadra.
Quello lo seguì fino al centro del campo dove il ragazzo posizionò la palla.
-Due tocchi- mimò quello al compagno.
L’altro annuì.
-Aspettateci, non vale!- si lamentò il capitano della fazione avversaria.
Chissà come si distinguevano, si chiese Elena.
Leila sbuffò e stette a guardare in silenzio come la partita riprendeva tranquilla.
-Passa!-.
-Sono libero!-.
-La vuoi passare?!-.
Halef si avvicinò a loro, ed Elena gli sorrise.
-Quale onore!- sogghignò il fratello più piccolo.
-Vi ho portato una nuova giocatrice- Marhim indicò la ragazza con un cenno del capo.
Halef inarcò un sopracciglio. –Stai scherzando, vero?- domandò sbigottito.
Marhim scosse la testa. –Scommetto che se la sa cavare, e le farà bene riprendere un po’ controllo del suo corpo. È stata tanto tempo ferma, e quale miglior modo per riaversi?- commentò.
Halef fece una smorfia. –Posso tentare, ma non credo che i ragazzi…-.
Marhim ingrandì gli occhi. –Ti preeeeeego-.
Halef aggrottò la fronte. –Da quando ti comporti come… me?- domandò stupito.
-Be’, funziona, no?- rise lui.
Halef indietreggiò. –Non vorranno mai. Non posso! Non ho abbastanza autorità in materia- dichiarò. –E poi- continuò guardandola. –Potrebbe farsi male- fece premuroso.
Elena si fece avanti, fermandosi al fianco dell’amico. –Mi associo. Marhim non è il caso, torniamo nella…-.
Non riuscì a terminare che dal gruppo di ragazzi che palleggiavano si levò un grido.
-Sei un bastardo!- sbottò uno a terra.
-Non l’ho fatto apposta, scusa!- si difese l’altro.
Elena si voltò, spaventata.
-Ragazzi, per favore, ci sono io!- li interruppe Leila.
Quello a terra scattò in piedi e indicò l’assassino che aveva di fronte. –Questo demente mi ha fatto lo sgambetto! L’hai visto anche tu!- eruppe.
-Leila! Non è vero! È inciampato da solo!- si difese l’altro, stringendo i denti.
-Sei solo un vigliacco!- sibilò quello.
I due erano in procinto di prendersi a pugni, Elena se lo sentiva.
Attorno agli assassini interessanti si formò un semicerchio che lasciava libera la vista alla Dea sull’ulivo.
Leila indossava quella mattina le sue candide vesti da assassina, il cappuccio abbassato sulle spalle e i lembi della veste bianca che svolazzavano al vento. Adagiata come un gatto tra i rami dell’albero. –Basta, per favore, mi state deprimendo- si lagnò la Dea.
-Avanti, dicci a chi va la punizione!- fece uno tra gli esterni.
-A nessuno, tornatevene ai vostri posti e voi due ribattete l’inizio! Avete rotto- sbottò.
I ragazzi riavviarono la partita, ed uno di loro si avvicinò di corsa alla staccionata accanto alla quale c’erano lei, Marhim ed Halef.
L’assassino accennò un inchino verso la ragazza, ed Elena arrossì.
-Ti sei svuotato abbastanza, vuoi tornare a giocare o no? Chi ce lo tiene a bada Atef, sennò- rise il giovane.
Halef allungò le labbra in un sorriso divertito. –Perché, Kavel non ce l’ha fa a tenere a bada le sue finte?-.
-Halef, dentro o fuori? Svelto!- aggiunse l’assassino.
Halef si guardò attorno. –Va bene, visto che insisti tanto. Ma ad una condizione-.
Elena sgranò gli occhi. –No!-.
Marhim le tappò la bocca, ed Halef sogghignò.
-La voglio in squadra- disse il fratellino prendendo la giovane Dea sotto braccio.
Il terzo ragazzo ci pensò poco. –Non mi piace, non mi piace! Sai che rischi grosso, vero?-.
Halef la tirò afferrandole il polso.  –Al massimo ci prendo un paio di cazzotti, ma ne vale la pena…- fece malizioso.
Elena sobbalzò. –Non credo…-.
-Halef!- lo chiamò Marhim, mentre i due si allontanavano verso il centro del campo.
-Te la riporto tutta intera, non preoccuparti!- gli rispose lui di spalle.
-Halef, non mai giocato…- mormorò lei.
Lui la strinse per un fianco. –Sta tranquilla, qui siamo tutti amici!- rise.
Dietro di loro si levò un urlo: -Muori, bastardo! Mi ha rubato la palla!-.
Attraversarono il campo camminando tranquilli nel bel mezzo della partita.
Elena era circondata da ragazzi dai muscoli scolpiti che si passavano con calci poderosi una palla che svolazzava da parte a parte, alzando cumuli di polvere. Ogni tanto ci scappava la bestemmia e qualche parolaccia, ma per il resto i maschietti di alto rango della setta sembravano innocui… se, certo, come no.
Halef si fermò di fronte all’ulivo dal quale presidiava Leila, alzò lo sguardo e la chiamo.
La Dea gli volse appena un’occhiata, soffermandosi sulla ragazzina stretta tra le sue braccia. –Ma come- sibilò scherzosa la donna. –Pensavo di essere io l’unica per te, mio caro!- piagnucolò, recitando bene la sua parte da prepotente.
-Macché, è la ragazza di mio fratello-.
Elena, senza pensarci, gli mollò una gomitata.
-Scherzavo!- si apprestò a risponderle lui.
-Che cosa ci fai qui, picciotta? Non dovresti essere al caldo sotto le coperte? Nelle tue condizioni, poi…- pungente come una serpe, Leila si beffò di lei.
-Non sono mica incinta!- digrignò Elena. –Voglio giocare!- sbottò d’un tratto, ed Halef si sorprese di quell’improvviso furore.
Leila inarcò un sopracciglio. –Non dirmi che la vuoi nella tua squadra- la indicò con disprezzo.
-Ovviamente- disse solo lui, con un sorriso da deficiente.
Leila fischiò, e la partita si arrestò al suo comando.
-Attenzione, grazie!- pronunciò maliziosa la donna battendo le mani. –Abbiamo una novità, maschioni!- aggiunse.
Halef ed Elena si voltarono verso l’interno del campo, mentre Leila alle loro spalle illustrava la situazione alle due squadre.
-Piccolo cambio di schemi, ragazzi: gigante, cuccati Gabriel. Atef, riprenditi anche il nanetto. Kavel, con te torna Maher e prenditi anche la ragazza. Spero di aver equilibrato la situazione, ed ora muovetevi, non ho tutto il giorno. Voglio vedervi bruciare!- fece schioccare la lingua.
Atef ululò come un lupo, mentre Maher prendeva sottobraccio il nano della situazione che si confondeva tra la massa di assassini a torso nudo.
-Bene- fece Halef soddisfatto andando verso i compagni di squadra. –ragazzi, questa è Elena- la presentò.
La giovane Dea trattenne il rossore delle guance, sfuggendo agli sguardi chi maliziosi e chi semplicemente curiosi degli assassini.
Kavel, capitano della squadra, strinse una spalla al piccolo Halef. –Aspettate un attimo- proferì avvicinandosi a lei. –Stai scherzando, vero?!- gridò rivolto alla Dea dell’ulivo.
-Nah- sbottò lei antipatica.
-Maledetta puttana! Ci hai tolto nano e in cambio ci dai Maher e la bambina?! Questa me la spieghi!- strillò, ma Leila parve non curarsi delle offese.
-Non ti lamentare, e mostra quanto vali- fu la sua risposta. –Palla al centro, svelti!-.
-Ma chi si credere di essere…- sibilò qualcuno.
-La regina d’Inghilterra?- aggiunse un altro ragazzo.
Elena si avvicinò ad Halef. –C’è qualcosa che non va, vero?- domandò in un sussurro, e le gambe cominciarono a tremarle.
Non avrebbe voluto essere lì, ma ancora una volta il sorriso rassicurante di Marhim dall’altra parte del campo le giunse nel più profondo del cuore, instaurandole nuova forza. Forza per arrivare intera alla fine della giornata.
-Nah, fanno sempre così- le disse tranquillamente Halef. –Facci l’abitudine-.
Abitudine? Dopo quella mattina Elena non avrebbe lasciato le sue stanza per nulla al mondo! Non avrebbe messo mai e poi mai piede di nuovo in quel campo, non avrebbe mai e poi mai rivisto quei ragazzi e ascoltato le loro bestemmie mentre si passavano la palla in uno stupido gioco!
E ora? Si chiese mentre i suoi compagni di squadra prendevano posizione. La ragazza rimase imbambolata dov’era e anche quando Leila fischiò, non si mosse di un passo.
Durante tutta la partita pregò perché la palla non le venisse mai incontro,e all’inizio così fu. I suoi compagni riuscivano sempre a concentrare il gioco nella parte estrema del campo, negli ultimi cinque metri dalla porta avversaria, ed Elena tirò sospiri di sollievi infiniti.
Atef era il capitano della fazione avversaria. Alto, dai capelli corti ben tagliati che conferivano al suo viso una forma allungata e snella quanto il suo corpo, abbellito da una muscolatura esagerata. Trovò nella sua figura qualcosa di dannatamente familiare, ma non riuscì a ricordare quando si fossero mai potuti incontrare.
Kavel, comandante in prima della squadra nella quale era, sembrava un ragazzo totalmente opposto al capitano avversario. Magro, esile, con la sola forza nelle braccia e nelle gambe, con le quali sapeva far piroettare la palla in una maniera incredibile. I capelli castano scuro lasciati crescere e spettinati si compattavano a ciocche per via del sudore che li attraversava la fronte. La pelle abbronzata e il portamento scattante anche durante il gioco gli conferivano un aspetto agile.
Elena impiegò gran parte del tempo a squadrare volto per volto i presenti. Senza prestare minima attenzione alla partita, si trovò ben presto con la palla tra i piedi, mentre attorno a lei si formava un cerchio sempre più stretto dei suoi compagni di squadra.
-Forza! Passala!- strillò qualcuno.
Elena abbassò lo sguardo e, terrorizzata, constatò che effettivamente toccava a lei muovere qualcosa. Senza pensarci due volte, calciò il pallone che finì oltre la staccionata.
E poi non fu facile intuire in che mondo la stessero fissando: sdegno, ripugno, come se fosse un mostro orripilante.
Il colpo alla palla, il movimento della gambe, le aveva conferito una fitta appena percettibile al fianco opposto, ma non avrebbe smesso di giocare per quello! Avrebbe smesso di giocare e basta.
-Halef…- provò a chiamare guardandosi attorno, mentre due ragazzi scavalcavano la staccionata e si apprestavano al recupero della palla nel bosco di ulivi. –Halef!- ripeté individuandolo nel bel mezzo di un gruppo di assassini.
La ragazza si avvicinò lentamente. –Ehm, forse è meglio che mi metto da parte- pronunciò quando il fratello di Marhim le venne incontro.
-No, ma che dici- fu la sua risposta. –Non ti preoccupare, devi prenderci solo la mano- aggiunse divertito.
Perché tenerla in squadra se era una totale schifezza?! –Non riesco, sono negata ed è meglio che lascio stare, ti prego- lo supplicò.
Lui aggrottò la fronte. –Dai, hai giocato neppure dieci minuti. Ne sei sicura?-.
Elena incontrò lo sguardo confuso di Marhim che la fissava dall’altra parte del campo. –Sì, davvero. Magari… un’altra volta- suggerì timida.
Gli altri assassini alle spalle di Halef tacevano, guardandoli entrambi senza parole.
Elena fece per alzarsi il cappuccio a coprirle il viso, ma si trattenne.
-Va bene- acconsentì Halef in fine. –Spero comunque che ti sia divertita- le fece l’occhiolino.
Elena annuì. –Mi farò rivedere- ridacchiò avviandosi.
I due ragazzi rientrarono nel campo ed uno di loro lanciò la palla verso l’alto con un calcio poderoso.
Elena si allontanò svelta quasi correndo e raggiunse l’amico che l’attendeva distante.
-Che cosa…- fece per dire Marhim, ma Elena gli lanciò un’occhiataccia.
-Ah, capito- tacque lui.
-Anche se…- cominciò la ragazza, e Marhim si volse verso di lei confuso.
-Anche se mi piacerebbe tornare. Magari domani o un giorno di questi. Sembra un gioco divertente- omise sorridente.
-Non fa nulla. Infondo da domani saranno in molti meno a giocare-.
-Come mai?-.
-Riprendono gli itinerari. Fredrik e Adel poteranno alcuni di questi con loro nel sud. Ora che comincia a fare meno caldo, possono occuparsi di alcune faccende nell’estremo deserto- proferì serio.
-Ah, bene…- sussurrò.
-Non ne sono sicuro, ma è probabile che anche Halef ci lasci di nuovo- sorrise.
-Spero per te che tu non lo segua, questa volta!- rise la ragazza.
Marhim diede una svista alla partita che era appena ricominciata dopo il fischio di Leila. –No, non andrò. Puoi starne certa-.
-Perché tu non…- chiese lei mentre si incamminavano.
Marhim si voltò e salutò il fratello agitando un braccio.
Halef ricambiò tornando poi concentrato sulla partita.
-Non gioco perché… dopo la mia prima palla fuori campo mi sono lasciato sopraffare dall’imbarazzo. E non me la sento di ritentare. Invece…- la guardò. –mi fa piacere che tu abbia voglia di tornare-.
-Anche a me!- gioì lei, ed insieme tornarono alla fortezza.

La mattina successiva, senza avvertire né Marhim né nessun altro, Elena si avviò da sola al campo da gioco. Si stupì di trovarvi una minoranza impressionante di partecipanti, ma Marhim l’aveva avvertita che le squadre si sarebbero ristrette dei rispettivi giocatori per via degli itinerari di Fredrik e Adel. Molti degli assassini tornavano sotto torchio agli allenamenti con le armi, e il tempo di gioco era finito.
La ragazza si avvicinò alla staccionata e si guardò attorno.
Il sole splendeva e un venticello freddo alzava da terra cumuli di polvere, mentre alcuni ragazzi erano impegnati in passaggi amichevoli.
-Finalmente, stavamo aspettando te!-.
Elena si voltò, ed Halef le strinse una spalla.
La ragazza si contorse dal dolore per l’improvviso irrigidimento dei muscoli del bacino. –Halef!- digrignò.
-Ah, giusto, scusa…- lui mollò la presa dispiaciuto.
Elena si passò una mano all’altezza del fianco, ed Halef la osservò triste. –Te la senti di giocare? Aspetta… dov’è Marhim?- alzò un sopracciglio.
-Ho imparato la strada troppo in fretta?- rise lei. –E comunque, sì- aggiunse. –Mi va di giocare-.
-Siamo di buon umore, eh?-.
La ragazza annuì.
-Ottimo, oggi ti voglio in attacco. Come vedi, mi mancano dei giocatori!- ridacchiò lui.
-Hmm- Elena lanciò un’occhiata al campo semi vuoto.
-Avanti, vieni- lui la prese sotto braccio. –Ieri non ho avuto modo di presentarti i tuoi compagni di squadra. Andavamo piuttosto di fretta perché Leila aveva ecco… delle cosette da sistemare-.
Elena lo seguì al centro del campo, dove si era formato quel cerchio amichevole di giovani che si passavano la palla.
-Ragazzi, la Dea è tornata- gioì Halef.
-Ciao- la salutò uno alzando una mano.
-Ben tornata!- sorrise un altro.
-Mi devo appostare fuori dal campo? Così ci metto di meno a recuperare la palla…- fece la battuta un terzo.
Elena allungò le labbra in un sorriso.
Halef fece una lista di nomi ai quali ciascun ragazzo del semicerchio rispondeva con un immenso sorriso. Alla fine, Elena poté accontentarsi di aver memorizzato il viso di Maher, nome non nuovo. Per il resto restarono tutti degli sconosciuti cui si sarebbe abituata col tempo.
La palla finì improvvisamente di nuovo tra i suoi piedi, ed Elena sobbalzò.
-Dai, passala. Un po’ di riscaldamento- le suggerì Halef al suo fianco.
Elena annuì poco convinta e indirizzò il pallone con un tocco leggero esattamente di fronte a lei. Il ragazzo che ricevette sfiorò la palla con la punta della scarpa e questa si sollevò da terra; lui la fece rimbalzare sul petto e la colpì poi di testa.
Alla giovane Dea luccicarono gli occhi.
Halef squadrò i suoi amici. –Kavel?- domandò.
-È andato- gli rispose un ragazzo.
-Quindi chi lo sostituisce?- chiese ancora Halef.
Gli assassini si scambiarono occhiate complici.
Halef aggrottò la fronte. –Cominciamo bene…- brontolò e calciò la palla con violenza.
Questa uscì fuori dal cerchio e rotolò fino ai piedi di Atef.
L’assassino curvò un sopracciglio. –Passi la palla agli avversari, eh Halef?- si beffò.
-Hai già voglia di perdere?- ribatté Halef divertito.
Atef avanzò verso la loro squadra. –Voglio un cambio- dichiarò.
Il fratellino di Marhim, che sembrava avere più autorità tra i suoi compagni di squadra, si fece perplesso. –Esponi- disse.
-La Dea con noi, e ti do Gabriel- ammise serio.
-Scordatelo- Halef le cinse di nuovo le spalle. –Proprietà privata, non so se mi spiego- sorrise malizioso, ed Elena fece altrettanto.
-Peggio per te- sbottò Atef avvilito. –Cominciamo!- ruggì.
La palla venne posizionata al centro del campo da uno dei ragazzi nella squadra di Atef, e questo si preparò a fare il primo tocco assieme ad un suo compagno.
-Quello è Gabriel- le sussurrò Halef mentre attendevano che i due si scambiassero le tattiche di gioco.
Elena osservò il giovane che aveva portato il pallone al suo posto. –è forte?- domandò.
-Insomma. Ma stacci attenta. È piuttosto impacciato quando si tratta di oggetti rotondi- rise.
Che doppio senso assurdo, pensò Elena.
E Leila? Che fine aveva fatto? Chi avrebbe arbitrato la partita? Chi avrebbe assegnato i calci di rigore e le punizioni?!? Elena entrò nel panico. Senza qualcuno di imparziale, sarebbe stata dura uscire viva o con le ossa intere.
Gabriel, il ragazzo dalla pelle scusa e i capelli color caramello, toccò la palla e la passò a Atef, che a sua volta la alzò alta verso il cielo azzurro.
-Corri avanti!- le gridò Halef, ed Elena lo seguì di corsa verso la metà avversaria del campo.
Un ragazzo della loro squadra si lanciò tra i due e colpì il pallone di testa, mandandolo dritto e potente in contro ad Halef.
Elena si stanziò dal fratello di Marhim e percorse il corridoio laterale del campo, pari con la staccionata. Osservò concentrata la situazione e, nell’istante in cui Halef le lanciò un’occhiata, si stagliò nell’azione di gioco.
Halef teneva la palla, e ai suoi lati, stanziati di qualche metro, c’erano due loro compagni di gioco. Questi si passarono il pallone attenti a non lasciarsi intralciare dalla coreografia avversaria, che faceva di tutto pur di sottrargli la vittoria.
Halef la guardò di nuovo, ed Elena ebbe un tuffo nel cuore quando il pallone guizzò tra la calca di assassini e arrivò ben piazzato ai suoi piedi.
-Tira!- gridò qualcuno.
Elena alzò gli occhi, incontrando quelli maliziosi del portiere a pochi passi da lei.
Questo le venne incontro, lasciando libera la porta, ed Elena si fermò, inchiodando dov’era.
-Oh mamma…- sbiancò, ma nell’istante in cui fu per alzare la gamba e prepararsi a calciare, Gabriel scivolò sul terriccio entrando tra le sue gambe  sottraendole la palla.
Il pallone sfuggì al controllo della giovane allontanandosi verso la parte opposta del campo, ma i due assassini rotolarono a terra avvinghiati.
Elena batté la testa, sentì la polvere del suolo salirle la gola e il fianco dolorante mandare una moltitudine di fitte dolorosissime. Quando riaprì gli occhi, si accorse di essere finita stesa sopra il ragazzo.
Gabriel fece una smorfia, ma non disse nulla constatando la vicinanza dei loro visi.
Elena arrossì d’un tratto, provò a tirarsi su, ma la sua mano toccò non terra ma il braccio muscoloso dell’assassino.
La collana della Dea venne fuori dal cappuccio senza preavviso, scivolando sul petto nudo d Gabriel. Il ragazzo rabbrividì. –Ma cosa…- chinò la testa e osservò il ciondolo di pietra fredda che gli solleticava la pelle sudata.
Elena allora scattò in piedi e lo aiutò a tirarsi su.
-Fallo!- strillò Atef alle spalle di lei.
Gabriel si pulì i pantaloni scacciando la polvere, poi le volse un’occhiata, insistendo sulla sua collana.
Elena abbassò lo sguardo, portandosi una mano al fianco bendato. Il dolore non le permetteva di aprir bocca, e se avesse provato ad ingoiare, la terra che aveva in bocca le sarebbe finita dritta dritta nello stomaco.
Attorno ai due che erano accidentati si formò un semicerchio di assassini che ridacchiavano. Elena si tirò su, raddrizzando la schiena, ma il dolore al ventre si fece più penetrando.
Mentre Halef e Atef litigavano per accaparrarsi il calcio di punizione, Gabriel avanzò verso di lei.
Elena rimase immobile dov’era, osservando sbigottita come l’assassino assumeva la stessa espressione stringendo tra le dita adulte il ciondolo di Alice.
-Elena, giusto?- mormorò lui, e la sua voce giovane e con un leggerissimo accento non del posto.
Lei annuì, trattenendo i lamenti doloranti.
-Dove l’hai presa?- si rigirò nella mano la collana. –Chi te l’ha data?- chiese ancora, smarrito e sbigottito.
La Dea sollevò gli occhi dalle sue dita attorno al ciondolo e li puntò in quelli grigi, e da una parte celesti di lui. –Perché me lo chiedi?- proferì mesta.
Gabriel aveva i capelli spettinati e lasciati crescere ad incorniciargli il viso. La barba folta e della stessa tonalità color caramello della chioma. Gli occhi vuoti, grigi facevano un contrasto meraviglioso e gli conferivano un aspetto astratto e affascinante. La muscolatura giovane ma ben sviluppata. Poteva avere 25 anni massimo, e la sua maturità nel portamento tradivano il fatto che si dilettasse a giocare a calcio con dei sedicenni.
-Gabriel, avanti!- lo chiamo Atef e il ragazzo si stanziò da lei d’un tratto.
Elena lo guardò allontanarsi di corsa verso la porta avversaria. Gabriel si posizionò di fronte alla palla messa a 10 metri dalla porta e si preparò a calciare.
Halef le si avvicinò. –Me che diavolo…- brontolò.
-Scusa, è stata colpa mia- sibilò lei osservando il portiere della loro squadra posizionarsi tra le due pietre.
-Ma che dici- Halef le sorrise. –Capita, ma da Gabriel non me l’aspettavo. Giuro che gliela faccio pagare!- strinse i denti.
Elena gli volse un’occhiata sorridendo. –No, non ce n’è bisogno…- sussurrò.
Gabriel calciò il pallone che assunse un poderoso effetto banana e segnò di laterale, mentre il portiere si era lanciato dalla parte opposta.
-Stupido- sbottò Halef allontanandosi.
Elena si strinse con violenza il fianco dolorante, colpita da una nuova improvvisa fitta.
Dopo poco che la partita era ricominciata, chiese al fratello di Marhim di poter sospendere la partita perché il dolore si era fatto intollerabile. Halef le aveva sorriso afflitto scusandosi di aver preteso così tanto da lei, ma dopo una mezz’oretta di risposo seduta sulla staccionata, Elena si era ripresa del tutto ed era tornata a giocare.

Quella sera a mensa, Elena entrò nella sala e sgranò gli occhi.
Li riconobbe tutti, i suoi compagni di squadra della mattina. Seduti compatti ad un tavolo, formavano un gruppo unico e distaccato dagli avversari.
La ragazza arrossì quando Halef, circondato dai suoi amici, la salutò alzando il mento.
Gli assassini attorno a lui si voltarono a guardarla; alcuni la salutarono, altri tornarono ai fatti propri beffandosi e ridacchiando.
Marhim comparve alle sue spalle, ed Elena si girò.
-Già qui?- domandò lui. –E dove sei stata tutto il giorno? Ti ho cercata dappertutto, ma avevo da fare… così ho abbandonato la ricerca in fretta- rise.
-Mi è venuta fame- rispose. –Oggi è stato divertente giù al campo- gioì.
-Ah, però. Mi sono perso tutto?-.
-Mi sa-.
-Va bene, vedrò di esserci la prossima volta…- proferì assorto, ed Elena seguì il suo sguardo.
Il tavolo delle Dee era appartato nell’ombra, vicino alle vetrate. Vi sedeva solo Kamila.
-E così addio pranzo e cena assieme- commentò il ragazzo.
-Mi sa- sospirò Elena. Accanto a Kamila c’era un posto vuoto già apparecchiato dal piatto pieno di minestra.
-Ti tocca- borbottò Marhim.
-Ci vediamo dopo?- Elena fece per avviarsi.
Marhim annuì e la osservò immobile nel centro della sala fin quando non si fu seduta accanto alla Dea. Poi il giovane si riscosse e andò verso il tavolo del fratello minore.
-Ciao…- mormorò Elena, e Kamila gli lanciò un sorrisetto compiaciuto.
-Eccoti qui. Dove sei stata questo tardo pomeriggio?- non si risparmiò di chiedere.
-Sono tornata nella biblioteca- rispose.
-Leila mi ha raccontato un paio di cosette…- ridacchiò la Dea, ed Elena sobbalzò.
Si riferiva alla partita, al gioco, alla sua fuga improvvisa. Elena pensò ad un modo per cambiare argomento.
-Dove sono Elika e Leila?- domandò buttando giù un cucchiaio della cena.
-In giro. A proposito, ora devo andare- Kamila si alzò alla svelta. –Ci si becca in giro- le fece l’occhiolino e scomparve nel buio dei corridoi.
Elena, sbigottita, non si mosse per diversi istanti. Sbaglio o qualcuno la stava evitando? Forse era solo una sua impressione, ma gli avvenimenti di oggi l’avevano lasciata riflettere. Quand’è che sarebbe tornata al suo quieto vivere? Quando avrebbe ricominciato il suo itinerario e i pesanti addestramenti? Improvvisamente tutte quelle giornate vuote le pesavano sulla coscienza, lasciandole troppe domande a frullare per la testa. Dov’era il suo maestro?… aveva bisogno di combattere con qualcuno. Non le bastavano più le partite di calcio…
Era rimasta profondamente turbata dall’incontro scontro con… Gabriel. Chissà perché era rimasto tanto spaventato dal vederle al collo quella collana.
Quella notte, si coricò subito dopo cena, ma non riuscì a chiudere occhio. La mattina successiva si svegliò coi muscoli doloranti che neppure arrampicarsi sui muri di Acri le aveva portato tanta sofferenza. Per di più il fianco destro non le dava pace, e decise i sospendere anche le partite di pallone.
Trovò conforto nella biblioteca, china sui libri, celata tra le pergamene e gli scaffali. Seduta accanto a Marhim, come ai vecchi tempi prima di cominciare ad appassionarsi al calcetto, Elena si riavvalse della convinzione che presto il dolce-amaro della fatica avrebbe pesato di nuovo su di lei.


   
 
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