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Autore: j a r t    15/02/2016    6 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- 13 -
 
Quel giorno stesso le cose tra Michael e Federico precipitarono.
Avevano pranzato in silenzio e raramente i loro occhi si erano incontrati. Michael - dopo aver lavato i piatti - sedeva sul divano con una leggera coperta sulle gambe e il computer portatile poggiato su di essa. Era concentrato sulle note musicali quando uno smartphone piombò sulla tastiera del suo MacBook. Michael alzò lo sguardo verso un Federico irato, poi osservò il display del telefono del suo ragazzo che segnava un numero sconosciuto. Non aveva bisogno di chiedergli a chi appartenesse quel numero, sapeva benissimo che era quel Marco Castoldi o Federico non si sarebbe comportato in quel modo.
«Rispondi» gli ordinò il tatuato.
«No.»
«Ti ho detto di rispondere» insistette Federico, ribadendolo lentamente e con rabbia.
Michael non si aspettava che Federico si comportasse così. In quegli attimi al posto della figura del suo ragazzo vide invece Danny. Sì, si stava comportando esattamente come avrebbe fatto lui, e il riccio fu assalito da una profonda tristezza. Poi la rabbia si fece spazio dentro di sé, allora poggiò il computer sul divano e schizzò in piedi.
«No voglio, Federico, lasciami in pace! Io non ho fato niente, perché ti comporti così?»
Pronunciò le parole con sempre maggior agitazione. Federico restò in silenzio per dei minuti, forse riflettendo sulle ragioni del riccio oppure aspettando che la rabbia sbollisse un po’.
«Ok, va bene» pronunciò senza esserne completamente convinto. «Ma se quel tipo ti dà fastidio al bar devi dirmelo, ok?»
Michael si addolcì e annuì rapidamente, permettendo alla sua massa di boccoli di scuotersi su e giù.
 
Quella sera al bar Michael sperò davvero che Marco non si facesse vivo. Per la sua sanità mentale, prima di tutto. E invece l’uomo entrò tranquillamente nel locale, seguito dagli stessi amici della volta precedente - Andrea, il biondino e quella sorta di hipster. L’espressione sul volto di Marco mutò non appena vide Michael dietro il bancone: se prima era tranquilla e rilassata, dopo averlo visto sul suo viso si aprì un sorriso malizioso - quasi un ghigno. Il riccio deglutì a fatica e tentò di concentrarsi su altro.
Ovviamente non passò molto prima che Marco si avvicinasse al bancone, con la scusa delle ordinazioni.
«Ciao, Michael.»
«Ciao» salutò freddamente.
«Senti, ci porti quattro Tennent’s alla spina?»
Il riccio annuì senza guardarlo e scrisse l’ordinazione su un foglietto. Poi si voltò per spillare la prima birra e quando si rigirò verso il bancone notò che Marco era ancora lì.
«Le porto io al vostro tavolo» gli disse, sperando che questo lo avrebbe fatto allontanare.
«Lo so» concluse lui ridendo leggermente. «Non posso stare qui?»
«S-Sì, certo» balbettò leggermente Michael.
Marco lo trovò adorabile. Come lo avrebbe trovato chiunque, d’altronde. E poi sapere che quel ragazzo era già fidanzato era un altro elemento dannatamente eccitante, per lui - come se il suo visetto angelico e quegli occhioni non lo fossero già abbastanza da fargli desiderare di scoparselo il prima possibile.
«Allora... ieri parlavamo di musica» cominciò Marco accendendosi una sigaretta. «Ti va di venire a casa mia per ascoltare qualcosa?»
La pazienza di Michael aveva un limite e quel limite fu superato tutto d’un tratto, con quella frase. Non era colpa di Marco, certo, quella era solo una richiesta innocua - forse - ma il riccio aveva accumulato troppo stress per quella storia, e perciò sbottò. Poggiò poco delicatamente l’ultimo boccale di birra sul vassoio e sbuffò esasperato.
«Per favorre, Marco, lasciami stare. Io sono fidanzato, e tu lo sa, perché hai parlato con Federrico
Marco alzò le mani al cielo e sorrise.
«E va bene, scusa!» Lo interruppe. «Guarda che era solo una richiesta amichevole, la mia. Da’, questo lo porto io.»
Marco afferrò il vassoio e si diresse al tavolino a cui erano seduti i suoi amici. Nonostante il modo un po’ brusco con cui Michael aveva parlato, comunque, il riccio notò che lui era ancora sorridente e spensierato.
 
Quando tutti furono usciti dal locale erano appena passate le due e mezza del mattino. Michael aveva aspettato una ventina di minuti, dopo aver finito di sistemare tazzine e bicchieri, prima di togliersi definitivamente il grembiule e poggiarlo nello stanzino in cui aveva le sue cose. Evidentemente non era il solo ad aver atteso, perché proprio quando uscì dallo stanzino gli si materializzò davanti la figura di Marco. Michael sobbalzò per lo spavento e aggrottò la fronte.
«Cosa fa tu ancora qui? Sto per chiudere il locale.»
Marco lo fissava con uno sguardo malizioso e gli occhi leggermente lucidi - Michael sapeva che non era ubriaco, ma forse lievemente brillo sì.
Infatti l’uomo non disse niente, semplicemente afferrò il viso del riccio e lo baciò con foga, facendo scontrare la schiena del più alto contro il bancone di legno massiccio. Michael se lo scollò di dosso e lo guardò sconvolto.
«Cosa fai?!»
Di nuovo Marco non rispose e afferrò il corpo di Michael tenendolo stretto per le spalle. Appiccicò il suo corpo contro quello del più alto in modo che questo potesse sentire l’erezione che lui aveva nei pantaloni. Il riccio era come pietrificato.
«Questo è l’effetto che mi fai ogni volta che ti vedo» gli sussurrò all’orecchio Marco.
La sua voce era talmente calda e roca che, pure se controvoglia, Michael percepì tutto il suo sangue caldo precipitare al basso ventre. No, non poteva permettersi di avere un’erezione in quel momento, soprattutto con quell’uomo! Eppure la sua voce era così bassa ed eccitante, così suadente. Il suo fiato caldo sul collo gli faceva venire i brividi, così come quel misto di tabacco e alcol che giunse alle sue narici. Michael chiuse gli occhi combattuto, mentre la lingua di Marco già trafficava sul suo collo. Il riccio era troppo impegnato a cercare di non farsi piacere tutto quello, e perciò neanche si rese conto dei denti dell’uomo che andavano a marchiargli il collo con un succhiotto, finché non sentì dolore proprio in quella porzione di pelle. Gli sfuggì un gemito che non avrebbe voluto emettere, ma proprio non capiva perché in quel momento il suo corpo non volesse sottostare al controllo della razionalità. Tentò vagamente di ribellarsi alla presa dell’altro, ma in realtà sapeva fin troppo bene di non volersi ribellare e basta. Anche se non ne capiva il motivo.
La mano di Marco andò a massaggiare l’erezione dell’altro attraverso i pantaloni e questo - per quanto piacevole - per la razionalità del riccio fu sinceramente troppo da sopportare, anche perché in quell’esatto momento l’immagine di Federico che gli faceva quelle cose si sovrappose alla realtà. Se lo staccò di dosso e lo guardò sconcertato. Marco rideva.
«T-Ti prego, vai via!» Quasi urlò Michael, che sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
«E perché? Mi sembrava proprio che ti piacesse.»
«No, vattene!»
Marco gli lanciò un ultimo sorriso malizioso e uscì dal locale.
Michael si portò una mano al viso e pianse.
Lacrime di coccodrillo.
Si diede una sistemata e uscì dal locale con le sue cose, abbassando la saracinesca. Per tutto il tragitto che fece a piedi - nonostante questo fosse breve - Michael pensò a Federico e a come lo aveva tradito. Era un idiota, semplicemente non si meritava di stare con un ragazzo come lui, perché rovinava sempre tutto invece di tenersi stretto ogni cosa.
Affondò le mani nelle tasche e affrettò il passo.
E se Federico non l’avesse mai saputo? D’altronde non era lì. Federico non doveva saperlo.
Michael arrivò all’appartamento dopo una decina di minuti. Aprì la porta e con sua grande sorpresa l’alloggio non era immerso nel buio come lui aveva immaginato: la luce del soggiorno era accesa e al centro del tavolino c’era un cuscino rosso a forma di cuore circondato da due piccole candele accese e alcuni petali di rosa. Vicino a cuscino c’era invece un biglietto bianco con scritto “Sorry :(”.
Michael prese il cuscino tra le mani e quando vide Federico venire sorridente verso di lui gli si strinse il cuore. Era un verme, ecco cos’era: perché mentre Federico si impegnava per fare quello, per farsi perdonare, lui quasi si faceva scopare da un altro.
«Mi dispiace per come ti ho trattato, Mich.»
Michael però non riuscì a guardarlo negli occhi, né a replicare. Semplicemente portò la mano libera al viso e scoppiò a piangere. Federico si preoccupò di quella reazione e si avvicinò di più al suo ragazzo.
«Mich, cosa-»
Si interruppe non appena vide quel segno violaceo sul collo candido del riccio: era stato fatto da poco, e sicuramente non era stato lui a farglielo. Federico strinse i pugni, perché improvvisamente tutto gli fu più chiaro.
Eppure - con grande sorpresa dei due - non si arrabbiò, né sbraitò nulla di incomprensibile. Semplicemente era stanco di fare scenate, ma soprattutto era deluso. Deluso dal ragazzo a cui aveva detto “ti amo” e che aveva difeso con le unghie e con i denti contro sua madre.
«Bella ricompensa» disse forse più a sé stesso che a Michael. «Mi sa che Danny aveva proprio ragione su di te.»
«Mi dispiace Federico, io-»
Ma Federico ormai era già lontano, nella camera da letto, e aveva chiuso a chiave la porta. Aveva anche voglia di spaccare tutto, di rovesciare il mondo. E invece semplicemente si coricò sotto le coperte.
 
Michael dormì rannicchiato sul divano, con il cappotto steso addosso al posto della coperta - dato che Federico si era chiuso in camera e non aveva potuto prenderne una. Le lacrime silenziose che versò andarono a formare una macchia scura sul bracciolo del divano. Non riuscì veramente a dormire, perché aveva solo voglia di sotterrarsi. Si sentiva uno schifo, non avrebbe mai dovuto permettere a Marco di entrare nella sua vita. Era vero anche che Federico lo aveva insultato e ferito, ma poi aveva chiesto scusa in una maniera così dolce che Michael adesso non poteva certo dire di meritare. Passò una mano sul volto per asciugare le lacrime, ma già altre erano pronte a rotolare giù. Perciò decise di alzarsi e andare in cucina, forse per prendere qualcosa da mangiare o da bere dato che neanche riusciva a dormire - nonostante la stanchezza della giornata. Mentre si dirigeva in cucina, però le sue gambe inconsciamente lo portarono verso la camera da letto che aveva condiviso con Federico in quelle settimane. Possibile che la loro relazione fosse destinata a finire così presto? Michael guardò a lungo la porta chiusa della stanza, poi si sedette sul pavimento contro la parete adiacente. Si sistemò addosso il cappotto e poggiò il mento sulle ginocchia, stringendo le gambe al petto. Continuò a piangere in silenzio per un po’, poi la consapevolezza di avere Federico un po’ più vicino lo fece addormentare.
 
Il primo a svegliarsi il giorno seguente fu Michael. Aveva dormito poco e male, anche per via di quella scomoda posizione che aveva assunto sul pavimento ghiacciato. La porta della camera di Federico era ancora chiusa, ma per poco. Perché proprio mentre il riccio si tirava su, anche il tatuato apriva la porta della camera da letto. I loro sguardi si incrociarono per un attimo infinitamente piccolo, poi Federico abbassò gli occhi al pavimento e tirò dritto fino in cucina senza dire una parola. Qui il tatuato si versò del succo di frutta preso dal frigo e sgranocchiò dei cereali. Anche Michael entrò in cucina poco dopo, con lo sguardo basso e gli occhi arrossati; riempì un bicchiere di latte freddo e vi immerse dei biscotti al cacao. Il primo a rompere quello straziante silenzio, ovviamente, fu Michael.
«Mi dispiace, Fede. Non volevo» sussurrò.
Il tatuato lo ignorò e allora, finalmente, il riccio lo guardò: sembrava pensieroso. Michael aprì bocca per continuare con le scuse, ma fu anticipato da Federico, che quasi di scatto si voltò verso di lui e lo fissò negli occhi.
«Io non so che fare, Mich. Pensavo che tu ci tenessi a me, allora mi sbagliavo? Dimmelo tu, perché io non capisco più un cazzo! Perché ti comporti così? Dovrei pensare che Danny aveva ragione?»
«No, no! Io ti amo davero, Fedé
«E allora me lo spieghi?» Alzò il tono di voce Federico, con una punta di rabbia. «Se una persona ama un’altra di certo non se ne va con il primo che capita!»
«Non è suceso niente fra noi, Fedé, mi ha solo... baciato e bassta
«E lo chiami niente?! Tu gli hai dato corda, ti è piaciuto! E non venirmi a dire che ti ha costretto, perché non ci crederei neanche morto!»
Federico quasi urlava e teneva i pugni stretti per la rabbia. Michael si sentiva totalmente in colpa, avrebbe desiderato poter tornare indietro nel tempo e non cedere mai a quell’attimo di tentazione.
«Mi disspiace
Michael non aveva altre parole, ma era sincero. Eppure a Federico quello non bastava. Il riccio si alzò e gli andò incontro, prendendo il volto tra le sue mani e lasciandogli un lungo bacio sulle labbra. Federico restò immobile senza ricambiare il bacio, nonostante Michael gli stesse mordicchiando il labbro inferiore e tentasse di fare irruzione nella sua bocca con la lingua. Il tatuato generalmente lo avrebbe fermato, urlandogli che non poteva pretendere nulla, non in quel momento. Eppure sentì il forte desiderio di impartirgli una lezione, in qualche modo, di rimarcare il fatto che fosse suo e basta, nonostante quell’osceno segno violaceo che il riccio aveva rimediato da quel Marco Castoldi. Al solo pensiero di quel nome Federico si arrabbiò, se possibile, ancora di più. Cosa cazzo poteva avere quel tizio in più che Federico invece non aveva? Sì, Michael necessitava di una lezione.
Il tatuato si staccò bruscamente di dosso il riccio, che rimase confuso.
«Girati» gli ordinò e Michael, anche se incerto, gli diede le spalle.
Federico spinse con poca delicatezza il busto di Michael in avanti, il quale piombò sul tavolo e per fortuna ebbe i riflessi pronti nel mettere avanti le mani per evitare di sbattere la faccia contro la superficie in legno del tavolino. Il riccio cominciò a realizzare cosa Federico aveva in mente solo quando l’altro gli abbassò con una sola manata i pantaloni scuri e i boxer con essi.
«Allarga le gambe.»
Michael percepì la voce di Federico fredda e distante, ma l’ordine che gli impartì non fece altro che eccitarlo: amava quel modo autoritario di fare, anche se di certo non poteva dire che fosse un bel momento del loro rapporto. Il riccio obbedì all’ordine e attese l’altro. Non poteva vedere cosa stesse facendo, ma sentì il rumore della zip dei pantaloni di Federico e poi qualcosa strusciare ripetutamente per un certo tempo. Michael si morse le labbra: quell’attesa - così come la situazione stessa - lo faceva impazzire. Poi percepì la pelle di Federico che sfiorava la sua e infine il suo membro che entrava con una botta secca dentro di lui. Emise un gemito di dolore e strinse gli occhi. Federico mosse il bacino avanti e indietro, entrando e uscendo da Michael senza dargli neanche un attimo per abituarsi. E anche se tutto il contesto lo eccitava da morire, il piacere che provava il riccio di certo non superava il dolore. Federico assestò le ultime spinte affondando di più le unghie nei fianchi dell’altro, tanto da lasciargli dei segni rossi evidenti. Il tatuato ebbe esitazione solo ad un certo punto, quando pensò che forse quello era più un comportamento da Danny. Ma alla fine Michael non si stava tirando indietro, e a giudicare dalla sua erezione gli stava pure piacendo. Federico riversò il proprio seme nell’altro, venendo mentre tratteneva gemiti e sospiri: non voleva dargli quella soddisfazione. Decise poi di infierire ulteriormente e perciò, staccatosi da lui, afferrò la sua erezione e mosse freneticamente la mano lungo di essa. Michael smise di avvertire il dolore quando Federico uscì da lui, e cominciò invece a provare puro piacere per la mano dell’altro che si muoveva sul proprio membro. Emise alcuni flebili gemiti, quando la mano di Federico interruppe di colpo il movimento. Michael schiuse le labbra e sbarrò gli occhi, confuso. Federico invece lo lasciò lì, ad un passo dal raggiungere il limite, e semplicemente se ne andò in bagno.
 
La questione Marco Castoldi si riaprì a pranzo. Federico era stato a lavoro durante la mattinata e Michael aveva appena finito di preparare le pietanze quando il tatuato rientrò. Posò chiavi e cappotto e si diresse in bagno per lavare le mani. Dopodiché, giunto in cucina, si sedette al proprio posto e Michael portò i piatti ancora fumanti in tavola. Il riccio aveva preparato una pasta al forno dall’aspetto niente male e per secondo gli arrosticini - li aveva scoperti da poche settimane e se ne era letteralmente innamorato.
Cominciarono a mangiare in silenzio, finché Federico non parlò, dopo aver mandato giù un bicchiere d’acqua.
«Comunque puoi essere amico di questo Marco Castoldi, se ti va.»
Michael smise di mangiare e abbandonò la forchetta nel piatto. Non capiva.
«Perché tu dice questo?» Domandò confuso e sospettoso. «È una trapola per vedere se abbocco?»
L’altro scosse la testa.
«No. È quello che avevo pensato l’altra sera, per questo ti ho chiesto scusa per come mi sono comportato.»
Michael avrebbe voluto ricordargli che quello era stato prima di scoprire che Marco gli aveva lasciato un succhiotto e che lo aveva baciato. Eppure non aggiunse niente, ovviamente, sarebbe stata una cosa troppo stupida. Federico proseguì.
«Dovevo darti fiducia, avevi ragione tu. E perciò voglio darti fiducia adesso.»
Michael era ancora confuso, finché l’altro non terminò il suo pensiero.
«Però non sono stupido, allo stesso tempo. Perciò se vorrai essere amico di Marco Castoldi va bene. Ma se succederà ancora qualcosa come quella che è accaduta la scorsa notte, allora con me hai chiuso per sempre.»
Michael comprese il concetto: Federico gli stava dando fiducia, una fiducia più grande di quella che meritava; ma se l’avesse tradita allora la loro relazione sarebbe finita per sempre. Adesso la decisione spettava solo a Michael.
«Grazie, Federico.»
Il tatuato non sorrise, né rispose, ma il riccio avvertì che la tensione fra loro era scomparsa.
 
Nel primo pomeriggio Federico diede a Michael il numero di cellulare di Marco e il riccio gli giurò che non avrebbe tradito la sua fiducia. Ma al tatuato non interessavano le parole, aspettava di vederne i frutti.
Michael compose il numero con il suo cellulare e Marco rispose dopo diversi squilli.
«Chi parla?»
La sua voce, filtrata attraverso il telefono, gli apparve ancora più roca.
«Ciao Marco, sono Michael.»
L’altro restò interdetto per un po’.
«Senti, mi dispiace per la scorsa notte. Davvero, io ero quasi ubriaco e non sono riuscito a trattenermi.»
Marco era sincero e sperò che quella sincerità arrivasse anche a Michael. Fu così.
«No ti preocupare, Marco, io so che-»
«Ma per caso ti ho messo nei guai con il tuo ragazzo?» Domandò seriamente preoccupato.
Michael sorrise.
«No, no, stai tranquillo. Tra noi tuto ok.»
«Ah, va bene. Mi ero preoccupato perché era stato il tuo fidanzatino a dirmi di lasciarti in pace, e invece adesso sei tu a chiamarmi...»
«Sì, perché vorei che ci vediamo. Se ti fa piacere, dove tu vuò. Volio parlare di musica con te.»
Marco sorrise e guardò l’orologio appeso al muro del suo soggiorno.
«Il tuo ragazzo è geloso se vieni a casa mia? Così posso farti sentire anche qualcosa che ho composto.»
«Ok, va bene. Quando?»
«Adesso sei libero?»
Il riccio sobbalzò e guardò l’orario digitale sulla sveglia.
«Oh, ok. Solo il tiempo di arivare
«Nessun problema, ti mando l’indirizzo per messaggio.»
Marco staccò la chiamata senza aspettare alcun saluto da parte dell’altro, poi il cellulare del riccio ricevette il messaggio con l’indirizzo: non era molto distante, casa sua, ma necessitava di un passaggio di Federico.
 
Federico non si arrabbiò affatto quando Michael gli comunicò di dover andare a casa di Marco: non poteva arrabbiarsi dopo il discorso che aveva fatto, sarebbe stato completamente incoerente. E invece era ancora una volta una prova di fiducia.
Arrivarono a casa di Marco con qualche difficoltà, dato che la villetta in cui alloggiava era in una stradina secondaria non proprio visibile dalla strada principale. La villetta, almeno dall’esterno, era ben curata. Non proprio nuovissima - il bianco delle pareti esterne era diventato leggermente giallino - ma il giardinetto sul davanti era grazioso e ben tenuto.
Federico parcheggiò giusto davanti al breve vialetto in pietrisco che conduceva alla porta rosso scuro dell’abitazione.
«Ti chiamo dopo, amore?»
Era la prima volta che Michael lo chiamava “amore”, ma gli era uscito spontaneo e non se ne pentì affatto. Finalmente Federico sorrise - soprattutto per quel termine, che usato da lui era davvero molto dolce - e annuì.
«A dopo» sussurrò.
Poi si scambiarono un bacio a fior di labbra e Michael scese dall’auto, richiudendo la portiera sorridente.
Dalla finestra della villetta Marco osservava l’auto ferma, il bacio e poi il riccio che scendeva. Un sorriso nacque spontaneo sul suo volto quando vide l’abbigliamento improbabile di Michael: indossava una pantalone che Marco avrebbe definito giallo piscio e una camicia bianca con un motivo di ghirigori colorati.
Michael percorse la stradina di ghiaia e arrivò alla porta dell’abitazione. Emise un sospiro, dopodiché suonò il campanello.

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ANGOLO AUTRICE
Finale illegale a parte, spero che questo capitolo vi sia piaciuto c: l'angst ovviamente c'è, ma alla fine si è risolta bene la questione (per ora, poi vedremo) v.v la parte dell'angry sex dovevo mettercela, altrimenti mi sarei sentita troppo male. Adesso Michael ci penserà due volte prima di tradire Federico, dato che sa la punizione che lo aspetta ahah.
E niente, grazie come sempre e love you come sempre. <3

P.s.: metto su ufficialmente il Salsiccia di Porco Fan Club. #salsicciadiporco

 
  
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