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Autore: Marilia__88    17/02/2016    6 recensioni
Abbiamo lasciato Sherlock ad affrontare il presunto ritorno di Moriarty. Ecco cosa immagino possa accadere dopo essere sceso dall'aereo.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” disse John mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary per cercare di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!”
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heart'
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               Ti brucerò il cuore




                                                  La trappola





… Intanto Sherrinford, con il suo fedele compagno, era sul tetto del palazzo di fronte e guardava compiaciuto il fratello maggiore andare via distrutto a bordo della sua auto nera.
“Bene, Sebastian. La prima parte del piano è riuscita alla perfezione. Ora che abbiamo allontanato Mycroft, resta solo una persona da colpire per far sì che il mio caro fratellino si ritrovi tutto solo e indifeso: John Watson” disse, ridendo di gusto.




Era il giorno del funerale dei suoi genitori e Sherlock stava finendo di prepararsi nella sua stanza. Erano passati due giorni dal litigio con suo fratello e non lo aveva più sentito da allora. L’unico contatto che avevano indirettamente avuto, era stato il giorno prima quando Mycroft gli aveva fatto sapere, tramite Molly, che se voleva poteva andare in obitorio a fare visita a sua madre e a suo padre. Sherlock declinò l’invito; non era dell’umore adatto per affrontare il fratello maggiore e soprattutto non se la sentiva di vedere da vicino gli orrori di cui era capace Sherrinford. Appena finito di vestirsi, andò in soggiorno dove lo attendevano John, Mary e un’addolorata signora Hudson. Erano stati davvero molto apprensivi con lui in quei giorni e il detective si sentiva decisamente asfissiato da tutte quelle attenzioni e premure. Desiderava soltanto di essere lasciato un po’ in pace. Non si era mai sentito così debole e abbattuto in vita sua e questo suo essere così vulnerabile lo spaventava. Per fortuna almeno la ferita alla testa era guarita quasi completamente: John aveva tolto, quella mattina, tutti i punti con successo e il mal di testa era decisamente migliorato. Quello che provava in quel momento, però, non era un male fisico, ma era un dolore che proveniva dal profondo della sua anima.
“Sei pronto?” chiese John all’amico prima di uscire di casa.
“Si…” rispose semplicemente il detective. Pensò comunque che nessuno potesse essere davvero pronto a seppellire i propri genitori, neanche il grande Sherlock Holmes.

Arrivati al cimitero, il consulente investigativo vide che c’erano proprio tutti, pronti a partecipare a quel triste momento: Molly, Lestrade, Billy e persino Anderson e Donovan. C’era anche un’auto nera parcheggiata a bordo strada da cui scese ben presto un serissimo Mycroft.
I due fratelli incrociarono i loro profondi sguardi, ma non dissero niente. Rimasero in silenzio durante tutta la funzione: nessuna lacrima, solo due maschere di finta indifferenza. Entrambi cercarono di apparire forti e distaccati come solo degli Holmes saprebbero fare, ma i loro occhi, nonostante tutto, lasciavano trasparire una profonda sofferenza, condita con un velo di pura rabbia.
Quando tutto finì, Mycroft cercò di avvicinarsi a Sherlock per parlargli, ma quest’ultimo gli diede improvvisamente le spalle, incamminandosi verso casa senza dargliene l’occasione. John provò a fermarlo.
“Non ti sembra di essere troppo duro con lui?” disse sottovoce all’amico mentre camminavano.
“John…” riuscì a rispondere soltanto il detective. Solo il suo nome, pronunciato come una supplica, che racchiudeva una marea di significati ed emozioni. Non aveva chiaramente la voglia e l’umore di parlarne e il medico non poté fare altro che accettare la sua scelta.
Mycroft, intanto, rimase immobile a guardare il fratello scomparire dentro ad un taxi. Fu in quel momento che promise a se stesso che, nonostante tutto, avrebbe continuato a proteggerlo che lui avesse voluto o no. Fece un profondo sospiro e si diresse silenzioso verso la sua auto.

Arrivati a Baker Street, Sherlock era decisamente irrequieto. Andava avanti e indietro nel soggiorno, mettendosi le mani nei capelli e passandole nervosamente sul viso sotto gli occhi confusi di John e Mary. Si rese conto, in quel momento, che tutto quello che era successo era troppo anche per lui: Barbarossa, il funerale, Sherrinford, Mycroft, gli incubi notturni e la crisi di astinenza che iniziava a farsi pesante. Le parole del fratello maggiore, che aveva pronunciato qualche giorno prima, aleggiavano prepotentemente nella sua testa: “Non capisci cosa sta facendo Sherrinford? Sta cercando di metterci l’uno contro l’altro, perché sa, che insieme, saremmo forti abbastanza da batterlo… Per favore, devi ascoltarmi… devi fidarti di me!” Quelle parole facevano male e, al tempo stesso, sembravano avere un senso. “E se Mycroft avesse ragione?” si chiedeva tra sé e sé. Ma la sua mente, in quel momento, era così piena e confusa che non riusciva a ragionare lucidamente e questo non faceva altro che irritarlo. Sherrinford era riuscito ad attaccare l’unica cosa che lo rendeva forte e sicuro: la ragione.
“Basta…basta!” urlò improvvisamente il detective, mettendosi le dita sulle tempie e facendo sbiancare le nocche. Prese ad ansimare, si sentiva soffocare assalito da tutti quei pensieri.
Mary e John si lanciarono degli sguardi preoccupati, non sapevano davvero come comportarsi per non peggiorare la situazione. Non dovettero pensarci molto, poiché Sherlock tutto d’un tratto si voltò e si chiuse in camera sua, sbattendo la porta.
Il consulente investigativo si buttò esausto sul letto. Aveva bisogno di rimanere solo e di fare ordine in quel caos che aveva nella testa. C’era una cosa che poteva aiutarlo: la sua soluzione al 7%. Peccato che la scatolina fosse rimasta in un cassetto della scrivania in soggiorno. Dopo questa ennesima sconfitta, si avvolse tra le coperte e si lasciò andare in un sonno profondo.

Dopo qualche minuto il cellulare di Mary squillò. Erano alcune sue amiche che la invitavano a passare qualche ora al centro commerciale a fare shopping.
“Se vuoi che rimanga qui con te, posso non andare” chiese premurosa, rivolgendosi al marito.
“No, vai tranquilla. Visto com’era ridotto, di certo non uscirà di lì prima di qualche ora” rispose John, guardando con tristezza verso la porta della camera del detective.
“Perché non vieni anche tu? Ti farebbe bene prendere un po’ d’aria” chiese dolcemente Mary.
“No, preferisco rimanere qui nel caso avesse bisogno di me…” disse il medico, dando un bacio alla moglie e invitandola ad andare.

John passò le ore successive seduto sulla sua poltrona a fissare il vuoto. Pensava a tutto quello che era successo e si sentiva inutile. Sherrinford non solo stava distruggendo Sherlock, ma stava portando il caos nella vita di tutti quelli che gli stavano intorno. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutare il suo migliore amico, ma non aveva la più pallida idea di cosa potesse fare. I suoi profondi pensieri vennero interrotti dal suono del suo cellulare. Era un messaggio. Il telefono era nella tasca della giacca e per un momento fu tentato di ignorare chiunque lo cercasse. Poi, pensando che potesse trattarsi di Mary, si alzò stancamente dalla poltrona e andò a leggerlo: Hai una moglie davvero graziosa. Se vuoi che non le accada niente, vieni al 121 di George Street. Se tenti di avvisare qualcuno, soprattutto Sherlock, lei morirà.
Il mittente era sconosciuto, ma il dottore capì subito chi era ad averlo mandato. Lo invitava nello stesso luogo dove aveva attirato Sherlock per il suo sadico gioco. Era decisamente una trappola, lo sapeva, ma se Mary era in pericolo, doveva andare. Andò a controllare Sherlock e vide che dormiva profondamente. La fortuna era dalla sua parte, almeno in quello. Prese la giacca e la pistola e lasciò un biglietto al suo amico per giustificare la sua assenza nell’eventualità che si fosse svegliato: Sono con Mary a fare compere. Torneremo presto. John.
Il dottore arrivò in taxi nel posto dell’appuntamento. La porta dell’appartamento era socchiusa. Prese un profondo respiro, afferrò saldamente la pistola nella mano destra ed entrò. All’intero era tutto buio. Improvvisamente sentì dei passi alle sue spalle, ma non fece in tempo a voltarsi che venne colpito alla testa e cadde a terra privo di sensi.

Sherlock si svegliò confuso nel suo letto. Guardò dalla finestra e si accorse che era il tramonto. Aveva dormito troppo e questo era controproducente per la sua mente ancora troppo attiva. Si trascinò stancamente in soggiorno e, con enorme sollievo, vide di essere da solo. Quel desiderio era diventato sempre più forte e, nonostante sapeva che avrebbe deluso di nuovo il suo migliore amico, non aveva la forza di opporsi. Aprì velocemente il cassetto della scrivania, afferrò la scatolina e si andò a sedere sulla sua poltrona. Era una sequenza fin troppo familiare: prese la siringa, la riempì della soluzione già preparata, si alzò la manica della camicia, legò il laccio emostatico al braccio, cercò con cura la vena, inserì l’ago e premette lo stantuffo senza pensarci. Per un momento si sentì in colpa per la sua debolezza, ma appena la soluzione iniziò a fluirgli nelle vene, chiuse gli occhi e si lasciò andare finalmente a quella pace che tanto aveva desiderato.
Mentre era ancora immerso in quello stato di beatitudine, qualcuno entrò nell’appartamento.
“Morfina o cocaina?” chiese una voce delusa.
Sherlock aprì gli occhi e mise a fuoco la figura che aveva di fronte. Pensava fosse John, invece era qualcuno che non si aspettava.
“Cosa vuoi Mycroft?” sputò con acidità.
“Morfina o cocaina?” domandò di nuovo il fratello.
“Cocaina” rispose rassegnato il detective.
“Su quell’aereo ti avevo chiesto di farmi una promessa, Sherlock” disse Mycroft con rimprovero.
“Beh, come vedi non l’ho mantenuta. Deve essere un vizio di famiglia…” esclamò tagliente il consulente investigativo.
Il politico cercò di non rispondere a quella provocazione, usando tutto il suo autocontrollo; sapeva che buona parte di quell’acidità era data anche dalla droga che aveva in circolo. Si guardò intorno e gli sembrò decisamente strano il fatto che né John e né Mary fossero in casa. Si erano momentaneamente trasferiti a Baker Street per tenere Sherlock sotto controllo e non aveva senso il fatto che l’avessero lasciato solo proprio il giorno del funerale dei genitori quando ne aveva più bisogno. Doveva essere successo qualcosa.
“Dove sono il dottor Watson e la sua signora?” chiese Mycroft, usando il tono di chi vuole suggerire qualcosa.
Nonostante la droga, al detective non sfuggì quell’insinuazione. Si alzò di scatto dalla poltrona preso improvvisamente da un tremendo dubbio. Vide solo in quel momento il biglietto sul tavolo e capì subito che qualcosa non quadrava.
“Dannazione deve essere successo qualcosa” esclamò agitato Sherlock, fissando attentamente il pezzo di carta “…conosco perfettamente la grafia di John e posso affermare con certezza che, quando ha scritto questo biglietto, le mani gli tremavano…” continuò preoccupato, ma compiaciuto di essere riuscito a dedurre con più lucidità “…dobbiamo trovarli!” concluse infine, rivolgendosi al fratello.
“Aspetta, faccio qualche telefonata. Tramite i video di sorveglianza della città potremmo sapere dove sono andati” rispose serio Mycroft.
Dopo alcuni minuti il politico aveva il quadro completo della situazione.
“Allora, Mary è uscita di qui verso mezzogiorno ed è stata prelevata di forza da un auto nera di cui si sono perse le tracce. John è uscito da qui ore dopo e sappiamo dove si è diretto…” spiegò il fratello maggiore, lasciando la frase in sospeso.
“Beh? Dov’è andato?” chiese il detective impaziente.
“Al 121 di George Street…” rispose cautamente il politico.
Sul volto del consulente investigativo apparve un’espressione di terrore.
“No…no…no… John…” blaterò in preda al panico, afferrando di scatto il cappotto.
Mycroft si parò davanti al fratello, afferrandolo per le spalle a guardandolo dritto negli occhi.
“Sherlock, lo so che è difficile, ma devi mantenere la calma. Devi restare lucido…” disse affettuosamente “…guardami!” ordinò, vedendo che il fratello aveva abbassato lo sguardo.
Il detective alzò gli occhi e incrociò quelli del politico.
“Te l’ho detto anche su quell’aereo…” continuò Mycroft “…nonostante tutto, io sono qui per te, sarò sempre qui per te e insieme lo salveremo, te lo prometto!” concluse con voce tremante.
Sherlock non riuscì a dire niente. Annuì semplicemente ed uscirono di corsa diretti a George Street.
Durante il tragitto avvisarono Lestrade che si mise subito in moto con altre due pattuglie.

Arrivarono tutti sul posto quasi contemporaneamente. Entrarono nell’appartamento: i due fratelli avanti e Greg, con i suoi uomini al seguito. L’abitazione sembrava deserta. Si diressero verso il seminterrato, dove giorni prima avevano trovato Sherlock, buttarono giù la porta e li trovarono. Erano al centro della stanza, legati e imbavagliati l’uno all’altra. Il detective ebbe una brutta sensazione nel ritrovarsi li nonostante l’ambiente fosse stato completamente ripulito. Ma ignorando il suo stato d'animo, si precipitò verso i due amici e li liberò velocemente.
“State bene?” chiese preoccupato, tastandoli per capire se avessero qualche ferita.
“Sherlock, calmati… stiamo bene!” rispose John, sorridendo con affetto.
“Stai sanguinando…” constatò il consulente investigativo, vedendo un taglio vicino alla tempia dell’amico.
“Non è niente. Mi hanno solo colpito in testa con qualcosa. Al massimo mi nascerà un bel bernoccolo!” sdrammatizzò il dottore, vedendo le mani tremanti dell’amico.
Appena i due coniugi furono completamente liberati, si avviarono tutti verso l’uscita dell’appartamento. Non c’era traccia né di Sherrinford e né di Moran. Sherlock era confuso e pensieroso.
“Cosa c’è?” chiese Greg, avvicinandosi a lui.
“C’è qualcosa di strano. Perché Sherrinford li ha lasciati qui?” chiese il detective, più a se stesso che all’ispettore.
“Può essere che lo abbiamo anticipato. Magari non pensava che li avremmo trovati così presto” cercò di spiegare Lestrade.
“No, è tutto troppo semplice…” esclamò preoccupato Sherlock, guardandosi intorno.
Fu allora che il consulente investigativo lo vide. Il puntino rosso di un mirino di precisione sulla testa di John. E in quel momento capì che lo scopo non era semplicemente quello di fare del male al suo amico, ma era quello di ucciderlo davanti ai suoi occhi. Si rese conto, però, di essere troppo lontano da lui per evitare che venisse colpito.
“Joooohn…” gridò il detective con tutto il fiato che aveva.
Purtroppo il dottore non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo, che il colpo partì diretto verso il suo bersaglio.







Angolo dell'autrice:

Salve! Eccomi qua con il decimo capitolo. Sono decisamente in anticipo, lo so, ma questa volta avevo le idee così chiare su cosa dovesse succedere che sono riuscita a scriverlo quasi di getto. Mi sono meravigliata di me stessa per la velocità. Comunque povero John... riuscirà a schivare il proiettile? Mah... sicuramente è Moran che impugna l'arma e per quello che si sa non sbaglia facilmente.
Qui il nostro caro Mycroft ha dato prova di tutto il suo affetto e, devo dirlo, mentre scrivevo la parte in cui ha parlato con Sherlock, mi sono commossa di tanta dolcezza! (sono un caso disperato..lo so!)
Il nostro Sherlock poverino è distrutto e ci sta che si sia lasciato tentare... in fondo il suo conduttore di luce non c'era... ma comunque a volte sembra ritornare un pò in sè! Meno male che ha un fratello fantastico come Mycroft ad aiutarlo...! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Grazie sempre a chi vuole lasciare un commento e a chi l'ha già fatto e soprattutto grazie sempre a tutti quelli che seguono la mia storia.
Alla prossima ;)

 
   
 
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