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Autore: Marilia__88    16/02/2016    6 recensioni
Abbiamo lasciato Sherlock ad affrontare il presunto ritorno di Moriarty. Ecco cosa immagino possa accadere dopo essere sceso dall'aereo.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” disse John mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary per cercare di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!”
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Heart'
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               Ti brucerò il cuore




                                               La storia si ripete




… Intanto sulla porta, Mycroft, che era appena arrivato, si guardò intorno nella stanza e vedendo le condizioni del fratello si sentì distrutto e con il cuore a pezzi, come molti anni prima. “Oh, Sherlock!” esclamò semplicemente.






“Barbarossa!” urlò Sherlock, svegliandosi di colpo. Si sentiva confuso e con la testa dolorante. Cercò di mettere a fuoco l’ambiente circostante e capì di essere in ospedale. Improvvisamente dalla porta della sua stanza entrò una figura familiare.
“Sherlock!” esclamò John entusiasta “…finalmente ti sei svegliato! Non sai che paura ci hai fatto prendere!” continuò, avvicinandosi al suo letto.
“Da quanto tempo sono qui?” chiese confuso il detective, notando lo stato in cui era l’amico. Era decisamente stanco, segno che era rimasto in ospedale per molte ore.
“Da due giorni” rispose serio il medico “…hai un lieve trauma cranico. Appena arrivato, ti hanno dovuto fare una trasfusione d’urgenza a causa di tutto il sangue che avevi perso. Ti hanno messo un bel po’ di punti, ma per fortuna non hai subìto danni cerebrali” spiegò il dottore con fare professionale “…e comunque sei un completo idiota! Come ti è saltato in mente di andare da solo!?” continuò, iniziando a gridare.
Il detective abbassò lo sguardo e non rispose. Era al quanto strano considerando che, di solito, ci teneva sempre ad avere l’ultima parola in un discorso. John lo guardò in silenzio con apprensione.
“Mycroft ti ha raccontato tutto. Di Sherrinford e di…” disse improvvisamente, tenendo ancora lo sguardo basso e lasciando la frase in sospeso. Era sempre difficile pronunciare il nome di Barbarossa, faceva riemergere ricordi e sensazioni che aveva sempre cercato di tenere da parte e che ora sembravano più vive che mai.
“Si…” rispose semplicemente il medico. Non sapeva come avesse fatto a capirlo, ma in fondo lui sapeva sempre tutto ed era inutile mentire “…non mi avevi mai detto di avere un altro fratello…” concluse poi con amarezza.
“Beh, è già difficile ammettere di avere un fratello odioso come Mycroft… figurati uno psicopatico che ha sempre avuto come scopo quello di farmi del male!” cercò di sdrammatizzare Sherlock, abbozzando un mezzo sorriso.
John sorrise a sua volta, guardando l’amico dritto negli occhi. Si rese conto,che nello sguardo del detective c’era qualcosa di strano: quegli occhi di solito freddi e taglienti, erano ora pieni di dolore e di tristezza. Nonostante lui cercasse di apparire distaccato come al solito, si poteva leggere dalla sua espressione che stava lentamente cadendo a pezzi. Doveva ammetterlo, Sherrinford era uno psicopatico, ma sapeva esattamente dove colpire.
“Mycroft è qui?” chiese improvvisamente Sherlock.
“Sì, te lo chiamo…” rispose confuso il dottore “…vuoi che vi lasci soli?” domandò poi incerto.
“No, ti prego! L’ultima cosa che voglio adesso è rimanere solo con lui. Fallo entrare, devo solo chiedergli una cosa” esclamò il detective,con il solito tono tagliente e teatrale che riservava solo al fratello maggiore.
Mycroft entrò nella stanza seguito dal dottore. C’era una strana atmosfera nell’aria. I due rimasero a guardarsi negli occhi per alcuni minuti. John si sentiva fuori luogo in quel clima così teso. Poi d’un tratto il detective parlò.
“Ho bisogno che tu faccia una cosa per me” disse serio.
“Dimmi, cosa vuoi che faccia?” rispose il fratello maggiore.
“Sherrinford mi ha fatto intendere chiaramente che potrebbe fare del male ai nostri genitori…” iniziò Sherlock con uno sguardo irritato “…io non posso lavorare al caso e tenerli d’occhio nello stesso momento. Devi promettermi che li terrai al sicuro e che li proteggerai. Questa volta, almeno, vedi di non deludermi” concluse con voce carica di risentimento.
Mycroft ci mise un po’ a rispondere. Per la prima volta da quando lo conosceva, John lo vide in difficoltà.
“Te lo prometto” rispose infine.
“Ora puoi andare” ordinò secco il detective.
Il fratello maggiore abbassò lo sguardo e uscì dalla stanza senza dire altro. Si sentiva distrutto, ma al tempo stesso era deciso a mantenere quella promessa. Questa volta doveva riuscirci.

Sherlock venne dimesso due giorni dopo contro il parere dei medici dell’ospedale. Era impossibile trattenerlo oltre e John garantì che lo avrebbe tenuto d’occhio. Gli raccomandarono di stare a riposo e di evitare gli sforzi eccessivi.
Tornarono di corsa a Baker Street e, appena entrarono nell’appartamento, trovarono ad attenderli una preoccupata signora Hudson e Mary. Quest’ultima, appena i due entrarono, andò subito ad abbracciare Sherlock, poi salutò il marito con un bacio.
“Possibile che non posso lasciarvi da soli senza che uno dei due finisca in ospedale?” ironizzò Mary con un sorriso.
“E’ la storia della nostra vita a quanto pare…” rispose John, ridendo.
Il detective sorrise e si andandò a sedere sulla sua poltrona nella sua classica posa meditativa. Era strano vederlo così silenzioso, ma dopo ciò che aveva passato, non si poteva pretendere di più.

Mycroft in quei due giorni non aveva avuto più contatti con Sherlock. Era impegnato ad assoldare gli uomini migliori che aveva a disposizione per tenere i genitori sotto controllo. Avrebbe voluto trasferirli in una casa più sicura, ma la madre non aveva intenzione di lasciare la sua abitazione, perciò doveva riuscire a proteggerli permettendogli di rimanere lì.
Mentre era intento a lavorare nel suo ufficio, al Diogenes Club, venne distratto dal suono del suo telefono. Era arrivato un messaggio. Per un momento sperò che fosse Sherlock: avrebbe tanto voluto sapere come stava dopo ciò che gli era successo.
Il mittente, però, era sconosciuto e il messaggio diceva: I nostri genitori sono stati cosi gentili da offrirmi un tè. Vorresti unirti a noi?
Mycroft si sentì raggelare. Non voleva avvisare Sherlock, poteva essere una trappola per entrambi. Decise che sarebbe andato a casa dei suoi genitori da solo. Era il momento di affrontare Sherrinford una volta per tutte.

Era passata qualche ora e Sherlock era ancora fermo sulla sua poltrona. Mary era sul divano e John era seduto davanti a lui. Il dottore voleva dargli spazio, ma al tempo stesso era desideroso di saperne di più su tutta quella storia.
“Sherlock…” lo chiamò improvvisamente.
“Mmh…” rispose semplicemente il detective, continuando a mantenere gli occhi chiusi.
“Ci sono alcune cose che non mi sono chiare” disse John confuso.
“Non sarebbe la prima volta!” esclamò Sherlock, aprendo gli occhi e sorridendo.
“Molto simpatico, come sempre!” rispose il dottore, ridendo anche lui. Sembrava più rilassato rispetto a prima e questo gli diede la spinta per continuare il discorso “…quindi dietro tutto c’era Sherrinford? E Moriarty cosa c'entrava?” chiese, tornando serio.
“La questione è molto più complessa, John. Sherrinford è sempre stato la mente di tutto. Ricordi quando Moriarty ha colpito simultaneamente la Banca d’Inghilterra, la Torre di Londra e la prigione di Pentonville? Su quel tetto mi ha svelato che non c’era nessun codice, ma che aveva sempre qualcuno infiltrato in ogni luogo. Mentre progettava di distruggermi, Moriarty deve aver saputo di Sherrinford e, tramite il suo contatto nella prigione, si è presentato da lui come consulente criminale. Quale migliore occasione per il mio sadico fratello di complottare contro di me, avendo un alleato che mi odiava allo stesso modo? … Ha perciò assunto Moriarty per i suoi piani e, naturalmente, ha preso tra la sue fila anche il braccio destro di Jim: Sebastian Moran. Il piano prevedeva che, se io non mi fossi buttato da quel tetto, Moriarty sarebbe arrivato anche ad uccidersi pur di costringermi, pur di vedermi distrutto. La cosa che mi fa più rabbia, è che ho finto la mia morte ed ho passato due anni a smantellare la rete di Jim, quando invece sarebbe bastato concentrarmi sull’unica persona che stava manovrando tutto: Sherrinford. Successivamente, non avendo più Moriarty dalla sua parte, ha trovato un’altra persona abbastanza influente e intelligente da mandarmi contro: Magnussen. Non ho ancora scoperto come abbia fatto a scappare, ma sicuramente Moran e il contatto di Moriarty nella prigione hanno avuto la loro parte all’intero piano. E intanto che lui scappava indisturbato, Moran, per conto suo, metteva in atto quel gioco degli omicidi per distrarmi dal vero problema…” Sherlock fece quel discorso, parlando velocemente e riassumendo un’espressione decisamente irritata.
“Santo cielo…!” esclamò John senza riuscire a dire altro.
“Quindi usare il volto di Moriarty e lasciarti messaggi come avrebbe potuto fare lui era soltanto un gioco?” chiese Mary pensierosa.
“Ha visto l’effetto che Moriarty ha sempre avuto su di me e, usando lui, mi ha distratto dal vero colpevole… da se stesso” rispose amareggiato il detective. Era sempre stato difficile per lui ammettere di aver commesso un errore e l’idea di aver sbagliato quasi tutto negli ultimi anni lo faceva sentire deluso e infuriato come non mai.

Mycroft, a bordo della sua auto nera, arrivò davanti casa dei genitori. Nel tragitto aveva provato a mettersi in contatto con gli uomini che erano lì di guardia, ma non aveva ricevuto alcuna risposta. Appena scese dalla macchina capì subito il perché. Erano tutti morti, trucidati con numerosi colpi di arma da fuoco. Aveva davanti un vero massacro.
Entrò nell’abitazione con cautela e trovò Sherrinford seduto su una poltrona davanti al camino. Quella scena era così familiare, sembrava la stessa di tanti anni prima. Al suo fianco Moran puntava un fucile contro di lui.
Mycroft si avvicinò al fratello lentamente e senza dire una parola, aspettava che fosse lui a parlare.
“Fratellone, sono contento che tu ci abbia degnato della tua presenza. Però devo dirtelo, sono un po’ deluso. Pensavo che dopo Barbarossa avessi imparato e invece continui a fare promesse che non puoi mantenere” disse improvvisamente Sherrinford, iniziando a ridere.
Mycroft cercò di mantenere la calma, ma si accorse che le mani gli tremavano in modo incontrollabile “Dove sono?” domandò riferendosi ai genitori. Aveva davvero paura della risposta.
“In cucina!” rispose il secondogenito, continuando a ridere.
Il politico si diresse titubante nella stanza e ciò che vide lo lasciò senza fiato. I genitori erano a terra con la gola tagliata in un mare di sangue. Per un momento si sentì venir meno e dovette poggiarsi allo stipite della porta per non cadere a terra. Non poteva accadere di nuovo. Non poteva aver fallito una seconda volta. Sentì una rabbia improvvisa assalirlo fino all’anima, avrebbe voluto prenderlo e ucciderlo a suon di pugni come quel maledetto giorno, ma stavolta il pazzo aveva calcolato tutto: aveva chi gli guardava le spalle con un fucile pronto a sparare non appena avesse provato a sfiorarlo. Riuscì solo a guardarlo con tutto l’odio di cui era capace, non trovava le parole adatte ad esprimere tutto ciò che stava provando in quel momento.
“Beh, è meglio che vada” disse Sherrinford con naturalezza “…avrai parecchio da fare. Ti aspetta un bel discorso con il nostro caro fratellino. Credo che anche questa volta non la prenderà bene…” continuò con un falso tono dispiaciuto “…andiamo Sebastian!” concluse, rivolgendosi all’amico.
Mycroft si ritrovò da solo in quella casa. Crollò a terra in ginocchio disperato. Lui era sempre stato capace di non farsi sopraffare dalle emozioni, ma in quel momento la rabbia e il dolore erano così forti che persino lui, l’uomo di ghiaccio, si sentì cadere a pezzi.
Appena riuscì a ricomporsi, iniziò a pensare a come affrontare quella situazione. Gli serviva qualcuno di fidato e di abbastanza discreto da occuparsi dei corpi dei suoi genitori mentre lui andava a parlare con Sherlock. L’unica persona di cui poteva fidarsi in quel momento era l’ispettore: Gregory Lestrade. Lo pregò di raggiungerlo con degli uomini fidati e gli raccontò tutto ciò che era successo. Non dovevano trapelare notizie, almeno non fino a quando non avesse detto lui stesso tutto al fratello.

Sherlock era in cucina ad armeggiare con i suoi soliti esperimenti. Non aveva idea di quale potesse essere la prossima mossa di Sherrinford, ma era sicuro che gli avrebbe mandato presto un messaggio. Intanto cercava di tenersi occupato come meglio poteva. Era così teso che c’era solo una cosa che avrebbe potuto calmarlo, ma non poteva farlo davanti a John.
Il dottore, prevedendo le possibili reazioni dell’amico a tutto quello stress, si era momentaneamente trasferito con la moglie di nuovo a Baker Street. Anche Mary era d’accordo, lasciarlo da solo in quella situazione non avrebbe portato a niente di buono.
Improvvisamente Mycroft fece il suo ingresso nell’appartamento del detective. John notò che era molto pallido. Non ci voleva di certo il genio di Sherlock Holmes per capire che non portava affatto buone notizie.
“Sherlock…” disse il politico con voce tremante.
“Oh, perfetto! Ci mancavi solo tu a completare questa bellissima giornata!” esclamò tagliente il consulente investigativo, uscendo dalla cucina con una provetta ancora in mano.
Il fratello maggiore non disse niente. Si mise a guardare l’altro dritto negli occhi senza riuscire a formulare nessuna frase. Aprì più volte la bocca per parlare, ma le parole non volevano saperne di uscire.
Sherlock, intanto, parve leggere tutto ciò che c’era da sapere sul volto del fratello. La provetta gli cadde dalle mani, frantumandosi a terra.
“No.. no… no… non puoi averlo fatto di nuovo” blaterò il detective, mettendosi le mani nei capelli con disperazione.
“Sherlock, ho fatto il possibile credimi, ma lui aveva già calcolato tutto… io…” cercò di spiegare Mycroft, ma venne brutalmente interrotto.
“Sono stato un idiota a pensare di potermi fidare di nuovo di te! In tutta la tua vita non sei mai riuscito a mantenere una promessa… una dannata promessa!” urlò il consulente investigativo furioso.
John era sconvolto da quella scena. Non aveva mai visto l’amico così arrabbiato in vita sua.
“Sherlock, per favore, siediti. Sei ancora convalescente e non dovresti agitarti così” disse il dottore con cautela.
“Vattene via da questa casa!” urlò il detective, così forte che dovette tenersi alla spalliera della poltrona di John a causa di un improvviso capogiro.
Il medico si alzò di scatto per sorreggere l’amico. Era sbiancato in modo preoccupante e ansimava pesantemente.
Ad un tratto, però, fu Mycroft ad urlare. Non poteva più trattenersi.
“Santo cielo, Sherlock! Non capisci cosa sta facendo Sherrinford? Sta cercando di metterci l’uno contro l’altro, perché sa che insieme saremmo forti abbastanza da batterlo. L’hai detto anche tu che su quel tetto aveva previsto che ti saresti suicidato, non avrebbe mai pensato che io e te ci alleassimo per escogitare un piano che andasse contro le sue previsioni. Per favore, devi ascoltarmi! Devi fidarti di me!” urlò con tutto il fiato che aveva in corpo.
“Fidarmi di te?” rispose Sherlock ridendo con sarcasmo “…ho smesso di farlo ormai! Non ho bisogno di te per batterlo, posso farlo benissimo da solo! E ora vai fuori di qui!” concluse, continuando ad ansimare.
“Sherlock…” provò di nuovo il fratello maggiore.
“Fuori!” urlò furioso il detective, poggiandosi sempre di più a John.
Il medico fece cenno al politico di andare. L’amico non era di certo nelle condizioni di continuare quella discussione. Circondò la vita di Sherlock con un braccio e lo accompagnò sul divano facendolo sedere prima che crollasse a terra svenuto.
Mycroft, capendo che non avrebbe potuto dire nient’altro per convincere il fratello, se ne andò dall’appartamento sbattendo la porta. Non voleva che le cose andassero così. Lui voleva soltanto proteggerlo e invece non aveva ottenuto altro che perderlo per sempre.

Sherrinford intanto, con il suo fedele compagno, era sul tetto del palazzo di fronte e guardava compiaciuto il fratello maggiore andare via distrutto a bordo della sua auto nera.
“Bene, Sebastian. La prima parte del piano è riuscita alla perfezione. Ora che abbiamo allontanato Mycroft, resta solo una persona da colpire per far sì che il mio caro fratellino si ritrovi tutto solo e indifeso: John Watson” disse, ridendo di gusto.










Angolo dell'autrice:
Salve! Ecco il nono capitolo. Avrei voluto pubblicarlo ieri sera, ma non ho avuto tempo! Ecco un pò chiarita dal nostro Sherlock la mia teoria Moriarty/Sherrinford/Moran. Spero che ora sia un pò più chiara rispetto ai capitoli precedenti. Beh, che dire! Il nostro povero Sherlock sta lentamente cadendo a pezzi: riuscirà a resistere a tutte queste pressioni? Inoltre qui abbiamo un vero e proprio scontro tra fratelli (povero Mycroft!)... e purtroppo il mirino si è sposato sulla persona che il nostro consulente ama di più. Cosa prevede la seconda parte del piano di Sherrinford? Questo lo scoprirete nei prossimi capitoli...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e, come sempre, accetto volentieri commenti e pensieri a riguardo. Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la mia storia. Alla prossima ;)
   
 
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