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Autore: A_lone_sinner    18/02/2016    1 recensioni
"Ciao Andre, ti scrivo per parlarti di noi.
Sei stampato nella mia memoria come un'anima vera, di quelle capaci di piangere con te solo perché stanno male nel vederti giù di morale."

Storia partecipante al contest Slash demands to be Shipped, indetto da LadyHorcrux nel forum di EFP.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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  • Autore: -Mistake- (A_lone_sinner sul sito)
  • Titolo: Lights will guide you Home.
  • Fandom: Originale.
  • Pairing: AndreaXDanilo.
  • Pacchetto: Di ricordi appannati e sorrisi stanchi.
  • Prompt: b) Fix You - Coldplay - Tetto - Giornale - Camino
  • Genere: Real life.
  • Warnings: Ricordi, angst, trauma, attacchi di panico, relazione passata.
  • Rating: R.
  • Capitoli: One Shot
  • Parole: 1668.
  • Note: Per il compleanno di una persona speciale. Spero che mi perdonerà il ritardo, ma lo sa che sono una pigra di prima categoria. Ti voglio bene, Cucciola.


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Lights will guide you Home.

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma.”
- Antoine-Laurent de Lavoisier


“Ciao Andre, ti scrivo per parlarti di noi.
Sei stampato nella mia memoria come un'anima vera, di quelle capaci di piangere con te solo perché stanno male nel vederti giù di morale. Rimembro ancora le nostre chiacchierate alle tre di notte su quale canzone fosse più triste, o quale ragazza avesse le bocce più grosse. Rido ancora a pensarci... Ora, chiuso tra queste quattro mura bianche, circondato dal silenzio e con come ultima compagna la mia chitarra acustica, ti ricordi? Quella verde smeraldo con le fiamme argento... Esatto. Quella che mi regalasti per il mio diciannovesimo compleanno. Chiuso qui con la mia chitarra, non faccio altro che suonare, scrivere e ricordare. Ricordo di me e te, delle risate, dei pianti, delle tazze di caffè. Mi chiedo se tu ricordi di me, e non del semplice corpo che ti ha amato. Spero che tu ti ricordi dei miei difetti, delle cose che più ti facevano incazzare, delle urla, delle botte, dei lividi che ci lasciavamo. Il mio corpo è ancora mappato grazie alle sottili cicatrici che mi hai lasciato, i tuoi denti, le tue dita, piccoli spettri di tocchi che non se ne andranno mai veramente, sono passati mesi, ma sei ancora qui. Nei miei sogni, ogni notte, a dirmi “Andrà tutto bene.” Non voglio svegliarmi. Ho paura di svegliarmi. Mi perdonerai mai? Eri la cosa più importante della mia vita. Le sensazioni che mi provocavi, quando mi baciavi, quando mi sfioravi anche solo per caso, mentre affondavi in me, mentre mi prendevi in ogni modo, mentre mi salvavi da me stesso. Ogni tanto andavi via, sparivi per un po', ci stavo male, ma poi tornavi sempre. Forse avrei dovuto capire da tempo che non facevi per me, che eri irraggiungibile, ma l'amore è cieco. Mi facevi impazzire, ho stravolto la mia vita per te. Tutti mi dicevano di andare via, ci ho anche provato, ma ti sei spezzato davanti ai miei occhi. Proprio astuto da parte tua, mi hai usato fin a questo punto. Io ero lo stronzo di turno, quello con la maschera di ghiaccio e tu eri il bello, dolce e carino, quello che tutti avrebbero voluto al loro fianco. Il problema stava nel tuo essere un bambino. L'eterno indeciso. Io o lei? Entrambi.
 
Forse quando ti consegneranno questa lettera sarò già guarito e mi avranno ridato la normalità. E rideranno, convinti di avermi aggiustato. Sono io che rido di loro, poveri illusi, ipocriti senza speranza. Non vedono l'ingranaggio inceppato nel loro ragionamento? Chi lo sa...”

Una penna cade a terra, la mano abbandonata lungo il fianco, le unghie non curate, mangiucchiate solo sulla mano sinistra, ancorate alla tastiera, premevano sulle corde lerce un semplice giro di Do. Con il plettro tra i denti, Danilo osservava il muro. Improvvisamente, con uno scatto riprese a suonare, in loop, le stesse quattro note Do, Mi, La, Sol, ad occhi chiusi, dondolando la testa avanti ed indietro. I fogli si sparpagliarono quando si mosse, i suoni lentamente si scordarono. A notte fonda erano solo uno stridio.
 
“Caro Andre, oggi mi hanno detto che mi hai mandato un regalo.
Non vogliono darmelo. Hanno paura che proverei a fare qualcosa di strano con esso. Lo stanno analizzando, dicono. È un peluche, vero? Mi piacevano tanto i tuoi peluche morbidosi. Li tenevi tutti sul letto. Sembravi un dio greco mentre dormivi in mezzo a tutti quegli animaletti colorati. Ma il mio preferito era quel lupo grigio con gli occhi azzurri. Dicevi che mi assomigliava, che ti faceva sentire protetto. Ieri è arrivato un ragazzo nuovo, nulla che possa competere con te, non preoccuparti. È simpatico, si chiama Luca. Le ha viste tutte, mentre eravamo sul tetto, oggi ho dimenticato la giacca. Continuava a fare domande e gli ho dato un pugno. È volato contro la ringhiera. Ovviamente ci sono le reti, non vogliono che nessuno faccia nulla di stupido. A qualcuno di noi piacerebbe volare… e loro non lo permettono a nessuno. Però ci chiamano angeli… e se lo siamo, perché non lasciarci spiccare il volo? Forse abbiamo le ali rotte. E tu? Le tue ali come stanno? Il tatuaggio sul tuo polso, come sta? Mi dispiace di non poterlo baciare davvero ogni sera, come ti avevo promesso di fare. Ho paura di non riuscire più a vederti chiaramente, vorrei che la luce mi guidasse a casa, ma non riesco a seguirla. Vorrei scrivere di più, ma mi fanno male le mani. Sempre tuo.”

Poggiò la penna sui fogli, si accarezzò il viso con le mani fasciate,aveva suonato così tanto da aprire la pelle delle dita, i segni verticali che combaciavano con tutto il resto. Era sempre vestito di bianco, ma aveva smesso di prendere le pillole. Doveva stare attento, se Carlotta se ne fosse accorta, di certo lo avrebbe riportato nella stanza della felicità. La odiava, perché li dentro non poteva suonare e doveva ingoiare tante capsule blu. L’unico blu che gli piaceva era quello del cielo, perché gli ricordava gli occhi di Andrea.

Voleva baciarlo, toccarlo, stringerlo a sé e accarezzare ogni picco ed ogni valle di quel corpo. Baciare piano l’inchiostro che ne decorava i polsi, la schiena e le gambe. Ricoprirlo di attenzioni, adorarlo, farlo godere in ogni maniera possibile e nutrirsi dei suoi suoni, di ciò che la sua lingua avrebbe raccolto, che le sue dita avrebbero esplorato. Voleva tracciare ancora quella mappa familiare sulle sue lentiggini rosse, mentre affondava le mani nei suoi capelli. Si sarebbe poi lasciato capovolgere e battere nel gioco, si sarebbe lasciato prendere, sempre pronto ad accoglierlo.

Quella sera venne in fretta, tra un ansimo di piacere e uno di dolore, con l’elastico dell’intimo che gli costringeva la pelle. Quando si guardò le mani, il bianco delle bende era sporco di nuovo di rosso. Tutto si bloccò. Tutto cessò di battere. Stette per quelle che parvero ore senza respirare, poi il suo respiro accelerò di botto. Si prese la testa tra le mani, sentiva il sangue scorrere nelle proprie orecchie, tagliò fuori ogni altro suono. Ascoltò il battito irregolare, una clessidra infranta che manda giù troppi granelli alla volta.

Un urlo disumano squarciò la notte e, animalesco, cominciò a prendere a pugni tutto ciò che gli capitava. Si ferì le mani e le braccia con i cocci di una lampada.
Si afferrò le spalle con le mani stringendosi.
Cadde in ginocchio.
Pianse.

“Ciao,  Andre. È da un po’ che non scrivo, lo so.
Ma ho avuto un piccolo incidente e mi hanno proibito di fare qualunque cosa senza essere sorvegliato. Non volevo che loro leggessero le nostre parole, sono private. Solo mie e tue. Sono stato ancora sul tetto. So che saresti geloso, ma davvero, con Luca non faccio altro che parlare. Ci piace stare a guardare le nuvole, e raccontare storie. Le mie storie ti piacevano… non mi capacito che non posso più stendermi con te davanti al camino, a lasciarti sonnecchiare tra le mie braccia, mentre al posto di guardare programmi trash, ti facevo sognare solo con la mia voce. Amavo le tue guance, che arrossivano se entravo nei particolari delle mie storie, specie se coinvolgevano due principesse. Sei sempre stato così timido. Oggi Carlotta mi ha portato delle nuove pillole, queste sono rosa e sembrano di plastica. Ho tanto sonno da quando le ho prese, ma se chiudo gli occhi riesco solo a vedere il tuo viso, la tua espressione di quella sera. Come i guardavi con gli occhi sbarrati, come guardavi le mie mani rosse. Come quei capelli neri cos’ diversi dai miei e dai tuoi erano sparsi sul cuscino. Le lenzuola crema rovinate… e il tuo bellissimo viso, angelo mio. Sempre il tuo bellissimo viso. La tua pelle bianca, i capelli rossi. Nemmeno fosse la testata insistente di un paparazzo accanito su un giornale di gossip.
Magari quell’articolo lo avresti scritto proprio tu, lo so che sogni di diventare giornalista… Oh, amor mio, già ci posso immaginare, in un caffè alla moda parigino, tu e la tua macchina fotografica, penna azzurra e un taccuino di pelle nera spirelato. E io, che ti osservo dietro il mio caffelatte, mentre scribacchi qualcosa sull’ultimo articolo da pubblicare e mi parli di come il tuo nuovo capo sia pieno di sé. Non ti piacerebbe, amore?
Scrivere per un giornale, vivere assieme, venire ai miei concerti la sera? Che vita perfetta potremmo avere. Sei ancora mio? Perché io sono tuo. Lo sono sempre stato.
Forse questa è la mia lettera più lunga fino ad ora, ma sento finalmente la luce che mi parla. So che ormai abbiamo perso tanto, e spero di imparare dai miei errori.
Sto venendo da te, amore.
Le luci mi riporteranno a casa… e aggiusteremo tutto.”

Dietro ad una porta, un’infermiera con la faccia rotonda e rosea, le guanciotte da bambina e i capelli raccolti in un alto chignon castano e un bicchierino di pillole in mano, osservava la scena con preoccupazione. La chitarra era in pezzi, in un angolo, e lui, il paziente numero 19, era al centro, a gambe incrociate, con le spalle rivolte verso la porta. Era circondato da innumerevoli fogli e ritagli di giornali. Deglutì forte, e spinse. Entrò nel bianco abbacinante della stanza, e appena si avvicinò un suono strozzato uscì dalla sua gola, mentre le pillole si rovesciavano e la mano correva a coprire la bocca.
 
Il paziente numero 19 era immobile, un sorriso stanco sul volto, segni delle lacrime sulle guance e gli occhi grigi appannati da una patina di ricordi. E un mare di sangue davanti, che usciva dai polsi ancora lacerati. Come fosse riuscito a farlo con delle vecchie corde di chitarra, nessuno riuscì a spiegarselo, ei mesi che seguirono.

Quando l’infermiera, il cui cartellino diceva Carlotta F., raccolse tutti gli scampoli di carta, i fogli e le lettere, notò un foglio diverso da tutti gli altri. Era quello in condizioni peggiori, grigiastro e macchiato. Era il ritaglio della prima pagina di un quotidiano della zona, datata pochi mesi prima.
La testata, spietata, diceva: “GIOVANE TRUCIDA COPPIA DI RAGAZZI.”


- опять в твою любовь поверю...
Как бы не так. Такой чудак.-
Старый пиджак, Булат Окуджава

( - I'd think again you love me dear...
But that won't be. He's odd you see! -
Old Jacket, Bulat Okudzhava)
   
 
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