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Autore: marta_bilinski24    19/02/2016    3 recensioni
Tratto dal primo capitolo: “Derek non sapeva come fosse potuto accadere. […] si ritrovava prigioniero del suo stesso corpo, senza la più pallida idea di come recuperare le sue normali funzioni umane. […] Derek era diventato un lupo completo e non sapeva più come tornare un uomo.”
Se non vi bastasse un wolf!Derek aggiungeteci un dogsitter!Stiles e state a vedere cosa succederà!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: Volevo aggiornare un po’ prima…ma alla fine ho anticipato solo di un giorno! Spero che vi faccia comunque piacere, sono state giornate abbastanza piene. Per il prossimo aggiornamento dovrete avere un po’ di pazienza, non so esattamente quando riuscirò a pubblicare. Ma non temete, farò di tutto per non farvi aspettare troppo! ;)

Spero apprezziate anche questo capitolo. La parte in corsivo è un flashback rispetto alla narrazione con la scrittura normale.

Buona lettura, grazie come sempre per il supporto! :D

 

 

 

CAPITOLO 7: O su o giù

 

Cora corse su per le scale, affannata, verso la porta del suo appartamento, inciampando più volte sugli ultimi gradini. Era tornata di corsa a Beacon Hills subito dopo la conversazione con l’Alpha; era ancora sabato e il sole stava appena tramontando, lambendo con i suoi raggi di fuoco le ultime case, i tetti e le finestre. Non aveva trovato una soluzione definitiva ma dopo settimane di ricerche quello era il primo dato certo su cui poteva basarsi: aveva bisogno di raccontare tutto a Derek, l’aveva tenuto all’oscuro delle sue scoperte per troppo tempo. Non sapeva perché ma sentiva che avevano qualche speranza ed era sicura che Stiles potesse essere un tassello fondamentale ora che era una parte così importante nella vita di suo fratello. La ragazza aveva già le chiavi in mano ma appena le infilò nella serratura fu come bloccata: un odore strano, una brutta sensazione, un brivido gelato lungo la schiena. Probabilmente lei non era l’unica ad avere novità ma l’unica certezza era che dentro quella casa nulla sapeva più di felicità come quando l’aveva lasciata.

 

Sul divano, Derek stava seduto immobile, il viso rigato a ritmo continuo dalle lacrime; aveva gli occhi gonfi di chi non ha smesso di piangere per ore, il verde delle iridi quasi cancellato dal rossore che si irradiava da esse. Sedeva a gambe incrociate, le braccia abbandonate inerti sulle ginocchia, lo sguardo appannato perso nel vuoto oltre la finestra. Un raggio di sole, tagliente, affilato, rosso quanto il sangue, gli colpiva direttamente gli occhi; non sembrava preoccuparlo. Il ritmico scorrere delle lacrime era alternato dai singhiozzi che, sordi, scuotevano con forti tremori il corpo di Derek; lui li subiva passivamente, senza tentare nemmeno di reprimerli o di contenere gli spasmi che agitavano i suoi muscoli in tensione. Ogni tanto socchiudeva gli occhi e altre piccole lacrime si staccavano dalle sue ciglia per cadere sulla maglia o sui pantaloni; tutto sembrava fermarsi in quel momento, cercava di prolungare il tempo in cui teneva gli occhi chiusi, come se farlo cancellasse quello che era successo o il dolore che gli lacerava il petto. Non sembrava accorgersi di nulla di ciò che gli accadeva intorno, era completamente esternato da se stesso e dal suo corpo: sarebbe rimasto giorni su quel divano se non fosse arrivata Cora. «Derek?? Derek?? DEREK!!» Cora gli teneva il viso con entrambe le mani, cercando di raggiungere un contatto con i suoi occhi, tentando di asciugargli alla buona il viso bagnato di lacrime. Lo prese per le spalle, lo scosse, gli urlò, nulla lo faceva reagire, era come bloccato da qualcosa. «Derek sei umano, dimmi cos’è successo!» chiese ancora Cora, al limite delle lacrime per l’impotenza che sentiva crescere dentro.

 

La cosa che ovviamente aveva notato per prima appena varcato l’ingresso di casa era stata che suo fratello era seduto sul divano, suo fratello umano, in carne ed ossa, niente lupo, nulla del genere. Cosa poteva essere cambiato nelle ventiquattr’ore in cui era stata assente? La cosa preoccupante era però che Derek non sembrava più reagire ad alcuno stimolo. Ma ciò che più terrorizzava nel profondo Cora era che non aveva mai visto piangere Derek, nemmeno dopo l’incendio: Derek poteva essere devastato dentro ma fuori non lo mostrava mai. Quell’incendio aveva portato loro via ogni speranza e ogni felicità e lui non era riuscito a versare una lacrima. Cora sapeva che non era perché non soffrisse: probabilmente Derek era quello che soffriva di più perché non era mai riuscito ad esternarlo. E continuare a tenere tutto dentro aveva fatto crescere in lui il senso di colpa. La terribile sensazione di essere la causa di quello che era successo solo perché lui non c’era quando era accaduto era ciò che lo aveva distrutto dentro per anni, il peso di aver allontanato da quella maledetta casa solo una parte della sua famiglia. Non c’era stato bisogno che glielo dicesse ma Cora sapeva che il fratello avrebbe preferito bruciare con quei ricordi quella notte piuttosto che sopravvivere con quel fardello nel petto. La ragazza aveva provato a farlo parlare, tante volte, ma Derek aveva sempre chiuso il discorso dicendo che lui stava bene così, che non tutti elaboravano l’accaduto alla stessa maniera; non lo chiamava mai lutto, non gli riusciva e preferiva cambiare discorso. Una volta aveva semplicemente abbracciato forte Cora, sperando che capisse: da quel giorno lei non aveva più nominato quella notte.

 

Cora stava ancora cercando di riscuotere Derek quando finalmente il ragazzo puntò i suoi occhi verdi, profondi, che in quel momento spaventavano quasi Cora, in quelli nocciola di lei e mosse impercettibilmente le labbra. «Derek, ti prego, dimmi qualcosa, qualsiasi cosa, fammi capire cos’è successo, altrimenti non posso aiutarti. Per una volta confidati con me, dimmi cosa senti» Cora era allo stremo delle forze, non sapeva più che fare. Di nuovo Derek mosse le labbra, cercando di dire qualcosa che tuttavia gli morì ancora in gola. Cora prese dalla borsa la mezza bottiglietta d’acqua che le era avanzata dal viaggio e la porse a Derek che era completamente disidratato: le sue labbra secche sembravano quasi essersi assottigliate. Come un automa, il ragazzo prese l’acqua e ne bevve un piccolo sorso, poi tornò a fissare la sorella, che attendeva ancora un segno da lui, una parola. «L’ho…io l’ho…l’ho perso» disse in un soffio, con un filo di voce. Cora capì che non riusciva nemmeno a pronunciare il nome di Stiles, ma lo vide scosso da un altro lungo tremore al solo pensiero. «Ti prego, Derek, ho bisogno che tu mi racconti tutto ora, per quanto faccia male, altrimenti non saprò mai come aiutarti» gli sussurrò prendendogli le mani e intrecciandole nelle sue, assorbendo parte del dolore che stava provando Derek: era il minimo che poteva fare in quel momento. Lui rovesciò la testa all’indietro, appoggiandosi al divano, come se raccontarlo dividesse una parte del peso e monocorde cominciò a descrivere ogni dettaglio di quella giornata. Si concesse una risata che sapeva di amaro quando le disse cos’era successo la notte, come avevano dormito abbracciati, il pasticcio che avevano combinato in cucina e la decisione di andare nel bosco. E l’arrivo davanti alla vecchia casa degli Hale, un posto che l’aveva tradito per la seconda volta, portandogli via prima la sua famiglia e poi l’unica persona che avesse mai davvero amato.

 

Derek cammina e gli sembra di volare, non si è mai sentito così, si è quasi dimenticato che sapore ha la felicità. E Stiles gli sta insegnando anche questo, gli sta insegnando a sperare, a vivere, ad amare. Non importa che lui sia un lupo, Derek ha comunque bisogno di lui, lo vuole accanto qualsiasi cosa succeda e la cosa che più lo eccita e lo terrorizza allo stesso tempo è che sente lo stesso sentimento in quel ragazzino. Lo annusa nell’aria proprio in quel momento, mentre si avviano nel bosco, il loro posto, il luogo che li ha uniti così indissolubilmente e la sua mente è cullata da tutti i ricordi che hanno condiviso. L’aria è fresca, sta arrivando ormai l’autunno e Derek ama vedere come si trasforma la natura, come gli alberi si svestano e il terreno si ricopra di foglie. La natura è uno spettacolo meraviglioso e i due hanno imparato a farne parte, rispettandola e ammirandola. L’unico rumore che si sente in quel momento sono i loro passi, sincronizzati, sul pavimento di foglie secche. Derek butta un occhio su Stiles, anche se non ha bisogno di guardarlo per sapere che è accanto a lui: ha l’abitudine di tenergli una mano sulla schiena, tra le scapole; ogni tanto gli prende un ciuffo di pelo e lo arrotola tra le dita, senza mai tirare. Per tutta risposta Derek gli si strofina sulla gamba, alle volte rallenta il passo e alza il muso per dargli un buffetto sulla punta delle dita col naso. E Stiles sorride, guardandolo di sottecchi. E Derek sorride, muovendo lateralmente la coda. E il cielo sorride, facendo passare un raggio di sole tra le nubi, che buca la volta celeste contro ogni previsione.

 

Derek è davvero stordito da quella felicità, non riesce a capacitarsi di quello che gli sta succedendo. Lui non è mai stato felice, sicuramente mai da dopo l’incendio; non vuole pensarci ma sa che quel fuoco dentro di lui non si è mai spento, le braci scottano ancora in fondo al suo cuore. Stiles lo sta aiutando a spegnere o almeno a lenire quel dolore ma Derek sa che non basta, sa che un passo deve farlo anche lui se vuole uscire da quel circolo vizioso di sensi di colpa e dolore. Derek non ha mai pianto: è stato per settimane la spalla su cui Cora ha versato tante, troppe lacrime, fino a quando ha creduto che non potesse averne più. Ma lui non ha il carattere di sua sorella, a lui non viene da piangere, non sa sfogarsi e non l’ha mai fatto; sua madre diceva sempre che ognuno accetta e subisce i colpi della vita a modo proprio ma nessuno è immune alle lacrime: alla fine tutti piangono. Sua madre era una delle persone più sagge che Derek abbia mai conosciuto ma ha sempre ritenuto che su questo punto si sbagliasse: non piangere non vuol dire non soffrire, vuol dire soffrire in un altro modo. E a lui le lacrime agli occhi non sono mai venute. Non è sicuro che questo lo abbia fatto vivere meglio. Forse aveva ragione sua madre quando diceva che “finché non piangi non l’hai accettato”. Lui non ci crede, ma quella mattina gli insinua improvvisamente un dubbio; non sa perché ma sente che sua madre ha ragione: Derek non ha mai accettato l’incendio. Non ha mai accettato di aver perso la sua famiglia. Non ha mai accettato di essere dovuto diventare una guida per sua sorella quando non si sentiva nemmeno di saper guidare se stesso. Non ha mai accettato di essere sopravvissuto. E viene folgorato da tutto questo mentre cammina con Stiles al suo fianco, mentre sembra che tutta la sua vita stia finalmente volgendo dalla parte giusta; viene folgorato dalla consapevolezza che quell’incendio influenza ancora la sua vita e non gli permette di voltare pagina: Derek è bloccato sull’introduzione, è bloccato dove il libro della sua vita comincia. E non può proseguire oltre.

 

“Finché non piangi non l’hai accettato”. Ora gli è sembrato di sentirla, nel suo orecchio, la dolce voce che ha cullato la sua infanzia.

 

“Finché non piangi non l’hai accettato”. Derek si è bloccato, incapace di andare avanti, sta ascoltando la voce e non bada a dove si trova.

 

“Finché non piangi non l’hai accettato”. Il tono della voce è sempre più alto, possibile che Stiles non lo senta? Ma dov’è Stiles?

 

Derek sgrana gli occhi, come un cieco che vede per la prima volta, colpito da quel timido raggio di sole. Fruga con lo sguardo il posto dov’è arrivato, ci mette un po’ a realizzare: Stiles non è più al suo fianco, è poco più avanti; forse sta parlando, Derek non può sentirlo. I rumori della natura sono ovattati, silenziati, non esiste più il bosco sonoro dove lui e Stiles passavano pomeriggi interi. Il tempo si ferma e Derek non può più muovere un muscolo, persino la voce di Talia tace. Derek sbatte ancora le palpebre, cerca ancora di definire il posto dove si trova. Poi la vede, davanti a sé, ancora imponente nonostante tutto, ancora minacciosa, tetra, pronta a risucchiare nel baratro Derek un’altra volta, ancora una e forse questa volta sarà per sempre. Non la vede da tre anni, dalla mattina dopo quella notte: il tempo ha aggravato le condizioni precarie in cui era stata ridotta. Davanti agli occhi Derek ha una carcassa, il cadavere della sua giovinezza, quel posto che per diciott’anni ha chiamato casa e che poi è diventato il suo incubo peggiore. Casa Hale si erge oscura dal passato del lupo, pronta a dargli il colpo finale.

 

Non è un semplice dolore fisico. Non è semplicemente sentirsi mancare il fiato. Non è solo sentire crollare ogni certezza da sotto i piedi. È tutto questo e molto peggio. È essere traditi dal passato due volte consecutive, è sentire di non avere più nulla per poter lottare, è essere sopraffatto e cominciare ad annegare. Insieme alla voragine che si apre nel cuore di Derek la cosa più terrificante sono le immagini che riaffiorano freschissime alla memoria. È come rivivere tutto una seconda volta sapendo che questa volta Derek non sarà il sopravvissuto della storia.

 

Fuoco. Derek è di fronte a casa Hale e casa Hale brucia. Odore di fumo. A Derek bruciano gli occhi, piccolissimi lapilli infuocati continuano a posarglisi sulle ciglia. Fuoco. Derek vede crollare i pezzi della casa, l’architrave della porta, un pilastro del portico, una parte del tetto. Legno che brucia. Derek continua a starnutire, l’odore acre gli si insinua fin sotto la pelle. Fuoco. Derek prova ad avvicinarsi, impotente, alla ricerca del punto in cui si è scatenato l’inferno. Urla di persone intrappolate. Anche Derek urla, chiama i loro nomi, cerca di capire da che parte entrare e da quale uscire per non rimanere anche lui imprigionato. Fuoco. Derek cerca di avanzare e più prosegue più si trova lontano dalla casa, lontano dalle persone che più ama, lontano da tutto ciò che fino a quel momento ha chiamato famiglia. Pelle che brucia. A Derek pizzicano gli occhi e le braccia, le fiamme si alzano metri in altezza e alle volte arrivano a squarciare il cielo nero e profondo, quel cielo silenzioso e immobile di fronte alla catastrofe. Fuoco. Derek odia quel calore, odia quel cielo, odia essere solo, odia essere l’unico fuori dalla casa. Urla spezzate, sempre più deboli. Urla ancora anche Derek, fino a farsi male alla gola, fino a perdere la voce, fino a tossire accasciato a terra. Fuoco. Derek non intende mollare, non fino a che le persone che ama sono dentro quell’inferno di fiamme e morte. Odore di pelle bruciata. Derek sa che non ce la farà mai, sa che non c’è più speranza ora che le voci si affievoliscono; non per questo smette di bruciarsi le braccia per aprirsi un varco verso l’interno dell’abitazione. Fuoco. Derek sa di aver perso quando ancora le fiamme sferzano le pareti di casa Hale, quando ancora il legno brucia e l’odore del fuoco intossica l’aria. Sangue. A Derek sanguinano le mani sporche di fuliggine, le braccia sbucciate, i piedi scalzi, anche se ciò che sanguina di più è il cuore. Fuoco. Derek muore in mezzo a quel fuoco e in sottofondo Cora piange.

 

Fino a quel momento quello che rivive Derek è esattamente quello che ha vissuto quella sera, ogni minimo particolare è rimesso in scena dalla sua memoria. Si rannicchia a terra, ha male ovunque, gli occhi gli bruciano ma non piange. Come quella sera, rimane per un tempo indeterminato lì, sull’erba consumata dalle fiamme, si copre le orecchie ma continua a sentire quelle urla strazianti, si sfrega gli occhi fino a farsi male ma continua a vedere il fuoco che divora ogni cosa. Ogni rumore cessa nella natura che lo circonda, ma all’interno Derek vive il caos. Ancora urla, ancora fuoco e ancora dolore, fisico e psicologico. Dopo tre anni quelle sensazioni sembrano non essersi mai affievolite, sembrano permeare il corpo di Derek e adattarsi alla sua anima, come un abito di spine impossibile da rimuovere. Monta il senso di colpa, romba la bestia mai sopita, soccombe il lupo che non ha mai accettato quella notte. Derek vorrebbe rompere tutto e morire allo stesso tempo, l’anima gli si lacera e nulla può lenire le sue sofferenze. Ma nulla di tutto questo fa scendere una sola lacrima dai suoi occhi. Derek sa che piangere servirebbe a tutto e a niente e comunque non riesce a sfogarsi.

 

Derek non sa quanto tempo sia passato, potrebbero essere secondi, minuti o mesi, nulla ha più senso dopo aver riprovato tali dolori due volte in vita. Continua ad essere bloccato in quella maledetta notte, rannicchiato sulla terra fredda e insensibile. Stringe ancora le palpebre, più che può, come se potesse evitare di avere ancora il fuoco negli occhi e nel cuore. Non può vedere che ora non è più solo, che una figura eterea esce dal buio per affiancarlo. Porta un lungo vestito candido, che ha la stessa consistenza delle nuvole ma un colore ancora più chiaro e sfavillante. Nonostante ciò la luce che emana non è sufficiente a rischiarare tutto il bosco, si limita a fluttuarle intorno, a sfiorarle le vesti e le braccia nude, svanendo al suo passaggio. Porta i capelli corvini alle spalle, voluminosi e lisci, sapientemente appuntati dietro un orecchio. Cammina leggera e a prima vista si direbbe che quasi non tocchi per terra; ad ogni passo la veste, che assomiglia a quella di una dea greca, si solleva un po’, scoprendo le caviglie e i piedi scalzi, che sembrano non sporcarsi mai. Con grazia sovrannaturale si accovaccia accanto a Derek e delicatamente gli prende il viso tra le mani, mentre lui continua a serrare le palpebre, come faceva quando combinava qualche marachella in casa. Derek ha paura, paura che aprendo gli occhi le tragedie della sua vita non possano che peggiorare, gli sembra che stringendo le palpebre possano invece scomparire del tutto. Ma quando finalmente cede a quel tocco noto e si lascia andare aprendo piano gli occhi, le sue iridi verdi incontrano quelle profonde e scure di Talia, togliendogli per qualche secondo il fiato dai polmoni.

 

«Ti ricordi quando ti leggevo la storia della buonanotte, Derek?» Non se la ricordava così soffice la voce di sua madre, aveva dimenticato quanto potesse curargli l’anima quel suono. Derek annuisce, muovendo impercettibilmente il mento, incapace di formulare qualsiasi altro tipo di risposta. «Ti ricordi cosa diceva Rafiki a proposito del passato?» Questa volta non lo lascia rispondere, lo anticipa, senza lasciare nemmeno per un istante lo sguardo dai suoi occhi. «Diceva “Oh sì, il passato può far male. Ma per come la vedo io da esso puoi scappare o imparare qualcosa”.» Quelle parole colpiscono Derek al centro del petto, come se le leggesse in quel momento per la prima volta, come se la capisse in quel momento per la prima volta. «Smettila di scappare dal tuo passato, da tutto questo, Derek.» Talia si gira verso ciò che resta di casa Hale, annerita dal fumo e dalla cenere, che per un attimo, per un secondo solo, prende nuovamente fuoco, tornando un attimo dopo al suo grigiore. È in quel momento, in quell’istante che tutto il mondo di Derek vacilla, spostandosi finalmente dall’orlo del baratro dove è rimasto per tre anni. O su o giù. E Derek cade.

 

Dicono che per rialzarsi bisogna essere prima caduti. Derek ora lo sa, ha dovuto cadere per poter tornare in superficie, per poter respirare di nuovo, per poter vivere di nuovo. Ma cadere richiede un prezzo, il prezzo che Derek non ha mai voluto pagare al passato: le lacrime. Quando rivolge lo sguardo verso la madre, non vede più nulla non solo perché Talia non c’è più ma perché i suoi occhi si appannano. È la cosa più normale del mondo e Derek piange. Le lacrime si susseguono e si rincorrono, scivolano staccandosi dalle ciglia e scorrendo come gocce di rugiada in una mattina d’aprile. Pian piano il cielo si rischiara, Derek non trattiene le lacrime che finalmente gli scendono copiose sul viso. La notte si trasforma in mattina, le fiamme sono scomparse, il bosco è nuovamente ospitale. E all’improvviso le lacrime non scivolano più sul viso ma si bloccano sul pelo nero, ognuna riflette l’arcobaleno di colori offerto dalla natura. Derek non smette di piangere ma finalmente vede davanti a sé. Derek vede Stiles e per la prima volta si sente leggero.

 

Lacrime. Quelle non si fermano. Continuano, imperterrite, mentre lo sguardo di Derek diviene sempre più limpido. Stanno lavando via il dolore, il senso di colpa, la rabbia, tutto quello che in quegli anni non era riuscito ad esternare e di cui non aveva potuto liberarsi. E tutto questo è accaduto grazie ad una persona: Stiles. Gli sta tenendo il muso tra le mani, forse gli sta anche parlando; Derek non può prestargli attenzione, si è perso in quegli occhi e per la seconda volta dopo il loro primo incontro se ne innamora di nuovo. Non servono spiegazioni, sa che è la persona giusta perché lo sente dentro di sé, sente il posto che quel ragazzo si è scavato nel suo cuore. Lui l’ha seguito nel percorso di liberazione, lui l’ha portato davanti ai suoi incubi e glieli ha fatti affrontare come un vero lupo. Ora non c’è più necessità di essere un lupo, ora Derek può vivere la sua vita da umano. Non lo sceglie Derek ma succede, come se fosse la cosa più naturale e automatica del mondo. Sente un formicolio dappertutto, lungo le zampe, sul muso, sul corpo. Non se ne rende conto subito ma vede cambiare l’espressione del ragazzo davanti a sé.

 

Il pelo si accorcia fino a scomparire in numerosi punti. Le dita si allungano, le unghie si accorciano. La folta coda scompare. Si sviluppano muscoli forti e ben definiti sulle gambe e sulle braccia. Le orecchie si abbassano e si posizionano ai lati della testa. Il muso di accorcia e si allarga, prendendo fattezze umane: si definisce un naso netto, delle sopracciglia folte e nere, delle labbra carnose e dalla linea dolce, degli zigomi alti. Gli occhi sono gli ultimi a trasformarsi: le iridi lampeggiano ancora un po’ del blu elettrico a cui Stiles era ormai abituato e poi si stabilizzano in un verde smeraldo, cangiante, che vira nello stesso momento al verde bosco e al verde prato, al chiaro e allo scuro. Occhi che ora lo fissano, vivaci, limpidi, occhi che lo conoscono. Occhi che lo stesso Stiles riconosce. Gli occhi del ragazzo della Camaro. Stiles fatica a respirare.

 

Derek vede Stiles, che trema visibilmente, allontanare piano le sue mani che ora accarezzano la barba appena sfatta del licantropo e muovere le labbra a vuoto, mentre la voce si rifiuta di uscire dalla gola. Sgrana gli occhi, se possibile sono ancora più grandi e liquidi, lo fissa quasi senza sbattere le palpebre. A Derek non sfugge che lo sguardo di Stiles cala un attimo sul suo corpo, è consapevole della sua nudità ma non gli importa in questo momento. Vorrebbe approcciare Stiles nel modo giusto ma in questo momento sente che l’unica cosa da fare è rimanere immobile e provare a fargli capire che non c’è nulla di diverso, nulla da temere. Stiles cade seduto, con un tonfo sordo e appoggia le mani dietro la schiena, per appoggiarsi. Trema ancora, la bocca è aperta ma non esce nessun suono, gli occhi spalancati. Derek non sa quanto dovrà aspettare per una reazione ma è paziente, non mette fretta al ragazzo, può solo immaginare cosa gli passa per il cervello in quel momento. Stiles continua a muovere la labbra a vuoto, Derek comincia a chiedersi se non abbia ancora preso un vero respiro. Stiles alza una mano, per cercare di spiegarsi, ma fallisce di nuovo; la mano ricade sul prato, come se il ragazzo fosse svuotato di ogni sillaba. Alla fine si passa la lingua nervosa e rapida sul profilo delle labbra (Derek muore un po’ a quel gesto), apre nuovamente la bocca e dice poche parole. «Devo…devo davvero andare, scusa». Si volta di scatto e corre come non ha mai fatto in vita sua.

 

Derek rimane seduto sull’erba, per un tempo indeterminato, incapace di capire ciò che sta succedendo. Tutto sembrava perfetto, tutto stava andando al suo posto, Derek stava trovando il suo posto nel mondo. E invece Stiles è appena scappato. Aveva uno sguardo sconvolto e terrorizzato, Derek non si è mai reso conto di poter fare quell’effetto alla gente. Si sente un mostro, un abominio. Non è mai stato guardato in quel modo, tanto meno da Stiles; la semplicità con cui lo accettava era aria fresca per i polmoni di Derek, era il suo balsamo. Ora invece Stiles l’ha visto come un mostro, il mostro che lui è in realtà, l’ha visto per la minaccia che è. Ed è fuggito, è fuggito perché non sapeva se Derek potesse fargli del male: ha perso la fiducia che aveva in lui. Il petto di Derek è dentro una morsa che si sta stringendo sempre di più intorno alle sue costole, ai suoi polmoni, al suo cuore, mozzandogli il respiro. Ha sempre avuto problemi a fidarsi delle persone, sa qual è la sensazione che percorre le ossa, l’amaro in bocca che ti lascia. Gli occhi di Stiles, gli occhi che Derek guarderebbe per ore, all’infinito, si sono svuotati della felicità e riempiti di terrore: Stiles non può più fidarsi di Derek.

 

Il licantropo non si rende conto che sta mordendo con forza le labbra finché il sapore metallico del sangue non gli invade la bocca; in un attimo la ferita si rimargina ma il sapore resta. Ecco cosa è successo al loro rapporto: qualcosa è cambiato, si sistemerà all’esterno ma all’interno rimarrà sempre qualcosa di sbagliato. Derek è stato lupo, è tornato umano ma non potrà recuperare la spontaneità del rapporto con Stiles. Come potrà mai farsi credere da lui dopo averlo catapultato in maniera così traumatica nella realtà sovrannaturale? Il sole è scomparso, le nuvole si sono addensate e il cielo minaccia di rovesciare a terra la sua pioggia a breve. Derek si alza, stordito, incespica nei suoi stessi passi. Raccoglie la coperta che aveva portato Stiles e che nella fretta ha lasciato cadere per terra e se la avvolge intorno ai fianchi. La pioggia cade forte e dritta, scroscia per pochi minuti lasciando poi di nuovo lo spazio al debole sole del pomeriggio. Mentre piove, Derek corre a casa e la pioggia gli bagna il volto, confondendo le dolci gocce di pioggia con le salate lacrime che gli rigano nuovamente il viso. L’acqua gli scorre addosso e mescola i sapori delle gocce che gli lambiscono i lati della bocca: il suo cuore sente solo un sapore amaro.

 

Una volta rincasato, mette addosso una maglia e un paio di pantaloni, scegliendoli sulla base di un unico criterio: che non abbiano l’odore di Stiles. È stato difficile, soprattutto perché molte di quelle maglie Stiles le ha toccate, le ha indossate, ci ha lasciato sopra il suo odore. Quel profumo che inebria e sconvolge Derek, che si insinua silenzioso nel suo cervello e lo manda fuori di testa. Quel profumo Derek lo sente sul divano dove si sono addormentati abbracciati, nella camera di Cora dove Stiles ha dormito solo poche ore fa, in cucina dove hanno fatto colazione così tante mattine, nella sua camera e nel suo armadio, in ogni angolo della casa. È quell’odore che ora Derek vorrebbe poter non sentire, perché ogni sua sfumatura gli fa venire in mente un diverso momento passato insieme, un sorriso, una carezza, uno sguardo. Un semplice gesto che diceva tutto quello che non potevano e non avevano bisogno di dirsi a parole. Ogni particella di Stiles aleggia in quella casa, ogni sua emozione è rimasta lì, a tormentare ora Derek con la sua immaterialità: sente l’odore di Stiles e l’unica cosa che vorrebbe fare è abbracciarlo, averlo accanto a sé, strofinare il naso sulla linea della sua mandibola.

 

Sente squillare il telefono, ci sono un paio di messaggi di Cora ma non ha nemmeno voglia di aprirli, non ha voglia di alzarsi, di muoversi o di parlare. Vorrebbe anche smettere di pensare, ma non gli è concesso. Continua a ricordare quelle ultime settimane, quelle ultime ore. L’incontro con sua madre, il fuoco di casa Hale, il volto di Stiles. Continua a vederlo, a vedere quei grandi occhi pieni di paura, paura per Derek, per l’abominio che si è trovato di fronte. Lo vede nonostante il suo sguardo continui ad appannarsi per le lacrime che gli rigano senza pietà il volto.

 

Cora rimase in silenzio, impassibile; nemmeno se avesse avuto qualcosa da dire avrebbe interrotto il racconto. Derek aveva smesso di piangere, anche se ancora ogni tanto le lacrime scendevano dai suoi occhi e cadevano leggere sul divano, ma lui sembrava non accorgersene nemmeno più. Cora aveva seguito ogni battito cardiaco di Derek, aveva trattenuto il respiro ogni volta in cui a lui era mancato il fiato e aveva finalmente avuto la conferma di ciò che aveva ipotizzato dopo la discussione con l’Alpha: Stiles era il compagno che Derek aveva inconsapevolmente scelto, era lui la sua ancora. Come svuotato, Derek terminò la frase e spostò nuovamente gli occhi verso la finestra, lasciando che vagassero nel vuoto.

 

D’istinto Cora prese le mani di Derek tra le sue, le strinse forte continuando a fissare gli occhi verdi che l’avevano vista cadere e rialzarsi tante volte; quelle mani avevano asciugato migliaia di sue lacrime e ora Cora sapeva di poter fare qualcosa per Derek. Si rese subito conto che il licantropo stava provando così tanto dolore da non riuscire a “curarlo” come al solito. Immediatamente le vene di Cora si gonfiarono, sotto l’afflusso di intense ondate di dolore che annerirono temporaneamente il suo sangue; Derek sembrò svuotato o almeno sollevato, mentre alla ragazza mancò il fiato: come poteva Derek reggere anche un solo minuto tutto quello? Cora strinse la mascella, per reggere una seconda dose di dolore, riuscendo a respirare a fatica. Dopo pochi secondi la presa di Derek si fece più leggera e il ragazzo reclinò la testa all’indietro, mentre le palpebre gli calavano e veniva avvolto da un sonno senza sogni. Prima di accasciarsi sfinita sul divano, Cora prese una coperta e coprì se stessa e Derek, appoggiando la testa sulla spalla del fratello, come faceva quando tornava stanca da una giornata di scuola. Prima di cedere completamente al sonno, Cora sentì un flebile «Grazie» uscire in un soffio dalle labbra di Derek.

   
 
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