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Autore: Mary P_Stark    20/02/2016    3 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Huginn e Muninn (Branson) – Giugno 2011
 
 
 
 
 
 
D’accordo, quei due corvacci, il più delle volte, facevano avanti e indietro come meglio credevano.
 
D’accordo, lui non li teneva in gabbia come avrebbe fatto chiunque altro, così loro potevano avere libero accesso all’uscita della voliera come meglio credevano.
 
D’accordo, Huginn e Muninn erano in gamba e due uccellacci con i controfiocchi, però… erano otto giorni che non rientravano!
 
Se fosse successo loro qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato, poco ma sicuro.
 
Branson non era legato ai suoi corvi solo da un legame di tipo lavorativo – erano i suoi occhi e le sue orecchie, quando doveva agire come Geri – ma anche dall’affetto.
 
Fin da quando Madre li aveva legati a lui durante la cerimonia del Riconoscimento, aveva sentito per loro un coinvolgimento emotivo che andava ben oltre il rapporto tra il padrone e i propri animali d’affezione. Quei due corvi imperiali, con i loro caratteri così volitivi, gli entrati nel cuore e nel sangue, ed erano diventati molto più che semplici partner lavorativi.
 
Erano suoi amici.
 
Quei due maledetti uccellacci del malaugurio, con il loro insolito ritardo, quindi, lo stavano davvero facendo ammattire, facendogli pensare le peggio cose!
 
Se l’indomani mattina non fossero tornati, avrebbe chiesto a Duncan il permesso di portare con sé Jessie per una missione esplorativa lungo i confini del clan.
 
“Chef! Qui c’è bisogno di lei!”
 
La voce trillante di Samantha Smithson, la sua sous-chef, lo riportò al presente e alla cacofonia della sua cucina. Il suo regno, ciò per cui aveva lottato e che ora lui guidava con maestria e sapienza, oltre che una buona dose di orgoglio.
 
Lo Stones Restaurant era la sua reggia scintillante, la sua tana sicura… ma, in quel momento, neppure quel luogo sembrava tranquillizzarlo.
 
I coniugi Stone, padroni del locale e suoi amici di lunga data, erano dei geni della ristorazione, ed era stato un piacere essere assunto per guidare la loro cucina. Insieme, avevano puntato tutto sulla qualità dei prodotti offerti alla clientela, oltre che su un servizio d’eccellenza e, nel corso degli anni, i sacrifici erano stati ripagati.
 
Le liste d’attesa erano lunghissime e, per prenotare, era necessario davvero un colpo di fortuna.
 
In quel momento, però, avrebbe voluto gettare tutto al vento e uscire a gambe levate da quel luogo di perfezione caotica. Voleva sapere dov’erano i suoi corvi. Solo questo gli importava.
 
***
 
Duncan annuì serio, di fronte al cipiglio ombroso di Branson e, nel lanciare un’occhiata a Brianna, appollaiata su una delle poltrone del salotto, asserì: “Non dovevi neanche venire a chiedermelo, Branson. Certo che puoi prendere Jessie con te, per cercare Huginn e Muninn. Desidero anch’io che quelle due pesti incarnate tornino all’ovile.”
 
Branson sorrise di fronte al tentativo di Duncan di fare dell’ironia. Era chiaro quanto Duncan fosse angustiato dalla notizia della mancanza dei due corvi, ma non volesse fargli pesare anche le sue preoccupazioni.
 
“Il tuo regno è giovane, Duncan, e non voglio certo passare per quello che si approfitta della nostra amicizia, scavalcandoti. Sai che, nel branco, ci sono ancora alcuni lupi legati a Connor e Sheoban, e non vedono l’ora che tu o Brianna commettiate un errore” replicò serafico l’uomo, lanciando a entrambi occhiate cariche di rispetto. “Dovevo chiedertelo.”
 
Brie fu la prima ad annuire a quelle parole.
 
“Sì, ti capisco. Sebbene sia passato più di un anno dal crollo del Consiglio, certi lupi hanno difficoltà a cambiare registro. Ma non ce ne preoccupiamo, Bran. Siamo più forti di così” dichiarò la wicca con determinazione.
 
“Ugualmente, preferisco seguire le regole” si limitò a dire Geri, scrollando le ampie spalle.
 
“Con il lavoro, come sei messo?”
 
Sorridendo divertito, Branson a quel punto ammise: “Quando ho chiesto un permesso di tre giorni, Mrs Stone mi ha subito chiesto se fossi malato. Mi ha guardato come se fossi sul punto di morire, e lei fosse al mio capezzale, in lacrime e con le mani già strette al rosario.”
 
Duncan lo squadrò con aria divertita, esalando: “Non dai l’idea di essere ammalato.”
 
“Infatti. Ma lei era terrorizzata al pensiero che i ritmi lavorativi in cucina fossero esagerati e mi ha ordinato di prendermi una settimana, non tre giorni, così da riposarmi sul serio” scrollò le spalle Branson.
 
Brianna scoppiò a ridere e, nel dare una pacca sulla spalla all’amico, celiò: “Di sicuro, non vuole perdere il suo meraviglioso Chef stellato.”
 
“Vorrei vedere…” ghignò Branson, dichiarandosi d’accordo.
 
Duncan, allora, sorrise e disse: “Da quel che so, Jessie ha già terminato i suoi esami all’università, per quest’anno, e non ha altre lezioni. Potete partire domani stesso, se preferisci.”
 
“Grazie” assentì Geri.
 
“Io, nel frattempo, scandaglierò i boschi con il mio potere. Passando voce tra le piante, dovremmo riuscire a coprire una zona piuttosto vasta in breve tempo” aggiunse poi Brianna, sorridendo all’uomo.
 
“Grazie anche a te, Prima Lupa. Il tuo aiuto sarà senz’altro prezioso” mormorò Branson, commosso.
 
“Ehi, Bran… teniamo anche noi a quei due ammassi di piume, anche se con me sono più scorbutici di un temporale estivo” rise la ragazza, battendosi una mano sul ginocchio.
 
Branson non poté che ridere a sua volta.
 
Ricordava bene la prima volta in cui aveva presentato Brianna ai due corvi; loro avevano cominciato a starnazzare come matti, finché non si era allontanata. La presenza di Fenrir dentro di lei li aveva messi in agitazione, e niente era valso allo scopo di calmarli.
 
Alla fine, Brie era uscita dalla voliera e, ridendo divertita, si era scusata con lui per il gran fracasso che aveva provocato.
 
“Li troverete, Bran, stanne certo” lo rincuorò infine Duncan, sinceramente convinto della buona riuscita della loro ricerca.
 
Anche Branson ci sperava, perché gli sarebbe davvero spiaciuto dover essere costretto a trovarsi altri due corvi imperiali per sostituirli.
 
Anzi, sarebbe stato impossibile. Quelle due pesti erano insostituibili.
 
***
 
I capelli bruni legati dietro la nuca, e alcune ciocche ribelli a sfiorare il viso di affascinante ventitreenne, Jessie ghignò all’indirizzo di Branson e domandò: “E così, stavolta, quei due hanno pensato di allungare la loro solita vacanza in giro per i boschi?”
 
“Magari fosse così! Di solito, quando intendono prolungare i loro andirivieni, uno dei due torna indietro per avvisarmi, ma stavolta non è successo” brontolò Branson, aggirandosi per il boschetto del Vigrond con aria guardinga.
 
Massaggiandosi il pizzetto con fare pensoso, il naso impegnato a controllare gli odori di fondo, Jessie replicò: “Mi fa ancora senso, pensare a due corvi che ti parlano in testa, sai?”
 
Bran lo fissò stralunato, ribattendo con franchezza: “Perché, io cosa dovrei dire, quando voi sembrate inscenare Underworld tutte le volte che vi trasformate?”
 
La sentinella scoppiò a ridere di gusto, mimando di aggredirlo con le zanne spianate e gli artigli in vista e Geri, scuotendo il capo, si limitò a sorridere.
 
Certo, il procedimento tramite cui Huginn e Muninn parlavano con lui – e lui solo – era davvero mistico e misterioso, ma non meno della mutazione dei licantropi.
 
Come ogni Geri, suo era il compito di catturare e addestrare alla fedeltà assoluta una coppia di corvi perché divenissero le sentinelle nel cielo del branco. Quando l’addestramento era compiuto, la coppia di corvi veniva portata al Vigrond, dove la quercia sacra conferiva loro poteri unici e inalterabili.
 
Da quel momento, i due corvi diventavano Huginn e Muninn, il ‘Pensiero’ e la ‘Memoria’ di Geri, quando egli era impegnato nella predazione.
 
Il primo, consentiva a Geri di vedere ciò che il corvo aveva visto durante le sue perlustrazioni e, grazie al legame che li univa, Branson poteva trasmettere ordini a Huginn su dove andare, o cosa fare.
 
Muninn, la ‘Memoria’, era invece una vedetta, la spalla di Huginn, e trasmetteva i dati raccolti una volta di ritorno alla base.
 
Al secondo corvo era dato anche l’incarico di tenere, per l’appunto, una memoria a tempo indefinito di tutte le missioni di Branson, nel caso vi fosse stato bisogno di un raffronto.
 
Senza di loro, Branson si sentiva come privato di un arto.
 
Voleva davvero bene a quei due corvacci dispettosi, e pensare che potesse essere successo loro qualcosa di brutto, lo metteva in agitazione.
 
Quando, sul finire di quella giornata passata nel bosco, il loro peregrinare risultò infruttuoso, Jessie borbottò preoccupato: “Se non sono nella foresta del Vigrond, dove possono essersi cacciati?”
 
“E chi lo sa?” sospirò afflitto Branson, passandosi una mano tra i corti capelli tagliati a spazzola.
 
“Non ti hanno detto nulla, prima di sparire dalla voliera?” si informò Jessie, dandogli una pacca sulla spalla per calmarlo. In quel momento, Branson non si sarebbe accorto di avere davanti neppure Charlize Theron in bikini, tanto era agitato.
 
“Solo che… che…” tentennò l’uomo, cercando di non iperventilare.
 
Doveva darsi una cavolo di calmata, se voleva essere utile a Jessie nel ritrovare i corvi del branco, non mettersi a frignare come un bambino piccolo.
 
Preso un bel respiro, quindi, Bran chiuse per un istante gli occhi e cercò di rammentare gli ultimi fotogrammi di quella mattina di nove giorni prima. Huginn era stato il primo a involarsi, sparendo nel cielo turchino, agli albori dell’alba.
 
Muninn, invece, si era appollaiato come al solito sul suo braccio, si era strusciato per un attimo contro la sua guancia e…
 
Facendo tanto d’occhi, Branson esalò: “Ovest. Si sarebbero diretti verso il Galles.”
 
Strabuzzando gli occhi, Jessie esalò: “E perché mai, scusa?! Là ci sono solo rocce e pecore!”
 
“Girano voci sulla formazione di un nuovo branco nella zona. Pare che diversi lupi errabondi, che non vogliono sottostare alle attenzioni di nessuno dei Fenrir or ora esistenti, abbiano deciso di costituire un nuovo gruppo” spiegò Branson, continuando a pensare a ciò che Muninn gli aveva detto.
 
“E… e si può fare?” gracchiò Jessie, decisamente perplesso.
 
“Che io sappia, non esiste nessuna legge che lo vieti. Sarà un branco guidato da un Consiglio, non da un Fenrir, a meno che non ne nasca uno in seno al clan, prendendo de facto il potere nelle sue mani” espose Geri, muovendo distrattamente una mano.
 
Jessie, però, storse il naso e replicò: “Non mi piace l’idea. Suona… iconoclasta.”
 
Branson lo fissò con uno scuro sopracciglio sollevato, un’aria assai divertita stampata in viso e il lupo, storcendo la bocca, aggiunse: “Sì, dai, insomma… senza una Triade di Potere, mi suona stonato. Guarda che cosa è successo a noi, con il Consiglio?!”
 
“E tu mi sembri mio nonno, a parlare così” ironizzò Branson, guadagnandosi un ringhio in risposta. “Comunque, è parso strano anche a Muninn e Huginn, visto che sulla costa gallese già è presente il branco di Pascal Laroche che, di certo, non si può definire un Fenrir crudele o nevrastenico. E’ per questo che sono andati a curiosare, a loro dire. Visto che era una missione esplorativa e null’altro, non ho detto niente a Duncan ma, a questo punto, ho idea che sia successo qualcosa in Galles. Può essere per questo, che non rientrano.”
 
Assentendo grave, la sentinella afferrò il cellulare dalla tasca posteriore dei suoi pantaloni mimetici e chiamò Duncan, comunicandogli la loro idea.
 
Quando mise giù, lanciò un’occhiata a Branson e disse: “Ci autorizza ad andare, e con noi verrà anche Jerome. Dice che, nel frattempo, sentirà Pascal per accertarsi che lui sappia qualcosa di questo neonato branco.”
 
Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Geri esalò: “Manderà con noi il secondo in comando? E ti ha spiegato perché?”
 
“Per due motivi; uno, ufficiale, per rendere nota la nostra disponibilità a una eventuale alleanza con il potenziale nuovo clan. L’altro, ufficioso, per curiosare con più occhi e più orecchie. Inoltre, Jerome si sta annoiando a morte, e vuole combinare qualcosa.”
 
Assentendo con un risolino, Branson allora dichiarò: “Vado a prendere la macchina.”
 
Ciò detto, corse via mentre Jessie, incamminandosi più lentamente, chiamava Jerome per mettersi d’accordo sulle tempistiche del loro viaggio.
 
Se i corvi erano veramente andati là e, per qualche motivo, non erano tornati indietro, ci si poteva aspettare di tutto, da quella missione esplorativa.
 
***
 
La cittadina di Talgarth – luogo ipotetico dell’insediamento del nuovo clan – era uguale a mille altre, con piccole case dai tetti spioventi e muri di sassi coperti di muschio.
 
Altre abitazioni, più recenti, erano stuccate con colori accesi e freschi, col chiaro intento di ravvivare in qualche modo l’asprezza del territorio e del clima.
 
Il Galles non era mai stato un luogo per pavidi o deboli di cuore e, di sicuro, era il luogo giusto per insediarvi un clan nuovo di zecca. Poca concentrazione umana – rispetto al Middle England – e luoghi più a misura d’uomo, così come di licantropo.
 
Lì, era tutto più tranquillo, meno frenetico rispetto a città come Manchester o Londra.
 
Un toccasana, per le controparti ferine dei licantropi, oltre che un luogo al di fuori del controllo di qualsiasi altro clan britannico.
 
Raggiunto che ebbero il loro albergo, l’Old Radnor Barn, Branson si avviò alla reception per il check-in, mentre Jessie e Jerome davano un’occhiata in giro.
 
Il locale era in stile classico, a un piano, in pietra grigia e dalle imposte lignee. Ben tenuto al pari dell’ampio giardino che lo circondava, era un locale discreto e dall’eleganza sobria e vecchio stile.
 
Prometteva rilassanti giornate all’aria aperta, poca confusione di mezzi e persone e tanta, tanta collina a perdita d’occhio.
 
Ritirata la chiave della loro stanza, Branson si premurò di chiedere informazioni circa i percorsi per escursionisti e le bellezze del luogo. Dovevano apparire in tutto e per tutto dei turisti, e domandare indicazioni era un buon sistema per dare quest’idea.
 
Fatto ciò, e ricevuto in risposta un lungo elenco di luoghi da visitare, Branson raggiunse infine la stanza d’albergo assieme ai suoi due compagni di viaggio, e lì controllò l’esterno dalla finestra rivolta verso il cortile.
 
Era un buon punto di osservazione e, da quella posizione, potevano tenere d’occhio la strada da cui si accedeva all’albergo.
 
Dopo aver sistemato le valige accanto all’ampio letto a una piazza e mezzo, Geri propose loro: “Direi di andare a fare un giretto in centro, così voi potrete fare le vostre cose da lupi, mentre io vi guarderò le spalle.”
 
“Andata” assentì Jerome, passandosi una mano sullo stomaco prima di battervi sopra un paio di volte. “Potremmo anche andare a mangiare, nel frattempo. Comincio a sentirne l’esigenza.”
 
Scoppiando a ridere, Jessie assentì al suo Skŏll. “Anche il mio stomaco brontola.”
 
“Metabolismi accelerati…” sospirò divertito Branson, allacciando sul torace le fondine ascellari prima di inserire le sue Beretta semiautomatiche.
 
Jerome lo fissò dubbioso mentre terminava di indossare il suo giubbotto di pelle ma Geri, per tutta risposta, disse: “Non si può mai sapere, Sköll. E io non amo scherzare, quando devo proteggere qualcuno.”
 
“Ho notato” assentì il licantropo, avviandosi con i due amici verso la porta e raggiungere così l’uscita dell’albergo.  
 
Da lì, imboccarono lo stradello che conduceva alla via principale della cittadina, High Street e, una volta raggiuntala, iniziarono a percorrerne il marciapiede con passo tranquillo e aria apparentemente pacifica.
 
Gli occhi di Geri percorsero attenti ogni centimetro visibile sulla strada, mentre i due licantropi dinanzi a lui mantenevano un atteggiamento spensierato e sereno. Non era il caso di attirare più attenzione del necessario, visto che avevano comunque stazze tali da far girare più una testa verso di loro.
 
Non occorse comunque molto, per raggiungere un localino adatto a riempire gli stomaci dei due licantropi, e permettere a Branson di rizzare le orecchie e ascoltare le chiacchiere di paese.
 
Una volta all’interno, Jerome ordinò per tutti e trovò un tavolino nei pressi dell’ampia vetrata d’ingresso. Da lì, avrebbero potuto continuare a tenere d’occhio la strada e, al tempo stesso, sarebbero stati in grado di sgattaiolare fuori dal locale in caso di bisogno.
 
Mentre fish and chips arrivavano in gran quantità, assieme a tre pinte di birra chiara, le dita di Branson volavano sulla tastiera del cellulare, prendendo nota di indirizzi, vie, parchi pubblici e quant’altro.
 
C’era la remota possibilità che i licantropi del posto non c’entrassero nulla, con la sparizione dei suoi corvi, e che loro non fossero neppure presenti a Talgarth. Il fatto di trovarsi lì era solo pura speculazione.
 
Non era affatto detto che quello sparuto gruppo di lupi solitari, di cui avevano ricevuto solo sparute notizie di seconda mano, si fosse stanziato proprio lì, ma da qualche parte avevano dovuto iniziare la loro ricerca.
 
Oppure, ma non voleva pensarci neppure un istante, Huginn e Muninn erano semplicemente morti a causa di qualche cacciatore di frodo, e loro non li avrebbero mai più trovati.
 
Chiuso infine il collegamento a Google proprio in concomitanza con l’arrivo di un paio di operai edili, che entrarono nel locale per il pranzo, Branson prese la sua birra e la sorseggiò pensieroso.
 
Il liquido ambrato e fresco scivolò piacevole lungo la gola e, mentre una patatina fritta seguiva la birra, Branson lanciò un’occhiata apparentemente distratta ai due nuovi arrivi, studiandoli con occhio di Geri.
 
Dando poi di gomito a Jessie, Branson gli fece un cenno in direzione degli operai che, proprio in quel mentre, volsero lo sguardo verso di loro.
 
Non vi fu bisogno di presentazioni.
 
Se Branson si era accigliato nel notare la loro possanza fisica, oltre a un’altra decina di particolari, che solo un occhio esperto poteva notare, Jerome e Jessie semplicemente si irrigidirono come due bastoni.
 
Geri era abituato da anni a riconosce gli infinitesimali particolari che contraddistinguevano i mannari, e si compiacque di non essersi sbagliato. Sperò, comunque, che quei due fossero dei buontemponi, o tenerli a bada sarebbe stato difficile, visto quanto erano grossi.
 
I due nuovi arrivati si scambiarono un’occhiata significativa, prima di deviare i loro passi verso il tavolo a cui si erano accomodati Geri e compagni.
 
Jerome fu il primo a parlare e, levata una mano in segno di saluto, si aprì in un sorriso gioviale e disse: “Ehi, ragazzi! Qual buon vento?”
 
Il più grosso tra i due annusò l’aria con fare discreto prima di afferrare una sedia, volgerla verso il tavolo di Jerome e sedervisi sopra, intrecciando poi le braccia sullo schienale ligneo.
 
L’altro, rimase in piedi a coprirgli le spalle.
 
Apparentemente, nessuno nella locanda diede adito di occuparsi di loro.
 
Le chiacchiere continuarono, la barista li degnò solo di mezza occhiata e la televisione sputò notizie su notizie, senza essere realmente ascoltata da nessuno.
 
“Ragazzi…” borbottò l’uomo, parlando con tono basso e roco. “… che ci fate qui? E’ ancora un po’ presto per fare i turisti in queste campagne. Vi si gelerà il culo, con il tempo che c’è fuori.”
 
Il trio guardò oltre la superficie linda della vetrata, scrutando il cielo rigonfio e che minacciava pioggia. In effetti, non c’era di che stare allegri.
 
Volgendosi in direzione della bionda al bancone del bar, poi, l’uomo esclamò: “Ehi, Bess! Porta altre tre birre a questi ragazzi, e mettile sul mio conto! Dobbiamo trattare bene i turisti che vengono qui, no?!”
 
La donna in questione lo mandò candidamente al diavolo, scatenando l’ilarità dell’uomo e quella di molti commensali.
 
Le birre, comunque, arrivarono e, mentre Jerome sorseggiava la sua, domandò mentalmente e con cortesia: “Un’accoglienza degna di nota. Spero davvero che la nostra presenza non arrechi disturbo al vostro gruppo. Siamo solo in cerca di un paio di amici che, a quanto pare, bazzicavano da queste parti, e non sono più tornati a casa.”
 
“Mi chiedevo, infatti, cosa ci facesse il membro di una Triade in giro per il Galles. I tuoi amici, chi sono? E l’umano, sa tutto?” replicò l’uomo, intrecciando le mani sul tavolo.
 
“L’umano è il nostro Geri. Io sono Sköll di Matlock, e il ragazzo al mio fianco è una delle nostre sentinelle.”
 
L’uomo fischiò, forse sorpreso dalla presenza del secondo in comando di un branco o, forse, dalla sua provenienza. Era possibile che la fama di Brianna fosse giunta fino a lì. Chi poteva dirlo?
 
“Bleidd, forse è il caso che parliamo con Cedrik. Lui ne sa un totale di questa zona, e potrà consigliare ai nostri amici che attrazioni vedere. Io finirei con il mandarli in un vicolo cieco, temo!” ghignò il licantropo seduto accanto a Jerome, scoppiando poi in una grassa risata.
 
Poi, come ripensandoci, si alzò in piedi e aggiunse: “Meglio ancora. Vi ci portiamo noi, da Cedrik. E’ la miglior guida del posto, oltre a essere il cognato di Bleidd.”
 
“Ottimo. Tanto noi, qui, avevamo finito” assentì Jerome, levandosi in piedi e allungando una mano verso l’uomo che, fino a quel momento, aveva parlato.
 
“Jerome Rowley, tanto piacere, e grazie in anticipo per l’aiuto.”
 
“Io sono Griff Dixon mentre il mio amico, qui, è Bleidd Sorensen. Ci pensiamo noi a farvi visitare la zona. La troverete… interessante.”
 
“Non vediamo l’ora” dichiarò Jessie, avvicinandosi di un passo a Griff, come per proteggere Jerome da eventuali colpi di testa.
 
Branson infilò distrattamente una mano sotto il giubbotto di pelle che indossava, mascherando la sua mossa con un evidente grattino al torace.
 
Bleidd lo fissò comunque con aria torva – forse non apprezzando l’implicita minaccia – ma non disse nulla, limitandosi ad annuire.
 
Il messaggio era arrivato, quindi.
 
Se nessuno avesse fatto scemenze, lui non avrebbe estratto le sue armi.
 
Dopo essersi presentati, il gruppo uscì di buona lena – assieme a due sacchetti di carta pieni di panini per i due operai – e si avviò sulla strada principale. A quell’ora, il traffico era un poco aumentato, ma nulla a confronto con il caos congestionato di Matlock, o di Manchester.
 
A quel punto, Griff si volse a mezzo e dichiarò: “Come mai il secondo in comando del branco di Matlock si trova qui? Non ci sono lupi stranieri, in zona. Diversamente, lo sapremmo.”
 
“Non stiamo cercando dei lupi, infatti. Si tratta dei nostri corvi” replicò Jerome, notando subito l’accigliarsi dell’uomo.
 
“Ci spiavate?” replicò Griff, ombroso.
 
“Non è nostra abitudine spiare nessuno. I corvi fanno quello che vogliono e, se lo ritengono giusto, danno un’occhiata in giro” intervenne Branson, pacifico, lanciando un’occhiata guardinga all’alto licantropo.
 
“So bene come ragionano Huginn e Muninn, umano, e non sono dei semplici corvacci neri” gli ringhiò contro Griff, alterandosi leggermente.
 
Bleidd, allora, diede una pacca sulla spalla all’amico e, a sorpresa, iniziò a gesticolare velocemente con le mani nella sua direzione.
 
Griff a quel punto sbuffò, ma assentì controvoglia, replicando: “Lo so, lo so… stai buono, Bleidd. Non voglio mangiarli, ma mi sta sulle palle che vengano qui a curiosare. Non stiamo facendo nulla di male!”
 
Bleidd sbuffò a sua volta, lanciandosi in un’altra serie di gesti e l’amico, levando le mani in segno di resa, esalò: “E va bene! Stai buono! Non staccherò la testa a nessuno. Promesso.”
 
Vagamente sconcertati, i tre membri del clan di Matlock fissarono dubbiosi Bleidd che, per tutta risposta, aprì la bocca, indicandosi la lingua mancante.
 
Al che, Griff ringhiò irritato: “Quel macellaio di Sebastian Sheperd. Ce ne andammo dal suo branco quasi due anni fa, quando il nostro Fenrir divenne così squilibrato da mettersi a fare il dittatore con tutti, persino con i neutri. A Bleidd, qui, tagliò la lingua perché aveva difeso la sorellina dalle sue angherie.”
 
Jerome aggrottò la fronte al pari degli altri, a quelle parole, e sentenziò: “Beh, vi farà piacere sapere che è morto e sepolto… e nel peggiore dei modi.”
 
“Eccome se mi fa piacere! Chi è stato a far fuori quello stronzo!? Vorrei stringergli la mano!” esclamò ghignante Griff, mentre Bleidd si esibiva in un gestaccio rivolto al cielo.
 
“Ehm… diciamo che sappiamo con certezza che ha sofferto parecchio ma, al momento, l’autore del misfatto non è reperibile” esalò Jerome, sperando bastasse loro quella semplicistica spiegazione.
 
Speranza vana, ovviamente.
 
Nel tempo che servì loro per raggiungere Cedrik, Jerome spiegò alla coppia di licantropi ciò che era avvenuto a Holm of Huip, e come si fosse rischiata la fine del mondo.
 
Quando, infine, si infilarono nel cortile di una proprietà privata, le facce di Bleidd e Griff erano pervase dallo sconcerto più puro.
 
E come dar loro torto, dopotutto? Chi poteva immaginare che potessero succedere eventi simili a quelli accaduti a Holm of Huip?
 
Jessie, impegnato nel suo ruolo di sentinella, bloccò Jerome a un braccio, torvo, osservò l’alta casa a tre piani che si innalzava dinanzi a loro.
 
“Sei presenze mannare. Con tutto il rispetto, ma non posso far entrare il mio Sköll in un luogo chiuso, e con così tanti licantropi” dichiarò subito dopo, lanciando poi un’occhiata dubbia all’indirizzo dei loro due ospiti.
 
Bleidd assentì prima ancora che Griff potesse replicare e, intimando all’amico di non fare cazzate, corse in casa senza aspettare altro tempo.
 
Curioso, Jerome dichiarò: “Sbaglio, o il tuo amico ha paura di qualche tuo colpo di testa?”
 
“Ho il prurito alle mani. Sempre” ghignò Griff, infilando le dirette interessate nelle tasche del bomber che indossava.
 
“Capisco” replicò Jerome, ghignando in risposta.
 
Per ogni evenienza, Branson infilò la mano destra nella sua giacca, in corrispondenza della Beretta che portava nella fondina da spalla.
 
Quando, però, a uscire fu una donna in evidente stato di gravidanza, e scortata da un attento Bleidd, tutti si calmarono subito.
 
Branson ritirò la mano per infilarla in tasca e Griff, indicando con un cenno del capo la donna, dichiarò: “La sorellina di Bleidd. Lei è Eirwyn.”
 
“So ancora parlare, sai, Griff? E ho idea che tu non abbia fatto fare una bella figura al nostro neonato branco, se il Geri dietro di te è così teso.”
 
Branson le sorrise, levando per un istante entrambe le mani a mostrare la mancanza di armi mentre Jessie, allontanandosi di un passo da Jerome, dichiarava senza bisogno di parole di non essere più in stato di allerta.
 
Jerome sorrise infine alla donna, biondissima quando chiara di pelle e, nel concederle un cenno ossequioso del capo, disse: “Le mie più sentite felicitazioni per la tua condizione, Eirwyn. La luna splende su di te con immane forza, non c’è che dire.”
 
“A me sembra di averla ingoiata, la luna” rise la donna per tutta risposta, scatenando l’ilarità dei presenti.
 
“Sempre la solita irrispettosa, cara” celiò un uomo, affacciandosi sulla porta, poco dietro fratello e sorella.
 
Eirwyn si volse a mezzo, sorridendogli con affetto, e replicò: “Ma è vero, caro! Sono enorme, ormai!”
 
“E rechi una speranza degna di nota, in te, perciò non farò nulla per contraddirti, anche se io penso che tu non sia enorme” convenne l’uomo, avvicinandosi a Jerome con la mano tesa verso di lui. “Sono Cedrik Riley, molto piacere. Per ora, sono il capo del Consiglio che guida questo neonato branco. E’ un piacere ricevere visite così importanti, e così presto.”
 
Levando un sopracciglio con evidente curiosità, Jerome strinse la sua mano protesa e replicò: “Prevedi di perdere lo scettro a breve?”
 
Cedrik, allora, lanciò uno sguardo al ventre della compagna e, sorridendo gaio, dichiarò: “Tra circa tre mesi anche se, per molti anni, guiderò assieme ai miei consiglieri per spianare la strada a lei.”
 
Sempre più sorpreso, Jerome esalò: “Sai… sai che sta per nascere Fenrir?”
 
“La mia Eirwyn non è solo una lupa eccezionale e bellissima… ma è anche una völva. Ha predetto la nascita dell’erede del branco. E del suo Hati.”
 
Il terzetto di Matlock, allora, fischiò in risposta, del tutto ammirato, e Jessie esclamò: “Gemelli? Ma è fantastico!”
 
“Già. Anche se pesano quando una chevy” rise Eirwyn, ricevendo in risposta una pacca sulla spalla dal fratello.
 
Sempre sorridendo, Cedrik aggiunse: “Bleidd mi ha accennato ai vostri corvi. Spero siano gli stessi che abbiamo in cura noi, altrimenti non oso immaginare che fine abbiano fatto.”
 
Nel sentirlo parlare a quel modo, Branson chiese subito: “In cura? Cos’è successo?”
 
Perdendo del tutto il sorriso, Eirwyn mormorò spiacente: “Li ho trovati nel bosco del nostro Vigrond. Uno dei due era rimasto intrappolato in una rete da uccellagione, purtroppo, e l’altro era disidratato e infiacchito. Ho idea che si sia sfiancato nel tentativo di liberarlo, a giudicare dai segni che ho trovato sulla rete.”
 
A Branson sfuggì un’imprecazione e Cedrik, trovandosi pienamente d’accordo, chiosò torvo: “Non ti biasimo per la tua rabbia, perché è giustificata. Purtroppo, non ho abbastanza uomini per perlustrare i boschi e, a volte, capitano ancora cose come queste.”
 
“Non è certo colpa tua, se ci sono degli idioti che braccano illegalmente” sospirò a quel punto Branson, passandosi una mano leggermente tremante tra i capelli.
 
“Andiamo dentro. E’ inutile parlare qui fuori. Così, potrete parlare con gli altri membri del Consiglio” dichiarò Eirwyn, prima di aggiungere ammiccante: “E, magari, darci qualche dritta.”
 
Jerome sorrise più rilassato e, preceduto da Jessie – mentre Branson chiudeva la fila – entrarono nella villetta isolata e circondata dal verde.
 
Oltrepassato un ampio ingresso in marmo, e su cui si aprivano due rampe di scale ad arco, raggiunsero un ampio salone dal mobilio elegante e dalle tinte chiare. Lì, vennero introdotti e presentati al neocostituito Consiglio del branco di Talgarth.
 
Per la maggiore, come poté notare Jerome, erano lupi giovani, intorno alla ventina d’anni ma, tra essi, spiccava anche un anziano dal volto sfregiato.
 
Il padre di Bleidd ed Eirwyn, vennero poi a sapere.
 
Accigliandosi leggermente, Jerome domandò: “Regalo di Sebastian anche quella cicatrice?”
 
L’uomo assentì, sbuffando, e replicò: “Non gli è bastato prendersi un pegno da Bleidd per aver difeso la nostra piccolina dalle sue mire… no, ha voluto segnare tutti noi, in famiglia.”
 
Questo fece impallidire i tre ospiti che, all’unisono, lanciarono occhiate ansiose alla giovane partoriente.
 
Lei, per tutta risposta, mormorò serafica: “Spero non vi offenderete, se non vi mostro le cicatrici sulla schiena. Sono piuttosto bruttine, e non sono il biglietto da visita migliore, a un primo incontro.”
 
A Jerome sfuggì un’imprecazione piuttosto colorita e, ancora una volta, fu lieto per la fine ignominiosa di Sebastian. Forse, sarebbe stato più soddisfatto solo se lo avesse ucciso di sua mano ma, già così, poteva andare bene.
 
“Quindi, provenite in massima parte dal branco dell’Isola di Man?” domandò Jessie, distendendo gli avambracci sulle cosce muscolose dopo essersi accomodato su una poltrona in stile chippendale.
 
“Solo in parte” spiegò Cedrik, accomodandosi a sua volta sul divano, al fianco della compagna. “Altri, sono lupi errabondi che hanno deciso di trasferirsi qui. Altri ancora, provengono da oltre Manica.”
 
“Lupi francesi?” esalò sorpreso Branson, guardandosi intorno pieno di curiosità.
 
Oui” disse uno dei due ragazzi dalla chioma biondo platino, dando di gomito al gemello al suo fianco. “Veniamo da Landerneau, in Bretagna. Siamo innamorati da anni del Galles, così abbiamo deciso di trasferirci qui, quando nostra sorella è diventata Fenrir del nostro vecchio branco.”
 
“Vi immaginate doverla servire e riverire ogni giorno, per tutta la vita?” ironizzò il secondo gemello, strizzando l’occhio al fratello che aveva appena parlato.
 
La battuta fece sorgere un sorriso spontaneo nei presenti.
 
Era indubbio il loro amore per la sorella, ma la voglia di libertà doveva essere stata superiore agli affetti familiari.
 
“Quindi, siete giunti qui e avete preferito evitare il branco di Pascal Laroche per aggregarvi a questa nuova realtà” dedusse Jerome.
 
“Esatto. Senza nulla togliere a Fenrir di Cardiff, che sembra davvero un brav’uomo, ma volevamo un’avventura diversa, per noi. Nel nostro viaggio itinerante, siamo venuti a sapere della presenza di altri lupi come noi e, parlandone con loro, abbiamo deciso di mettere insieme le rispettive abilità, formando così un Consiglio ad interim. Quando Eirwyn ci parlò dei gemelli, facemmo festa per una settimana, credo” ghignò il gemello più alto – Soren – sorridendo affettuosamente alla donna.
 
“E qui giungiamo noi… o meglio, i miei corvi” si intromise Branson. “Loro avevano sentito della notizia di un neonato branco grazie alle chiacchiere delle gazze, che sono notoriamente ciarliere e ficcanaso, così sono passati per dare un’occhiata, finendo nelle reti da uccellagione.”
 
Assentendo, Eirwyn fece un cenno a Bleidd, che sparì dalla stanza a grandi passi.
 
“Ci ha sorpresi scoprire che qualcuno fosse già interessato a noi, visto che siamo un branco insediatosi qui solo da pochi mesi…” spiegò loro la donna, massaggiandosi il ventre. “…ma ci ha anche rallegrati, perché speravamo davvero di poter prendere contatti con qualcuno. Sapevamo bene che non potevamo essere noi a fare il primo passo.”
 
Annuendo a più riprese, Jerome comprese bene il loro punto di vista. Nessun branco neonato poteva chiedere udienza ai Fenrir già insediati, ma doveva avvenire l’esatto contrario. Il fatto che Pascal non si fosse ancora presentato alla porta, essendo il branco a loro più vicino, poteva essere dipeso da molti fattori, non da ultimo le condizioni di salute del secondogenito di Fenrir.
 
Non aveva dubbi sul fatto che, sapendo il figlio pretrans in ospedale, Pascal avesse già fin troppi pensieri per i fatti suoi, senza dover pensare anche al neonato branco di Talgarth.
 
Nel loro caso, l’incontro con Eirwyn e gli altri membri del Consiglio era avvenuto per un caso fortuito, ma andava ugualmente bene per stendere i primi rapporti di amicizia.
 
In quel mentre, Bleidd tornò nella stanza, scatenando in Branson un sorriso spontaneo e un sospiro di sollievo.
 
Muninn, nel vederlo, balzò via dalla spalla del licantropo e si involò verso il padrone, scatenando la sorpresa dei presenti.
 
Huginn, invece, disteso su una cesta imbottita, levò il capo e gracchiò, ma non si involò verso Branson. L’ala visibile era pesantemente fasciata, ma il corvo sembrava stare tutto sommato bene.
 
Con Muninn appollaiato sul braccio, Branson mormorò alla mente del corvo: “Ehi, ma che diavolo vi è successo?!”
 
“Una stupida disattenzione, ecco cosa… Huginn stava cacciando un coniglio.”
 
Strabuzzando gli occhi per la sorpresa, Branson lanciò un’occhiata all’altro suo corvo, che ebbe la decenza di nascondere il musetto nell’imbottitura della cesta, vergognandosi a morte per la sua sbadataggine.
 
Bleidd posò con delicatezza il tutto sul tavolino del salone e Branson, ironico, chiosò con voce udibile da tutti: “Un coniglio, Huginn?”
 
“Mi sento già abbastanza idiota così, Geri, …non infierire, ti prego.”
 
Liberandosi in un ghigno che sapeva sia di ironia che di sollievo, Branson replicò: “Hai pagato con gli interessi la tua disattenzione, quindi penso proprio che non infierirò oltre. Eirwyn e gli altri sono stati gentili con voi?”
 
“Quella è una santa donna, altroché! Ci ha trovati e condotti subito al riparo, e mi ha medicato nel migliore dei modi.” Poi, come rammentando una cosa all’ultimo momento, aggiunse: “Ah, fa uno stufato di cinghiale che è la fine del mondo.”
 
A quel punto, Branson scoppiò in una risata liberatoria e, a mo’ di spiegazione, disse loro ciò che Huginn gli aveva appena confessato.
 
Muninn, scuotendo il capo piumato, gracchiò un insulto al fratello, che però non diede adito di averlo ascoltato. Era risaputo che, tra i due corvi, Muninn fosse il più serioso.
 
Nel depositare Muninn sul bracciolo della poltrona, Branson si volse a sorridere a Eirwyn e, dopo un attimo, si inginocchiò, mormorando ossequioso: “C’è una vita tra noi due, Prima Lupa. Dimmi come posso sdebitarmi.”
 
Scoppiando a ridere di fronte a quel gesto così plateale, anche se in accordo con il corretto bon ton da tenersi di fronte a una Prima Lupa, la giovane replicò: “Oh, ma… non merito questo titolo! Cedrik non è Fenrir!”
 
“Reputo giusto conferirti questo onore, mia signora, perché te lo sei guadagnato per i tuoi meriti e, come unico membro femminile del vostro Consiglio, penso ti spetti” ribatté con gentilezza Branson, lanciando poi un’occhiata curiosa al resto dei lupi presenti.
 
“Io dico che quest’uomo ha ragione!” esclamò il gemello basso – Marvin – annuendo all’indirizzo di Cedrik.
 
Anche gli altri membri si dichiararono d’accordo e, quando fu il tempo del padre di Eirwyn di parlare, lui mormorò commosso: “La mia Bryony sarebbe felice di saperlo, se fosse ancora viva. Concordo con gli altri; Eirwyn dovrebbe essere la nostra Prima Lupa, in attesa che mia nipote diventi Fenrir e trovi il suo compagno per la vita.”
 
Jerome diede una pacca sulla spalla a Branson, annuendo compiaciuto e quest’ultimo, nel risollevarsi, disse: “Resta valida la mia offerta, Eirwyn. Parla, e io esaudirò un tuo desiderio.”
 
A quel punto, la donna parve dubbiosa e insicura e, nel lanciare occhiate alterne ai suoi compagni di branco, mormorò: “Non saprei davvero che dire… non mi aspettavo una ricompensa per aver curato quel dolce corvo.”
 
Branson lanciò un’occhiata incuriosita a Huginn che, indispettito, borbottò: “Ehi, andiamo! E’ carina, no? Ovvio che sono stato cortese! Mi stava curando!”
 
“Ruffiano…” replicò Branson, pur sorridendo.
 
Il corvo gli gracchiò contro per diretta conseguenza, ed Eirwyn sorrise divertita, prima di esclamare eccitata: “Ecco cosa potresti fare per me! Insegnarmi ad allevare i nostri Huginn e Muninn.”
 
“Dovrebbe essere un membro umano del branco, a farlo, però. Quando vengono trovati, i corvi non sono ancora abituati ai licantropi, e non resisterebbero a stare a stretto contatto con un mannaro, per quanto gentile esso sia” replicò spiacente Branson.
 
“Oh, già… è vero…” mormorò Eirwyn, abbattuta.
 
“Però…” intervenne Cedrik, dando una pacca sulla spalla alla moglie. “… potrebbe insegnare le basi a Bess.”
 
Rivoltosi poi a Branson, l’uomo si spiegò meglio.
 
“Bess MacGuff gestisce la locanda dove vi hanno trovato Bleidd e Griff. Sa di noi, anche se è umana, ed è da lei che noi teniamo le nostre riunioni, quando abbiamo bisogno di spazio.”
 
Annuendo compiaciuto, Branson allora lanciò un’occhiata a Jerome per avere l’autorizzazione e lui, sorridendo, dichiarò: “Beh, come Sköll posso autorizzarti a trovare i nuovi Huginn e Muninn per questo branco. Per lo meno, saranno pronti per quando verrà scoperto il primo Geri di questo clan. Nel frattempo, organizzerò un incontro con la nostra Prima Famiglia, così che il vostro Consiglio abbia un valido alleato e, alla prossima riunione tra Clan, potrete partecipare a pieno titolo. Chiamerà anche Pascal di Cardiff, che sarà sicuramente lieto di darvi manforte. Ultimamente ha dei problemi con il figlio minore, ma sono sicuro che troverà del tempo per conoscervi meglio.”
 
Cedrik allora allungò grato una mano a Jerome, asserendo: “Ci riempi di onore, Sköll di Matlock, non lo dimenticheremo.”
 
“Voi avete salvato il nostro Huginn. Non ci sono debiti d’onore, tra di noi” replicò Jerome, dando una pacca sulla mano di Cedrik, che ancora tratteneva nella sua.
 
“Avete già piantato la quercia sacra, o avete trovato solo il luogo per il Vigrond?” chiese a questo punto Jessie, sorprendendo un po’ tutti.
 
“Solo il Vigrond, in effetti.  E’ il piccolo boschetto alle spalle di questa villa, ed è di proprietà, così abbiamo potuto recintarlo. Non avendo un Fenrir che possa comunicare con la quercia, ci siamo limitati a trovare solo un nostro luogo di potere adatto alle celebrazioni ufficiali” gli spiegò Cedrik, scrollando le spalle.
 
Sorridendo sornione, Jessie allora disse: “Penso che Brianna potrebbe farlo per voi. Secondo me le piacerebbe. La nostra quercia ha diverse figlie piccole, e una di loro potrebbe essere trapiantata qui. Che ne dici, Jerome?”
 
Skŏll assentì, ghignando: “Gongolerà, quando glielo dirai. Sai che ama questo genere di celebrazioni.”
 
“La… la guardiana di Fenrir farebbe questo… per noi?” esalò Eirwyn, ammirata e commossa.
 
“Quando la conoscerete, saprete perché ne siamo tutti innamorati” sorrise orgoglioso Jerome, afferrando il telefono per chiamare subito il cugino.
 
Soddisfatto, Branson disse a Muninn: “Più tardi, mi farai un resoconto dettagliato di quanto hai visto prima del simpatico scherzo di tuo fratello. Ora, puoi dirmi perché non sei tornato a chiamarmi? Vi avrei raggiunti.”
 
“Eirwyn ci ha trovati quasi subito e, quando ho visto che stava curando con amorevole attenzione Huginn, ho pensato che non correvamo rischi, rimanendo qui. Non ho badato al passare dei giorni, però, scusami.”
 
Bran scosse il capo, liquidando le sue scuse, e replicò: “Naa. Lascia stare. Eri preoccupato per la salute di Huginn. Ci sta. E poi, alla fine, vi abbiamo trovati lo stesso, no?”
 
“Già. Comunque, ti aiuterò io a trovare due corvi adatti, Branson. E sono sicuro che Bess sarà una brava allieva. Ha provveduto anche lei a curare Huginn, e ha mani gentili.”
 
“Buono a sapersi, allora.”
 
Sì, anche se erano alle prime armi, senza un vero capo a guidarli, parevano una squadra affiatata. Avrebbero sicuramente fatto passi avanti, nel corso degli anni e, con già due membri della Triade di Potere in arrivo, trovare Sköll non sarebbe stato difficile.
 
Era implicito nella natura dei licantropi. Dove nasceva un Fenrir, presto o tardi sarebbe comparso anche il resto della squadra. Anche Freki e Geri avrebbero fatto la loro comparsa, e il branco sarebbe stato finalmente completo e degno di nota.
 
Lanciando un’occhiata a quei nuovi amici, Branson sorrise.
 
Il branco dell’Isola di Man era tutt’ora allo sbando, a causa delle gravi colpe di Sebastian. Sarebbe occorso ancora del tempo, prima che a quel clan fosse concessa nuovamente fiducia.
 
La presenza di Brianna, che era la voce di Fenrir in terra, Thor, che rappresentava i berserkir, e Tempest, che aveva in sé l’amina di Tyr, dava a tutti loro nuove speranze per un futuro più sereno.
 
Un branco in più, e guidato da persone generose e altruiste, sarebbe stato un’ottima conquista, per i clan britannici.
 
Dopotutto, i licantropi non si sarebbero estinti. Stavano piuttosto andando incontro a una nuova e più fiorente generazione di mannari, Branson ne era più che sicuro.
 
Pur se lui era solo umano, era lieto di far parte di uno dei clan più forti della Gran Bretagna.
 
Accarezzando Muninn sulla schiena, annuì tra sé, soddisfatto di come stessero andando le cose.
 
“Potrai non essere un mannaro, ma pensi come tale… e la Madre vede sempre queste cose” disse nella sua mente il corvo, orgoglioso.
 
“Hai fiducia in loro? In queste persone?”
 
“Sono valide e capaci, e si sono forgiate nelle avversità. Saranno un branco forte, quando la Triade sarà completa.”
 
“Bene… bene” assentì tra sé Branson, levando lo sguardo per poi sorridere a Eirwyn.
 
Quella donna portava in sé la speranza, una speranza pagata con il sangue. Sì, sarebbero stati un ottimo branco. E ottimi amici.
 
 
 
 
 
 
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Note: Ho pensato fosse giusto chiarire come, un semplice umano, possa essere anche un valido cacciatore di licatropi, perciò ho inserito i personaggi di Huginn e Muninn per sopperire alle 'mancanze' che può avere una persona normale, se confrontata con un mannaro.
Al tempo stesso, ho inserito nuovi personaggi, un nuovo branco, e spiegato come fosse - una volta di più - il caro, buon, vecchio Sebastian. Jerome ha ragione nel dire che ha ricevuto una fine degna dei suoi peccati. ^_^
Faccio anche riferimento a Brianna, Thor e Tempest per un semplice motivo. Brianna è custode di Fenrir, mentre Tempest di Tyr. Due dèi su territorio britannico non sono pochi. Inoltre, Thor è uno Stregone di sommo potere, oltre che un potente berserk perciò, assieme, possono garantire ai vari branchi più certezze nel futuro di quanto non ve ne fossero prima.
Se avete domande, comunque, sono qui. (Visto che anche Jessie aveva i suoi dubbi, circa un branco senza Fenrir, immagino siano venuti dubbi anche a voi. Il Consiglio sopperisce temporaneamente a questa mancanza, in attesa che si palesi un Fenrir senza branco)
Grazie a chi ha letto e/o commentato! Alla prossima!
  
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