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Autore: Adeia Di Elferas    21/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Anche quella sera Vincenzo Codronchi si era recato nella rocca di Ravaldino, per giocare a scacchi col suo caro amico Melchiorre Zaccheo.
 In realtà non provava per lui alcun attaccamento e anzi era tra quelli che più lo dileggiavano, davanti ad altri, ed era stato lui il primo a mettere in giro la voce che Zaccheo altro non fosse che un bestemmiatore, un ubriacone, troppo ricco per il suo piccolo cervello.
 Nemmeno Codronchi, però, sapeva essere troppo acuto e nelle lunghe sere che passava alla scacchiera con il suo quasi amico, non si era accorto di quello che il castellano di Ravaldino stava architettando.
 Zaccheo non era tipo da tenere bene un segreto, ma quella volta stava facendo del suo meglio. Nonostante ciò, ogni tanto gli scappava qualche mezza frase e qualche mezza insinuazione, soprattutto in presenza di Codronchi.
 “Non se ne può più, ma proprio più...!” si lamentò Codronchi, tanto per dire qualcosa.
 “Vero, vero... Questa città sta diventando invivibile, non c'è che dire.” concordò Zaccheo, vuotando d'un fiato il suo calice di vino.
 “Se si va avanti ancora così, quasi quasi me ne torno a Imola anche io...!” scherzò Codronchi, ridacchiando più del dovuto per via del vino, che quella sera abbondava.
 “Ma tanto qui presto cambia tutto, caro mio...” disse Zaccheo, mangiando un alfiere di Codronchi.
 “E come potrebbe? Qui non cambia mai nulla...!” ribatté l'altro, pensando a come controbilanciare la perdita.
 “Eh, lo so io, lo so io...!” disse a quel punto Zaccheo, quasi perdendo la pazienza.
 Codronchi alzò le sopracciglia e si chiese che mai potessero significare quel tono e quella faccia scura.

 Tommaso Feo finì di ascoltare il resoconto del suo informatore con lo sguardo grave e le labbra strette. Dunque aveva avuto ragione a dubitare di Zaccheo. Che gran carogna...!
 “Grazie mille, amico mio.” disse Tommaso, allungando una piccola somma alla spia: “Resta con gli occhi aperti, ma se dovesse accadere di nuovo mentre sono via, riferisci subito ogni cosa a mio fratello Giacomo, capito?”
 Il ragazzino annuì e mise subito al sicuro il danaro appena ricevuto.
 Tommaso gli diede un buffetto sul collo: “Vai, ora, su. Meno ci vedono insieme, meglio è per entrambi.”
 Al che la giovanissima spia cominciò a correre, tutto contento perchè anche quel giorno era riuscito a guadagnarsi il pane.
 Tommaso non indugiò oltre e andò a preparare il cavallo. Doveva agire ora, mentre Zaccheo si stava ancora organizzando. Se avesse aspettato, allora sì che la situazione sarebbe stata disperata!

 “Signora...! Signora!” chiamò uno dei servi.
 Caterina, che vagava per una delle strade secondarie di Imola, si voltò di scatto, riconoscendo la voce del servitore.
 “C'è un uomo a palazzo che chiede con urgenza del Conte... Gli abbiamo detto che il Conte è fuori per una battuta di caccia, perciò ha chiesto di parlare con voi.” disse il servo, raggiungendola.
 Caterina si accigliò e, cominciando a dirigersi verso il palazzo, chiese: “Chi è e da dove viene quest'uomo di cui parlate?”
 “Dice di chiamarsi Feo e di venire direttamente da Forlì, mia signora. Mi sembrava molto di premura, come se avesse davvero notizie importanti da riferire...” rispose subito il servitore.
 Senza aggiungere altro, Caterina accelerò il passo, già temendo il peggio. Forse che la popolazione era infine insorta, dando fuoco a tutti i loro averi, com'era successo a Roma alla morte di Sisto IV?
 Quel nome, Feo, le diceva qualcosa...
 Mentre entrava dal portone principale del suo palazzo, ebbe un'improvvisa epifania. Certo, Feo, era quel giovane soldato che poco prima che lei partisse per Milano aveva cercato di avere delle udienze con lei. Le aveva sempre rimandate o aveva declinato l'impegno a qualche subalterno, perchè, chissà come mai, si era messa in testa che quel giovane volesse solo lamentarsi del fatto che i lavori alla rocca ormai languivano da mesi...
 Quando entrò nella sala in cui Tommaso Feo l'attendeva, fu certa che quella volta il soldato non fosse lì per recriminare nulla.
 Il suo viso era teso, ma i suoi occhi erano accesi. La guardò a lungo, prima di buttarsi in ginocchio, col capo chino, e dire: “Contessa, vi perdono per il disturbo, ma si tratta di una questione della massima urgenza.”
 Caterina congedò il servo che l'aveva accompagnata e attese che la porta fosse chiusa, prima di domandare: “Che cosa è successo?”
 Feo, ancora in ginocchio, spiegò: “Ho serissimi motivi di pensare che il castellano di Ravaldino, Melchiorre Zaccheo altro non sia che un traditore.”
 Caterina restò immobile. Nemmeno a lei piaceva Zaccheo, ma ci volevano le prove, per dire simili cose.
 “So per certo, grazie a informatori sicuri, che Zaccheo sta intrattenendo ormai da tempo una serrata corrispondenza con alcuni dei più ferventi sostenitori degli Ordelaffi – proseguì Feo – e che vuole consegnare a loro la rocca prima che l'estate sia finita.”
 Caterina cominciò a sudare freddo. Era un'accusa molto grave. Poteva fidarsi di quell'uomo?
 In fondo non lo conosceva, se non di vista. Non le aveva portato nemmeno lo straccio di un messaggio intercettato, nemmeno un prigioniero da far confessare...
 Tommaso Feo alzò lo sguardo per un istante, per vedere quale fosse la reazione della Contessa.
 La vide pallida e insicura. Credeva che a quelle parole quella donna, descritta da tutti come una sorta di tigre selvatica, avrebbe dato in escandescenza e avrebbe subito preso decisioni irrevocabili e dure per reprimere sul nascere la rivolta.
 Caterina sentiva le mani mosse da un leggero tremito. Doveva fidarsi, lo sentiva, e allora perchè era così cauta? La sua natura era sanguigna e spesso avventata, dunque perchè invece in quel frangente titubava a quel modo?
 “Con tutto il rispetto...” disse Tommaso Feo, rimettendosi in piedi: “La rocca va subito tolta dalle mani di Zaccheo, se non volete che vada persa. Sapete meglio di me che senza la rocca di Ravaldino è impossibile sperare di mantenere il potere sulla città.”
 Caterina lo guardò in silenzio, poi si sfiorò il ventre gonfio con una mano e sussurrò: “Io...”
 Feo restò in attesa, le sue pupille fiammeggianti la indagavano, cercando il motivo di tanta indecisione.
 Caterina non era ancora persuasa della buonafede dell'uomo, ancora non riusciva a fidarsi completamente di lui, eppure non riuscì a nascondere il suo momento di debolezza: “Io non so cosa fare.” ammise, semplicemente, con una vago sorriso colmo di tristezza.
 Tommaso Feo si corrucciò e incrociando le braccia sul petto, si avvicinò a lei dicendo: “Ebbene, mia signora, credo che dovreste mandare subito vostro marito a Forlì, in modo che si faccia riconsegnare la rocca immediatamente, così da poter eleggere un nuovo castellano.”
 Caterina sentiva un vuoto alla bocca dello stomaco. Quello che Feo le stava chiedendo non aveva senso, e anche lui l'avrebbe capito, se solo avesse visto per un momento Girolamo.
 Tommaso le era ormai a meno di un metro. Non era propriamente di bell'aspetto, né appariva particolarmente curato, ma aveva un che di deciso e avventuroso che, Caterina non poté evitare di pensarlo, mancava completamente in Girolamo.
 “Mandate vostro marito – ribadì Feo – e ditegli di farsi riconsegnare la rocca.”
 “Non posso.” sussurrò Caterina, sopraffatta dalla vicinanza di Tommaso, che ormai le stava tanto vicino a poterne sentire il respiro.
 Davanti a quel tono di ovvietà, Feo restò con la bocca mezza aperta e lo sguardo incredulo. Erano dunque vere le voci che giravano in Forlì? Il Conte Riario era davvero morto? Davvero Caterina aveva usato la scusa di passare qualche mese a Imola per prendere tempo prima di rendere ufficiale la notizia della morte del marito? Se era così, allora la questione si faceva molto più seria.
 “Come...?” fece Tommaso, senza fiato.
 “Non posso, perchè non posso. Mandarlo a Forlì nello stato in cui si trova non avrebbe senso. È come se fosse un morto che cammina... A tratti è lucido, ma poi delira e dà di matto...” spiegò Caterina, scuotendo il capo.
 Tommaso apparve subito sollevato, anche se comunque la situazione restava estremamente delicata e incerta.
 Come risolvere la cosa, se il Conte non era in grado di badare nemmeno a se stesso?
 “Allora venite voi a Forlì.” disse Tommaso, con decisione: “Partite con me, subito, e riprendetevi la rocca.”
 “Ma il mio tempo è vicino...” ribatté Caterina, mettendosi entrambe le mani sulla pancia, ma sentendosi già una codarda.
 Ma che le succedeva? Dicono che a vivere per tanto tempo insieme si finisce per assomigliarsi. Anche lei, come Girolamo aveva fatto più di una volta, stava usando la sua gravidanza come scusa per tirarsi indietro...
 Tommaso Feo alzò il mento e la provocò: “Non siete forse voi la donna che ha tenuto nel suo pugno Roma, a più o meno un mese dalla nascita di un figlio?”
 Caterina, che aveva abbassato gli occhi verso il suo ventre, li rialzò molto lentamente, con un'espressione dura in viso: “Sì. Sono io.”
 “E allora riprendervi Ravaldino sarà uno scherzo, in confronto.” concluse Feo, con un mezzo sorriso.
 Caterina soffiò, ancora incerta, poi raddrizzò le spalle e concluse: “Avete ragione.”
 Uscì dalla sala e vociò, verso il primo servo che vide: “Fate preparare il mio cavallo, devo partire immediatamente!”

   
 
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