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Autore: Lady Stark    21/02/2016    1 recensioni
«Per lei, tutto è possibile, ufficiale.» con un gesto delle braccia, il taverniere l'invitò a seguirlo.
Len sapeva che quello che stava per fare era sconsiderato, irrazionale e pericoloso.
Era perfettamente a conoscenza del fatto che quel comportamento l'avrebbe potuto distruggere.
Avrebbe potuto demolire tutto ciò che per anni aveva così faticosamente costruito...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter VII
 

La musica aveva ripreso a scorrere, trascinando al centro della sala gli instancabili ballerini.

Se prima Len aveva evitato di lasciarsi coinvolgere, in quel preciso istante solo desiderava abbandonarsi al richiamo della melodia. I suoi passi catturarono facilmente il ritmo e la ragazza iniziò a volteggiare assieme a lui sulla scia di un dolcissimo valzer.

«Come sei riuscita ad entrare?» sussurrò, affondandole i polpastrelli nella carne del fianco. Anche se la felicità gli ruggiva in petto, odiava le continue sfide che la ragazza proponeva alla sorte.

Prima o poi, quel fuoco l'avrebbe bruciata.

«Almeno per questa sera, facciamo finta che i nostri ruoli non siano così ben definiti.»

Un sorrisetto arcuò le labbra della giovane che premette il petto contro quello di lui. Len scosse impercettibilmente la testa, evitando per un pelo un'altra coppia di ballerini.

«Che cosa mi tocca sentire.»

«Il gioco delle maschere è intrigante proprio per questo, ufficiale.»

Con un solo sguardo, Rin schiavizzò la volontà del ragazzo.

Ormai inerme, egli lasciò che fosse lei a muovere le pedine sulla scacchiera.

Alle sue spalle, gli occhi delle nobildonne lo pungolavano incessantemente nel tentavo di comprendere chi fosse la misteriosa giovane con cui stava danzando.

Per fortuna, nessuno di loro avrebbe potuto riconoscere la ragazza, sfuggita per una sola notte alle catene della sua umile condizione.

«Questa sala è bellissima.»

«Le piace? Anche io la trovo stupenda.. Dopotutto, le cose semplici sono sempre le più belle.»

Rin, cogliendo al volo l'accezione, studiò le dame presenti per poi arrossire.

L'uso eccessivo del trucco e l'esagerata pomposità dei vestiti non aveva mai attirato l'ufficiale.

Con quelle quattro dita di cipria sul volto, le ragazzine sembravano innaturalmente più grandi; mentre, le nobildonne, assomigliavano a grottesche statue di cera cristallizzate nel tempo.

Quando partecipava a quelle serate, Len aveva come l'impressione di trovarsi al centro di una galleria d'arte piena di monumenti, irraggiungibili sui loro piedistalli di granito.

«È davvero un ballerino strepitoso, ufficiale. I miei complimenti.»

Len mosse indietro un altro paio di passi, piroettando per evitare una coppia di ballerini che, ridacchiando, si stringevano con passione.

«A mio parere, un gentiluomo che non è in grado di ballare, non può definirsi tale.»

La musica si fece pian piano più pacata; le ultime note, simili a foglie trainate dal vento, si adagiarono sul pavimento. Len si allontanò d'un passo dalla ballerina dai capelli d'oro, premendo la propria mano contro il cuore in segno di ringraziamento.
Rin, in risposta, sollevò i lembi del vestito e chinò la testa riccia.

«La ringrazio per questo ballo, ufficiale.»

«L'onore è solo mio, milady.»

La ballerina si voltò per andarsene ma Len la trattenne, indifferente agli sguardi puntati su di loro.

«Milady, mi permetta di..»

Mantenendo un sorriso di convenienza, Rin lo ammonì con un'occhiataccia.

Tra tutte quelle persone, ogni sconsiderata affermazione avrebbe potuto decretare la fine della loro relazione. La giovane si era ripromessa di mantenere neutrale il proprio profilo ma, quando l'aveva visto solo al centro della stanza, era stato impossibile resistere alla tentazione di gettarsi tra le sue braccia.

Se si fosse abbandonata a ciò che le ordinava l'istinto, tutte le damigelle che fissavano bramanti il suo uomo sarebbero finite all'altro mondo.

Odiava i sorrisetti di quelle ragazzine che, credendosi adulte, scoccavano sguardi di fuoco a tutti gli aristocratici più in vista presenti in sala.

A causa della sua giovane età e della posizione di rilievo occupata, Len era l'obiettivo più succulento.

Logicamente, non avrebbe permesso a nessuna di quelle galline di sfiorarlo neanche con un dito.

«Devo andare, ufficiale.»

A quel punto, cogliendo il segreto messaggio nelle parole di lei, l'uomo lasciò che la ballerina si allontanasse, seguita da una scia di avidi sguardi.

Rin, senza guardarsi indietro, sollevò l'orlo dell'abito e svicolò tra gli invitati, rinunciando con un mezzo sorriso a tutte le richieste che le furono rivolte.

Cercando di mantenere la calma, Rin si scrollò di dosso l'idea che tutta la sala la stesse osservando andar via. Non era certa del fatto che Len avesse correttamente interpretato la sua occhiata ma, malgrado ciò, avrebbe rischiato comunque.

Le sue scarpette divorarono i lunghi corridoi di marmo, conducendola verso le scale di pietra che conducevano al monumentale ingresso dell'edificio.

Il giardino l'accolse nella propria stretta, attutendo il fracasso presente nella stanza da ballo.

Rin si avventurò per il labirintico groviglio di aiuole, sfiorando con i polpastrelli le gemme che stavano iniziando a sbocciare tra le foglie.

La primavera era ancora lontana ma, a quanto sembrava, quei fiorellini avevano deciso di contrastare il ciclo naturale delle cose.

La giovane continuò a camminare, finché il suo viso non venne accarezzato dalla fievole luce proveniente dalla sala da ballo. La musica si riversava smorzata su quel palcoscenico naturale, in cui, lei e l'ufficiale, avrebbero potuto volteggiare senza badare agli sguardi indiscreti.

A parte quel frizzante ronzio, nessun suono animava l'atmosfera.

Era sola, fatta eccezione per qualche sporadica statua mutilata, mal collocata in quel dedalo di foglie. Rin aspettò e, nel tentativo di arginare i brividi, si strinse le braccia contro il petto.

Possibile che l'ufficiale non avesse compreso?

All'improvviso, un rumore attirò la sua attenzione, facendola girare con un sorriso sollevato.

«Ce l'hai fatta final...»

Le sue parole vennero però interrotte da un singulto sorpreso.

Non era il suo compagno ad averla raggiunta, ma un uomo dalla fronte rugosa e le tempie prive di capelli.

Sibilando minacciosamente, la ballerina arretrò di un passo.

«Sei bellissima..» il vecchio alitò, barcollando in avanti con passo esitante.

I bottoni dello smoking erano slacciati, le falde pendevano lungo i fianchi grassi come le ali di un pipistrello.

«Mi stia lontano.» la ragazza mostrò i denti con fare aggressivo, flettendo appena le ginocchia per prepararsi alla battaglia. Non sarebbe stato poi così complicato azzoppare quell'ubriacone.

Len.. dannazione, dove sei?”

«Non fare la difficile, piccola. Vedrai che ci divertiremo.» l'uomo schioccò le dita e con una viscida espressione attaccata agli zigomi, fissò il buio alle spalle di lei .

Prima che potesse comprendere ciò che stava succedendo, un paio di braccia la catturarono, strattonandola indietro.

La ballerina venne letteralmente sollevata da terra. Dita d'acciaio si conficcarono nella pelle dei suoi avambracci, strappandole un gemito.

La paura le sciolse le viscere.

Il principio di un grido le si accumulò sulle labbra ma, prima che potesse attingere alle proprie riserve d'aria, una mano tagliò sgarbatamente quell'ultima possibilità.

Rin cercò di mordergli il palmo ma la pelle era troppo ruvida e squamosa.

L'ometto si avvicinò, appoggiando un dito contro il collo d'avorio. La giovane avvertì una scossa di disgusto insinuarsi nelle sue vertebre, facendole tremare una ad una.

L'anulare grassoccio scivolò sulla sua carne, soffermandosi appena un centimetro sopra l'attaccatura del vestito. La giovane cercò di scalciare, affondando la punta dei tacchi nelle cosce del servo che la immobilizzava ma neanche quel tentativo andò a buon fine.

Sembrava che un blocco di granito avesse inglobato i suoi arti, tramutandola in una statua incompiuta. Il dito dell'uomo si conficcò ancora più a fondo nella sua carne, colpendo l'osso sottostante.

Poi, arcuandosi ad uncino, l'unghia agganciò il bordo del vestito, allargandone la maglia. «Giochiamo un po'?»

Rin serrò gli occhi ed una lacrima cadde a terra.

L'ennesimo brano si concluse; una valanga di applausi si rovesciò sui musicanti e i ballerini impegnatisi nella danza.

«Come avete osato toccarla?» un sussurro appena percettibile si levò nell'aria, confondendosi nell'ovazione. Come dal nulla, un paio di mani circondarono il capo dello schiavo; i polpastrelli si fecero strada nelle concavità dalle ossa facciali.

Il servo sgranò le iridi ma la sua reazione non fu sufficientemente veloce.

Il collo si spezzò con la stessa facilità di un ramoscello, producendo uno schiocco inquietante.

Rin, ormai libera, assestò un calcio all'uomo che ancora la stava toccando. Gridando per il dolore, l'ubriacone cadde sulla schiena, stringendosi il petto con fare melodrammatico.

Ansimando, la ragazza passò una mano nei capelli arruffati.

Ogni muscolo del suo corpo guizzava in maniera dolorosa, pompando fiotti d'adrenalina nelle vene infiammate.

Senza degnarla d'un occhiata, Len la sorpassò.

In quell'istante, il suo campo visivo era occupato solo dal volto butterato di quel verme.

«Mi perdoni, ufficiale.. non sapevo..»

«Non sapevi che cosa?» la voce del ragazzo era una lastra di ghiaccio.

Rin rabbrividì, come sfiorata da un fiocco di neve.

La tranquillità con cui Len si era rivolto all'aristocratico era spaventosa. Sotto quella maschera, si celava una furia tanto bollente da aver ormai superato ogni limite.

Rin era di fronte al temuto mostro dagli occhi di cristallo.

Colui che aveva conquistato metà del continente servendosi solo della sua lama d'acciaio.

«Io..»

«Rispondi.» tuonò l'ufficiale, colpendolo al costato con il dorso del piede. Nuovamente, lo scricchiolio delle ossa che si sbriciolavano esplose nel silenzio. L'uomo sputò un grumo di saliva e, boccheggiando, affondò le unghie nell'erba.

Le orbite si erano trasformate in gonfie palline, iniettate di sangue e terrore.

«Abbia pietà di me, ufficiale.. la prego.» malgrado la sua mente fosse ottenebrata dai fumi dell'alcol, l'uomo aveva perfettamente compreso quale sarebbe stata la sua fine.

Len si chinò in ginocchio, scrutando con fare pensoso il viso smunto del nobile.

Ad una rapida occhiata, sembrava che il guerriero stesse per perdonare l'atto villano del vecchio ma Rin non si lasciò ingannare.

Il suo sguardo era affilato come la lama di una ghigliottina.

La giovane cercò di chiudere le palpebre ma il corpo non rispose ai suoi comandi.

Len afferrò di scatto la fronte dell'uomo e, premendogli un ginocchio sullo sterno, lo inchiodò a terra.

«Non esiste pietà per la feccia.»

Detto ciò, l'ufficiale affondò la lama di uno stiletto nel collo dell'anziano, recidendo la giugulare. Il sangue eruttò dalla lacerazione, imbrattando di scarlatto la camicia del nobiluomo. Premendo le mani contro la ferita, questi cercò d'articolare un grido d'aiuto, senza però riuscirci.

Len si scansò giusto in tempo per evitare che il liquido gli macchiasse i vestiti. Con finto dispiacere, il ragazzo si imbronciò, scrutando il nemico dall'alto della sua posizione.

«Non ti ha mai detto nessuno che con la gola tagliata è impossibile urlare?»

L'uomo spalancò gli occhi, ricoperti da una patina lattiginosa di lacrime.

Le labbra, trasformatesi in canotti esangui, articolarono ancora la parola “pietà” ma Len gli diede le spalle, posizionandosi di fronte alla compagna.

«Andiamocene. Questi non sono gli spettacoli adatti per una signorina.»

Con un pizzico di irruenza, il ragazzo le circondò le spalle con un braccio, trascinandola in una zona del bosco più riparata.

Quando furono sufficientemente lontani dai gemiti morenti dell'uomo, Rin liberò il fiato.

Le sue spalle cominciarono a tremare sotto la stretta del ragazzo che ancora non aveva aperto bocca.

«Len, ti ringrazio per avermi..»

L'ufficiale la voltò di colpo verso di sé, catturando il suo viso tra le mani.

Quelle stesse mani che due minuti prima avevano ucciso un uomo, ora esploravano con attenzione i suoi zigomi, alla ricerca di una qualsiasi lesione.

«Ti ha toccata?»

«Len, stai..»

La sua presa si fece più intensa.

«Rispondimi: ti ha toccata?»

Rin, in risposta, scosse la testa. A quel punto, la tensione nervosa che contraeva le spalle dell'uomo si allentò. Con un sospiro, appoggiò la fronte contro quella sudata di lei.

«Grazie al cielo, sono arrivato in tempo.»

Len la inglobò nel proprio abbraccio, stringendola tanto forte da mozzarle il fiato.

«È tutto a posto..» sussurrò, tuffando il viso nel suo petto.

In quella stretta, Rin non era altro che un cucciolo alla ricerca di conforto e mai, prima di allora, ne aveva sentito un bisogno tanto impellente.

«Non è tutto a posto. Questo, non sarebbe dovuto accadere.»

«Sei arrivato in tempo, tesoro. Conta solo questo.» Rin catturò il viso del compagno tra le mani, sorridendo intenerita di fronte al temporale d'angoscia che si muoveva nel suo cuore.

Len appoggiò la guancia contro il piccolo palmo, socchiudendo gli occhi con un silenzioso sospiro.

«Avevo capito cosa volevi dirmi, ma prima che potessi andarmene, mi hanno trattenuto.. non potevo..» il ragazzo incespicò nelle sue stesse parole e, in un gorgoglio indistinto, la voce si affievolì. La ballerina, stufa di sentirsi ricordare lo spiacevole accaduto, si sollevò in punta di piedi e premette le labbra contro quelle dell'uomo.

Len reagì immediatamente al contatto, cingendola con le braccia.

I loro baci non erano mai stati delicati come quelli descritti nei libri di cavalleria o poesia.

Non c'era niente di idealistico nel modo in cui i loro corpi si sfioravano.

Sospinto dall'impeto della passione, Len affondò le mani nei fianchi della ballerina, sollevandola da terra. Lei, in risposta, gli morse le labbra, giocherellando con i folti capelli color sabbia.

In un battito di ciglia, il mondo circostante si dissolse come neve al sole.

Il sangue, il nobile ubriaco e l'assassinio persero ogni rilevanza.

La natura sembrava essersi ridotta al silenzio, quasi a voler rispettare la loro intimità.

«Forse dovremmo tornare..» la voce della ragazza risuonò insicura alle sue stesse orecchie.

Len non rispose, zittendo le proteste della ballerina con un altro bacio di fuoco.

Se solo avesse dato retta al suo istinto, niente avrebbe potuto trascinarla via da quel fazzoletto boschivo. Sfortunatamente, Len era un personaggio importante in quell'ambiente e la sua assenza sarebbe di certo stata notata.

«Tesoro, davvero, dobbiamo andare.»

«Non ne ho alcuna intenzione.»

«Sii ragionevole.» rise, dandogli un buffetto sulla fronte per mettere un poco di distanza tra loro. Rin si aggiustò i capelli arruffati, sistemandosi meglio la mascherina sulla punta del naso.

Len sbuffò, imbronciandosi con fare infantile.

La giovane, ignorando i suoi capricci, afferrò i lembi della giacca e li lisciò, studiandone il colore alla luce, sgorgante dalle finestra soprastanti. L'ufficiale, comprendendo il perché della scrupolosa analisi della compagna, cominciò ad analizzare il tessuto dei polsini.

«Nessuna traccia di sangue.» affermò la ragazza, sollevandosi per guardarlo negli occhi.

«Avevi forse dei dubbi? Io sono un professionista.»

Quell'affermazione spassionata la spaventò.

Quando stavano insieme, Rin si dimenticava della presenza dell'oneroso bagaglio che gravava sulle spalle del condottiero. La sua anima era un groviglio di zone d'ombra che Rin non sarebbe mai arrivata a conoscere del tutto.

Per quanto quel pensiero la facesse star male, la ragazza sapeva che non avrebbe mai conosciuto sino in fondo l'uomo che amava.

«Andiamo?» Len le tese la mano.

La ballerina intrecciò le dita a quelle del condottiero, appoggiandosi alla sua spalla. Per tornare indietro percorsero un altro tragitto che, svicolando tra gli alberi, si affiancava al palazzo e alla sua entrata secondaria.

«Entro prima io. Tu seguimi a ruota.» le sussurrò all'orecchio prima di spingere la porta d'ingresso e controllare che non ci fosse nessuno nel corridoio. Sgattaiolando come due ladruncoli su per le scale, i giovani raggiunsero l'illuminata sala da ballo in cui i musicanti non avevano smesso un solo momento di strimpellare.

Il violinista, un uomo anziano sulla settantina, era un bagno di sudore. Il colletto della camicia bianca era ormai trasparente; i capelli grigi, tutti proiettati in avanti, erano incollati alla fronte rugosa. Per il momento, i balli si erano interrotti, tutti gli invitati sembravano essersi proiettati in maniera famelica verso il banchetto. I domestici dovevano soddisfare centinaia di bocche che pretendevano d'essere ascoltate per prime.

Len scivolò nella stanza, confondendosi ad un drappello di uomini in giacca e papillon che, sorseggiando l'ennesimo calice di vino rosso, andavano a caccia di qualcosa di caldo da mettere sotto i denti. Rin, seguendo l'esempio dell'ufficiale, sgusciò nella sala con altrettanta maestria, occupando una poltrona, posta vicino alla porta d'ingresso. Len cercò di intrufolarsi nella conversazione dei nobiluomini, esprimendo a caso la propria opinione.

Questi, evidentemente onorati dalla considerazione ricevuta, abbandonarono l'argomento per dedicarsi a fatti di più impellente interesse.

Senza davvero desiderarlo, Len si ritrovò a discorrere di guerra e di strategie, constatandone l'assoluta impraticabilità. Gli aristocratici si erano disposti a semicerchio attorno a lui, lasciando perdere persino l'intrigante richiamo della carne di piccione appena sfornata.

«Ufficiale, non crede che spostando le nostre truppe verso Nord si potrebbero ottenere laute conquiste?» affermò il più giovane dei quattro, sollevando il proprio bicchiere con fare titanico.

Len scosse la testa, incrociando le braccia sul petto.

«I territori nordici sono impraticabili per il nostro esercito, ora come ora.»

«Io credo che..»

«Il freddo ci distruggerebbe. Non abbiamo l'attrezzatura necessaria per resistere a temperature tanto rigide, signore.» il ragazzo argomentò duramente, stoppando così l'affermazione del signorotto. Attratto dalla sfida, l'uomo gonfiò il petto come un pavone, pronto a combattere per decretare la correttezza delle sue asserzioni.

D'improvviso, la melodia di sottofondo si arrestò, sostituita dall'argentino tintinnare del cristallo.

Come un solo uomo, la folla si girò in direzione del palchetto di legno occupato dai musicanti.

Il violinista ed i suoi collaboratori l'avevano abbandonato per lasciar posto al comandante e all'ex sindaco.

«Signore e signori, vi chiedo un attimo di attenzione. L'organizzatore di questa bellissima festa vorrebbe dire due parole.» con un gesto militare, il vecchio concesse la parola all'ometto.

Len avvertì uno spasmo di disgusto rivoltargli lo stomaco.

Chinando il capo in direzione dei nobiluomini, il ragazzo si allontanò per udire meglio ciò che stava per essere annunciato.

«Per prima cosa, vorrei ringraziare tutti i presenti per essere giunti qui, in quest'umile sala.»

L'uomo spalancò le braccia, accogliendo nel suo gesto il perimetro del locale.

«Questa serata è dedicata a tutti voi, grandi aristocratici e bellissime dame.»

Il bicchiere che stringeva tra le dita si alzò oltre la testa, facendo così ondeggiare il liquido ambrato contenutovi. I suoi occhi porcini si spostarono lentamente sugli spettatori.

«Siamo riuniti per celebrare la gloria di un nuovo impero. Un regno che preannunzia prosperità e ricchezza.» l'ometto appoggiò una mano sulla spalla del vecchio, avvicinandoglisi in modo cameratesco. Il comandante ridacchiò, arricciando la punta dei baffi con il suo solito fare.

«Come si sa il bocciolo di ciascun reame può nascere solo se irrorato di sangue...»

Len non avrebbe mai potuto prevedere ciò che accadde in seguito.

Successe tutto nel giro di un secondo.

La lama baluginò nell'aria, scattando come un cobra verso la gola del vecchio. Un fiotto di sangue schizzò in faccia all'ex reggente che, scoppiando in una risata sguaiata, gettò a terra il bicchiere di vetro. L'oggetto esplose in una miriade di frammenti.

Il vecchio crollò indietro; le labbra, umide di sangue, erano spalancate in un grido che mai avrebbe preso forma. Len avvertì il ghiaccio scivolargli lungo la schiena mentre, basiti, gli invitati fissavano la macchia che andava schiudendosi, come i petali di un fiore in primavera, attorno al collo squarciato del comandante.

Il primo grido ruppe il silenzio, ridestando il condottiero dallo stato di trance in cui era caduto.

Il ragazzo si voltò, giusto in tempo per vedere uno dei camerieri saltare alle spalle di un aristocratico e sgozzarlo come un maiale.

Non poteva credere a ciò che stava succedendo.

Erano caduti in un'imboscata.

«LOUIS!» gridò con tutta la voce che aveva in corpo, sfoderando con un gesto rabbioso la spada che gli cingeva il fianco.

Alle sue spalle, una ragazza strillò tanto forte da ferirgli i timpani.

Una saetta gli attraversò il cervello, simile ad un fulmine a ciel sereno. La sua bocca si fece tanto secca da apparire piena di sabbia.

Dov'era Rin?

La ragazza si era rannicchiata contro il divano; i suoi occhi, puntati in direzione del palchetto, erano vitrei per il terrore. Len cominciò a correre, facendosi largo a spallate tra la gente che cercava di fuggire da quella trappola mortale.

Le porte erano state chiuse dall'esterno, di modo che la mattanza potesse consumarsi, senza lasciar nessun superstite in vita. Quel bastardo aveva organizzato tutto nei minimi particolari.

Come poteva essere stato tanto stupido?? Avrebbe dovuto fidarsi del suo istinto.

«RIN!!!»

La ragazza, udendo la voce del suo compagno, ruotò rigidamente la testa.

Len protese il braccio verso di lei ma, nel farlo, un dolore lancinante gli strappò il fiato. Il sapore metallico del sangue gli invase la bocca, impastandogli la lingua.

Minuscoli puntini neri gli offuscarono la vista, troncando la forza delle sue gambe.

«Maledizione..» ansimò. Il guerriero crollò a terra, perdendo la presa sulla spada che, tintinnando, finì lontano, tra i piedi degli invitati.

Quando il ragazzo si accasciò a terra, l'asta longilinea di una freccia apparve tra le sue scapole, svettando con macabra fierezza.

La ballerina sbiancò, incredula.

«Len..?» sussurrò a fior di labbra, protendendosi sulla sedia con cautela. Le gambe cominciarono a tremarle, come se si fossero tramutate in incerti pezzi di argilla.

Non poteva essere vero. Quello disteso a terra non poteva essere il suo ufficiale.

Nel caos regnante, Rin si ritrovò sola, ad ascoltare il suono del proprio cuore si sgretolava.

«Len, ti prego, alzati..» sussurrò prima di lanciarsi avanti, incurante del pericolo e delle persone che fuggivano dallo scheletrico abbraccio della morte.

Una gomitata le raggiunse le costole, mozzandole il fiato. Un vecchio incespicò nei suoi stessi passi e, cadendo, l'urtò facendole perdere l'equilibrio.

Stringendo i denti per contrastare la fatica, la ballerina lo sorpassò con un balzo.

I suoi occhi erano puntati sull'ufficiale e sulla freccia che spiccava dalla sua carne.

La gonna si ruppe con uno strappo quando qualcuno la calpestò, recidendo i fili che univano i petali rosei. Rin non si fermò neanche in quel momento.

Avrebbe raggiunto Len.

A qualsiasi costo.

 

   
 
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