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Autore: Blakie    21/02/2016    3 recensioni
«Mi sei mancato così tanto mentre non c'eri, Daryl Dixon».
Una versione alternativa in cui Beth e Daryl si ritrovano tra le mura di Alexandria.
[bethyl | alexandria what if]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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AND WE'LL BE GOOD GIUSTO
And we'll be good
capitolo 5



Rientrai in casa tra le lacrime, chiudendo la porta con un'attenzione e lentezza snervanti, in modo da non fare rumore e attirare su di me le occhiate di mezza Alexandria. Per colpa di Daryl, mi vergognavo di quello che avevo fatto e detto per difenderlo. Strisciai verso il bagno senza farmi notare, per fortuna. Quando abbassai la maniglia e tirai la porta, la trovai chiusa. Mi appoggiai al muro con la schiena e incrociai le braccia, cercando di fermare quel pianto di nervosismo che doveva ancora esaurirsi. Se avessi trovato il coraggio di ripresentarmi in mezzo agli altri, la mia prima, stupida decisione sarebbe stata quella di raggiungere il tavolo con gli alcolici, in modo da rendere quella situazione imbarazzante più sopportabile.
D'un tratto, mi tornarono in mente le parole che l'arciere mi aveva rivolto quella volta in cui litigammo davanti alla vecchia baracca: «pensi solo ad ubriacarti come una stupida puttanella!». A quel ricordo, sbuffai. Ero stufa di essere aggredita da Daryl Dixon per ogni dannata cosa: se avessi iniziato ad avere comportamenti affini alle sue accuse, almeno avrebbe avuto motivi validi per attaccarmi. Ero già stufa di provare quello che provavo per lui, stanca di essere... innamorata di un uomo tormentato, scostante e lontano il più delle volte. Erano passati pochi giorni da quando avevo realizzato i miei sentimenti per lui e non era un buon segno che mi sentissi già così. Come avevo potuto essere tanto ingenua da avere addirittura delle fantasie sul fatto che Daryl, forse, potesse un giorno accorgersi di provare lo stesso per me? Mi avevano sfiorato quelle fantasie, era stato piuttosto inevitabile. È inevitabile che nasca la speranza dove si custodiscono sentimenti così forti.
Sei la solita idiota sognatrice, Beth Greene, dissi a me stessa. Dovevo smetterla di costruire castelli in aria e perdermi nelle mie stupide fantasie romantiche: così, forse, avrei smesso di essere costantemente vittima dei rimproveri di Daryl al quale, chiaramente, non era mai passata per l'anticamera del cervello l'idea di vedermi come una possibile compagna, fidanzata, amante o altro. Ero troppo poco per lui: questa consapevolezza era nata nello stesso momento in cui avevo capito la natura dei miei sentimenti per l'arciere.
Lo scatto della chiave nella serratura mi distolse dalle mie elucubrazioni e in un gesto del tutto automatico provai ad asciugarmi le guance, abbassando lo sguardo per non mostrare le mie pietose condizioni.
«Beth!», esclamò Maggie, uscendo dal bagno. L'imbarazzo non mi distorse lo stomaco in maniera meno violenta solo perché fu mia sorella a parlarmi dopo il teatrino che avevo messo in piedi poco prima, anzi. Continuai imperterrita a fissare il pavimento.
«Ehi, Beth», riprovò, posandomi dolcemente una mano sulla spalla e usando l'altra per farmi alzare il viso verso il suo.
«Maggie, io... Scusami», dissi soltanto, in un sussurro.
A fatica, feci incontrare il mio sguardo col suo. Mia sorella mi guardò senza rispondere, stringendo le labbra con preoccupazione.
«Dai, vieni», disse, sospingendomi dentro alla toilette e chiudendo la porta a chiave.
Mi suggerì di rinfrescarmi il viso e accettai il suo consiglio: l'acqua fredda fu un vero sollievo per le guance in fiamme e gli occhi che bruciavano. Maggie mi passò un asciugamano e mi sedetti con lei sul bordo della vasca. Quando finii di asciugarmi la faccia, lasciai andare un sospiro.
«Va meglio?», domandò, sorridendomi.
Ricambiai il sorriso, cercando di apparire il più credibile possibile. «Sì, Mag, sto meglio. Non ti preoccupare».
Lei mi studiò, per niente convinta. «Cos'è successo con Daryl?», chiese poi, affilando lo sguardo.
«Nulla di che. Non è la prima volta che ci urliamo addosso», provai a rassicurarla, alzando gli occhi al cielo per sminuire la cosa. Come se tutto quel casino non avesse l'importanza che, in realtà, gli attribuivo. «Solo, non avrei voluto coinvolgere la signora Neudermeyer».
«Già solo il fatto che abbiate qualcosa per cui urlarvi addosso mi sorprende, visto che alla prigione vi rivolgevate a malapena la parola», ribatté.
Stiracchiai una smorfia che avrebbe dovuto essere un sorriso. «Sono cambiate molte cose da allora».
«Spero che non siano cambiate troppo...», sussurrò, guardandomi con aria preoccupata.
La guardai, interrogativa. «Cosa intendi?».
Maggie non rispose subito, continuando a fissarmi con preoccupazione. «Ascolta, Beth, non mi va di fare la parte della sorella paranoica e iperprotettiva che vuole rinchiuderti in una campana di vetro, ma... - sospirò, prima di riprendere a parlare - mi sono accorta di come lo guardi».
Anche se il mio cuore perse un battito quando pronunciò quella frase, finsi ugualmente di non capire a chi si stava riferendo.  
«D-Di come guardo chi?», domandai, col tono di chi cadeva dalle nuvole.
«Daryl», chiarì Maggie, secca.
Spalancai gli occhi, portando avanti la mia commedia.
«Non capisco a cosa ti riferisci», dissi, a voce un po' troppo alta. Senza rendermene conto, iniziai a torturare il tessuto del vestito.
Lei rise davanti al mio pietoso tentativo.
«Beth, andiamo, ti ho vista crescere! Vuoi che non veda quello che provi?».
«Maggie...».
«Posso capire come ti senti», mi interruppe, posando la mia mano sulla spalla e guardandomi dritta negli occhi. «Pensavi che Daryl fosse l'ultima persona del gruppo che ti era rimasta, avete passato molto tempo insieme, ti ha protetta quando siete scappati dalla prigione; è normale che tra voi si sia creato un legame. È un uomo straordinario, molti di noi non sarebbero qui se non fosse per lui, ma... è un uomo, appunto. È troppo grande per te, Beth».
Il cuore iniziò a martellarmi nel petto.
«Non sai di cosa parli», le dissi, abbassando lo sguardo sulle mattonelle fredde del pavimento. «Non ho mai, mai, mai creduto che Daryl fosse l'ultima persona che mi era rimasta», aggiunsi, a denti stretti. «Ho sempre saputo che ci saremmo ritrovati, tutti». Credeva davvero che mi sentissi legata a Daryl solo per quello?
«Questo non cambia il fatto che ti sei presa una cotta per lui».
"Una cotta" non era abbastanza ampio e corretto come concetto per descrivere quello che sentivo per Dixon, e mi arrabbiai al suono di quelle parole: mi sembrò che Maggie volesse sminuire i miei sentimenti, come se fossi troppo piccola o ingenua per capire certe cose.
«Ti stai sbagliando, su tutta la linea. Ad ogni modo, non ho la minima voglia di parlarne», sbottai, incrociando le braccia al petto e alzandomi in piedi.
«Ti ferirà, Beth; lo sta già facendo. Daryl non ti vede come vorresti tu», rincarò la dose Maggie, con veemenza. Vedevo il suo sguardo riflesso nello specchio di fronte a me.
«So quello che faccio», ribattei, piatta.
«Non se si tratta di lui! Sei ancora troppo giovane per queste cose».
«Smettila con questa storia!», sbottai con esasperazione, voltandomi di scatto verso di lei.
Maggie mi studiò per qualche istante, stringendo le labbra e guardandomi con uno sguardo freddo. Abbassò gli occhi come a decidere se dire o meno quella che, alla fine, uscì dalle sue labbra come la più sbagliata delle minacce:
«non costringermi a parlargli».
Strabuzzai gli occhi, incredula per ciò che aveva appena detto.
«Cosa?!».
Aspettò qualche momento prima di rispondere.
«Mi hai sentita».
Rimasi a guardarla, interdetta e con le labbra appena schiuse; poi, senza riuscire a mettere un freno alla mia rabbia, liberai una risata che voleva essere sarcastica.
«E cosa vorresti dire a Daryl? "Quella stupida della mia sorellina si è presa una patetica cotta per te e tu devi starle lontano"?». Maggie fece per controbattere, ma glielo impedii. «Sai, Maggie, è curioso il fatto che adesso ti senti in diritto di proteggermi e di esercitare la tua autrorità di sorella maggiore su di me, quando siamo state separate per giorni e tu hai comunque preferito andare a Washington con degli sconosciuti a salvare il mondo, piuttosto che venire a cercare me! Ero già tua sorella, te ne eri dimenticata?!».
L'avevo detta grossa, lo sapevo. Me ne ero resa conto non appena terminata la frase, avvertendo quello slancio di rabbia e frustrazione crescere e sfumare con le mie parole. Ma, d'altronde, era quello che provavo. La delusione e il dolore di quando avevo scoperto come si era comportata mia sorella si erano riversati fuori di me come fossero veleno. Avevo cercato di dimenticare quella sensazione, di cancellare il rancore, concentrandomi sul fatto che non avesse più importanza, perché alla fine c'eravamo comunque ritrovate. Mi sbagliavo: di importanza ne aveva eccome. Mi ero sentita abbandonata da mia sorella, anche se "a scoppio ritardato", in un certo senso. Il mio unico pensiero da quando era crollata la prigione e mi ero ritrovata in fuga con Daryl, era stato quello di ritrovare tutta la nostra famiglia, certo, ma Maggie soprattutto. Sarebbe stato un pensiero dannatamente scontato e naturale per chiunque; non per lei, evidentemente.
Lei, che ora mi guardava scioccata, con gli occhi spalancati di chi avrebbe provato meno dolore se si fosse beccata uno schiaffo in pieno volto. Sembrava che le parole che le avevo appena rivolto le avessero tolto la capacità di parlare. Forse perché, alla fine, avevo ragione. Maggie abbassò lo sguardo, non mi parlava né mi guardava; io aspettavo una sua risposta che, probabilmente, non sarebbe arrivata, mentre fissavo i capelli che le ricadevano sulla sua espressione, nascondendola. In quel bagno calò un silenzio di tomba che non riuscii a sopportare a lungo.
Mi avvicinai alla porta, afferrai la maniglia e feci scattare la serratura. Stavo per uscire da lì, ma mi bloccai: avevo un'ultima cosa da dirle.

«Tanto per la cronaca», proferii, con tono tagliente e senza voltarmi a guardarla,
«è principalmente grazie a lui se puoi dire di avere ancora una una sorella. Se Daryl non si fosse fatto in quattro per proteggermi prima e per venirmi a cercare dopo, ora non sarei qui ad ascoltare te che mi imponi di stare lontana da lui».
Non aggiunsi altro: uscii dal bagno e sbattei la porta alle mie spalle, le mani che mi tremavano. Abbandonai il piano di rientrare nel vivo della festa, in mezzo agli altri, ma riuscii comunque a procurarmi tre bottiglie di birra che erano rimaste nella cassetta che era stata riposta nel sottoscala. Entrai di soppiatto in cucina, riuscendo a prendere in prestito un apribottiglie. Cercando di non farmi notare, mi riappropriai della giacca e uscii, raggiungendo il lagetto per fare la stupida in santa pace.
La luna che si specchiava sulla superficie dell'acqua ed i miei drammi furono l'unica, gradita compagnia, mentre stavo per finire la mia prima bottiglia. Era meno forte dell'alcool che avevo bevuto quella volta assieme a Daryl, ma non per questo il torpore dovuto al tasso alcolico della birra tardò ad arrivare.
Forse sono astemia e ci metto meno tempo ad ubriacarmi, pensai pigramente, portando la bottiglia quasi vuota davanti al viso, per osservarne il fondo. La appoggiai sull'erba umida ed aprii la seconda quando, all'improvviso, una voce familiare mi fece voltare.
«Cosa ci fai qui, Greene?», domandò Aiden, venendomi incontro e sedendosi di fianco a me. Se fossi stata appena più lucida, probabilmente la sua presenza mi avrebbe messa a disagio; invece gli sorrisi, cordiale. «Potrei farti la stessa domanda», ribattei, prendendo un sorso di birra.
«Ti stavo cercando per vedere come stavi. Spero di non aver interrotto niente», disse, ridacchiando ed indicato il recipiente nella mia mano.
Lo osservai, sorridendogli. Nonostante la sua tendenza a dimostrare il suo interesse nei miei confronti rendendosi troppo affettuoso o insistente, Aiden non era un cattivo ragazzo, anzi: le prime volte era stato davvero piacevole passare del tempo in sua compagnia.
«Di sicuro non hai interrotto una festa in maniera disastrosa, come ho fatto io», mi lasciai scappare, volgendo lo sguardo alla superficie scura del laghetto.
«Non è stata colpa tua», mi confortò, dandomi un buffetto sulla guancia. «In realtà-», proseguì, ma non lo lasciai finire.
«Se stai per dire che è stata di Daryl la colpa puoi anche andartene», biascicai, voltandomi verso di lui di scatto, in un moto di rabbia.
Aiden mi guardò e rise. «Veramente stavo per dire che la colpa è stata solo di Shelly», mi rassicurò, facendomi sentire una completa idiota.
«Oh», mormorai,  imbarazzata. «Scusami».
«Tranquilla. Non ti fa un bell'effetto la birra, eh?», scherzò.
Gli sorrisi, allungandogli la bottiglia che era rimasta sigillata.
«Pace?», offrii.
Lui la afferrò, facendo indugiare per un attimo la mano attorno alla mia.
«Pace».
Trangugiai la seconda birra in silenzio, ignorando la testa che iniziava a girare e ad alleggerirsi notevolmente. Possibile che riuscissi a reggere meglio l'alcool di contrabbando? Poi mi riordai che, prima che alla festa succedesse il disastro, senza accorgermene ne avevo finita un'altra... e mezzo. Ciò significava che ne avevo quasi bevute quattro, e tutto il mio corpo se ne stava accorgendo.
«Ehi, tutto bene?», domandò Aiden, riscuotendomi dalla mia apatia momentanea.
Mi voltai verso di lui, smarrita.
«Eh? Oh, sì», risposi, la voce spenta.
«Stai pensando ancora alla festa?», tirò a indovinare, bevendosi un sorso di liquido ambrato.
«Già», risposi. Quello stato di ebbrezza, seppur non esageratamente pesante, mi impediva di dire bugie. Tutte le mie difese si stavano abbassando, non pensavo veramente alle conseguenze di quello che dicevo. Forse era un bene che ci fosse Aiden con me e non Daryl, pensai confusamente: chissà quali altri casini avrei combinato.
«Non pensarci. La signora Neudermeyer ha veramente esagerato, stavolta».
«Pfff, peccato che mi dovrò scusare lo stesso», borbottai, sfregandomi le palpebre che iniziavano ad appesantirsi. Tutto stava iniziando a scorrere più lentamente.
«Non è necessario», ribatté Aiden e con la coda dell'occhio notai che scrollava le spalle. «Puoi anche non parlarle più».
Mi voltai verso di lui, che ora mi appariva in maniera leggermente annebbiata.
«Ah, se fosse per me non le parlerei più davvero, ma devo fare la brava», biascicai, scatenando un suo sorrisetto divertito. «Sai la cosa davvero divertente? Devo... Devo scusarmi anche con Daryl».
Il mio amico mi lanciò un'occhiata sopresa. «Con Daryl? Perché mai?».
Trovai la sua espressione estremamente divertente.
«Ah ah, vero che è assurdo? Eppure è così».
«Perché?», domandò ancora, paziente.
Mi strinsi nelle spalle.
«Boh. A lui non piace essere difeso. Non da me, perlomeno».
Se fossi stata pià lucida, mi sarei resa conto che non mi ero spiegata proprio per niente, o almeno, non in maniera abbastanza chiara. Infatti Aiden continuò a guardarmi perplesso. Mi bevvi un altro sorso di birra.
«Forse era così arrabbiato con Shelly da prendersela con te», ipotizzò, appoggiando la bottiglia vuota vicino a sé.
«Ma io sono stufa!», esclamai arrabbiata, strascicando la voce in modo irritante. «Non è colpa mia, non è quasi mai colpa mia, ma lui se la prende con me lo stesso». Finii anche la terza bottiglia in un moto di rabbia.
«Ehi, Beth, calma», disse Aiden, circondandomi le spalle con un braccio. «Sono sicuro che non è davvero arrabbiato con te. Tu non c'entri nulla».
In un moto di sconforto, abbandonai la testa contro la sua spalla, lamentandomi come se fossi improvvisamente regredita all'età di cinque anni.
«Daryl Dixon mi odia».
«Che assurdità. È impossibile odiarti, Beth», ribatté.
«Non per lui», mugugnai, chiudendo gli occhi e beandomi del calore del suo abbraccio. Aiden mi strinse un po' di più a sé.
«Sono sicuro che non è così. E se lo fosse, allora vuol dire che Daryl Dixon è un idiota», affermò, per consolarmi.
Aggrottai la fronte, tenendo gli occhi chiusi: quel commento mi aveva infastidita. Nessuno poteva parlare male di Daryl, non in mia presenza. Mi avrebbe dato fastidio da sobria, figuriamoci da mezza ubriaca, con le sensazioni amplificate e nessun freno alla mia lingua. Eppure non parlai, ma rimasi con la testa sulla sua spalla e mi lasciai andare soltanto ad uno sbuffo contrariato che, evidentemente, Aiden interpretò come un suono di assenso. Per un po', continuò a tenermi stretta, dondolandosi appena e sfiorandomi, di tanto in tanto, la fronte con le labbra, quasi come se volesse farmi addormentare. In realtà, iniziavo davvero ad avere sonno. Mantenni gli occhi chiusi e lasciai vagare i miei pensieri, offuscati dall'alcool, che si presentarono alla mia coscienza come flash confusi e aggrovigliati tra loro. Molti di essi avevano come protagonista Daryl, o parole che mi aveva rivolto, o suoi gesti, o situazioni che avevamo vissuto insieme.
La litigata di fronte alla baracca.
La sua schiena avvolta dal gilet con le ali.
La sua mano stretta alla mia.
«Odio gli addii». «Anche io».
Le lezioni di caccia.
Gli abbracci.
I giorni insieme che avevano cambiato tutto, tra noi e dentro di me.
«Perché hai cambiato idea?». «Per te».
Frammenti di ricordi che si susseguirono in maniera incoerente, uno dopo l'altro. Riaprii gli occhi, sperando che passassero, assieme al nodo alla gola.
«Voglio andare a casa», decisi, raddrizzandomi.
Mi allontanai da Aiden, cogliendolo di sorpresa; cercai di alzarmi velocemente da sola, ma non fu un'idea brillante, perché, quando fui in piedi, venni colta da un capogiro. Aiden si avvicinò subito per sostenermi e rise, vedendomi in quelle condizioni. I nostri volti erano vicinissimi, ma avevo la mente troppo annebbiata per allontanarmi. Aiden mi cinse i fianchi con un braccio, mentre con la mano libera mi scostò una ciocca di capelli che era finita fuori posto, sfiorandomi il viso.
«Sei bella anche quando sei ubriaca, lo sai?», sussurrò, ma la sua voce mi sembrava lontana e distorta. Avevo veramente esagerato, quella sera. La sua affermazione mi fece ridere e scacciò il turbamento di poco prima: pensai a quale aspetto potessi avere in quel momento e solo un aggettivo contrario a "bella" avrebbe potuto descrivermi egregiamente.
«Devi essere cieco», ribattei, ridendo in modo fastidioso. Poi mi fermai e biascicai: «o troppo poco lucido. Sei ubriaco».
Questa volta fu lui a ridere, senza mollare la presa su di me.
«Beth, non sei la persona più indicata, adesso, per accusare gli altri di ubriachezza».
Non seppi che rispondere, quindi mi limitai a guardarlo con un sorrisetto divertito; inizialmente fu l'allegria ad animare il suo volto, ma poi qualcosa cambiò. Il suo sguardo si fece serio ma il sorriso rimase, seppur accennato. Mi posò una mano sulla guancia, guardandomi con un'intensità che non mi sfuggì, nonostante l'annebbiamento.
«Beth...», mormorò, sempre più vicino.
Le mie braccia erano pesanti e abbandonate mollemente lungo i miei fianchi, per nulla coinvolta da quel momento; notai che il tocco di Aiden non sortiva su di me nessun effetto. Il cuore non mi batteva forte, il respiro era rimasto uguale: continuavo ad osservarlo, distante, indifferente nonostante una piccola parte di me avesse capito ciò che stava per succedere. Come se osservassi la scena da spettatrice esterna e non da protagonista.
Si chinò su di me lentamente, accompagnando il mio viso verso il suo in quella carezza delicata: quando le sue labbra si appoggiarono sulle mie, mi soffermai a studiare cosa si provasse ad essere baciata dopo così tanto tempo e mi resi conto di essermi dimenticata la sensazione di un paio di labbra contro le mie. Ero talmente stranita, apatica e indifferente che non ebbi la prontezza di respingerlo, ma ancora meno di ricambiare quel bacio a senso unico. Inizialmente non pensai a nulla di particolare, tanto che Aiden avrebbe potuto continuare a tenere le labbra contro le mie all'infinito, se solo avesse voluto. Quando, però, mi ritrovai a realizzare che erano state le sue labbra a baciarmi dopo mesi, dopo Zach, dopo così tanto tempo e non quelle di Daryl, mi riscossi da quella nebbia emotiva. Afferrai i suoi avambracci e mi allontanai con lentezza dalle sue labbra, abbassando lo sguardo.
Aiden sospirò, appoggiando la fronte contro la mia nuca.
«Non si può fare, vero?».
Scossi la testa, stiracchiando un sorriso per il nervosismo.
«Mi dispiace», balbettai.
Aiden mi lasciò andare, chinandosi per raccogliere le bottiglie vuote e l'apribottiglie. Senza il sostegno del suo corpo, traballai appena.

«Non mi tirerai un calcio nelle palle, vero?», scherzò, cercando di nascondere la delusione.
Gli sorrisi lievemente, le percezioni annebbiate e la testa che mi girava.
«Se mi accompagni a casa, no».
~
(Daryl)

Non appena rimasi solo, maledissi con ogni parte di me il momento in cui avevo accettato di andare a quella festa. Non lo feci prima perché la rabbia che mi aveva offuscato il cervello era stata tale da impedirmi di pensare a qualsiasi altra stronzata potesse venirmi in mente. Riflettendo a mente fredda e dopo che la sigaretta riuscì nel suo compito di distendermi i nervi, però, cominciò a punzecchiarmi l'idea che forse avevo esagerato. Non nei confronti di quella stronza della Neuder-quello-che-è, ovviamente, ma nei confronti della ragazzina.
Sbuffai, spegnendo la sigaretta contro il pavimento del portico e allungando le gambe in modo poco elegante. Avevo una specie di formicolio molto simile alla rabbia che mi tormentava le viscere, non riuscivo a stare fermo per un dannato minuto di fila. Ero irrequieto. Allo stesso tempo, però, sapevo che non sarei riuscito a muovere un solo muscolo per alzarmi da lì. Era questo l'effetto che avevano iniziato a farmi i litigi con Beth?
Merda, imprecai, tra me e me. Quella ragazzina mi avrebbe fatto impazzire, una volta o l'altra. E realizzare che fossi io stesso a permettierglielo mi fece ribollire il sangue nelle vene.
Una volta non me se sarebbe importato un cazzo di accontentare le sue richieste: niente alcool, niente taglio di capelli, niente festa da buffoni. Più che con lei, mi sarei dovuto incazzare con me stesso. Perché era quella e soltanto quella, la verità: non riuscivo a dirle di no. Non importava quanto fossero fastidiose le sue richieste, non ci riuscivo perché ancora mi sentivo responsabile per la morte di Hershel; in più, avevo davvero temuto di non vederla mai più, dopo l'agguato di quegli stronzi dell'ospedale. Mi ero sentito colpevole della sua scomparsa e terrorizzato da quello che sarei stato costretto a dire a Maggie, ovvero che non ero riuscito a proteggere sua sorella.
Ma c'era dell'altro, oltre a quello. Un'altra motivazione che avevo cercato di tenere lontano da me il più possibile, qualcosa che mi seccava dannatamente ammettere.
Il fatto in sé di non vedere mai più Beth mi faceva paura; e non c'entravano niente sua sorella o il senso di colpa per la morte di suo padre, ma perché Beth... era Beth. E, dato che provare tutto quello mi terrorizzava ancora di più, preferivo nascondere tutte queste stronzate trattandola con poca gentilezza, sperando che si allontanasse da me, che mi allontanassi io. Se avessimo litigato in modo così acceso ai tempi della prigione, probabilmente me ne sarei fregato altamente e l'avrei semplicemente evitata, riducendo le conversazioni alllo stretto necessario.
Il casino era che non ci riuscivo più. Se Beth avesse scoperto di avere questo potere sconosciuto, che non sapevo da dove cazzo arrivasse, su di me, beh, sarei stato fottuto.
Continuare a rimuginare in quel modo mi stava facendo venire la sconcertante voglia di scusarmi.
«Merda», sbottai, questa volta a voce alta, accendendomi un'altra sigaretta. Per un lasso di tempo indefinito ma abbastanza lungo, cambiai idea una ventina di volte sul da farsi: quando pensavo di lasciar perdere, quando mi convincevo che le sarebbe passata senza il bisogno di riparlarne, mi venivano in mente i suoi occhi bagnati dalle lacrime, la sua espressione ferita, e qualcosa dentro di me smuoveva la mia coscienza.
Spensi il mozzicone e lo lanciai lontano da me, con rabbia. Mi ero già rotto le palle di quei pensieri fastidiosi: l'unica alternativa sarebbe stata quella di mettere da parte l'orgoglio e scusarmi con Beth.
Non sapevo quanto tempo fosse passato, né a che punto fossero con la festa, quindi decisi che avrei aspettato Beth davanti a casa sua; prima o poi sarebbe dovuta tornare. Prima di cambiare idea, mi diressi a casa sua a passo spedito, impaziente di liberarmi da quei pensieri seccanti. Sarebbe stata la prima e ultima volta, perché, da quel momento in avanti, avrei ripreso il controllo di me stesso e non avrei più permesso a quella ragazzina di rigirarmi come voleva.
Un ghigno nacque sulle mie labbra, quando pensai a cosa avrebbe detto Merle se solo fosse stato ancora vivo. Mi avrebbe sfottuto, quello stronzo, ripetendomi all'infinito "quanto cazzo ti sei rammollito, fratellino". Beh, per lo standard di sensibilità che contraddistingueva noi Dixon, era vero. Il fatto era che -- e mi faceva paura dirlo -- il modo naturale con cui Beth si comportava nei miei confronti mi spiazzava, mi confondeva. Vedeva del buono in me che non esisteva. Non ero di certo tanto figlio di puttana quanto lo era stato il Governatore o altre persone schifose che avevamo incontrato sul nostro cammino, ma non ero ugualmente una bella persona; non quanto credeva lei, almeno. E da quando avevo ammesso di credere che esistessero ancora brave persone, la sua visione di me si era fatta ancora più distorta. Non capiva che erano stati i fatti a farmi cambiare idea, lei, non sentimenti di fiducia assoluta e speranza incrollabile che appartenevano a Beth: non ero provvisto di cose tanto buone, dentro di me. Non c'erano tutti quei buoni sentimenti, non in me. Per questo doveva finirla di ronzarmi attorno: saebbe stato più... facile. Per tutti e due.
Il pensiero mi faceva innervosire, ma avevo provato cose strane quando mi ero ritrovato a scappare assieme a lei, e anche quando ci eravamo ritrovati ad Alexandria, ma non avevo assolutamente intenzione di fare lo psicologo di me stesso del cazzo. O dare un certo significato alle sensazione che Beth aveva suscitato in me. Dovevo tenermi lontano da quel sentiero, altrimenti non sarebbe finita bene.
Era bella, Beth, sia dentro che fuori, ma era ancora una ragazzina e non potevo permettere di fare evolvere il nostro rapporto in qualcosa di equivoco, come uno schifoso depravato qualunque. Lei era troppo pura, troppo cristallina, mentre io rovinavo tutto quello che toccavo. Che lei non collaborasse e cercasse di far crollare le mie difese rendeva tutto più dannatamente complicato.
Mi fermai per un secondo, fissando il vuoto davanti a me realizzando che, puah!, stavo pure iniziando a farmi paturnie degne di un adolescente.
Arrivai davanti a casa di Beth: era tutto spento e, a meno che non fosse già andata a dormire -- ne dubitavo -- supposi che fosse ancora alla festa. Per un attimo, mi sfiorò l'idea di rimandare tutto alla mattinata successiva, quindi, onde evitare ripensamenti, mi sedetti sugli scalini del portico e attesi. Se fosse stato qualcun altro, me ne sarei sbattuto e sarei andato a dormire: mi seccava immensamente riconoscerlo. Tirai fuori dal pacchetto un'altra sigaretta e la fumai, senza spremermi troppo le meningi in merito a quello che le avrei detto per scusarmi: avrei improvvisato. Dopo averla fatta sfogare, ovviamente: era furiosa con me, ci avrei scommesso la balestra.
Dopo non so quanto tempo, la vidi arrivare, barcollante, aiutata da quel bamboccio del figlio di Deanna. Il ragazzo aveva avuto un interessante scambio di ganci destri con Glenn: non avrei avuto problemi ad occuparmi anche io del suo bel faccino. Mi convinsi che fosse stato quel trascorso a smuovere un irritante senso di fastidio alla vista del suo braccio attorno alle spalle di Beth. Mi fermai un attimo ad osservare il volto della ragazzina: era pallido, più pallido del solito. Aveva un aspetto orribile.
Scattai in piedi.
«Che cazzo le è successo?!».
«Calmati, Dixon. Ha solo esagerato con la birra», si affrettò a giustificare il belloccio, interponendo un braccio tra me e lui quando gli fui davanti. Lo ignorai, concentrandomi su Beth.
«Beth», la chiamai, posandole una mano alla base del collo e abbassandomi alla sua altezza per guardarla in viso. Teneva lo sguardo incollato al terreno. «Beth, stai bene?».
«Sta bene», si intromise Aiden.
«Non sto parlando con te!», ringhiai, guardandolo in cagnesco.
«Daryl, non... urlare», mugugnò Beth, posando la mano sulla mia. Cercai di ignorare il fremito che quel contatto mi provocò. Si sforzò di alzare lo sguardo, puntando gli occhi socchiusi e pesti di sonno nei miei. «S-Sto bene, sono solo... stanca...».
Aiden stava supportando la parte sinistra del corpo di Beth, così mi affiancai a lei a destra, accompagnando il suo braccio attorno alle mie spalle e, circondandole il fianco, incontrai come ostacolo la presa di Aiden.
«Posso pensarci io», protestò, gelido e aumentando la stretta attorno a lei.
«No, non puoi. Sparisci, prima che prenda a pugni il tuo bel faccino».
«Daryl», mi redarguì debolmente Beth.
«Ehi amico, ma sei suo padre per caso?! Devo avere il tuo permesso per parlarle?».
«Suo padre è morto, brutto coglione. Porta un po' di rispetto e non azzardarti a parlare di lui», lo minacciai, cercando di non strattonare troppo Beth, ma provando ugualmente ad allontanarla da lui.
«Smettetela», soffiò lei, appoggiandosi a me. «È... tutto a posto, Aiden. Grazie per avermi accompagnata... e per aver capito», concluse. Non sapevo a cosa si riferisse, quindi le sue parole suscitarono la mia curiosità, ma non avrei fatto domande.
Il suo velato congedo fece sorridere amaramente il belloccio.
«Ora ho capito», mormorò, spostando lo sguardo da lei a me. Anche se continuavo a non capire a cosa si stessero riferendo, mi sentii improvvisamente a disagio, e cercai di nasconderlo fulminandolo con un'occhiata. «Buonanotte, Beth», aggiunse.
Non lo guardai nemmeno mentre se ne andava, voltandomi verso la casa della ragazzina.
«Riesci a camminare?», le domandai, cercando di apparire il più premuroso e paziente possibile. Non era da me, ma già era arrabbiata -- anche se sul momento non lo rese particolarmente esplicito -- e l'alcool non avrebbe giovato a tutta quella situazione. Dovevo sforzarmi di essere gentile, almeno in quell'occasione.
Lei annuì, ma quando arrivammo agli scalini si scansò da me per sedersi. Si appoggiò al corrimano con il capo e una spalla, chiudendo gli occhi.
«Beth?», la chiamai, inginocchiandomi di fronte a lei.
«Ho sonno, Daryl», si lamentò, aggrottando la fronte.
Diavolo, ragazzina, l'altra volta non ti sei ridotta così male, pensai , trattenendo un sorriso divertito.
«Appunto per questo sto provando a trascinarti a letto», risposi, paziente.
Beth, per un istante, non disse nulla; poi, all'improvviso, spalancò gli occhi, chiaramente rossa in viso. Inizialmente non capii, poi ripetei mentalmente quello che avevo detto e trasalii.
«Santo cielo, ragazzina, ti sto trascinando a dormire!», specificai con urgenza.
«Okay, okay», borbottò. Chiuse di nuovo gli occhi, immusonita, e si schiacciò ancora di più contro il corrimano. «Anzi, no. Lasciami qui».
«Perché dovrei?».
«Perché mi odi».
«Io non ti odio, Beth».
«Sì, invece, ma hai ragione. Io... Io sono solo una stupida ragazzina che... che non ha capito niente. Che non ha mai capito niente». Era l'alcool, a parlare: Beth trascinava le parole senza abbandonare quell'espressione corrucciata. Preparato com'ero ad una sfuriata, quel suo discorso sconnesso mi prese in contropiede.
Sbuffai, alzandomi per sgranchire le ginocchia; poi mi sedetti accanto a lei. Si voltò appena verso di me, come se si vergognasse anche solo a guardarmi. Quella volta avevo davvero esagerato, insultandola semplicemente per aver preso le mie difese. Avrei dovuto dirglielo. Porgerle le mie scuse contornate da un bel discorso che le avrebbe fatto capire la mia consapevolezza del mio sbaglio, e che non pensavo davvero quello che le avevo detto.
Io, però, non ero così. Non ero quel tipo di persona. Non me la cavavo bene con le parole, coi discorsi lunghi o con i sentimentalismi di vario genere; preferivo i fatti, ma il problema era che non potevo fare nulla di concreto per far capire a Beth che sapevo di essere stato uno stronzo. Avevo bisogno di dirle qualcosa per cancellarle dalla testa quelle insicurezze che le mie parole le avevano provocato. Per qualche strana, assurda ragione, teneva all'opinione di un coglione come me.
Da dove diavolo comincio?
Allargai le gambe, poggiandoci sopra i gomiti e fissando il terreno per un po'. Poi volsi lo sguardo a Beth: ora teneva gli occhi socchiusi, fissi davanti a sé.
«Perché sei qui?», domandò, in modo un po' più chiaro rispetto a come aveva parlato fino a qualche momento prima. La sua domanda mi arrivò come un salvagente e come un pugno nello stomaco nello stesso momento. Decise di complicare tutto, allacciando lo sguardo al mio: la guardai, serio, come avevo fatto in quella dannata casa del becchino, sperando ch ei miei occhi dicessero quello che la mia stupida bocca non era in grado di tirare fuori.
Sono stato uno stronzo.
Mi dispiace.
Grazie per avermi difeso.
Continuai a guardarla, ma non riuscii a dire nulla di tutto quello. Beth, dopo un po' -- e stanca di aspettare e sperare in una mia risposta -- sospirò, muovendosi per alzarsi, mentre io guardavo impotente davanti a me. Si raddrizzò sulle sue gambe, ma fu colta da un capogiro e si sedette di nuovo accanto a me, finendomi addosso. Buona parte del suo corpo esile era premuto contro al mio, le nostre tempie si toccavano e il suo profumo mi svolazzò attorno, mentre i suoi capelli mi accarezzarono la guancia. Non ero ancora abituato ad averla così vicina e se, da una parte, mi sentii irrigidire, dall'altra desiderai che si stringesse ancora di più a me. Quando realizzai quello che avevo appena pensato, mi diedi del coglione da solo.
«Stasera ti va male, Dixon. Non sono abbastanza... lucida e autosufficiente da lasciarti scappare da discorsi che non vuoi fare», mi sbeffeggiò, sistemando un braccio lungo la mia gamba e accasciandosi contro di me. «Devi aiutarmi per forza», aggiunse, posando la testolina contro la mia spalla.
«Ti stavo aiutando, prima che piazzassi il tuo culo su questi scalini», ghignai, rivolto alla sua chioma bionda.
Beth tacque qualche secondo; poi, senza preavviso, alzò il suo volto verso il mio.
Il mio sguardo andò ad allacciarsi al suo, così verde e intenso anche nel buio della notte, che sentii ogni muscolo del mio corpo tendersi e rendermi immobile, come un animale di fronte al pericolo. Beth era fottutamente pericolosa per me e per la mia sanità mentale, più di quanto io lo fossi per lei. Mi guardava con quegli occhi dannatamente belli, in silenzio, torturandomi con la sola forza dello sguardo. Non capivo cosa stesse facendo, né a cosa volesse arrivare: i nostri corpi erano incollati, il suo braccio riposava ancora sulla mia gamba e tutta quella situazione, lo sapevo, non avrebbe portato a nulla di buono, nulla di giusto.
«Sei uno stronzo, Daryl», sussurrò, senza smettere di fissarmi in quel modo insopportabile.
Deglutii, la bocca secca. «Lo so».
«Sei un idiota».
«Lo so».
Per un secondo brevissimo, il suo sguardo si abbassò sulle mie labbra, per poi guizzare di nuovo contro il mio. Arrossì e fremette.
«Forse io la sono più di te...», soffiò, in un sussurro spezzato.
Non riuscii a muovere un solo muscolo e, dato che non ero in grado nemmeno di allontanarmi, mi limitai a sperare che Beth non facesse qualche cazzata. Una cazzata in particolare. Ero consapevole del fatto che ciò che aveva detto nascondeva tanto altro, ma non avevo nessuna intenzione di approfondire la questione o rifletterci sopra: temevo la conclusione alla quale sarei arrivato. Dopo qualche secondo, riprese a respirare, tornando ad una distanza accettabile, almeno col viso. Volse lo sguardo altrove, irrequieta. Per evitare che compiesse qualche gesto imprevisto, trovai la spinta necessaria a dirle quello che avrei dovuto.

«Scusa», mormorai, attirando di nuovo la sua attenzione. Mi sforzai di guardarla negli occhi e di non fuggire il suo sguardo. Anche se le usai come pretesto per evitare che compiesse qualche gesto stupido, erano scuse sentite. Avrei potuto dire di più, certo, ma sperai che capisse che dicevo sul serio, anche con una semplice parola.
Le labbra rosa di Beth si incurvarono in un sorriso, mentre i suoi occhi brillarono nei miei. Levò il braccio dalla mia gamba, intrecciandolo invece al mio e accucciandosi contro il mio petto, il capo contro il mio cuore.
«Non importa, Daryl. Scusami tu, sono stata troppo insistente. Mi dispiace».
Il suo calore mi rilassò appena, mentre cercavo di abituarmi a quella vicinanza e a quel gesto affettuoso. Inspirai il suo profumo, sperando che non se ne accorgesse. Non riuscivo a decidere cosa fosse più difficile per me, se dare affetto o riceverlo. Allo stesso tempo, non mi riusciva spontaneo essere affettuoso come lei: mi sembrava di fare qualcosa di cui avrei dovuto vergognarmi. D'altronde, non ero nato e cresciuto in una famiglia amorevole quanto la sua.
«Forse. Ma io so essere un bello stronzo, quando mi ci metto», ammisi, ghignando. Lei rise con me, mentre io mi sforzavo di aggiungere, in tono di nuovo serio: «Quello che ti ho detto... Non lo pensavo. Non sei come loro».
Lei mi guardò, sorridendomi sollevata.
«Quindi non hai cambiato opinione su di me?».
Scossi la testa.
«No». Avrei voluto aggiungere che non capivo perché le importasse tanto, ma qualcosa mi suggerì che avrei preferito non saperlo, così evitai.
Sospirò, stringendosi di più a me.
«Meno male».
Deglutii: per quella sera era troppo.
«Forza, ti accompagno di sopra», dissi, scuotendola appena e costringendola ad alzarsi, non senza incontrare una certa resistenza da parte sua.
Entrammo in casa e, solo in quel momento, mi accorsi che fuori faceva piuttosto freddo, quando avvertii il calore della casa di Beth avvolgermi.
Lei barcollava ancora un po', così la aiutai ad appendere la giacca, sostenendola con un braccio intorno alla vita. Non sarebbe riuscita a salire le scale, poco ma sicuro. Stavo per propormi di nuovo come cavallo a dondolo quando, nella penombra del salotto, si lasciò cadere sul divano con poca grazia. Uno sbuffo sfuggì dalle sue labbra e mi accorsi che non si era nemmeno tolta gli stivaletti. Sistemandosi  a pancia in giù, premette la faccia contro il cuscino, che attutì la sua voce quando mormorò qualcosa di incomprensibile.
Era dal giorno del nostro arrivo ad Alexandria che non entravo a casa di Beth e mi sentii leggermente fuori posto.
«Dormi qui, allora?», domandai, in piedi vicino al divano ed osservandola dall'alto.
«Mmmh-mmmh», asserì, raggomitolandosi in posizione fetale. Le sfuggì un piccolo brivido. Era talmente annebbiata da non riuscire nemmeno a vedere il plaid che era sistemato sullo schienale del divano. Lo afferrai.
«Beth, tieni», dissi, allungandoglielo. Lei aprì gli occhi con fatica e lo prese, coprendosi e stringendoselo attorno. Le sue palpebre tremolarono, segno che stava già perdendo conoscenza. Non le dissi nulla per non svegliarla: girai i tacchi e mi avviai verso la porta d'ingresso.
«Daryl», mi chiamò debolmente, facendomi bloccare sul posto. Da lì non vedevo il suo viso, quindi non sapevo se avesse gli occhi aperti o meno.
«Che c'è?».
Beth rimase in silenzio qualche secondo, prima di rispondermi.
«Resta qui... per un po'. Per favore».
Il mio primo impulso fu quello di rispondere di no, uscire da quella casa e andarmene a letto per ripristinare una certa distanza tra me e lei.
Invece mi voltai, raggiungendola. Mi sedetti per terra, vicino a lei ma di spalle, con le sue ginocchia che toccavano la mia schiena e la sua voce che mi accarezzava l'orecchio sinistro.
«Grazie», sussurrò, e dalla voce capii che stava sorridendo. Avvertii improvvisamente le dita sottili di Beth sfiorarmi alla base delle spalle, risalendo dal collo alla nuca e finendo per intrecciarsi tra i miei capelli, in una carezza delicata. Mi irrigidii, cercando di non badare al brivido violento che mi scosse la spina dorsale. Strinsi i denti, imprecando mentalmente. Dopo qualche breve istante, le impedii di proseguire con quella piacevole tortura. Le afferrai la mano con la mia sinistra e la portai lontana dal mio collo. Per non lasciarle pensare che la volevo respingere, mi voltai fino a quando non poggiai il braccio sinistro sul divano e vicino alle sue ginocchia, abbandonando la posizione di spalle e trovandomi finalmente il suo viso di fronte. Nel buio, rischiarato appena dalla luce del lampione che arrivava soffuso dalle finestre, il contatto fisico diventava più facile, per me. Lasciai che la sua mano piccola e calda scomparisse nella mia e la strinsi, intravendendo il viso di Beth nella penombra. Non riuscii a staccare gli occhi dai suoi chiusi, dalla sua espressione rilassata, dalle sue labbra sottili incurvate in un piccolo sorriso.
«Buonanotte, Daryl», mormorò, prima di scivolare in un sonno profondo.
Buonanotte, ragazzina.





Angolo autrice.
Santo. Cielo. Pubblicare questo capitolo è stato un parto! Eh sì, perché questo capitolo era già pronto ieri sera presto, ma poi sono incappata in problemi fastidiosissimi con l'HTML. Praticamente la formattazione che era risultata usando Open Office mi deformava tutta la pagina di EFP, spedendo le righe verso l'infinito e oltre.
Ho dovuto ricopiare tutto, riscrivendo di nuovo 15 dannate pagine in un nuovo documento. E' stato un parto, ma finalmente sono qui.
Beh, che dire di questo capitolo? Succedono un sacco di cose. Sono preoccupata di quello che penserete delle scelte che ho fatto e del modo in cui ho scritto e sviluppato certe cose, in particolare:
- il pov di Daryl
- l'ubriacatura di Beth
- il bacio con Aiden (che è meno rilevante di quanto pensiate)

Non ho molti commenti da fare a riguardo, anche per sono parecchio fusa a causa di questo imprevisto e gli occhi ormai mi si stanno incrociando davanti allo schermo. Spero che apprezziate tutto, o qualche parte, e che in ogni caso mi facciate sapere cosa ne pensate.
Volevo ringraziare tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite, ma anche chi ha letto soltanto! Grazie di cuore!
Prima di lasciarvi, vi lascio il link al mio blog che è tutto dedicato alla mia storia: https://blakiescrive.wordpress.com/

Avevo già un tumblr per questo, lo so, ma in wordpress c'è la sezione commenti e mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con voi, ogni tanto :)
Altra cosa, volevo chiedervi cosa ne pensate della 6x09 di TWD! Io l'ho adorato come  episodio, sono partiti davvero alla grande! Mi sono emozionata tantissimo in più parti, l'ho trovato perfetto dall'inizio alla fine! A voi è piaciuto? Fatemi sapere!

Vi ringrazio ancora di cuore per tutto, al prossimo capitolo!
Un abbraccio,
Blakie
PS: scusatemi per le eventuali sviste, ma ad un certo punto mi è venuto un male agli occhi incredibile.





 

   
 
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