Cara Amantha, cara Frafra, grazie per i vostri incoraggiamenti.
Sono contento che continuiate a seguire questa storia. Il confronto con
Vera e le gocce è rimandato al prossimo capitolo, in questo vediamo
rientrare in scena Caleb e Vathek.
Ho cercato di rendere il disorientamento delle persone di un altro mondo davanti ad oggetti ed abitudini a noi familiari. L'illustrazione non è un gran che, mi sarebbe piaciuto fare un bel disegnone di Caleb e Vathek seduti a tavola a casa del loro amico, ma un lavoro così mi porterebbe via parecchio tempo, ed ora sto scrivendo un prequel di Witch, l'inizio della tirannia di Phobos, che spero di pubblicare durante l'estate. |
PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Dopo un incontro misterioso con la Luce di Meridian, Vera ha convinto le Gocce a impadronirsi del Cuore di Kandrakar e a sostituirsi ad Elyon a Meridian, impersonando la regina e le guardiane. Carol si è opposta, ed è stata costretta con l'ipnosi. Vera e Wanda hanno sottratto il Cuore di Kandrakar a Will. Il giorno dopo, ritrovatesi davanti allo specchio magico della libreria, le W.I.T.C.H. assistono alla trasformazione delle loro gocce in copie delle guardiane e della regina, ed alla loro partenza per Meridian, in contemporanea all'arrivo di Elyon. A Meridian, la controfigura di Elyon e le finte guardiane esiliano Miriadel e Alborn, mentre Caleb sfugge alla cattura; pur avendo assunto il potere, si rendono conto di non essere convincenti, e inventano la storia che le guardiane sono a palazzo per proteggere la Luce di Meridian da un complotto. A Heatherfield, rifugiatasi con i genitori nella sua vecchia casa, Elyon spiega che quella che si sta realizzando è una sua profezia, contenuta in disegni e frasi casuali, la cui interpretazione fino a quel punto era ambigua; a priori, si poteva pensare che sarebbero state le stesse Elyon e le Witch a instaurare una tirannia nel metamondo. Inoltre, la profezia prevede che la tirannia duri un anno, che a Meridian dura diciotto mesi. Elyon è decisa a non tentare niente prima di questa scadenza, ma Will non si rassegna. Facendo un sopralluogo nella casa delle Gocce a Midgale, Hay Lin percepisce frammenti di ricordi contraddittori: le sembra che Vera sia cambiata subito dopo l'ultimo incontro con Elyon. Questa non sa dare spiegazioni convincenti del cambiamento, ma non sembra risentita per il tradimento. L'Oracolo convoca Elyon, e le impone di recuperare al più presto il Cuore di Kandrakar, pena il carcere. Le WITCH si offrono di accompagnarla nell'impresa, ma lei intende tentare da sola. Rimaste sole, Cornelia insiste con Taranee perchè la aiuti a contattare Caleb con il portale al Ye Olde bookshop. |
Cap. 40
Caleb
Heatherfield, Ye Olde Bookshop
Taranee osserva la luce azzurrognola del portale riflettersi sul viso
risoluto di Cornelia. Può leggere i pensieri dell’amica in ogni
piega dei suoi lineamenti.
Gli occhi attenti sembrano promettere: ‘Caleb, io ti troverò,
a costo della mia vista’. L’impercettibile tremolare delle sue palpebre
sembra dire: ‘Non posso viverti vicino, ma non posso restare senza sapere
dove sei’.
La sua bocca serrata sembra dire…
“Tara, datti una mossa! Non eri tu quella che aveva fretta?”.
La ragazza dalla pelle scura sussulta: “Eh? Certo…”.
“Pensa a Caleb anche tu, allora, e forse ce la faremo!”.
Come altre volte, la superficie luminosa comincia a incresparsi sempre
più veloce. I fronti d’onda cambiano più volte direzione,
come uno sguardo alla ricerca di un uomo tra la folla.
Dopo qualche secondo, le onde si appianano, e compare l’immagine, sia
pur disturbata, di una stanza sconosciuta dove tre persone stanno discutendo
attorno ad un tavolo.
Taranee è rimasta a bocca aperta. Dopo i fallimenti dei giorni
precedenti, non avrebbe scommesso un centesimo sul successo di questo
tentativo. “Corny… ora funziona! Cosa è cambiato?”.
“A dopo le domande”, taglia corto la bionda mentre cerca di distinguere
i lineamenti dei personaggi tra le ondulazioni dell’immagine. “Non capisco,
certo parlano in meridiano”. Poi, trionfante: “Sì, è la voce
di Caleb! La riconoscerei fin dall’altro mondo!”.
Meridian, casa di Gathrop
La sala da pranzo è piccola e raccolta, ma mostra i segni di
una certa agiatezza. Le travi di legno del soffitto, anche se irregolari,
sono ornate da un motivo a losanghe bianche che si ripete lungo le modanature
delle pareti intonacate.
Sulla massiccia credenza e sul muro spiccano parecchi piccoli ritratti
di parenti e antenati che un alieno, per esempio un terrestre, definirebbe
non pienamente umani.
La luce ed i rumori della sera entrano da due finestre diseguali dai
vetri divisi in eleganti spicchi tutti diversi, uniti da sottili piombature
che conferiscono l’aspetto di ali di un enorme insetto.
Anche il tavolone tirato a lucido conserva la forma un po’irregolare
dell’albero da cui è stato ottenuto, mettendo in mostra preziose
nervature che ignorano le banali leggi della geometria che, su altri mondi,
si imparano a scuola.
Caleb osserva il viso verde ed affilato dell’ amico seduto di fronte.
“Grazie di tutto, Gathrop. Stai correndo un rischio, ad ospitarmi”.
“Non serve ringraziare”, risponde lisciandosi le basette grigio ferro
arrotolate in piccoli moncherini appuntiti. “Abbiamo fatto lo stesso per
anni, ai tempi di Phobos”.
“Nel mio caso, per poche settimane”, interviene il vocione del gigante
azzurrognolo accanto a Caleb. “Io non sono certo stato un ribelle della
prima ora”.
Il giovane dal viso striato di verde risponde con una gran pacca che
non sposta di un millimetro la mole immensa di Vathek. “Che importa? Sei
stato preziosissimo”.
Gathrop riempie nuovamente i tre bicchieri sul tavolo con un liquido
giallognolo contenuto in una brocca di ceramica. “Prendete ancora un po’
di klall. E’ fermentato bene, sentite che profumo!”.
“E’ squisito”, risponde Caleb. “Ma non vorrei esagerare. Mi servono
tutti e sette i miei sensi, casomai quelle guardiane cercassero di sorprendermi”.
Vathek scrolla le spallone imponenti. “Non risulta che siano mai uscite
da palazzo, finora. Mi preoccuperei di più per le guardie. Sei ufficialmente
un ricercato, ora”.
Gathrop si picchietta sul mento, perplesso. “Quanto mi hai raccontato,
Caleb, si sposa bene con altre voci strane che provengono dall’interno
del palazzo. Hanno licenziato in tronco più di un collaboratore
della regina, inclusa Nagadir, la sua ancella personale”.
“Povera ragazza”, commenta intenerito il gigante. “Dopo tre anni di
servizio fedele, messa alla porta così…”.
“Neanche tanto povera”. Gathrop si sporge verso di loro, come per confidare
un segreto piccante. “Ha ricevuto una liquidazione pari a dieci anni di
stipendio”.
L’orcone blu fa un fischio sommesso. “Quella falsa regina non le vuole
certo male! Forse dovrei presentarmi anch’io a battere cassa”.
Caleb fa per replicare, quando una voce gli risuona in un punto imprecisato
tra le orecchie.
‘Caleb, mi puoi sentire?’.
‘Chi sei?’.
‘Sono Taranee. Quella vera... cioè, quella autentica. Siamo
preoccupate per te’.
‘Sto bene. Dove sei?’.
‘Ad Heatherfield, alla libreria. C’è Cornelia con me’.
Una grande mano azzurra lo richiama, scrollandogli una spalla con forza.
“Ehi, che ti succede?”.
Caleb si accorge che gli altri lo guardano stupiti. “Shh, ho un contatto
telepatico!”.
‘Taranee… Cornelia… Elyon è al sicuro?’.
‘In un certo senso, sì. E’ a Heatherfield con i genitori’.
‘Cosa vuol dire, in un certo senso?’.
‘Te lo spiegherà lei. Perchè non la raggiungi qui?
Ti aspetta con ansia’.
‘Ho provato. Purtroppo, questo sigillo funziona solo se uno ha un’immagine
chiara del luogo dove vuole andare. I miei ricordi di Heatherfield, invece,
sono troppo confusi’.
‘Temo di non poterti trasmettere immagini, solo parole’
‘Allora sono bloccato qui!’.
Il vocione di Vathek lo strappa da questo dialogo muto. “E’ tutto qui
il problema?”.
Caleb aggrotta lo sguardo. “Stavi ascoltando il mio contatto?”.
“E con ciò? L’importante è che io conosco Heatherfield.
Possiamo andarci assieme!”.
“Già…”, risponde Caleb, meravigliandosi di non averci pensato
lui stesso. “E’ un’idea. Anzi, è una buona idea”.
“Come tutte quelle che escono da questo testone”, si compiace il gigante.
Caleb, eccitato, si sfila dal collo il pendaglio romboidale e lo mette
davanti al viso di Vathek. “Guarda, devi afferrarlo per gli angoli sopra
e sotto, poi guardare questa freccetta dipinta qui…”.
“lo so, lo so”, risponde lui, prendendo l’oggetto ed allontanandolo
dagli occhi quanto basta per metterlo a fuoco. “Questi aggeggi non si trovano
ad ogni angolo di strada, ma non sono neanche stati inventati ieri”.
“Andate via?”, chiede Gathrop sorpreso.
“Ma come, e la cena?”, fa eco sua moglie dalla cucina. Il profumo del
pasticcio di kralldar in cottura sta cominciando a sovrastare quello del
fumo di legno di trassik che arde scoppiettando.
Vathek guarda Caleb, interrogativo. “Vuoi proprio che proviamo adesso?”.
“Ma certo”, risponde severo il giovane. “Vuoi far aspettare la tua
regina?”.
L’omone azzurro si alza in piedi, bofonchiando. “Aspetta da una settimana,
comoda a casa sua. Un’ora in più…”. Guarda Gathrop. “Scusaci. Se
funzionerà, potremmo essere di ritorno tra poco”. Prende Caleb sottobraccio,
ed alza il sigillo all’altezza degli occhi. “Andiamo al Ye Olde Bookshop?”.
Caleb ci pensa un attimo. “No. Direttamente a casa Portrait”.
“Agli ordini”, sorride Vathek.
L’immagine dei due comincia a tremolare, e svanisce con una debole
luminosità.
La moglie di Gathrop ha assistito alla scena insolita dalla porta della
cucina. “E la cena?”, protesta piano.
Heatherfield, Ye Olde Bookshop
Lo specchio magico mostra ancora la stanza da pranzo dove due
figure non completamente umane guardano lo spazio rimasto vuoto, scambiandosi
commenti incomprensibili. I disturbi di ricezione nascondono la loro espressione
meravigliata.
L’immagine si dissolve in onde argentee, e viene rimpiazzata da un’
altra molto scura, ma non disturbata. Due sagome si muovono incerte in
un locale semibuio.
“Ce l’ha fatta!”, gioisce Taranee. “Pieno successo! Quella è
la cantina di Elyon!”.
“Già”. Cornelia guarda attorno a sé.
Nel suo sguardo indefinibile, l’altra indovina sia delusione
che sollievo per la scelta della sua vecchia fiamma. “Avresti voluto che
passasse prima qui?”.
“Caleb sa sempre quello che è giusto fare”, risponde asciutta
Cornelia. “Ora andiamo, siamo tardi. Ci aspettano a casa, e non per dirci
brave”.
Si volta verso la porta sopra le scale, e si incammina per prima. Forse
così l’amica non noterà che ha gli occhi lucidi.
Heatherfield, casa Portrait
La semioscurità dell’ambiente è tagliata dalla luce incerta
del pomeriggio, che penetra svogliatamente da due feritoie in alto sul
muro.
La sagoma umana più piccola studia l’ambiente, aspettando che
gli occhi si adattino alla penombra.
“Diavolo di un Vathek, ci hai portati nelle segrete!”.
“Ma no, Caleb”, lo rassicura l’altro. “Siamo nella cantina. Una volta
il portale era dietro quella parete… o forse quell’altra?”.
“Meno male! Temevo che fosse la stanza degli ospiti”.
“Mi ricordo benissimo. Lì sulla destra c’è una scalinata
che sale in casa. Lascia fare a me, che vedo bene nel buio. Ora ti accendo
la luce”.
Nel soggiorno, il signor Portrait scruta nervosamente fuori dalle finestre,
accostando le tende. “Chiunque potrebbe spiarci, dal giardino”.
“E gli sembrerebbe di vedere una normalissima famigliola”, gli risponde
paziente Eleanor, sistemando dei fiori in un vaso a centro tavola. “L’unica
stonatura sarebbe proprio il tuo atteggiamento paranoico”.
“Paranoico?”. Thomas aggrotta le sopracciglia. “Né porte, né
finestre sono blindate. Non c’è neanche il cancello…”.
Eleanor riguarda soddisfatta la sua composizione floreale e scrolla
le spalle. “Chi vuoi che cerchi di introdursi qui?”.
Un rumore inquietante, seguito da una orrenda imprecazione in meridiano,
li raggiungono dal corridoio.
“Ma…”. “Cos’è stato?”.
Quando arrivano nel corridoio, si sentono ancora borbottii e scalpiccii
da oltre la porta della cantina.
Dal piano di sopra arriva anche la voce di Elyon. “Ma che è
successo?”, chiede, sporgendosi dalla balaustra del pianerottolo.
“State indietro, ci penso io”. Una pistola compare in mano a Thomas.
Arretra il carrello per mettere il colpo in canna.
L’uomo si spegne la luce alle spalle, e apre con un calcio la porta
della cantina, defilandosi dietro lo stipite mentre punta l’arma. “FERMI
TUTTI!”.
“Fermo! Non sparare!”, grida dal sotterraneo un vocione conosciuto.
Thomas sporge il braccio verso l’interruttore, e accende.
Alla luce, vede un gigante azzurro, inginocchiato tra le carabattole
uscite da una cassa ribaltata, che si rialza con espressione sofferente.
Accanto a lui, un giovane con il viso striato di verde sembra incerto se
alzare le mani.
“Vathek? Caleb?”. L’uomo abbassa piano la pistola.
Caleb, disorientato, guarda lo sconosciuto in cima alle scale. “E questo
chi è?”.
“Questo è il comandante Alborn”, risponde il bestione azzurro,
riguadagnando il contegno. “Ora, Thomas Portrait”. Saluta battendosi il
pugno sul petto. “Ben trovato, comandante!”.
Eleanor si sporge timorosamente dalla porta. “Ah…voi! Ben arrivati!”.
“Posso indovinare… Miriadel?”, chiede Caleb.
Lei scende le scale sorridendo. “Proprio io. Ma ora chiamami Eleanor
Portrait. E, per piacere, ricordati di non parlare in meridiano”.
Elyon appare nel vano della porta. “Caleb!?! Ti aspettavo!!!”. Corre
giù, scostando la madre, e si getta tra le braccia del giovane imbarazzato.
“Ero in pensiero”. Poi, notando qualche sorrisino e qualche sguardo allusivo,
si scioglie dall’abbraccio e si rivolge al gigante azzurro. “Vathek!
Erano mesi!”.
“Ben trovata, Luce di Meridian”, si inchina lui.
Lei guarda la cassa rovesciata e le inelencabili cianfrusaglie disseminate
sul pavimento. “Ma che è successo qui?”.
“Ah”, fa Caleb, “Era solo Vathek che ci vedeva perfettamente nell’oscurità”.
“Meno spirito, giovanotto! Non saresti qui, senza di me”.
Elyon ridacchia, poi guarda dolcemente Caleb. “Allora, ti fermi ad
abitare con noi?”.
Lui si accorge del sopracciglio leggermente inarcato di Thomas e del
sorrisino di Vathek. Cerca di non arrossire, e risponde con contegno: “Lo
sai, regina. Il mio posto è a Meridian”.
“Ma come?”, chiede lei preoccupata. “Lì non è sicuro,
per te. Sarai nostro gradito ospite qui”.
Per un attimo, Caleb pensa alle strade trafficate, agli squilli di
clacson all’indirizzo suo e della motocicletta che anni prima non aveva
saputo guidare, alle scritte incomprensibili, alla curiosità della
gente per le striature verdi del suo viso. “No, regina. Lasciami tornare”.
“Mi chiamo Elyon, te lo sei già dimenticato?”, gli rimanda imbronciata.
“No di certo, r… Elyon. Ma io ho bisogno di Meridian, e Meridian ha
bisogno di me”.
“Modestino…”, commenta Vathek.
Caleb gli scocca un’occhiata da ‘faremo i conti poi’, e continua rivolto
ad Elyon. “Devo organizzare la rivolta. Ti riporteremo sul…”.
“Ma no!”, lo interrompe lei, allarmata.
“Come no?”, fa Caleb, stupito.
“Come no?”, ripete il gigante, ancora più stupito.
Elyon asserisce decisa: “Questo stato di cose durerà un anno.
Lo ho profetizzato io stessa”. Poi aggiunge, più piano: “Nemo propheta
in patria”.
“Ancora quella profezia?”, si stupisce Caleb. “E’ quel discorso di
sei mesi fa che si sta…”.
“Proprio quello”, fa Elyon. “Ma andiamo in soggiorno a parlare. Questa
cantina è così squallida…”.
“Ehm…”. Il signor Portrait si schiarisce la voce. “Lì ci sono
cose che si chiamano finestre, ben quattro, da cui persone che si chiamano
curiosi potrebbero sbirciare dentro”.
“E che possono essere chiuse da cose chiamate tende, no?”, risponde
lei.
“Stavolta devo dar ragione a tuo padre, cara”, dice Eleanor. “Vathek
è un po’ difficile da dissimulare”.
“Tutto qui il problema?”, chiede la reginetta, puntando un dito sul
gigante come una pistolera che prende la mira. “Ora ti trasformerò
in un omino così insignificante che faremo persino fatica a ricordarci
la tua nuova faccia”.
Vlathek si fa scudo agitando le sue enormi manone. “No, no, altezza!”.
“Elyon!”, ribadisce lei.
“No, Elyon. Io ho una vera fobia per il cambiare aspetto. Anche quando
lavoravo con Lord Cedric…”.
“Già!”. La ragazza abbassa la mano puntata, come per evitare
che possa partire un colpo. “Non ho mai capito come facesse a farti passare
inosservato”.
“Usava metodi ipnotici. Era un maestro dell’inganno. Lo è stato
anche per te”.
“Passiamo oltre”, fa Elyon adombrata, “Prima di perdere del tutto il
buon umore”.
Thomas scuote il viso, ostinato. “Quel metodo è efficace solo
fino a distanze di cinquanta metri. Noi non possiamo rischiare…”.
“Ma che diamine!”, sbotta Elyon. “Heatherfield sarebbe piena di spioni
che, al momento giusto, entrano non visti nel nostro giardino ben falciato
e sbirciano da più di cinquanta metri di distanza tra le tende chiuse!
Non ti pare…”.
“No, no, il comandante Alborn ha le sue ragioni”, fa Vathek, che comincia
a sentirsi di peso. “Se Caleb mi riaccompagna a Meridian, sono ancora in
tempo per la cena”. Si rivolge al suo amico. “Allora, giovanotto, dico
a Gathrop di aspettarti, o mi mangio anche la tua parte?”. Dal sorrisone
che fa mentre lo dice, non c’è dubbio su che risposta preferirebbe.
“Mangia pure!”, risponde Elyon per lui. “Caleb resta con noi almeno
per un po’ ”. Sottolinea le sue parole prendendolo sottobraccio, e guardandolo
con un’occhiata dolcemente imperiosa.
Il giovane si sforza di non avvampare. “Er… va bene, alt…Elyon. Così
ne approfitterò per vedere qualcosa di Heatherfield. Mi serve qualche
immagine ben nitida per ritornare e vorrei farlo… come dire… con uno stile
migliore di oggi”.
“A proposito”, fa Vathek, “Ti ho già reso il gingillo, Caleb.
Per tornare a Meridian, avrei bisogno di essere accompagnato”.
“O spinto”, aggiunge Elyon sollevando le mani verso di lui. “Porta
i nostri saluti e auguri di buon appetito a questo Galopp!”.
Un debole scintillio illumina l’aria tra i palmi di Elyon e il corpaccione
di Vathek. Il gigante svanisce nell’ormai consueto baluginio, mentre le
sue ultime parole risuonano lontane: “Si chiama Gathrop…”.
Poco dopo, in soggiorno, Caleb si guarda attorno: quattro ampie finestre
schermate da tende e saracinesche; scaffali di libri accostati alla parete;
un grande schermo nero opaco dal dubbio utilizzo; grandi cassettoni che
sostengono vasi e statuette; una vetrinetta con quattro aggeggi dall’aria
sinistra, che qualunque guerriero identifica istintivamente come macchine
da battaglia con rotelle e un palo verso avanti.
“Cosa sono questi…”, chiede.
“Sono modellini di carri armati”, risponde Thomas aprendo la vetrina.
“Quando vivevamo qui…”.
“E come si usano?”, chiede Caleb, afferrandone saldamente uno.
“Atten…”, fa appena in tempo a dire Thomas, prima di sentire un ‘crick’
sinistro. Dal modello si staccano due o tre pezzetti. “E’ molto delicato!”.
“Chiedo scusa”. Caleb, impietrito, lo rimette giù con la delicatezza
che ha sempre riservato solo alle uova fresche. “Sembravano così
robusti… credevo che si usassero come tirapugni”.
“Il mio Sherman”, sospira Thomas. “Va beh, lo riparerò”. Richiude
in vetrina il modellino vandalizzato.
Caleb si guarda in giro a disagio. Non osa chiedere a cosa serva quel
grande schermo nero.
“Quello è un televisore”, suggerisce Elyon. Notando la faccia
dubbiosa di lui, chiarisce: “Come uno specchio magico, ma puoi vedere solo
certe cose”.
“Ah. Certe cose… quali?”, fa lui, per niente illuminato dalla spiegazione.
Eleanor arriva con un vassoio di tè e biscotti, e lo appoggia
sul tavolino. “So bene cosa si prova all’inizio. Questo mondo è
strano, misterioso. Televisori, computers…”. Fa materializzare il cucchiaino
da zucchero sul palmo. “Le prime volte sembra di vivere in uno strano sogno,
poi ci si abitua”.
Dopo un’ultima occhiata sospettosa fuori dalla finestra, Thomas viene
a sedersi alla poltrona.
Elyon spinge Caleb fino al divano, lo fa accomodare, poi si siede proprio
vicino a lui, contenta.
“Allora, Caleb caro, dicevi che Meridian ha bisogno di te. E’ vero. Ma non per organizzare una rivolta”, Gli punta il dito al petto. “Tu dovrai dire a tutti che la regina è in esilio, e che quelle a palazzo sono solo delle usurpatrici. Così limiteremo il danno di immagine per quello che potrebbero commettere”. Lui si sente un po’ più a sua agio. “E’ quello che faccio già”. “Bravo. Ma soprattutto, dovrai dire che è destino che questo stato di cose vada avanti per un anno. Nessuna ribellione. Non voglio rischiare un bagno di sangue. Dì anche che, dopo un anno, io tornerò. La Luce di Meridian, quella autentica, riporterà la libertà, la legalità, la giustizia, insomma sé stessa. E’ tutto chiaro?”. Caleb la guarda dubbioso. “Immagino che dovrei dire di sì, per farti contenta”. Elyon alza un sopracciglio. “Quale parte di ciò che ho detto non è chiara?”. Caleb riflette prima di rispondere. “Le tue parole sono state chiarissime. Ciò che non capisco è il resto”. Fa per alzarsi. “Perché è successo tutto questo? Che relazione ha con la profezia?”. Lei lo tira nuovamente a sedere per la manica. “Ecco qualcosa da andare a chiedere a quella che si spaccia per me”. “Spiegami almeno questo: perché sei andata via prima ancora che quelle là arrivassero?”. Elyon sorride rassicurante. “So che per te è difficile da accettare, ma io sono andata via per limitare i danni. Sapevo che questa tirannia deve durare un anno. Perché combatterla ora?”. Caleb scuote piano il viso. “Non capisco, ma mi adeguerò”. “Grazie, Caleb. Questo te lo chiedo non come amica, ma come tua regina”. Lui annuisce, un po’ amareggiato. |
Passa un minuto in cui si sentono solo i rumori delle tazzine e dei
cucchiaini da tè.
Elyon torna a parlare: “Invece, come amica, ti chiedo: verresti al
cinema questa sera?”.
Gli occhi di Thomas lampeggiano. “E’ fuori questione, Elyon. Vuoi dare
nell’occhio
a tutti i costi?”.
“Perché”, risponde lei indispettita, “Non dà nell’occhio
chiudersi in casa con le tende tirate? O scrutare dalle finestre?”.
Thomas cerca una risposta. “E poi… e poi, le strade sono troppo
pericolose per una regina senza scorta. Se trovi un teppista…”.
“Ci sono pur io a difenderla”, protesta Caleb, portando la mano al
pugnale nascosto sotto il cappotto.
Thomas risponde trionfante: “Ecco, così attireresti l’attenzione!
Conosci troppo poco gli usi di questo mondo”.
Elyon, caparbia, alza la voce. “Grazie a tutti per il pensiero, ma
non sono una donzella così indifesa. Se trovassi teppisti, non ricorderebbero
volentieri questo incontro… se pure lo ricordassero”.
“Fai come vuoi”, risponde asciutto Thomas, alzandosi e tornando a sbirciare
dalle finestre.
“Elyon, il comandante Alborn ha ragione”, riprende Caleb dopo un breve
silenzio. “Con questi vestiti, i miei modi, con queste righe verdi sul
viso…”.
“Quali righe verdi?”, sorride Elyon. “E poi, ci sono io a sistemare
i piccoli inconvenienti”.
Lo fa alzare e lo porta verso lo specchio appeso alla parete.
Caleb si vede riflesso assieme a lei. Mentre la ragazza sorride, lui
si scopre un’espressione perplessa che non si era mai visto prima. Sul
viso non c’è più alcuna riga verde, ed anche i vestiti non
sono più quelli di prima.
“Allora, che ne dici?”, chiede lei.
“Che sei ben decisa a portarmi a questo cinema”, sospira lui.
“Posso almeno sapere che cos’è?”.
“Certo. E’ come un teatro, ma anziché degli attori in carne
e ossa, quella che si vede è una pellicola”.
“Una…pellicola?”, chiede inorridito. Le sole immagini che questa
parola gli evoca sono simili a visceri di strani animali squartati.
Elyon capisce il malinteso. “Cioè, fanno vedere gli attori su
uno specchio magico”.
“Ah…”, fa Caleb, sollevato. “Capisco meglio quando parli in modo realistico”.
“Allora… vediamo…”, dice Elyon sfogliando assorta un depliant comparso
dal niente, “C’è ‘Amare per sempre’ alle sette. Ha vinto il premio
‘Lacrima d’oro’ e tre nomination…”.
Caleb sente le viscere torcersi per l’imbarazzo. “Ma… se per te è
lo stesso… magari tra qualche giorno. Sai, avevo promesso a Gathrop di
parlargli degli sviluppi… Sai com’è, un uomo deve mantenere la sua
parola! E poi…”.
“Puoi sempre parlare domani, a questo Garrlop”, gli risponde un po’
indispettita. Poi sbircia verso i genitori. Thomas è dall’altra
parte della stanza, assorto a scrutare fuori dalla finestra. Eleanor è
sparita in cucina.
Si accosta all’orecchio di Caleb, tirandolo per un braccio per
farlo abbassare. “Stasera potrebbe essere l’ultima occasione”, gli sussurra
all’orecchio.
“Cosa?”. La guarda preoccupato. “Guarda che non ho intenzione di farmi
catturare dalle guardie”.
“Taci, Caleb”, continua a sussurrare. “Entro qualche giorno devo fare
qualcosa di molto pericoloso”. Non c’è più niente di scherzoso
nel suo sguardo.
“Lascia che sia io a farlo”, risponde Caleb, battendosi il pugno sul
petto. “Il ruolo di un guerriero…”.
“No, Caleb. Io, e nessun altro. L’Oracolo mi ha intimato di recuperare
il Cuore di Kandrakar. Lo hanno rubato loro, ma se non lo farò subito
se la prenderà con me”.
“Ma… non è giusto!”.
“Non deve per forza essere giusto. E’ così, e tanto basta”.
“Ti proteggerò. Anzi, andrò io. Conosco bene tutti i
passaggi del palazzo”.
“No, Caleb. Sarò sola, e tenterò di passare inosservata.
Punto!”.
La guarda preoccuipato: non può lasciarla sola nel pericolo.
“Va bene, Elyon. Come vuoi tu. E, tanto per sapere… quando andrai?”.
“Partirò domenica mattina”.
Sguardo di dubbio. “Quand’è domenica, qui?”.
“Tra tre giorni”.
Annuisce, silenzioso. “Avrai tante cose importanti da fare, prima…”.
“Soprattutto una”. Elyon lo guarda languida, con un gran battito di
ciglia. “Allora, mi porti al cinema?”.