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Autore: j a r t    22/02/2016    3 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- 14 -
 
La porta rosso scuro si spalancò e sull’uscio comparve la figura bassina e sorridente di Marco. Anche Michael sorrise lievemente, anche se si sentiva terribilmente in imbarazzo per quello che era successo tra loro al bar. Si salutarono e Marco invece sembrava non darci molto peso, forse stava semplicemente evitando di mettere ancora di più a disagio il riccio. Infatti, non appena i due giunsero in salotto, Marco cominciò subito a parlare di musica. Il cervello di Michael però si staccò per un po’, dato che si era perso ad osservare la stanza: le pareti erano alquanto anonime, ma lo stesso non si poteva dire della mobilia e delle varie decorazioni presenti nel soggiorno, compresi alcuni strumenti musicali poggiati un po’ dove capitava e un bellissimo pianoforte a coda bianco nell’angolo in fondo alla stanza.
«Michael, ma mi stai ascoltando?» Lo rimbeccò Marco, leggermente irritato dalla distrazione del riccio.
Gli occhi di Michael però si illuminarono non appena vide quel bellissimo pianoforte, e ignorò Marco per avvicinarsi in fretta allo strumento e sedersi allo sgabello. Aveva un sorriso da orecchio a orecchio e sfiorò con delicatezza i tasti del pianoforte, come se avesse quasi paura di rovinarli. Ne aveva uno identico nell’attico di Danny e gli mancava da morire, era troppo tempo che non ne vedeva uno così bello.
Si morse il labbro e spostò lo sguardo rapito lungo tutto il profilo dello strumento musicale. Marco si avvicinò a lui sorridente.
«Ti piace?»
«È belissimo. Mi ricorda tanto quelo che avevo io una volta» sussurrò emozionato.
Marco tolse i suoi spartiti musicali dal pianoforte e li poggiò su un mobile poco distante, poi si sedette sullo sgabello accanto a Michael, che gli lasciò un po’ di spazio.
«Suonami qualcosa.»
Michael lo fissò di scatto e divenne paonazzo in volto.
«No penso che è una buona idea» sussurrò, tornando a guardare davanti a sé con aria cupa.
«Perché?»
Perché ancora una volta si stava sottovalutando, credendo che ciò che lui aveva composto non fosse abbastanza da essere ascoltato. Poi però gli tornò in mente la promessa che aveva fatto a Federico, sulla sponda pietrosa di Bereguardo: basta essere insicuri, basta credere di non essere abbastanza.
Michael sorrise teneramente al pensiero di quella giornata e quello gli diede la forza per voltarsi di nuovo verso Marco e parlare.
«Ok, ti facio ascoltare una che ho scritto poco tempo fa.»
Marco annuì con interesse e vide le mani un po’ incerte di Michael posarsi sulla tastiera. Il riccio non aveva più toccato un vero pianoforte da un po’, se si escludevano le incursioni a La Feltrinelli dove era andato quasi tutti i giorni per suonare al pianoforte esposto, finché non era poi stato cacciato dal negozio. Perciò si prese un attimo per concentrarsi, dopodiché le sue dita si mossero praticamente da sole sulla tastiera e si sentì veramente a casa.
 
Oh, Billy Brown had lived an ordinary life
Two kids, a dog, and then the cautionary wife
But while it was all going accordingly to plan
Then Billy Brown fell in love with another man
 
Brown, oh, Billy Brown
Don't let the stars get you down
Don't let the waves let you drown
Brown, oh, Billy Brown
Gonna pick you up like a paper cup
Gonna shake the water out of every nook
Oh, Billy Brown
Who’s Billy Brown?
 
Michael si fermò perché la canzone non era ancora completa, aveva scritto solo quella prima strofa e il ritornello. Posò le mani sulle sue cosce e ripensò al fatto che quella canzone l’aveva scritta per Federico. Federico era Billy Brown. L’aveva scritta quando il tatuato stava ancora con Giulia e gli aveva rivelato di essersi innamorato di lui, di un uomo, nonostante avesse una vita felice con la sua ragazza.
«Sei bravissimo.»
La voce bassa e rapita di Marco lo riportò alla realtà e Michael riuscì a sorridere senza imbarazzo, finalmente.
«Grazie» sussurrò allargando il sorriso.
Anche Marco sorrise e il suo sguardò andò a posarsi sulle labbra del riccio. Michael se ne accorse e avrebbe tanto voluto dire qualcosa per farlo guardare altrove; si sentiva così a disagio che si agitò leggermente, ma per fortuna quello bastò a far rinsavire Marco, che si girò indietro ad adocchiare lo stereo che teneva in casa. L’uomo si alzò e scelse fra alcuni CD che possedeva, quindi ne inserì uno e schiacciò il tasto play.
«Questa è solo strumentale, non ci ho ancora scritto le parole. Però l’ho composta con alcuni ragazzi che conosco.»
La musica partì quando Marco stava ancora terminando la frase. Michael ascoltò con interesse: c’erano alcuni suoni molto particolari uniti agli accordi di chitarre e basso elettrici, così come poteva chiaramente riconoscere i sintetizzatori. Forse quella traccia non aveva ancora un ritmo ben preciso, ma era decisamente coinvolgente.
«Bello. Forse toliendo alcuni strumenti il ritmo diventa più chiaro» decretò sovrappensiero Michael.
Marco annuì e guardò pensieroso lo stereo.
«Lo proporrò ai ragazzi» sussurrò.
La traccia terminò e il CD nello stereo continuò a girare a vuoto finché Marco non premette il tasto stop. Michael si soffermò a guardare gli abiti di Marco e allora anche quelli acquistarono senso se inseriti in un contesto di stile più ampio che prevedeva anche la sua musica: Marco indossava una camicia bianca a maniche molto larghe svogliatamente inserita in un paio di pantaloni neri di pelle, molto stretti.
«Ti hanno già fatto proposte discografiche?» Domandò Marco mentre andava a sedersi sul divano poco distante.
Gli fece cenno di sedersi accanto a lui e il riccio lo seguì.
«No» disse tristemente. «Anche se io provo sempre a mandare demo. E tu?»
«Neanche. Ma non dispero.»
Si sorrisero. Poi Marco spostò un riccio dalla fronte del ragazzo e questo capì dove voleva andare a parare. Si ritrasse bruscamente dalla sua presa.
«Marco, ti prego. Io sono qui solo come amico. Se tu vuò fare qualcosa di più no va bene.»
Marco rise leggermente.
«Sono serio» ribadì l’altro.
«Ok, ok, volevo solo vedere la tua reazione! Rilassati, stavo scherzando.»
Michael sorrise.
«Qualcosa da bere? Scotch, rum, grappa... dimmi tu» Gli domandò allora.
«Ehm... un succo di fruta c’è?»
Marco scoppiò in una forte risata che imbarazzò leggermente il riccio.
«Se proprio vuoi... sei il primo ospite che non mi chiede un alcolico!»
Michael corrugò la fronte.
«Io mi farei domande su che tipo di ospiti tu porti in casa tua!»
Entrambi risero e Marco si diresse in cucina.
«Pera va bene?» Urlò dalla cucina e Michael rispose di rimando urlando un’affermazione.
Marco tornò in soggiorno porgendo al riccio il bicchiere e sedendosi accanto a lui.
 
Federico, a casa sua, era a dir poco roso dall’ansia: faceva avanti e indietro per tutto l’appartamento e aveva seriamente paura che potesse succedere qualcosa tra Michael e Marco Castoldi. Era vero che gli aveva dato fiducia, ma non poteva davvero evitare di essere in pensiero. In ogni caso, se tra i due fosse successo qualcosa, di certo non l’avrebbe scoperto subito. E la possibilità di essere cornuto per chissà quanto tempo lo mandava ancora più in ansia. Ad un certo punto decise di calmarsi e fece un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene.
Il suo cellulare vibrò e Federico si precipitò a recuperarlo dal tavolo come se fosse una questione di vita o di morte.
 
16:26
Inviato da: Patatone :B
Amore vieni apprendermi <3
 
Federico rise.
 
16:27
Inviato a: Patatone :B
Certo, vengo A PRENDERTI subito AHAHAH <3
 
16:27
Inviato da: Patatone :B
NON RIDERE BASTARD
 
 
Dopo varie bestemmie per ricordare la strada in cui abitava Marco, Federico fermò l’auto di fronte alla villetta dell’uomo.
 
17:01
Inviato a: Patatone :B
Mich sono fuori. <3
 
Dopo pochi minuti la figura alta di Michael e quella di Marco comparvero sulla porta. Si scambiarono le ultime parole e si salutarono con un sorriso, poi Michael entrò in macchina. Federico si allungò a baciarlo sulle labbra e l’altro ricambiò, poi si separarono con un rumoroso schiocco.
Erano entrambi di buon umore, almeno apparentemente, perché Federico dentro era ancora pieno d’ansia. Michael quasi saltò sul posto dopo aver messo la cintura.
«Lossai che Marco ha tanti strumenti musicale? Ha un belisimo pianoforte bianco e una chitara, un basso, un synth anche!»
Federico annuì sorridendo.
«Mi ha fato sentire anche la sua musica. Aveva un CD con una tracia mooolto interesante, anche se un po’ confusa.»
Federico continuava ad annuire mentre guardava la strada davanti a sé.
«Ho suonatto anche una mia canzona e lui ha detto che li piace molto! Ha deto che sono bravo a cantarre! E poi mi piace la sua casa, è strana, è divertente. Really funny!»
Michael continuava a blaterare come un bambino troppo eccitato e Federico non riuscì più a tenere nascosta la sua gelosia. Non poteva farci nulla, era più forte di lui.
«Allora perché non vai a vivere a casa sua, se ti piace tanto? Magari ti fa anche suonare il suo kazoo
Michael si zittì improvvisamente, rigirandosi a guardare il finestrino alla sua destra.
«No capisco perché tu sei così geloso. Hai deto che ti fidavi di me e io non ho traditto la tua fiducia. Però continui a tratarmi male lo stesso.»
La voce di Michael era flebile e triste. Federico sospirò: si era rivelato ancora una volta un idiota che non riusciva a porre un freno alla sua gelosia.
«Scusa. Hai ragione, mi dispiace. È che questa parte del mio carattere non riesco a controllarla, sono molto geloso quando si tratta di te» borbottò.
Il riccio si rigirò verso di lui e gli sorrise dolcemente.
«Sinifica che mi ami.»
«Tantissimo.»
 
La terza settimana di giugno arrivò con un’esplosione di afa. Era la settimana di ferie di Michael e Federico, giacché entrambi avevano insistito con i rispettivi datori di lavoro per far combaciare le loro vacanze. Durante i mesi avevano messo tutti e due da parte un po’ di soldi - nonostante le bollette e i loro stipendi quasi da fame - e avevano acquistato uno Smartbox che includeva cinque giorni a spasso per l’Europa, con soggiorni nei migliori hotel tre stelle di Parigi, Londra e Berlino. Il riccio aveva insistito particolarmente per le prime due città, dato che ci aveva passato anni della sua infanzia e della sua vita. Federico aveva accettato, ignaro del fatto che Michael sarebbe stato sovraeccitato per tutto il tempo.
Perciò quella mattina si recarono all’aeroporto, trolley in mano e occhiali da sole inforcati.
 
Nonostante Michael avesse occupato il posto accanto al finestrino, Federico si sentì comunque male due volte durante il viaggio d’andata, a causa delle vertigini. Il personale di volo e il suo ragazzo lo aiutarono a stare meglio, infatti poi si calmò e si addormentò sulla spalla del riccio.
 
Arrivarono in un’ora e mezza a Parigi, la prima meta del loro viaggio estivo. Raggiunsero l’hotel in cui avrebbero alloggiato solo grazie all’abilità linguistica di Michael, che avendo vissuto in Francia per anni conosceva benissimo il francese.
«Oui, oui, d’accord» rispose Michael al receptionist, dopodiché fece cenno a Federico di seguirlo per sistemarsi nella loro camera.
Entrarono nella stanza 201 e notarono che era piccola ma graziosa. Ed era anche più di quanto si aspettassero, con quello che avevano pagato lo Smartbox. Poggiarono le loro valigie in un angolo e Michael non ebbe neanche tempo di realizzare che si trovò disteso sul letto con Federico a cavalcioni su di lui.
«Ti ho mai detto che sei maledettamente sexy quando parli in francese?»
Il riccio rise e il tatuato lo zittì con un bacio.
«Faciamo l’amore ne la città del’amore» rise ancora Michael e anche Federico si lasciò andare ad una risata, incerto se la causa fosse la battuta o gli errori grammaticali del suo ragazzo.
 
Dopo aver inaugurato il letto matrimoniale della loro stanza, Michael decise che era tempo di cominciare l’itinerario che aveva preparato. Federico uscì dal bagno frizionandosi i capelli con l’asciugamano, addosso l’accappatoio di Michael che gli stava troppo grande. Il riccio era invece seduto sul bordo del letto e leggeva sul suo cellulare.
«Fedé, muoviti! Dobiamo cominciare la visita di Parigi tra dieci minuti, se no non posiamo vedere tutto.»
Il tatuato annuì ma non accelerò comunque il ritmo. Michael alzò lo sguardo dal telefono e lo guardò seccato.
«Dai!» Lo incitò, poi prese una t-shirt e un pantalone di Federico a caso dall’armadio e glieli prose. «Meti questi!»
Federico rise nel vederlo così agitato ma non disse nulla ed eseguì gli ordini del riccio.
Un quarto d’ora dopo erano entrambi pronti per uscire dall’hotel. Il clima non era particolarmente umido, non come in Italia, e perciò girarono tranquilli per tutta la giornata. Michael ci tenne particolarmente a visitare il Museo d’Orsay, la cattedrale di Notre Dame e Montmartre, rimandando il resto al giorno seguente. Federico non era abituato a viaggiare e visitare tutti quei monumenti, ma si fece contagiare dall’entusiasmo del suo compagno e perciò sentì la stanchezza solo a fine giornata, quando tutta l’adrenalina che aveva in corpo terminò - e fu così anche per Michael. Il riccio decise che avrebbero cenato in un ristorante lussuoso sulle rive della Senna e Federico, nell’udirlo, aggrottò la fronte.
«Mich, ma questo non era incluso nello Smartbox... c’era un altro ristorante.»
«Lo so!»
Michael gli rivolse un grosso sorriso.
«Volevo farti una sorpressa
Federico restò un po’ di sasso mentre il riccio rovistava nell’armadio alla ricerca di un completo elegante. Il tatuato si girò verso di lui con sguardo serio.
«Mich, quanto hai speso?»
Il riccio fermò l’attività e si voltò verso l’altro. Sorrise.
«No ti importa.»
«Certo che mi importa.»
«Ho un lavoro, Fedé, e volevo farti una sorpresa! Rilasati
Michael rise e anche a Federico venne da sorridere, più che altro per il gesto tenero del suo ragazzo.
Ci misero un po’ di tempo per tirarsi a lucido - soprattutto perché Federico aveva a stento un completo e non proprio elegante - ma alla fine chiamarono un taxi e si diressero al ristorante.
Federico, non appena lo vide, restò a bocca aperta: era un ristorante troppo di lusso, e la vista della Senna lasciava senza fiato. Si sentì quasi in colpa, perché Michael doveva aver speso una fortuna per quella cena. Il riccio sbrigò tutte le questioni pratiche che richiedevano l’uso del francese, poi si accomodarono ad un tavolino grazioso che sporgeva giusto sul fiume. Federico si perse ad osservare Michael che sistemava il tovagliolo sulle gambe e gli nacque spontaneo sul volto un sorriso dolce: Michael era un ragazzo d’oro, come faceva a considerarsi un disastro? E come poteva sua madre non vedere quanto fosse perfetto per lui?
Il riccio si accorse che lo stava fissando e aggrottò la fronte.
«Fede?»
L’altro si riscosse e sistemò anche lui il proprio tovagliolo sulle gambe.
«Ti amo» disse senza smettere di sorridere.
Michael arrossì leggermente, ma per fortuna era notte e nessuno si sarebbe accorto di quel colorito. Poi sorrise arricciando il naso in quel modo che Federico adorava.
«Ti amo tanto anche io.»
 
A fine cena sia Michael sia Federico erano esausti, un po’ per la stanchezza della giornata, un po’ per aver mangiato tanto e bene. Michael fece un piccolo sbadiglio con la mano davanti alla bocca, ma Federico lo notò lo stesso e sorrise dolcemente. Poi venne da sbadigliare anche a lui, ovviamente. Quindi entrambi si guardarono un attimo negli occhi e scoppiarono a ridere.
«Ho voluto fare questa cena per chiederti scusa, Fedé. Mi sono comportato male per quelo che è successo con Marco al bar.»
Michael abbassò lo sguardo sulla superficie del tavolino.
«Ma anche perché ogi sono due mesi» rialzò lo sguardo su di lui.
Federico aggrottò la fronte.
«Due mesi di cosa?»
«Ma di noi! So che non ti piace queste cose, però in qualche modo volevo festegiare
Il tatuato sorrise teneramente, anche se gli sorse un dubbio.
«Mich, ma noi non abbiamo stabilito un giorno ufficiale per il nostro fidanzamento.»
«Lo so. Perciò ho contato i giorni da quando tu ha detto che mi amavi per la prima volta.»
Federico trovò tutto davvero molto tenero, perciò non poté fare a meno di sporgersi sul tavolino e baciare Michael sulle labbra.
 
Il giorno dopo Michael si svegliò in forze, mentre Federico era ancora più nel mondo dei sogni. Scesero comunque a fare colazione con un bel caffè e un croissant al cioccolato, poi si diressero verso la prima meta del giorno: il Museo del Louvre. Ovviamente non riuscirono a visitarlo tutto, ma chiesero ad una guida di portarli nelle zone più conosciute del museo e in poco più di due ore furono fuori. Michael lo portò agli splendidi giardini delle Tuileries sino a Place de la Concorde. Pranzarono al volo in un bar vicino, poi si avviarono verso gli Champs-Elysées.
Nel primo pomeriggio si trovarono nei pressi dell’Arco di Trionfo. Qui si presero una pausa perché mancava da visitare solo la Tour Eiffel e lo avrebbero fatto più verso sera.
Erano entrambi stanchissimi da quella lunga camminata, ma ne stava valendo decisamente la pena. Spesso, mentre Michael era concentratissimo nel leggere l’itinerario, Federico si perdeva ad osservarlo e gli nasceva spontaneo un sorriso ogni volta; e poi si domandava come aveva fatto per tutto questo tempo senza di lui.
 
«Fedé, andiamo a la Tour Eiffel!»
Michael lo strattonò per un braccio con un sorriso smagliante sul volto. Era ormai buio e il riccio aveva insistito tanto per aspettare la notte: in questo modo avrebbero avuto una vista ancora più bella di tutta la città dal monumento.
Salirono con un gruppo di persone e quando arrivarono in cima Michael si precipitò verso la ringhiera, per osservare meglio tutta la città illuminata. Federico lo seguì senza parole. Dall’alto Parigi era un bellissimo miscuglio di lucine colorate alternate a zone di buio. Tutta quell’atmosfera fece commuovere Federico, che in poco tempo si ritrovò con gli occhi lucidi. Tirò su col naso e Michael si voltò verso di lui. Inizialmente lo guardò preoccupato, poi capì che era commosso e sorrise.
«Fede, tu sta piangendo!» Ridacchiò.
Federico negò con la testa, ma il riccio circondò la sua vita con un braccio e poggiò la testa sulla sua spalla, continuando a sorridere e a guardare il bellissimo panorama.
Il tatuato si staccò leggermente e accarezzò sorridendo i riccioli di Michael, scostandoli dalla sua fronte per posargli un bacio. Michael arricciò il naso e ridacchiò.
Trascorsero almeno mezz’oretta così, abbracciati a guardare il panorama, senza la paura di essere visti in malo modo dagli altri.

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ANGOLO AUTRICE
NIENTE ANGST. Stavolta niente angst, yeeeeh. Sono stata too much buona. Adesso i due piccioncini si godranno questa bella vacanza e noi li spieremo come delle vecchie comari che filano la calza e si fanno i fatti degli altri. OuO 
Comunque ci tenevo a dire che questa storia sta andando troppo bene, non lo avrei mai pensato <3 e invece la state riempiendo di attenzioni qui e su Wattpad, e veramente non so come ringraziarvi <3 anzi, lo so: con un bel po' di fluff :* se lo meritano i patatoni e anche voi <3 e poi troppo angst stanca. v.v
Ringrazio per le recensioni, le letture, T U T T O <3
Vi amo <3

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