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Autore: shanna_b    25/03/2009    4 recensioni
E Tomo? Una rock star come lui dite che sia esente da dubbi lavorativi e problemi di cuore? E se, improvvisamente, un giorno, il suo sound non funzionasse più, la sua ragazza l'avesse mollato, i Leto lo volessero sopprimere e lui dovesse addirittura andare a scuola di chitarra? Guai seri, mie care, guai seri!
E poi nessuno che dedichi una ff al timido, amabile, delicato chitarrista dei 30 Seconds to Mars? Meno male che ci pensa la Shanna_b!!
Dedicata quindi a tutte le fans di Tomo e a Tomo stesso, sapendo che, al solito, io non lo conosco, non ho idea di come sia, non prendo soldi, non mi appartiene etcetc... Leggete e commentate!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tomo Miličević
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DEL COME DANA SI ACCORGE CHE LA SUA VITA E’ IMPROVVISAMENTE PIENA ZEPPA DI SARCOFAGI IMPOLVERATI, MUMMIE VENERATE, FOSSILI VIVENTI E ANIMALI IMPAGLIATI.

 

 

Dana se ne stava comodamente seduta, con un libro di Fisica in mano, sul divano della biblioteca della villa di Julius, e osservava con interesse la perfetta riproduzione del terzo sarcofago dorato di Tutankhamon in piedi appoggiato ad una parete e che brillava alla luce del caminetto acceso: ne osservava i lineamenti del viso, gli occhi scuri dipinti, i colori accesi e si chiedeva come dovevano essere la vita e i pensieri di un faraone bambino, morto a sedici anni, vissuto quasi tremila anni prima e che ora si trovava mummificato al museo di Londra, ammirato ed onorato, quasi come se fosse vivo.

Eppure…

Dana si sentiva strana, perplessa, allucinata, forse come se si fosse mummificata anche lei, come se la sua vita fosse immobile, ferma, polverosa. Erano sei mesi che si era spostata in Inghilterra,  che studiava alla prestigiosa Università di Oxford, che viveva in quella splendida dimora ottocentesca incastonata nella pianura intorno alla cittadina inglese, ma… ancora non riusciva a sentirsi del tutto a casa sua.

C’era qualcosa che non andava, davvero, ma Dava non riusciva a capire cosa. Ci stava pensando da un po’: tutto sembrava scorrere come aveva previsto e, spesso, desiderato ma… c’era un qualcosa che non quadrava, i conti non tornavano.

Dana si sistemò meglio sul divano e cominciò a pensare alla sua situazione: aveva lasciato la soleggiata California per tuffarsi nella perenne nebbia inglese ed ora, in un tardo pomeriggio novembrino, quasi si sentiva come se quella nebbia avesse invaso la sua anima e come se i suoi stessi sentimenti e pensieri le giungessero ovattati, attenuati. Si mise a fissare le fiamme, rabbrividendo e stringendosi addosso la felpa con il simbolo dell’Università di Oxford stampato davanti.

Eppure…

Passò gli occhi sui ritratti degli antenati dei Carnarvon appesi alle pareti. Nonostante l’imponente albero genealogico, la famiglia di Julius, presso cui viveva su insistenze del ‘professorino’, era una famiglia di studiosi genialoidi piuttosto atipica: a differenza dei Lord inglesi caratteristici, aristocratici e con la puzza sotto il naso, i Carnarvon erano molto alla mano, non avevano alcun preconcetto contro gli americani e l’avevano accettata fin dal primo giorno, come ospite di riguardo del loro unico figlio. Il padre di Julius, James, medico di mestiere, passava la maggior parte della settimana a Londra, alla Camera dei Lord, ed il resto del tempo nel suo ambulatorio nel centro di Oxford, mentre la madre, Eve, entomologa di professione, si divideva tra l’Università, la sua collezione di insetti infilzati in spilli e piccoli animali impagliati, e le sue varie organizzazioni benefiche. Insomma, i Carvarvon erano delle gran brave persone e Dana non avrebbe potuto sperare di capitare meglio.

Eppure…

Poi c’era Julius, che Dana non riusciva ad inquadrare del tutto, però: il professorino andava e veniva tra Università e il circolo degli scacchi, l’aiutava con il dottorato, era sempre cortese e disponibile e non le chiedeva nulla. Dana si sarebbe aspettata da Julius una qualche forma di corteggiamento (visto che a Los Angeles, la sera della cena, l’uomo le aveva fatto intendere di essere ‘interessato’ a lei), ma il giovane, da quando erano arrivati in Inghilterra, non parlava mai di loro, non le aveva chiesto di fidanzarsi con lui o cose simili, non faceva avance di alcun tipo e Dana stranamente percepiva come se Julius stesse aspettando qualcosa, una presa di posizione da parte della ragazza, un evento risolutore, un primo passo da parte di Dana, che la ragazza non aveva nessuna intenzione di fare. Non sapeva nemmeno lei perché. Qualcosa la bloccava e le pareva di essere in un limbo. Forse perché quello non era del tutto il suo mondo? Non era certa della sua scelta? Ma sì che lo era… o no? Chissà…

E poi…

Le mancavano da morire il mare della California, il profumo dell’oceano, la sua piccola casa, Jane, sua nonna, i suoi genitori, suo zio, e, soprattutto, le mancavano la musica, la sua chitarra elettrica, quelle emozioni uniche che provava quando suonava, su di un palco o nel salotto di casa sua, le note che si spandevano nell’aria, l’armonia delle melodie suonate… Le mancavano i suoi pazzi FourLeafClover, George, il piccolo Tom e Carlo, e anche se li sentiva via mail o li incontrava su FaceBook, non era la stessa cosa: erano troppo lontani, dall’altra parte del mondo, in tutti i sensi ormai. Tra l’altro i ragazzi, per una forte forma di rispetto e affetto nei suoi riguardi, non l’avevano ancora sostituita, il posto di chitarrista dei FourLeafClover era vacante e il contratto con la XYZ-California perennemente in alto mare. E questa cosa le metteva una tristezza tremenda.

Dana sospirò.

Pazienza.

Ormai aveva scelto.

Non poteva più tornare indietro.

Eppure…

In realtà c’era ancora una questione aperta, una pratica ancora da evadere, una porta ancora spalancata, una voragine da riempire.

Dana faceva di tutto per non pensarci ma non ci riusciva.

Ogni tanto un viso faceva capolino tra i suoi ricordi.

Tomo.

Al pensiero, Dana si alzò di scatto dalla poltrona.

No.

Non poteva pensare a Tomo.

Non doveva.

Tomo in parte rappresentava il mondo che lei aveva lasciato e quindi non doveva pensarlo mai più.

MAI PIU’.

Eppure…

Non si era comportata bene con lui, lo sapeva, ma non aveva potuto fare altrimenti, non aveva avuto scelta. Si augurava solo che non avesse sofferto troppo, che non la amasse così tanto da patirne. Contrariamente alle classiche storie d’amore che tutte le donne sognano, Dana sperava di essere stata per lui soltanto una delle tante, il calore di una notte, il ricordo di un momento e si illudeva di poter essere scordata presto. Ma non ne era sicura, visto che Tomo sembrava molto preso e questo le dispiaceva.

Dana andò alla finestra e cominciò a scrutare il giardino ormai buio: chissà dov’era, ora, Tomo… magari la stava pensando, oppure no… preso dai suoi mille impegni di rockstar l’aveva subito dimenticata. Per un momento pensò al bel sorriso di quel ragazzo, ai suoi occhi neri, alle espressioni del suo volto. Dana sospirò: sì, meglio così, meglio per tutti se l’avesse scordata.

Non era la donna giusta per lui, per tanti diversi motivi… o forse per uno solo.

Eppure…

Il cellulare le squillò improvvisamente in tasca e Dana sobbalzò. Rispose senza guardare chi fosse, tanto solo pochissimi conoscevano il suo numero (sua nonna, i suoi genitori, Julius e George).

“Pronto?”

“Ciao, Dana! Sono Sarah! Ho avuto il tuo numero da Julius. Come stai?”

Dana si sorprese un attimo: Sarah era la cugina di Julius, una ragazza un po’ pazza con cui aveva fatto amicizia subito dopo averla incontrata ad un cena di famiglia. Ogni tanto le due ragazze, che avevano più o meno la stessa età, si incontravano ed uscivano insieme a fare shopping per scambiare quattro chiacchiere e Sarah le chiedeva sempre di Los Angeles, perché avrebbe voluto frequentare un master in Economia alla UCLA. Sebbene anche Sarah fosse una ‘Lady Carnarvon’, di aristocratico non aveva proprio nulla, tanto meno il comportamento, e poteva essere scambiata per una studentessa come tante, tranquilla e che non se la tirava minimamente. Dopotutto era una ragazza con cui si poteva parlare e Dana fu contenta di sentirla.

“Ehi! Bene! E tu?”

“Hai trovato qualche reperto archeologico seppellito nel giardino della topaia dei Carnarvon o ti basta mio cugino?”

Dana scoppiò a ridere: Sarah prendeva in giro Julius, la villa e la famiglia da quando aveva il lume della ragione. “Non ho cercato, a dire il vero…”

Sarah sbuffò: “Ma anche se cerchi, dove diavolo pensi di trovarlo un altro fossile come lui? Mettilo in vetrinetta sennò prende polvere, eh…”

L’idea di spolverare Julius e metterlo in vetrina era piuttosto ridicola e Dana non riusciva a smettere di ridere: “Dai, basta, mi vuoi far morire dal ridere… a cosa devo l’onore della tua telefonata?”

“Vorrei invitarti ad un addio al nubilato di una mia amica.”

Dana ritornò verso il salotto e si risedette sul divano: “La conosco?”

“No, ma che ti importa?”

“Mah, così,  non so… devo chiedere a…”

Sarah la interruppe subito: “A chi, al fossile? Ma per favore… O vi siete fidanzati nel frattempo, ti ha rinchiuso in una tomba egizia  e non lo so?”

Dana disse, in un soffio: “No, macchè fidanzati…”

“E allora non devi chiedere a nessuno, dai. Ti passo a prendere dopodomani in mattinata e andiamo a Londra…”

“Londra?”

“Sì, sì. Abbiamo preparato alla futura sposa una cena come si deve in un locale di Soho con contorno di spogliarellisti muscolosi e forse anche un po’ gay! Ci divertiremo da pazze, vedrai… E prima della cena andiamo anche ad un concerto…”

Dana aggrottò le sopracciglia, incuriosita: “Che concerto?”

“Sorpresa. La futura sposa adora questo gruppo e le facciamo una sorpresa.”

MUSICA? Gruppo? Che gruppo? “Mi dici il nome?”

“Uhm… non è che me lo ricordo, sai… l’avevo scritto anche qui ma… dove avrò buttato il foglio… boh… comunque è alla Brixton Academy, sabato sera alle nove. Ho già cinque biglietti, anche per entrare alla festa che c’è dopo il concerto, in un locale lì vicino. E, mi raccomando, vèstiti di bianco…”

“Di bianco?”

“Sì. E se puoi anche in stile anni trenta…”

Beh, certo. Ne aveva giusto un guardaroba intero di abiti bianchi in stile ‘anni trenta’: “Ma è una festa in maschera?”

Dana si immaginò Sarah che faceva spallucce: “Boh, non so… è una cosa così, che ne so… Comunque per il vestito chiedi alla tua futura suocera, vedrai che ha sicuramente qualcosa… o ti fai comperare un vestito dall’essere in via d’estinzione…”

Sì, come no? La madre di Julius ne aveva sicuramente qualche esemplare, di vestiti del genere, magari ereditati dalla nonna. E, no, a Julius non era il caso di chiedere niente. “OK, dai.”

“Bene allora. A sabato! Ciao, carissima, e salutami tutta la famiglia Addams con cui vivi!”

Dana salutò a sua volta sghignazzando e riprendendo il libro in mano.

Sì, forse le serviva farsi un giro lontano da lì, frequentare un po’ di gente diversa, delle ragazze divertenti, fare un po’ di casino, andare ad un concerto, divertirsi un pochino. Ne aveva bisogno, dopo sei mesi passati a studiare e a rimuginare sul suo malessere. Magari era soltanto stanca e uno stacco di un paio di giorni da tutto poteva servirle a ricaricare le pile. O a farle vedere le cose in un altro modo.

Dana sospirò per l’ennesima volta e si stiracchiò, sbadigliando e chiudendo gli occhi, ma, nel buio che trovò dentro la sua mente, l’unica cosa che vide fu il sorriso di Tomo.

Aprì gli occhi di scatto, sobbalzando…

Eppure…

   
 
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