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Autore: Petricor75    27/02/2016    0 recensioni
[Alien: La Clonazione/Resurrection Special Edition]
Avevo già scritto in passato qualcosa post Alien Resurrection, ma è andato perduto negli anni, fu la mia prima fanfiction, in realtà era una specie di script.
Questa storia è totalmente diversa e prende spunto dalla versione Director's Cut.
Nel finale alternativo di questa edizione, Ripley e Call discutono sul da farsi, dopo essere atterrate con la Betty poco lontano da una Parigi distrutta.
Trovo che prima Whedon e poi Jeunet abbiano fatto un ottimo lavoro, soprattutto con questo prodotto, non solo mettendo in risalto l'ambiguo rapporto tra la nostra protagonista e la piccola androide di nome Call, ma anche caratterizzando una nuova Ripley, frutto del mix di materiale genetico con gli xenomorfi. E poi, Jeunet è un maestro del noir.
Ci sono anche molti, sottili e meno sottili richiami a Newt, che ho trovato piacevoli.
Alien e i suoi personaggi non mi appartengono e questa storia è stata scritta senza nessuno scopo di lucro.
E un ringraziamento speciale a GirlWithChackram, che si è fatta coinvolgere e mi ha aiutata a correggere le sviste :)
Aggiornamento: Questa fanfiction farà parte di una serie, dato che sono in procinto di pubblicare altro materiale correlato.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Strangers'
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"Coraggio, Ironside!", esclamò energico Johner afferrando di peso Vriess.
Le due ombre scure scomparvero nell'interno illuminato della piccola nave. Le donne osservarono il portello chiudersi e poco dopo la Betty si sollevò dolcemente da terra e si allontanò orientando i reattori alla giusta angolazione.

Quando il rombo della nave fu ormai poco più che un lamento in lontananza, Call attivò il suo modulo a infrarossi e si voltò per esaminare la loro posizione, confrontandola con la cartografia archiviata nella sua memoria.

"Da che parte?", chiese distrattamente Ripley osservando a sua volta il paesaggio. Non ottenendo risposta si voltò a guardarla. La ragazza era ferma, poco lontano da lei, con gli occhi fissi verso un punto imprecisato, sembrava essersi isolata come quando, collegata manualmente al computer dell'Auriga, analizzava i dati di bordo e prendeva il controllo di Father.
"Pensavo che avessi bruciato il tuo modem!", le disse Ripley sentendosi tradita. L'androide sembrò non badare a lei. La donna non si arrese, la sensazione di essere stata raggirata non le piaceva affatto.
"Call!", la chiamò con voce ferma. Questa volta la giovane si voltò a guardarla con aria interrogativa.
"Avevi detto di aver distrutto il tuo modulo wireless!", ribadì la donna alta.
"L'ho fatto! Perché me lo chiedi?", domandò distrattamente.
"Ti sei alienata, come quando eri collegata a Father, com'è possibile?", domandò in tono ostile l'ibrido.

Call percepì il sentimento, ma decise di non dargli peso. "Mi succede quando accedo alla mia banca dati.", tagliò corto. Vedendo lo sguardo indagatore e perplesso della sua interlocutrice, cercò di essere più chiara.
"Noi Auton siamo stati costruiti con diversi tipi di memoria. La mia banca dati è solo un grande archivio pieno di informazioni più o meno utili, sono lì, ma è come se non ci fossero, fino a quando non mi servono. La prima volta che accedo ad una di queste nuove informazioni, il mio sistema la trasferisce automaticamente dall'archivio alla memoria personale, il mio vissuto, insomma, ed è qui che si arricchisce tramite le mie esperienze e le mie emozioni.", concluse osservandola annuire.
"Mi dispiace, avrei dovuto avvertirti, forse.", aggiunse vergognandosi di quello che riteneva uno dei suoi tanti difetti di fabbricazione.
"Va tutto bene... anche la mia memoria fa i suoi capricci.", scherzò l'ibrido in tono comprensivo.

"Allora... da che parte?", la spronò.
"A sedici chilometri in quella direzione.", informò allungando un braccio verso il punto indicato.
"È l'area boschiva più vicina, sarà più semplice trovare acqua e riparo.", concluse.
"Bene, muoviamoci, voglio arrivarci prima dell'alba.", rispose energica avviandosi nella direzione indicata dalla compagna. Dopo pochi passi si accorse di non essere seguita. Puntò gli scarponi a terra, sollevando una nuvola di polvere e si girò infastidita per capire quale fosse il problema.

"Io devo raggiungere la zona industriale, recuperare diversi kit di riparazione.", spiegò guardando in direzione della metropoli distrutta.
"Ho già perso troppi fluidi e se non trovo il modo di rimpiazzarli e riparare i vasi danneggiati, presto sarò talmente a secco che il mio sistema andrà automaticamente in ibernazione e sarò inservibile.", la informò osservandola avvicinarsi.
Un moto di rabbia la invase sentendola parlare di sé con quel linguaggio tanto tecnico. Si morse l'interno della guancia per imporsi di non discuterne.
"Ok, andiamo.", disse semplicemente cambiando direzione.
"Ripley, ti raggiungerò nel giro di un paio di giorni al massimo.", replicò Call.
"Ah, sta' zitta!", l'apostrofò la donna superandola. Iniziò a marciare prendendo come punto di riferimento la carcassa spezzata della Torre Eiffel, appena visibile al crepuscolo, tendendo un orecchio per assicurarsi che la giovane la stesse seguendo.

C'era cascata un'altra volta. Aveva permesso alla rabbia di nutrire la Bestia e ancora una volta si era sfogata sull'unica persona che in questa vita contasse qualcosa per lei. In realtà capì di non essere affatto arrabbiata con l'amica, ma con sé stessa.
Se Call si era comportata come se fossero destinate a separarsi era stato a causa del suo comportamento. Era a causa sua se non l'aveva messa al corrente prima di quanto fosse grave la sua ferita e di quanto fosse urgente per lei curarsi.
E nonostante ciò, si era anche preoccupata di prepararle tutto l'occorrente per permetterle di prendere la sua strada da sola, e le aveva indicato la direzione giusta per mettersi in salvo al più presto.

Si fermò di scatto voltandosi con tutto il corpo e Call le finì addosso, colta di sorpresa dall'improvviso arresto, Ripley l'aiutò a mantenere l'equilibrio, sorreggendola delicatamente per le spalle. La giovane la guardò con aria interrogativa.
"Non ti lascio indietro. Restiamo insieme, andiamo là e ci prendiamo il tempo che ci serve. E poi decidiamo cosa vogliamo fare.", le disse in tono gentile.
Ricominciarono a camminare in silenzio l'una affianco all'altra, Ripley rallentò il suo passo, per permettere alla ragazza di mantenere il suo ritmo.

"Avresti dovuto dirmelo subito, Call.", l'ammonì in tono gentile. "Ma capisco perché non l'hai fatto... sono stata un'idiota, ti chiedo scusa.", aggiunse seria, "Faccio ancora fatica a controllare... questa nuova parte del mio... DNA?", ammise.
"Ok, fa niente...", la tranqullizzò l'altra abbozzando un sorriso. "E poi... hai bisogno di me...", aggiunse scherzando.
La donna la guardò incuriosita dall'alto in basso, sollevando un sopracciglio.
"Beh, sai... ho in memoria le cartografie dell'intero pianeta, non sono recentissime, però posso calcolare con esattezza distanze e direzioni, grazie anche alla mia bussola interna, e se abbiamo la fortuna di trovare un terminale ancora collegato, potrei anche tentare un aggiornamento. Ho in archivio tutta una serie di manuali utili a costruire rifugi, trappole...", spiegò l'androide con aria professionale.
"Ah, sta' zitta!", scherzò la più alta, urtandola volutamente con la spalla.

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Più si avvicinavano alla città devastata, più notavano la presenza di tendopoli sempre più estese. La luna piena era ormai alta nel cielo e le aiutava a mantenere una direzione precisa. Ripley aveva cominciato ad avvertire un certo affaticamento nella respirazione e nei movimenti della compagna di viaggio, era tempo di fare il punto della situazione.

"Come mai non si disperdono nelle campagne?", chiese curiosa Call.
"Credo che non siano capaci di procurarsi il cibo da soli, preferiscono rimanere dove possono razziare ancora qualcosa e barattarlo al mercato nero... suppongo.", ipotizzò la donna.
"Facciamo una pausa, abbiamo bisogno di riposare.", propose subito dopo. Si sedettero per terra, appoggiando la schiena su una roccia. Ellen aprì il suo zaino e frugò alla ricerca di cibo e acqua. Estrasse due razioni liofilizzate e ne porse una a Call.

"No, grazie.", rifiutò distrattamente.
"Call, siamo insieme... da quanto? Due giorni e mezzo? E non ti ho vista mangiare nulla, dobbiamo rimanere in forze!", la incoraggiò scartando il suo pasto.
"Ripley, io non ho bisogno di mangiare costantemente, il mio sistema è molto efficiente nell'assimilare i nutrienti contenuti nel cibo... e poi quella roba non mi piace.", concluse con una smorfia di disgusto.

La donna la osservò stupita, pensando a quanto le fosse facile dimenticarsi completamente della sua natura artificiale.
"E ad ogni modo... in queste condizioni, rischierei solo di aggravare il danno.", aggiunse controllando la fasciatura sul suo stomaco.
L'ibrido si accorse dell'alone umidiccio che si estendeva oltre la ferita sull'addome, stava ancora sanguinando. Avvicinò una mano, ma l'altra, ancora una volta, si ritrasse.

"Quanto tempo abbiamo?", chiese facendosi seria, mentre masticava un boccone insapore e farinoso.
"Non molto, direi.", rispose l'androide, pensierosa.

Dopo qualche attimo di silenzio, si inginocchiò di fronte a Ripley. "Dammi la mano.", le ordinò porgendole la sua.
Ripley obbedì sorpresa e incuriosita da quella richiesta, nelle ultime ore aveva notato che la ragazza sembrava infastidita dal contatto fisico.
Call la prese tra le sue e se la portò alla base del collo, proprio nell'incavo tra le due clavicole, mise il suo dito indice sopra quello dell'amica e lo affondò nella carne, fino ad incontrare quella che al tatto sembrava una ciste.
"Lo senti?", le chiese guardandola negli occhi. L'altra annuì in silenzio, concentrata.
"Premilo per cinque secondi e si attiverà una batteria di emergenza. Non è sufficiente per tutte le funzioni vitali, sarò paralizzata dal collo in giù, ma potrò darti indicazioni su come riparare il danno, una volta trovati i kit di sostituzione... nel caso entrassi in ibernazione prima del previsto...", annuì ancora, un velo di preoccupazione le sfiorò i pensieri. Poi Call le lasciò andare la mano.
"Sarà meglio muoversi...", si riscosse alzandosi, provò a tendere un braccio verso la giovane, che come si aspettava, rifiutò l'aiuto e si rimise in piedi con una smorfia di fatica.

"Hai ragione... questa roba è orribile!", esclamò Ellen cacciandosi in bocca il resto del pasto liofilizzato.
"Già!", confermò l'altra.
"Allora dimmi... che cosa mangi, quando mangi?", domandò incuriosita.
"Roba da umani... sai... roba che puoi gustare, annusare, di cui puoi sentire le diverse consistenze sulla lingua. Roba che ti fa venire l'acquolina in bocca! Ho scoperto che mangiare può essere un'esperienza molto piacevole... mi fa sentire... umana! Vado matta per il cioccolato, quello fondente, ma di questi tempi... è davvero difficile trovarne...", spiegò sorridente, scuotendo l'animo della compagna di viaggio, che si meravigliò nell'osservare tanto trasporto.
Provò il forte impulso di circondarle le spalle con un braccio ed attirarla a sé, ma temendo l'ennesimo rifiuto, lasciò perdere. "Che visione poetica!", decise quindi di scherzare con un'altra spallata.
"Accidenti a te, mi hai fatto venire fame di cibo vero!", continuò sorridendole apertamente.

Call non poté fare a meno di imitarla e d'un tratto furono entrambe consapevoli della magia di quel momento. Nonostante il recente passato, nonostante la storia individuale delle due, nonostante l'urgenza di trovare i kit per la giovane e far perdere le loro tracce, nascondendosi da tutto e da tutti, quello era comunque un momento sereno e spensierato. Il momento più intimo che avessero mai condiviso.
"Andrà tutto bene, ragazzina.", le sussurrò l'ibrido guardandola di sottecchi alla luce lattiginosa della notte stellata, ancora col sorriso sulle labbra.

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Le sagome dei primi capannoni erano ormai a poche centinaia di metri da loro, quando d'un tratto Call crollò in ginocchio.
"Ripley, i miei arti stanno cominciando ad irrigidirsi, non ho più molto tempo."
"Dobbiamo trovare un riparo, allora... andrò io a cercare i kit, ma prima devo metterti al sicuro.", disse mentre le si inginocchiava vicino. Le tolse il pesante zaino dalle spalle, glielo sistemò in grembo e la sollevò di peso.
"Posso ancora arrivarci fino a lì.", protestò la ragazza, cercando di vincere la debolezza e la sonnolenza che la stavano velocemente invadendo.
"Hai già perso troppo sangue, meno ti muovi, meno continuerai a perderne.", ragionò Ellen riprendendo il cammino.
"Non è sangue.", precisò l'androide con aria assonnata dopo qualche secondo.
"Come 'non è sangue'!? Certo che è sangue! È il tuo sangue! No?", si oppose la donna mantenendo un'andatura lenta e regolare, percependo il corpo della giovane rilassarsi sempre di più tra le sue braccia.
Call non poté evitare di riposare il capo nell'incavo del suo collo. Per la prima volta, nella sua esistenza, comprese veramente il significato dell'aggettivo 'confortante'.

Sentiva le forze abbandonarla molto più velocemente di quanto si sarebbe aspettata. Poteva entrare in ibernazione in qualsiasi momento. Aveva bisogno di dare alla compagna qualche informazione in più.
"Fermati, Ripley.", le ordinò sofferente.
"Coraggio ragazzina, ci siamo quasi, resta con me... non dormire, resta con me...", la spronò la donna ormai a pochi passi dal prefabbricato più vicino. La adagiò sul selciato in posizione seduta, la schiena appoggiata alla parete del magazzino.
"Resta qui, vado a controllare dentro e poi torno a prenderti.", le spiegò.
"Non c'è tempo, Ripley.", insisté debolmente l'androide.
La donna le si inginocchiò di fronte sfiorandole una guancia con il dorso della mano.

"Dimmi cosa vuoi che faccia, Call.", la invitò in tono fermo.
"Servono almeno due kit completi... identici a quello che ho nello zaino... ma devi trovare almeno cinque sacche... di liquido... come il campione contenuto nel kit... nel raggio di un paio di chilometri... troverai... una serie di fabbriche... abbandonate... quello che serve... è lì.", la istruì faticosamente la giovane, con le palpebre pesanti.
"Ok, vedrai tornerai come nuova.", le sorrise prendendole la mano ormai inerme.
"Aspetta... Ripley... sta' attenta... e se non dovessi trovare... nulla... vattene.", biascicò Call sprofondando definitivamente nel suo torpore artificiale.

L'ibrido capì di essere rimasta sola. Le posò un bacio sulla fronte, prima di rimettersi in piedi, estrarre la pistola e la torcia, e fare un veloce giro perimetrale, per assicurarsi che la zona fosse deserta. Ispezionò l'interno del piccolo magazzino e, quando si sentì sicura, tornò a prendere Annalee.

La sollevò delicatamente, come se avesse paura di romperla, la trasportò dentro e la posò sul logoro linoleum con le spalle al muro. Si era aspettata di trovarla rigida, ma evidentemente la sensazione cui si riferiva Call era soltanto una percezione interna.
Svuotò la sacca della compagna con la torcia stretta tra i denti, alla ricerca del kit campione, estrasse anche il compatto sacco a pelo che le aveva visto riporvi, lo srotolò nel punto più appartato dell'enorme locale, raggruppandovi intorno i malconci arredi da ufficio che trovò sparsi in giro, in modo da creare una sorta di riparo e vi stese la ragazza con estrema premura, trovò un secondo sacco a pelo nel suo zaino e lo utilizzò per coprirla fin sotto il mento.

Alleggerì il suo bagaglio con lo stretto necessario per un'escursione di poche ore, poi i suoi occhi si posarono sul kit da pesca che l'amica le aveva preparato. Si accucciò per prenderlo, lo aprì e si rigirò tra le lunghe dita una delle piccole luci chimiche, la schiacciò tra il pollice e l'indice senza particolare sforzo e subito la reazione dei componenti diede vita a un flebile lume di colore verde.
Affascinata dal bagliore, lo tenne sospeso sul palmo della mano, osservando la trama intricata della propria pelle, poi lo depositò vicino al corpo minuto della ragazza.
"Tornerò prima che faccia giorno.", le promise sfiorandole l'orecchio con le labbra, le strinse una spalla, dopodiché si alzò e lasciò il magazzino sistemandosi la sacca sulla schiena.

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Temendo di trovare qualche gruppo di sciacalli nottambuli alla ricerca di ferraglia ancora rivendibile, si muoveva lentamente, addossata ad un muro di mattoni, con i sensi all'erta, scrutando le costruzioni abbandonate e in degrado sull'altro lato della strada, alla ricerca di un possibile accesso al di là delle alte mura, che per il momento sembravano circondare ogni complesso industriale della zona. Ciminiere e cisterne di ogni forma, dimensione ed altezza, si ergevano al di sopra delle barriere di mattoni.

Trovò finalmente un cancello divelto e vi si affacciò con atteggiamento prudente, alla ricerca di movimenti sospetti. Valutò sicuro avventurarvisi all'interno. Il terreno era cosparso di vetri rotti ed era praticamente impossibile avanzare senza fare rumore - Devi essere sempre così furtiva? - ripensò a Call soffocando una risata.
Si portò la mano alla pistola e la estrasse, tenendola puntata verso il basso. Poteva intravedere una serie di lunghi nastri trasportatori completamente arrugginiti attraverso lo scheletro di un enorme complesso. Sull'alta cisterna posta ad un lato della fabbrica poteva ancora leggersi, sullo sfondo bruno di ossidazione, il nome dell'impresa in un azzurro sbiadito: 'Saint Gobain'.

A giudicare dalle macerie, doveva essere un'industria per la produzione di vetro. Se ci avessero lavorato gli Auton, era prevedibile che ci fossero dei kit a disposizione, probabilmente in una specie di infermeria.
Dopo aver esaminato a vuoto due strutture di produzione, finalmente al terzo tentativo ebbe fortuna. Più che un'infermeria, era una specie di magazzino all'aperto, composto da vari container ammaccati, era chiaro che dopo quello che Call aveva chiamato 'Ritiro del Prodotto', a nessuno interessava un 'kit di riparazione per persone artificiali di seconda generazione', e lì ce n'erano in abbondanza, ma, a parte i campioni contenenti pochi centilitri di sangue ciascuno, vere e proprie sacche non ne trovò.

Calcolò che mancasse poco meno di due ore all'alba, presto i razziatori avrebbero cominciato a vagare lì intorno, e lei non poteva correre il rischio che trovassero Call impossibilitata a difendersi. Svuotò il contenuto di cinque kit completi nello zaino, liberandosi dell'ingombrante custodia, continuò ad aprire confezioni per prendere solo i campioni di sangue, gettando il resto a terra. Riempita la sacca fino all'orlo, si augurò che fosse sufficiente.

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Non aveva idea di quanta autonomia fosse capace la batteria di emergenza menzionata dalla ragazza, così, prima di svegliarla, si preoccupò di preparare tutto l'occorrente per l'intervento. Dopo aver allineato i vari strumenti e ricambi, la trasportò più vicina alla finestra, nonostante la sua vista potenziata grazie al DNA alieno, avrebbe avuto bisogno di luce, per lavorare.
L'adagiò su una malconcia scrivania da ufficio, le tolse delicatamente la giacca e la t-shirt, e rimosse il bendaggio di garza ormai fradicio, controllò ancora una volta gli strumenti posizionati accanto al corpo e decise di riporvi anche la pistola carica, così da essere pronta a difenderla in caso di intrusione.

"D'accordo ragazzina... vediamo di darti una ricucita.", esclamò trovando il punto indicatole poche ore prima dalla giovane. La vista le si schiarì nel giro di un secondo e trovò una Ripley con sguardo premuroso, china su di lei, i lunghi ciuffi corvini quasi le sfioravano le spalle.
"Hey, bell'addormentata...", l'apostrofò la donna regalandole un sorriso.
"Ripley... stai bene?", domandò curiosa di sapere cosa fosse successo mentre era in stasi. La donna alzò gli occhi al cielo. "Sbaglio, o quella paralizzata che è in attesa di farsi operare da un profano sei tu, ragazzina?", scherzò rilassandosi un po'.

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Sostituire i vasi danneggiati fu più semplice di quanto si sarebbe aspettata, ripulire la cavità le portò via molto più tempo del previsto, ma modellare la pelle sintetica per chiudere la ferita si rivelò un vero e proprio incubo.

"Ripley, quando i fluidi rientreranno in circolo si livellerà da sola, smettila di pasticciarci! Non sono una scultura, e tu non mi sembri Michelangelo!", la rimproverò Call non riuscendo a contenere una risata.
"Chi?", le domandò la donna strizzandole l'occhio per assecondare lo scherzo.
"Adesso le flebo di liquido.", la istruì l'androide alzando gli occhi al cielo, "Meglio se mi metti seduta, sarà laborioso sostituire continuamente i campioni, ma dopo tre o quattro di queste, dovrei riuscire a farlo da sola, e tu hai bisogno di riposare.", osservò.
"Giusto...", confermò l'amica, "...E poi dovremmo aspettare l'oscurità per muoverci.", aggiunse sollevandola delicatamente. La riportò nell'angolo riparato dove l'aveva lasciata priva di sensi la notte precedente e dopo averla fatta sedere addossata alla parete, usò la vecchia scrivania per schermare l'angusta alcova da possibili sguardi indiscreti esterni.

Si preoccupò di rivestirla e con meno sforzo di quanto credesse necessario, riuscì a piegare l'estremità di un tondino di ferro che sporgeva dal muro scrostato, in modo da farne un gancio per le piccole sacche, poi seguì le indicazioni della compagna per mettere in circolo il sangue e le si sedette accanto in attesa di fare le prime sostituzioni.

"Come sapevi che non avrei avuto difficoltà a trovare tutta questa roba?", le domandò indicando il materiale di sostituzione per la giovane.
"Tutte le grandi città sono simili. Le zone industriali sono piene di fabbriche in disuso che impiegavano Auton per la produzione. E se vuoi che gli Auton restino efficienti, devi garantirgli una giusta manutenzione.", spiegò.
"Schiavitù a costo zero.", osservò Ripley.
"A parte la spesa iniziale, ma sicuramente più efficienti e meno problematici degli umani.", precisò la ragazza.
"Fino al Ritiro del Prodotto...", indovinò la donna.
"Precisamente.", confermò l'altra, "Poi... è stata una reazione a catena... le fabbriche non sono state più in grado di produrre e sono state abbandonate, improvvisamente le borse sono colate a picco, molto più a picco del Martedì Nero del 1929, e non si sono più riprese, le città sono entrate in rivolta, la popolazione era disperata e a briglia sciolta, non c'erano più regole. Ognuno pensava solo alla propria sopravvivenza. Senza contare il disastro ambientale provocato dalle scorie abbandonate...", raccontò con un trasporto che non passò inosservato alla sua interlocutrice.
"Quindi, è qui sulla Terra, che tutto è cominciato.", ragionò l'ibrido, guardandola annuire, "Maledetti umani!", scherzò abbozzando un sorriso sbieco. Controllò la piccola sacca ormai vuota e la sostituì senza particolare difficoltà.

   
 
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