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Autore: Tresor    27/02/2016    0 recensioni
Un attimo.
Uno soltanto di disorientamento.
Come quando cerchi di dare al cervello il tempo di realizzare e decodificare un’immagine che sta guardando e che non riconosce immediatamente.
Un solo istante Marco fissò il corpo sottile e perfetto che gli si era schiuso davanti, scoperto improvvisamente dalla candida pelliccia di ermellino.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 9




Irene raccolse un profondo respiro e si lasciò cadere sul divano esausta.

La tensione che le aveva teso i nervi fino a quel momento si dissolse, lasciandole tuttavia una sgradevole sensazione di irritante orticaria.

La percezione che non sarebbe sparita tanto presto così come coloro che l’avevano provocata cominciò a farsi largo in lei senza che potesse arginarla.

Ebbe la certezza che l’ostinazione di Nadia Reda avrebbe causato a lei e Marco altri momenti di inquietudine.

La preoccupazione le soffiò una sensazione di oppressione sul petto.

Marco aveva tanto faticato in quegli anni per cercare di ricostruirsi una tranquillità interiore, un nuovo equilibrio, mentre al tempo stesso cercava di tirare su le fondamenta della propria vita!

Non dimenticava il volto di pietra che aveva ostentato davanti alla sorella: era diventato abilissimo per schermarsi dall’imprevista notorietà che gli era piovuta addosso per via del suo lavoro.

Eppure non era così certa che fosse rimasto completamente impassibile.

Da qualche parte, nel profondo, qualcosa doveva essersi agitato malgrado i suoi sforzi di indifferenza.

E l’ultima cosa che voleva era scorgere nei suoi occhi quell’inquietudine con cui aveva dovuto fare i conti per molto tempo ancora dopo il loro ritorno a Londra, mentre cercava di gettarsi alle spalle il proprio ignobile e doloroso passato che pur lo aveva segnato nel profondo e per sempre.

Se solo quell’ombra fosse ritornata con tutto il suo mostruoso carico, inesorabile, incombente come una condanna ancora da scontare.

Se solo si fosse ripresentata a riscuotere un ulteriore, amaro tributo.

Se solo…

In quei pensieri la sorprese Charles, ufficialmente di ritorno per prelevare il vassoio del caffè.

Incrociò il suo sguardo indecifrabile, ma non osò formulare neppure una sillaba.

Ingannò il tempo raccogliendo tazzine, sistemando i preziosi tovaglioli di lino, raggruppò cucchiaini d’argento, sistemò la caffettiera ancora piena.

  • E’ sorpreso quanto noi! – Buttò là Irene, decidendo di venirgli incontro nella sua ansia di capire cosa stesse accadendo.

Charles trasalì e con lui la zuccheriera di porcellana.

  • Milady, sono senza parole. – Ammise al colmo dello stupore.

  • Immagini me!! –

  • Non riesco a … -

Un bussare alla porta aperta li interruppe.

Una trafelata Mrs. Kelton avanzò portando il cordless in una mano.

  • E’ Marco, Miss Blackney. – Annunciò trepidante, il volto teso per l’evidente angustia.

Charles aveva trascorso il tempo della visita dei Reda chiuso giù in cucina con lei a fare mille e una congetture sulle motivazioni della loro presenza in casa e sulla reazione, o meglio, non reazione di Marco.

E non ne erano venuti a capo.

Irene prese il telefono.

  • Marco! –

  • Ciao, tesoro! –­ La voce limpida, vellutata del giovane, le accarezzò l’orecchio e il cuore, priva, all’apparenza, di qualunque incrinatura.

  • Amore! Sono felice di sentirti, come stai? –

  • Io bene! – Rise spontaneo, suscitandole un senso di vaga confusione. – Ascolta, tra poco ho una briefing che durerà un po’, ma volevo sentirti: ci vediamo a pranzo? –

  • Si, certo… Ma tu… stai davvero bene? –

Ci fu una pausa che diede a Irene una leggera vertigine.

Poi sentì un respiro e si accorse che stava sorridendo.

  • Va tutto bene, Irene, credimi! – Le disse in tono più basso, carezzevole, perché lei non dubitasse.

  • Ho bisogno di vederti. –

  • Anch’io, mia bellissima! –

  • Non parlarmi con quella voce. –

  • Quale voce? – La prese in giro lui, pronunciando le parole con dolce lentezza, il timbro ancora più profondo, mentre fissava lo skyline che si stagliava fuori dalla vetrata del suo ufficio.

    Sapeva benissimo cosa volesse dire!

  • Questa da “sono-sexy-e-tu-lo-sai” !! Non è leale al telefono. –

Maggiordomo e governante finsero di affaccendarsi altrove un po’ imbarazzati dall’improvviso risvolto della conversazione.

Irene lo sentì ridere divertito e percepì il cuore più leggero.

  • Mi manchi. –

  • Anche tu, ti amo! –

  • Ti amo anch’io! ... A più tardi allora. –

  • Si. –

La linea rimase aperta ancora qualche momento, poi cadde.


Dopo alcuni lunghi istanti, Irene chiuse il dispositivo, ma se lo tenne tra le mani, immersa nei propri pensieri, nelle orecchie la voce vellutata e affettuosa di Marco.
Era lui, lo sapeva, il bellissimo, giovane uomo, sicuro di sé che amava più di se stessa.

Non aveva percepito crepe nel timbro di voce, e se fosse stato altrimenti, niente le avrebbe impedito di rendersene conto.

E questo le alleggerì il peso che sentiva.


  • Miss Blackney, va tutto bene? -

La voce cauta di Mrs. Kelton la strappò letteralmente dalle sue riflessioni.

Annuì meccanicamente, affatto convinta.

Le restituì il telefono.

  • Si, grazie! Vedrò Marco a pranzo, ma sta bene. –

  • Milady, ma perché quei due erano qui a Londra? -

  • Mrs. Kelton! – Charles la richiamò, imbarazzato della sua invadenza.

In verità le avrebbe volentieri espresso la propria gratitudine per aver posto il cruciale interrogativo.

In ogni caso la governante non si lasciò intimidire.

Anzi, gli indirizzò una cortese occhiataccia che fece impettire di riflesso il collega.

Irene tranquillizzò entrambi con un gesto.

  • Diciamo che questi anni non hanno sortito effetti positivi là sul continente. –

  • Cosa significa? –

  • Che i Reda e la loro illustre parentela sono rimasti tali e quali l’ultima volta che abbiamo avuto l’onore di incontrarli. –

  • Oh! – Fu il caustico commento di Charles.

  • Ma cosa volevano da Marco? – Insisté la governante.

Charles fece per ammonirla ancora, ma subito lei lo liquidò con uno sbuffo di insofferenza.

  • Al diavolo la sua discrezione, Charles! Quei due rischiano di rovinare ancora una volta la tranquillità del nostro ragazzo, qualunque cosa volessero da lui. –

L’uomo parve piuttosto offeso.

  • Me ne rendo perfettamente conto, Mrs. Kelton. – Replicò piccato. – Tuttavia ritengo che sia… -

  • Via, Charles, non c’è nulla di male, niente formalità tra noi! … - Mediò Irene dandogli una pacca affettuosa sul braccio. - … Pare che il sig. Grimaldi sia in fin di vita per un tumore al polmone. –

Maggiordomo e governante si guardarono perplessi più che impressionati.

  • E sembra anche che abbia espresso il desiderio di rivedere suo figlio prima che sia tardi.

Sua figlia è venuta qui per persuadere Marco ad andare con lei in Italia. –

Una pausa di silenziosa riflessione intercalò le parole.

Ognuno per conto proprio pensò all’aspetto paradossale di tutta la faccenda.

  • Santo cielo, come ha potuto quella donna venire fin qui cullando l’illusione di poter ottenere qualcosa dal fratello? – Esordì Charles sconcertato.

  • E lui cosa ne pensa? –

  • Nulla, Mrs. Kelton. Come ha potuto vedere lei stessa, non ha permesso alla sorella di parlargli. -

  • Gliene parlerà, milady? –

  • Proverò a farlo a pranzo. –

  • Crede che l’ascolterà? –

Irene scrollò le spalle un po’ sconfortata.

  • Probabilmente si, ma solo per farmi piacere. Ma ho paura che sarà solo questo. E sinceramente non ho alcuna intenzione di perorare questa sciagurata causa. -

Insofferente d’un tratto si mise in piedi e ricominciò ad andare avanti e indietro.

Charles e Mrs. Kelton la seguirono con sguardi pieni di apprensione.

Ispirò ed espirò angosciata.

Diede un calcio alla fiancata del povero divanetto che incontrò sul suo cammino e ruggì un grido di impotenza tra i denti, facendo trasalire di sorpresa i due.

  • Dio, li detesto! – Imprecò.

  • Milady!! –

L’occhiataccia, breve, risentita, che si beccò il maggiordomo la raccontò lunga sul suo stato d’animo.

  • Vorrei conoscere un modo per allontanarli una volta e per tutte.

Non posso tollerare il pensiero che possano irrompere a piacere nella sua vita senza farsi una sola domanda su quello che provocano.

Sono completamente incapaci di interrogarsi.

Li detesto profondamente!!!! –

Facendo un gesto di stizza, uscì dalla stanza.

  • Che cosa accadrà adesso, Charles? – Pigolò Mrs. Kelton, stringendosi nelle spalle. – Quella donna è ritornata a inquietare il nostro ragazzo, non è vero? –

Charles commentò con l’ennesimo sospiro.

Per qualche attimo ritornò a trafficare con piattini e tazze, come a voler ingannare il tempo mentre cercava di trovare una risposta.

Ma a un certo punto riuscì soltanto a confermare quella che era un’evidenza.

  • Così pare, Mrs. Kelton. –

  • Ma con quale diritto? –

  • Davvero non lo so. Sembra che non si facciano neppure gli scrupoli più elementari. Non si domandano nulla. Decidono soltanto secondo le proprie priorità. –

  • Sono degli egoisti. –

Charles annuì con un cipiglio greve disegnato sul volto.

  • E’ proprio vero che il peggio non finisce mai… Ma non mi preoccuperei troppo, Mrs. Kelton. –

La donna sbatté gli occhi stordita dalla semplificazione.

  • E perché mai, di grazia? –

Charles lasciò d’un tratto le proprie faccende e la guardò dritta in faccia.

  • Andiamo, Mrs. Kelton, crede davvero che queste persone possano nuocere al signorino Marco, oggi? –

  • Non capisco cosa intende! –

  • Intendo dire che non gli possono fare nulla. Né ricattarlo o costringerlo alla loro volontà come hanno provato a fare in passato.

Marco è cambiato. E’ un’altra persona. E’ diventato un uomo forte e sicuro di sé. Cosa possono mai fargli? –

  • Possono tediarlo, inquietarlo. Ecco cosa ha il potere di fare quella gente con la sua sola presenza!! –

Charles rimase a corto di battute.



   
 
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