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Autore: cartacciabianca    25/03/2009    1 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Nello specchio





-Nervosa?-.
-E di cosa?-.
-Ancora poco e avranno quello che li serve-.
-Parli del Frutto?-.
Desmond annuì, stringendomi più a sé. –Sbaglio o al conto alla rovescia manca qualche settimana di lavoro?-.
Scossi la testa. –I tempi si sono allargati, pensavo lo sapessi- dissi guardandolo.
-Di quanto?-.
-Qualche altro mese; se c’è qualcosa che mi manda in bestia è proprio questa storia-.
-Ah!- rise lui. –Non credere che una volta finito ci rispediranno a casa!- aggiunse.
Lo fulminai con un’occhiataccia. –Lo so; ma ogni giorno che passa, diventa tutto così… pesante- sospirai, poggiando la testa sulla sua spalla.
Chissà se era già giorno, mi chiesi, dato che nella stanza non c’erano finestre. Così lanciai una svista all’orologio sulla scrivania, ma il buio m’impediva di vederne le lancette scure.
-A chi lo dici. Fortuna che ci sosteniamo a vicenda- sorrise malizioso, ed un attimo dopo le sue dita passarono sul mio collo risalendolo fino all’attaccatura dei capelli dietro l’orecchio.
Mi allungai io verso di lui e lo baciai dolcemente sulle labbra, mentre i nostri nasi si sfioravano appena.

Elena richiuse le pagine del libro lentamente, poggiò il tomo sul tavolo e si portò le mani in grembo. Lo sguardo basso e afflitto. Sospirò, stringendosi maggiormente nelle spalle.
Marhim le venne più vicino, ammirandola comprensivo. –Che c’è?- le chiese. –Come mai sei giù? Non ti ho mai vista così…- commentò.
La ragazza alzò gli occhi nei suoi. –Ho bisogno d’aria- disse.
Lui alzò un sopracciglio. –Aria? Vuoi che me ne vada?-.
-Ma che dici, stupido…- si alzò e riprese il libro, andando poi a risistemarlo tra gli scaffali.
Marhim le andò dietro e la seguì fin fuori la biblioteca.
Elena proseguì sulle scale e passò la sala d’ingresso della fortezza, fermandosi all’altezza dei cancelli che davano sul cortile interno.
Il clangore delle spade fu un suono melodioso e ben accetto quando la ragazza si sporse a guardare l’arena degli allenamenti. All’interno della recinzione colse due assassini che si esercitavano alle armi. Uno di loro Elena lo riconobbe subito dato il colore mielato dei capelli, poiché portasse il cappuccio abbassato. L’altro le parve averlo già visto, forse al campo da calcetto.
-Ore ti senti meglio?- domandò Marhim venendole affianco.
Elena scoppiò in una fragorosa risata. –Ti sei bevuto la storia dell’aria fresca? Marhim- lo guardò seria. –Ho solo voglia di impugnare una spada- mormorò mentre un sorriso gioioso prendeva forma sulle sue labbra.
-Ah, no!- lui fece un passo indietro. –Non di nuovo! E poi quei due stanno combattendo, non possiamo piombare lì così e pretendere di interrompere i loro allenamenti! Guarda, c’è anche…- Marhim non riuscì a terminare che Gabriel afferrò il braccio dell’avversario e glielo torse dietro la schiena. All’altro assassino scappò un mugolio di dolore e lasciò la presa sulla spada, che cozzò a terra scivolando ai suoi piedi.
-Basta, basta! Hai vinto! Basta!- si lagnò quello, e un ghigno divertito si stagliò sul volto del giovane dagli occhi celesti.
Gabriel gli lasciò il polso improvvisamente, e l’assassino perse l’equilibrio cadendo in avanti, si appoggiò alla staccionata e si girò con un’espressione arrabbiata in volto.
-Non accetti la sconfitta, eh?- ridacchiò Gabriel rinfoderando la spada.
-Da te? No- sbottò quello sollevandosi e andando a recuperare la sua lama al suolo. –E presto chiederò la rivincita- digrignò scavalcando con un balzo la recinzione.
Gabriel alzò il mento fiero e si guardò attorno. –Qualcun altro?- spalancò le braccia e dalla folla di assassini attorno si levarono risate divertite.
-Bene…- sibilò il ragazzo apprestandosi a lasciare l’arena.
-Elena… non pensarci neppure- sogghignò Marhim.
La ragazza gli lanciò un’occhiataccia. –Perché?-.
-Nelle tue condizioni! Halef mi ha raccontato di cosa è successo, e di questo passo la tua ferita potrebbe impiegare anni a guarire del tutto!- sbottò preoccupato.
-Sei così dolce che ti preoccupi per me…- ingigantì gli occhioni, e Marhim arrossì.
Elena tornò severa d’un tratto, e il ragazzo ne rimase afflitto.
-Mi hai trascinata tu al campo da calcio, e poi che fretta ho di guarire?!- aggirando l’amico, Elena si avviò verso l’arena.
-Elena! Torna qui!- la chiamò, ma la ragazza non si voltò neanche.
Proseguì dritta spedita fino alla staccionata e si guardò attorno.
Marhim la raggiunse quasi correndo e, nell’istante in cui fu per afferrarle la mano dicendo: -Avanti, se qualcuno ti vede qui potrebbe farsi venire qualche istinto di sfida- brontolò.
La Dea si divincolò stanziandosi da lui. –Piantala, o giuro che sarai tu il mio avversario!- ruggì a denti stretti.
Marhim rabbrividì e guardò altrove. –Va bene, ma non hai una spada!- commentò sicuro di sé.
Elena si tastò la cintura di cuoio alla quale mancava l’attaccatura del fodero della sua lama, e da sorriso, le sue labbra si chinarono in una smorfia. –Quanto sei bastardo-.
-Eheh- rise lui. –Avanti, andiamo- fece per avviarsi, ma constatando che Elena non lo seguiva, si voltò. –Forza, andiamo- ripeté autoritario.
Elena si riscosse, balzò in piedi sulla staccionata e si portò le mani ai fianchi. –Qualcuno ha una spada da prestarmi? Temo di aver dimenticato di prendere la mia- sorrise, attirando su di sé gli occhi sbigottiti degli assassini presenti.
-Che cosa fai?!- Marhim avanzò con un saltello e le tirò un lembo della veste bianca.
Elena lo guardò dall’alto e gli poggiò una mano in testa. –Lasciami fare, non sei mio padre!- lo spinse via delicatamente, e Marhim si stanziò sconvolto.
-My lady- sentì una lama venir tirata fuori dal suo fodero, e un giovane che non riconobbe gli porse la sua spada.
-Grazie, sono onorata- arrossì lei.
-L’onore è mio- fece un leggero inchino e tornò tra i suoi compagni, che nel frattempo aveva cominciato a spettegolare senza ritegno e a deriderlo.
Gabriel faceva parte di quella combriccola dalla quale era emerso l’uomo che le aveva prestato la sua spada. Il ragazzo accennò un passo avanti, e subito dopo ricevette una pacca da uno dei compagni. –Avanti, non vedi che hai la tua occasione! Una Dea! Quella lì ha dato filo da torcere ad Altair!- gli disse.
Elena si mostrò distratta schiarendosi la gola. –Se il messaggio non è chiaro, sto cercando uno sfidante!- dichiarò.
Marhim si strinse nelle spalle mettendosi da parte. –Non è una buona idea- borbottò.
-Piantala!- sibilò lei.
-Sì, so bene chi è…-.
Elena si voltò, sorprendendosi che Gabriel, circondato del suo gruppetto di amici, la stesse ancora fissando. O forse fissava la sua collana?
-Ma dai, è ovvio! La faccia della ragazza con cui rotoli avvinghiato non si dimentica mai!- scoppiò a ridere Atef appoggiato con la schiena alla roccia.
-Elena, scendi da lì!- le bisbigliò Marhim.
Forse aveva ragione, si disse la ragazza. Aveva attirato fin troppo l’attenzione, e si comportava da vera stupida di fronte a tutta quella gente. Balzò giù dalla recinzione e atterrò leggera dentro l’arena.
-Ah!- rise. –Speravi che rinunciassi!- fece la linguaccia, e Marhim sbuffò.
-Ti comporti come una bambina- commentò con un filo di voce.
-È quello che sono, dopotutto- sorrise lei come una deficiente.
Marhim curvò le spalle. –Perdo pure tempo a dirtelo, capisci…- parlottò allontanandosi.
Elena lo guardò sparire dentro la fortezza, e si sentì improvvisamente male. Aveva fatto un torto a sé stessa, mettendosi in imbarazzo come una… deficiente tra tutti quelli assassini, ma non solo. Si chiese come mai il suo amico ci fosse rimasto tanto male. Forse anche lui non sopportava sostare troppo a lungo sotto i riflettori, ed esibendosi in quel modo Elena aveva richiamato critiche pure sul ragazzo.
-Ciao-.
Elena si voltò di colpo, trovandosi Gabriel a pochi passi da lei con la mano poggiata sull’elsa. Il giovane si chinò in un leggero inchino. –O dovrei essere più cordiale chiamandovi Dea?- s’interrogò, ed i suoi occhi grigi la inchiodarono lasciandola senza parole.
Elena indietreggiò, permettendogli di entrare nell’arena. –No, figurati- sussurrò.
-Ci siamo già incontrati, ricordi?- le arrise.
-Già… e dato che non ho avuto modo di scusarmi, be’…mi dispiace per “come” ci siamo incontrati- disse confusamente.
-Non darti pena; Halef ha fatto bene a metterti in guardia: quando si tratta di giocare, mi spingo sempre oltre il limite. Piuttosto, spero di non averti fatto del male- le venne più vicino.
-Sì… cioè no!- proruppe la ragazza prendendo colore sulle guance.
-Le voci sono vere- assentì lui cambiando argomento. –Non solo le Dee sono davvero tornate, ma una di loro si è permessa di ferirvi- constatò.
-Come lo sai?- istintivamente, la giovane si portò una mano al fianco destro.
-Ero lì quella notte, quando Minha fuggì dalle balconate dell’infermeria- disse schietto.
-Ah…- lei si guardò i piedi, rimuginando un’altra volta su quella sgradevole nottata.
Gabriel incrociò le braccia al petto; il suo sguardo sfuggì a quello di lei come si stesse trattenendo dal chiedere qualcosa. –Sbaglio o cercavate uno sfidante?- che non era certo questo.
Elena indugiava almeno quanto lui. Voleva delle informazioni riguardanti le domande che aveva fatto sulla sua collana, non le bastava dedurre che Gabriel fosse solo un appassionato di pietre preziose. Hmm… non aveva valutato l’ipotesi.
La ragazza si riscosse. –Sì, effettivamente sì-.
-Credete di esserne capace?- domandò lui alzando un sopracciglio. –Non vi vedo molto in forma- ridacchiò.
-Più in forma di quanto credi!- Elena gli puntò fulminea la lama al collo, con un movimento fin troppo fugace del braccio che Gabriel aveva appena portato la mano attorno all’elsa per estrarre la sua arma.
L’assassino allungò le labbra in un sorriso malizioso. –Accettate la mia sfida, dunque?-.
Lei annuì abbassando la spada al suo fianco, e diede al ragazzo il tempo necessario di armarsi della propria.
-A voi la prima mossa-.
Elena roteò la lama ai suoi lati. -La galanteria fuori da questo cortile, Gabriel. Faccio sul serio- sbottò composta.
L’assassino si alzò il cappuccio sul volto. –Ben e meglio- dichiarò, e fu lui a venirle incontro.
Tentò di schivare, ma lenta coi muscoli, Elena si vide costretta a parere il colpo, e l’improvviso irrigidimento del corpo le causò una fitta lancinante all’altezza del bacino.
Un gomito rivolto verso l’alto e l’altro piegato a sostenere la sua spada contro quella dell’avversario, Elena spinse con più forza e riuscì a stanziare il ragazzo da sé.
Gabriel indietreggiò stupito di tale forza nelle braccia, ed Elena riuscì a nascondere la fatica provata in un sorisetto di soddisfazione.
La Dea parò il secondo affondo, e le lame produssero delle leggere scintille che conferirono agli occhi del suo contendente una sfumatura rossastra attorno alla pupilla.
Fu un istante solo di meraviglia, poi Elena si riavvalse della familiarità con la spada e riuscì a disarmare l’avversario.
L’arma di Gabriel volò in aria, ma nel momento in cui toccò l’apice della sua ascesa, l’assassino balzò sulla staccionata e si diede uno slancio verso l’alto. A mezz’aria, Gabriel si riappropriò della sua arma e tornò a terra piegando le ginocchia.
Elena, meravigliata di tale agilità, trovò quella fugacità alquanto familiare, e alla mente le tornò il vago ricordo del suo scontro con Corrado, fuori dai cancelli della fortezza. Esattamente quando si era appoggiata alle spalle del sovrano di Acri e, slanciandosi verso l’alto, aveva raggiunto allo stesso modo…
Gabriel spezzò il filo dei suoi pensieri penetrando la sua difesa, ed Elena, colta alla sprovvista, si trovò ben presto senza nulla con cui difendersi.
-È stata una cosa veloce- ridacchiò Gabriel dopo che la spada della ragazza fu cozzata a terra. Si chinò a raccoglierla e gliela porse.
-Potevi ammazzarmi!- strillò lei, e attorno a loro si levarono le risate dei presenti.
Ma dov’erano?! A teatro?! Si chiese guardandosi attorno smarrita.
-Mi fai così poco abile? Sono padrone dei miei movimenti quanto basta per tenere un uovo stretto nella mano mentre combatto, senza romperlo- si vantò.
Elena aggrottò la fronte afferrando la sua spada. –Lo sai fare davvero?- domandò.
-È quel genere di addestramento che viene riservato ad un orfano. Quanto sono contento che Al Mualim abbia cessato di vivere!- gioii lui.
Qualcun altro dalla sua parte, si disse.
-Hai intenzione di fissarmi ancora allungo, o possiamo riprendere da dove abbiamo interrotto?-.
Elena si riscosse. –Sì, scusa, mi stavo solo chiedendo…- mormorò portandosi una mano al petto, dove sotto il tessuto della veste avvertiva il solletico freddo del metallo della collana sulla pelle.
Gabriel assunse un’espressione interrogativa.
-Lascia stare- disse lei seria, stringendo con più forza l’elsa della spada.
Il ragazzo annuì e ricominciarono il loro scontro.
Dopo ben poco che si furono fronteggiati, Elena si riavvalse delle sue vere e proprie capacità in combattimento. Gabriel rimase piuttosto colpito di trovarsi presto in svantaggio.
Elena, dritta e fiera della sua maestria, lo metteva spesso alle strette vicino alla staccionata, costringendolo ad abbassare la guardia per poter schivare un suo nuovo fendente.
Nonostante ciò, la situazione restò invariata e sullo stesso piano per entrambi i contendenti, che non erano più oggetto di spettacolo come all’inizio del combattimento.
Gli assassini attorno si dilettavano ad adocchiare ogni tanto il loro fronteggiarsi, ma Elena si accorse con sollievo che la sua presenza era diventata poco allettante col passare dei minuti.
Ad un tratto, Gabriel fece un balzo verso di lei e riuscì a disarmarla.
Elena avanzò con un saltello e, nell’istante in cui la sua spada toccò terra, sfoderò la lama corta dall’astuccio alle spalle di Gabriel.
-Quella è mia!- sbottò lui.
-La prendo in prestito- rise la Dea.
-Facciamo sul serio- commentò lui riprendendo fiato.
-Sei stanco?- ridacchiò la ragazza osservando il taglio della lama.
-Tu no?- si stupì lui raddrizzando la schiena.
Elena chinò la testa da un lato socchiudendo gli occhi. –Non ancora-.
Gabriel aggrottò la fronte -Mi avevano avvertito che saresti stata una degna avversaria-.
-Ti hanno detto bene- sogghignò maliziosa.
Usare la lama corta le procurava fitte continue al fianco, ed Elena si maledisse per aver osato tanto. Con quel genere di arma si trovava obbligata a movimenti fluidi ed interrotti di tutto il corpo, quali piroette e giravolte che le consentivano di andare a colpire i punti più irrisolti dell’avversario.
Gabriel si accorse tardi del suo fastidio, ed Elena si piegò a terra dolorante improvvisamente.
La lama corta scivolò al suolo, e la ragazza si strinse con violenza il fianco ferito.
Gabriel si chinò al suo fianco. –Tutto bene?- domandò ansioso.
La Dea tentò di rialzarsi, e lui l’aiutò prendendola per il fianco opposto.
-Non ti ho toccata, che cosa ti è preso?- chiese guardandola preoccupato.
Elena si scansò lentamente da lui, mentre avvertiva il dolore affievolirsi. Prese un gran respiro e si guardò attorno. –Forse è meglio che vada- disse con voce smorzata dallo sforzo.
Gabriel si fece da parte. –Sicura, posso…-.
-No, grazie. A presto- Elena si chinò a raccogliere la sua spada. Una volta fuori dalla recinzione, la restituì al legittimo proprietario e lasciò il cortile interno tornando nella fortezza.
Entrata nella sala d’ingresso, dovette appoggiarsi ad una delle colonne, mentre alcune delle guardie lì presenti si voltavano sorpresi a guardarla.
-Sto bene, sto bene- si apprestò a dire fissandoli uno ad uno, e gli assassini tornarono con lo sguardo dritto davanti a loro.
Quando si fu ripresa del tutto, fece per sollevarsi dalla colonna ma si sentì chiamare alle sue spalle.
-Elena-.
La ragazza si voltò di scatto, e una fitta di dolore le piegò le labbra in una smorfia. –Maestro- sibilò a denti stretti.
Altair era seduto ad uno dei tavoli nascosti dietro gli scaffali, vicino alle vetrate, la guardava sbigottito allo stesso modo di come l’aveva fissata le guardie della sala. –Che cosa ci fai qui?- si alzò e le venne incontro, abbandonando il libro che stava leggendo.
-Perché, dove dovrei essere?- domandò sorpresa.
-Tutt’altro luogo che nel cortile; non dirmi che hai… stupida ragazzina-.
-Cos’ho fatto ora?!- sbottò irritata.
-Devi smetterla di portare il tuo fisico al limite! Non puoi continuare così, o quel taglio impiegherà anni a rimarginarsi-.
Ecco qualcun altro che le faceva la ramanzina!
Più che arrabbiato, il suo maestro sembrava solamente preoccupato per lei. –Non c’è bisogno che me lo rammentiate, lo so bene! Ma non capisco tutta questa fretta!- digrignò.
Altair si trattenne dal parlare quando il suo sguardo si bloccò alle spalle della ragazza.
Elena, scocciata, spostò il peso sull’altra gamba, massaggiandosi il fianco dolorante.
Nel totale silenzio della sala, si accorse di un sussurro appena percettibile di due voci, una delle quali riconobbe come quella severa e vecchia del gran Maestro. La seconda, femminile probabilmente, non riuscì a farla combaciare con nessuna delle tre Dee.
-Ah, ah!- mormorò Elena, capendo perché il suo insegnante d’armi si fosse seduto a quel tavolo “fingendo” di leggere. -State origliando!- sorrise maliziosa.
L’assassino si riscosse. –No, ti sbagli, ora andiamo. Ti accompagno in infermeria…- dicendo questo, la strinse per una spalla e la fece voltare.
Elena, dapprima rimase immobile senza muovere un passo, poi il suo maestro le diede una spinta. –Avanti, cammina- proferì contenuto.
Salendo le scale, la Dea lanciò un’occhiata allo studiolo del Gran Maestro, nel quale fu colpita di trovarvi Adha, in piedi davanti alla scrivania alla quale sedeva Tharidl.
Gradino dopo gradino, il dolore al fianco divenne insopportabile. Raggiunsero le porte dell’infermeria ed Elena tirò un sospiro di sollievo.
-Come mai stavate origliando la conversazione tra Adha e Tharidl?- domandò curiosa quando entrarono nella sala.
-Siediti lì, manderò qualcuno ad occuparsi…-.
-Ah!- strillò lei improvvisamente.
Altair si voltò.
Elena si appoggiò al comodino. –Fa male, fa male, fa male!- si lagnò.
L’assassino, incerto sul da farsi, le tornò accanto. –Come mai?-.
Quando le fu abbastanza vicino, Elena lo strinse per il polso con una forza incredibile, inchiodandolo dov’era. –Perché stavate ascoltando?- sibilò avvicinando il suo volto a quello dell’uomo.
Altair, colto in contropiede, tentò di allontanarsi, ma Elena non lasciò la presa con prepotenza. I suoi occhi azzurri facevano quasi scintille.
-Non sono affari che ti riguardano- s’irrigidì lui, e con uno strattone riuscì a divincolarsi.
Elena si sollevò e, prima che potesse lasciare la sala, gli si parò davanti. –Vi prego!- disse. –Temo che la ferita si sia davvero riaperta!- lo supplicò.
-Non posso farci nulla, e ti sta bene-.
-C…c… cosa?- rimase a bocca aperta. –Non me lo sono mica fatta da sola, è stata Minha a colpirmi! Non ho nessuna colpa!- ribadì.
-Certo, come no- proferì arrabbiato. –Non eri tu nel cortile a sfidarti con Gabriel. La mia vista deve avermi giocato un brutto scherzo- ironizzò.
Una certa età l’aveva, pensò Elena, ma si trattenne dal dirlo. –Ho creduto che…- provò, ma Altair la interruppe con un gesto della mano.
-No, non m’interessano le tue scuse. Marhim ti aveva avvertita, credi che sia cieco? Fin quando non sarà qualcuno a chiedertelo, non toccherai un’arma, sono stato chiaro?- eruppe autoritario.
La ragazza si strinse le braccia attorno al ventre. –Chiaro, ma perché non siete intervenuto quando ve ne siete accorto?- ribatté.
-Di cosa parli?-.
-Potevate fermarmi! Fare il vostro ruolo, impedire che facessi una delle mie solite stupidaggini!- sbottò.
-Avevo altro da fare, ma speravo che non giungessi all’utilizzo della lama corta. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, Elena- la rimproverò.
-L’avevo capito- sbuffò.
Altair esitò qualche istante, poi disse: -siediti-.
Elena sobbalzò. –Avete intenzione…-.
-Ti fa male o no?- la fulminò con un’occhiataccia.
Lei annuì debolmente e andò verso il primo lettuccio. Si sedette e osservò in silenzio come il suo maestro gesticolava tra gli scaffali raggruppando il necessario essenziale. Se la ferita si era riaperta, l’avrebbe scoperto a breve.
-Che aspetti? Togliti la magli- le disse piegato a cercare qualcosa in un ripiano più in basso, piegato sulle ginocchi e in perfetto equilibrio sulle punte dei piedi.
Elena slacciò la cinta e la poggiò sul comodino. Si privò del cappuccio e della parte superiore della veste, restando solo con una canottiera leggera che finiva dentro i pantaloni.
-Ne siete in grado?- domandò con un filo di voce.
Lo sentì ridacchiare, poi Altair le tornò accanto mentre metteva da parte la cintura e la sostituiva ad un nuovo rotolo di garza. –Due anni fa mi trovai costretto ad estrarmi un punta di freccia dalla schiena, all’altezza della dodicesima vertebra- si vantò. –Ne uscii vivo per miracolo, ma prima di quella volta salvai la vita ad otto miei compagni e amputai una mano al mio informatore. In entrambi i casi ero braccato in un caverna del regno, in pieno inverno e con a disposizione solo qualche fogliolina di menta e i tessuti della mia veste, che all’epoca era anche più corta di quella che indosso oggi- con maestria e sveltezza, si tolse i guanti e calò il cappuccio sulle spalle.
-Ah, bene… ma i vostri compagni si salvarono, vero?-.
-Due di loro no- disse arrotolandole la canottiera fino all’inizio della gabbia toracica. –Tieni qua e alzati in piedi- le ordinò, ed Elena obbedì afferrando il lembo della maglietta e tenendolo fermo a coprirle solo il seno. Lanciò una svista al bendaggio che le stringeva i fianchi e, con grande ripugno, si accorse della macchia rossastra che vi aveva preso forma.
-Contenta?- proruppe irritato il suo maestro, che si apprestò a recuperare le forbici dal comodino e tagliuzzò poi le bende intrise di sangue.
Elena chinò la testa all’indietro quando quella puzza insopportabile, quale non era più abituata, le arrivò al naso.
-Sei fortunata- disse ad un tratto l’assassino. –Si è aperta superficialmente, o avrei dovuto ricucirtela sul momento-. Gettò le garze sporche in un cesto poco distante e cominciò a pulire la ferita con un impacco di cotone bagnato in erbe disinfettanti. –Non dovrei essere io ad occuparmi di certe cose, sai-.
-Immaginavo- brontolò lei cercando di distrarsi.
All’inizio l’asettico composto le procurò un bruciore intenso più di quanto non le costassero quelle fitte improvvise. Quando Altair ebbe finito di togliere il sangue attorno al taglio, si preparò a riavvolgerle il bacino con le garze.
Contò quelli che le parvero una decina di giri, si disse Elena osservando come il suo maestro la toccava delicatamente, ma allo stesso tempo faceva aderire strettamente le bende alla pelle. Con una mano la reggeva sul fianco opposto, mentre l’altra accompagnava il rotolo a fasciarle tutto il necessario perché una ricaduta del genere non si ripetesse nella guarigione.
-Ora mi dite perché stavate origliando?- chiese.
Altair non si fece distrarre, proseguendo attento. –Ti ho detto che non ti riguarda- insisté.
Al termine del lavoro, l’assassino fece uno stretto e ben accurato nodo all’altezza dell’ombelico ed ammirò il tutto soddisfatto.
-Spera per te che non ricapiti- l’ammonì aiutandola a rivestirsi.
Elena gli sorrise. –Credo di aver imparato la lezione-.

Quella sera sopra Masyaf il cielo stellato era offuscato da una turbolenta nuvola nera. L’ombra del firmamento si stagliava all’orizzonte e sembrava aver ricoperto tutta la valle, spinta dai freddi venti del nord.
Elena raggiunse il corridoio dove era diretta e si fermò di fronte alla porta della stanza. Un’occhiata alle sue spalle, constatando che non ci fosse gente in giro, e alzò una mano per bussare, quando sull’uscio comparve Halef.
-Elena?!- si stupì l’assassino indietreggiando.
La ragazza si allungò sulle punte e guardò dentro la camera. –Marhim è qui con te?- chiese.
Halef scosse la testa. –Veramente stavo venendo a cercarlo, pensando che fosse con te- confessò.
La giovane Dea fece un passo addietro. –Ah, capisco. Ora devo andare, ma se lo trovi puoi dirgli che domani mattina mi piacerebbe che venisse con me in un posto?-.
Halef sollevò un sopracciglio. –Che posto?- domandò malizioso.
-Ma smettila!- sibilò lei.
-Stavo solo chiedendo- sussurrò appoggiandosi alla parete.
-Meglio per te- sibilò la ragazza incamminandosi, e i suoi passi si persero nel buio del corridoio.
Una volta sulle scale che conducevano agli appartamenti delle Dee, Elena si affacciò nel salotto e vi trovò le tre ragazze sedute sui cuscini attorno ad uno dei bassi tavolini di mogano.
-Ah, ecco, parli del diavolo spuntano le corna!- ridacchiò Leila.
Elena distolse lo sguardo e camminò fulminea verso la sua stanza, con un’espressione furiosa in volto. Non vedeva l’ora di cominciare quei famosi allenamenti con quella Dea, così da prenderla a calci nel sedere come si deve!
-Ehi, picciotta, non scappare così!- Elika si alzò e le venne incontro.
-Lasciami stare!- sbottò Elena aprendo la porta.
Kamila e Leila si scambiarono un’occhiata sorpresa.
-Che ti prende, Elena?- domandò premurosa Kamila.
La più piccola tra el quattro sbuffò e ignorò completamente la domanda. Una volta nella sua camera chiuse la porta sbattendola.
Elika indugiò sulla maniglia.
-Lasciala stare- Leila poggiò la tazza che aveva tra le dita sul tavolo. –Sarà successo qualcosa, ovviamente, ma è meglio che se lo tenga dentro-.
-Perché dici questo?- la interrogò Kamila. –Poverina, non vedete come si sente sola? Cerca conforto negli altri assassini piuttosto che in noi- dichiarò.
-Hai ragione- le disse Elika tornando accanto a loro. –Ma non so cosa fare. Un tempo, quando non era ancora successo tutto questo, era così aperta con me. Mi parlava di qualsiasi cosa, e adesso non capisco cosa sia cambiato-.
-Ah!- rise Leila. –Noi, siamo cambiate. Le stiamo addosso come fossimo la sua mamma al cubo- pronunciò severa.
-Confermo. Ma lasciarle il suo spazio potrebbe essere pericoloso- assentì Kamila prendendo un sorso. –Potrebbe lasciarsi andare…-.
-Secondo me si è già “lasciata andare”- sogghignò Leila.
-Taci tu!- la riprese Elika. –La tua storiella con Atef ha le gambe corte, rammenta!- sbottò.
-È solo un gioco, il nostro, non è mai nato nulla di serio- si difese la Dea.
-Meglio mi sento. Chissà quante volte avete “giocato”- parlottò Kamila tornando al suo the.
Leila la fulminò con un’occhiataccia. –Vogliamo mettere?-.
-Almeno io non mi faccio gli altri assassini!- ribadì la bionda.
-Smettetela!- intervenne Elika. –Potrà pure sentirsi oppressa, ma se li fa con piacere i fatti degli altri, la piccoletta… potrebbe sentirvi, abbassate il tono- indicò con un cenno del capo la stanza di Elena.
-Dee!- fece una voce, appena un bisbiglio.
Le tre tacquero, poi Elika e Kamila si voltarono verso la terza.
-No, questa notte gli avevo detto di no. Non può essere Atef- sussurrò Leila.
La voce parlò di nuovo: -C’è nessuno? Per favore!- sembrava giovane, un ragazzo.
-Vado- si offrì Kamila alzandosi. Si sporse dalle scale e lanciò un’occhiata ai gradini più in basso.
-Chi sei? Che cosa vuoi?- domandò la donna.
-Vi prego! Scendete, non posso parlarvi così, o rischio di essere scoperto!-.
Kamila si voltò a guardare le sue amiche.
Elika e Leila annuirono.
-Va’, ma non trattenerti allungo- fece Leila sorseggiando.
-Spiritosa- Kamila scese di sotto.

Elena si spogliò delle sue vesti e s’infilò gli abiti da notte con rabbia. Passò il pettine tra i capelli spezzandone una marea, e con la stessa euforia raggruppò le sue armi via dal letto in un angolo del pavimento, facendo sbattere a terra le cinghie e i metalli.
Si passò le mani in volto, cercando di darsi un contegno. Guardò fuori dalla finestra e, sospirando, si lasciò scivolare sul letto, sedendo a gambe incrociate su di esso.
La notte si preannunciava piovosa dato gli immensi nuvoloni che oscuravano il cielo. Nonostante ciò, il lato positivo era che se la temperatura avesse raggiunto il giusto grado, da lì a poco avrebbe versato la prima nevicata. Infondo erano i primi di dicembre, e per tutto novembre si era protratto un tempo soleggiato e ventilato che pareva estate.
Una volta che i suoi bollenti spiriti si furono placati, Elena si alzò e andò verso la sua scrivania. Trovò il diario di Alice sul tavolo e ne accarezzò dolcemente la copertina.
E pensare che per tutte quelle settimane se n’era quasi dimenticata. Non ne aveva sfogliata una pagina una, e moriva dalla voglia di scoprire come se l’era cavata sua madre alla sua età, quando circondata da belle ragazze dai movimenti sinuosi, lei era stata la più giovane a cominciare a vendere il suo corpo al nemico.
Ora che ci rifletteva, sua madre, allo stesso modo di come lo erano state Leila, Elika e Kamila prima di venir bandite, e Minha compresa, era stata una puttana. Se con la mente si sforzava di capire a cosa servisse una Dea, Elena giungeva alla schiacciante conclusione che, proprio mentre la preda credeva di aver ottenuto tra le braccia la donna più bella che avesse mai visto, questa diventava una vedova nera spietata pronta a divorarlo, e togliergli la vita per mera questione politica, ovvero perché Al Mualim l’aveva ordinato.
Ed Elena era tanto contenta che Tharidl avesse messo fine a quelle torture; eppure, ancora si chiedeva cosa di tanto speciale avevano da offrire le Dee se i principali loro servigi non erano richiesti. Forse potevano passare attraverso cunicoli più stretti, oppure essere capaci di combattere in quella maniera in cui Minha l’aveva stesa in pochi colpi. Cosa poteva avere una donna più di un uomo se l’obbiettivo era sempre lo stesso: uccidere, si chiese.
Forse, da buon uomo misericordioso, Tharidl aveva semplicemente voluto riaccogliere nella fortezza le donne che Al Mualim aveva scacciato con tanto rigetto il giorno in cui Sashara, l’ultima Dea, aveva firmato quel patto.
Finalmente, aveva trovato il coraggio di avventurarsi nelle memoria di sua madre, di cercare di capire che cosa l’avesse spinta ad infrangere le regole, a concepirla quando tutto quello era vietato da un giuramento di sangue. Lo stesso giuramento che la vincolava a non accontentare Rhami e a stare alla larga dal suo maestro.
Fu per aprirlo, correndo svelta sulle prime righe del primo capitolo, quando qualcuno bussò alla porta.
Lasciò il tomo aperto a quella pagina, voltandosi di colpo.
Sull’ingresso della stanza c’era Leila.
-Picciotta, un tizio vuole vederti- disse seria, completamente affacciata nella camera ed in equilibrio sulle punte.
Elena curvò le spalle. –Rhami?- chiese.
-Ah, magari, sarebbe stato divertente- fu la risposta della Dea. –No, ha un’anima bianca, ed è per questo che non vuole salire. Ti aspetta di sotto, non mi ha detto come si chiama, ma chiede di parlare con te. Dice che è piuttosto urgente- avvolta dal suo solito sorriso malizioso, Leila la fissò allungo. –Allora? Che gli dico?-.
Elena rimase a bocca aperta, senza riuscire a proferire parola.
-Va bene, lo mando via-.
-No, aspetta!- fece un passo avanti. –Voglio parlarci, adesso vado- disse avvicinandosi all’ingresso.
Una volta nel salone, Elena fu sorpresa di non trovarvi né Elika, né Kamila.
-Fa’ piano quando torni su, stanno dormendo le due- la informò Leila.
-Come vuoi- mormorò Elena andando verso le scale.
Si affacciò al piano di sotto e si sorprese di non vedervi nessuno. Dietro di lei avvertiva ancora lo sguardo vigile di Leila.
-Che aspetti? Vai!- le disse, e la giovane Dea s’incamminò.
Il color miele dei suoi capelli era inconfondibile e il grigio cristallino dei suoi occhi brillava nel buio del corridoio mentre se ne stava in disparte con le braccia incrociate, avvolto dalle ombre della sala.
Elena era scalza e si fermò in piedi sul tappeto che copriva il pavimento piuttosto che sulle scale di pietra –Gabriel?- domandò smarrita.
Il ragazzo avanzò dall’oscurità. –Mi dispiace avervi disturbata, ma oggi, prima che fuggiste dal cortile, avrei voluto chiedervi una cosa- disse serio.
La Dea s’irrigidì. –Ti riferisci alla collana?- chiese portando il ciondolo allo scoperto fuori dalla maglia a maniche lunghe e di seta. Strinse il simbolo della setta tra le dita con una forza che avrebbe potuto spezzare la roccia di cui era fatto.
-Sì, ecco…- mormorò Gabriel spostando lo sguardo sul ciondolo. –Mi riferisco alla vostra collana, Dea Elena, quando vi chiesi dove l’aveste presa. Vorrei una risposta a quella domanda- affermò contenuto.
-Perché te ne interessi tanto? Collezioni forse pietre preziose?- sbottò irritata. Era la sua collana, la collana di Alice e della sua famiglia. Poteva qualcun altro mostrarsi tanto interessato quando lei ne era così gelosa?! No!
-So di che pietra è fatta quella collana!- sbottò lui d’un tratto, ed Elena rabbrividii.
-Come lo sai…?- mormorò flebile, spaventata. Quella storia stava prendendo una piega insolita.
Gabriel si rabbuiò distogliendo lo sguardo. –è… complicato… potreste non capire- disse.
-Gabriel, se posso… sono stanca, vorrei…- indicò le scale, ma il ragazzo rimase immobile e in silenzio.
Elena attese che fosse lui a parlare.
-Ho un vago ricordo- proferì ammutolito. –Un vago e doloroso ricordo della mia infanzia, forse avrò avuto cinque o sei anni. Ero un orfano come gli altri, e non ho memoria di come vissi prima di quel momento. Il momento in cui un uomo venne da me, una notte, e mi strappò dal collo quella collana, cui avevo sempre avuto, cui ero affezionato allo stesso modo di come una bambina ama la sua bambola. Fu l’assassino mio maestro, un giorno prima di quella notte, a dirmi di quale rara pietra era stato forgiato quel ciondolo. Mi riempì di congratulazioni, mi lodò per il solo possesso di quella catenella. Ebbene, ora… vederla al vostro collo dopo così tanto tempo ha fatto sorgere in me una marea di dubbi e incertezze, vorrei sapere di più! Sapere se l’avete trovata a terra o se è stato l’uomo che me l’ha strappata via quella notte a donarvela per amore! Perché vedete… io vorrei riaverla indietro. È l’unico fittizio oggetto che sento veramente appartenermi, è parte di me, della mia vita, e perderlo quella notte è stato un dolore immenso… non ho mai saputo chi… o con quale coraggio mi sia stato portato via… vorrei riaverlo, vorrei riprendermi ciò che mi appartiene-.
Elena sbiancò, aprì la bocca ma non riuscì a parlare. La sua mano si strinse più convulsamente attorno alla catena di sua madre, mentre percepiva gli occhi inumidirsi.
-So che è difficile da credere! Ma è la verità! Non è per avarizia! Non ho intenzione di sottrarvela e poi rivenderla al primo commerciante, perché lo ammetto, come pietra è anche piuttosto rara e preziosa e un buon mercante vi farebbe una fortuna! Non fraintendete, non sono né un ladro né un ipocrita! Elena, per favore, vi imploro di darmi ascolto- si fece avanti e dopo pochi passi le fu davvero vicinissimo.
-Gabriel…- pronunciò lei confusamente, senza voce. –Tu…-.
Il ragazzo socchiuse gli occhi. –Vi imploro, Dea, di dirmi come. Come è possibile che un raro oggetto tanto irripetibile e che credevo fosse unico sia nelle vostre mani- Gabriel strinse i palmi attorno alle sue dita, che a loro volta strizzavano il ciondolo.
Elena mollò la presa d’un tratto, e la collana di Alice le ricadde sul petto.
Gabriel, stupito, la fissò allungo.
-Io… io non posso – mormorò, non indugiando ancora, Elena si voltò e corse su per le scale. Senza voltarsi giunse nel salotto delle Dee, dove trovò ad attenderla Leila.
Dal piano di sotto venne la voce dell’assassino che chiamava il suo nome, ma la ragazza si segregò nella sua stanza da letto, sbattendo al porta alle sue spalle e appoggiò la schiena contro di essa.
Chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalle sue braccia tese in avanti fino allo specchio. Lo sfiorò con le dita e, quando le sue iridi azzurre si rifletterono in esso, la ragazza prese un gran sospiro.
In quell’immagine, quella notte, accanto al suo riflesso, c’era Gabriel.


   
 
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