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Autore: PeterPan_Sherlocked    29/02/2016    1 recensioni
Criminale, pedina, logica, fisica, Agente. Il corpo della Polizia Temporale non è come ci si immagina. Sono ragazzini quelli che ne fanno parte, automi o persone, uomini o dei?
I segreti sono le fondamenta, gli intrighi le mura, la logica ciò che fa funzionare la macchina perfetta dell'Agenzia.
L'allievo più promettente della Scuola conoscerà la leggenda.
Lei ha salvato il mondo, ma chi salverà lei?
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Call Trilogy'
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"Ti sei tatuato quel pugnale?" gridò Lea sconvolta. "Si ma i miei timpani non ti hanno fatto nulla di male, sono innocenti." rispose lui. All'inizio era stato troppo strano guardarsi allo specchio e vedere quell'enorme disegno che gli occupava tutta la schiena, ormai invece ci aveva fatto l'abitudine, lo considerava parte di sé. "Te lo sei tatuato... ti sei tatuato quel pugnale..." "Dovevo." Thomas indossò una camicia e quasi sembrò tornare il ragazzo che Lea conosceva, come se quelle settimane non fossero mai passate, come se non avesse dovuto convivere con un lutto. Ancora non riusciva a capacitarsi di come Lea potesse essere ancora viva ma aveva deciso di non pensarci troppo. "Me ne vado per sette settimane... mhh quanto suona strano con tutte queste t... e ritrovo il mondo ribaltato. Niente biscotti a casa, tu con un tatuaggio enorme e gli orecchini, la sala piena di disegni con me come soggetto e non dirmi che sul divano c'è il violino perché hai imparato a suonarlo!" la ragazza prese in mano lo strumento, rigirandoselo cuoriosa tra le mani. Era sempre stato lo strumento che preferiva ascoltare, amava guardare la grazia con la quale i violinisti suonavano e amava la musica che parlava di passioni e dolore. "Emh... ho imparato a suonare il violino, si." Thomas lo prese in mano e se ne andò in camera sua. Il violino in quelle settimane era stata l'unica cosa attraverso la quale sfogarsi e ora ne aveva di nuovo bisogno. Per quanto non lo volesse ammettere, era successo tutto troppo in fretta. La sua morte, il lutto e poi trovarla viva e tornare in quella casa insieme, come se nulla fosse successo, come se non ci fosse mai stata la caduta. Si chiuse in camera e iniziò a suonare. Era un canone inverso delicato e straziante, e lui suonava quello strumento più forte che poteva, come se quella musica potesse rispondere alla sue domande, con le sue note dolorose e le sue pause distrutte. Lea si avvicinò alla camera per forzare la maniglia ed entrare, poi sentì le prime note. Ne rimase quasi incantata, si sedette davanti alla porta e chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare da quella musica. L'inizio era rassegnazione, annichilimento, poi alzava i toni, quasi a voler reagire con rabbia a tutto quel male. Quelle note alte, quasi sgraziate parlavano di un dolore antico e sempre nuovo, di ricordi perduti e speranze illusorie. Era una melodia che parlava di amore e di dolore, di rabbia e di illusioni. Ecco che si faceva più concitata, più dolorosa ancora, come uno strappo su di una tela candida. Le scale veloci, i piccoli rallentamenti, quella forza con la quale lui continuava a suonare quello strumento disperato, Lea non se ne rese conto ma aveva gli occhi lucidi. Era questo il dolore che aveva provato lui allora, un dolore che non credeva possibile. La melodia si interruppe come se fosse finita, per poi riprendere. Le note erano le stesse ma ora parlavano di rinascita, di speranza, di un futuro che forse sarebbe potuto esistere. Eppure non era solo quello, era rinascita ma non del tutto, quel dolore aveva lasciato una cicatrice profonda, era un ferito che cercava di rialzarsi ma non poteva riuscirci perché mutilato a una gamba e allora guardava il cielo sopra di sé sapendo che alzandosi avrebbe vissuto ma consapevole di non poterlo più fare. Thomas stava appoggiato alla porta, piangendo e ridendo allo stesso momento. Non era mai riuscito a finire quel canone inverso, non era mai riuscito a suonare quel finale di liberazione, quelle frasi che urlavano la sua incapacità di rialzarsi fino a quel momento. Alla fine si accasciò sulla porta, il violino accanto a sé mentre l'ultima lacrima gli scorreva lungo il viso, incespicando sulle pieghe della cicatrice e fermandosi sull'orlo del labbro, quasi non volesse andarsene. Thomas si morse il labbro sentendo il salato del suo pianto nella bocca. Quando si decise ad aprire la porta della camera non si aspettava di trovare Lea addossata alla porta con gli occhi lucidi. "Uh... scusa. Non volevo farti piangere." borbottò lui passando in corridoio. "Sei bravissimo lo sai? Non ho mai sentito suonare qualcuno in questo modo." sorrise stancamente lei. "Sono stato un Agente con molto tempo libero ultimamente." Fu un attimo, si sentì immensamente felice di averla lì davanti mentre sorrideva. Forse era ora di crederci, era ora di ricominciare. La tirò su e la baciò come non aveva mai fatto nemmeno quando l'aveva ritrovata. Era un bacio spezzato, c'era la perdita e la gioia di averla ritrovata. Le passò le mani sulla schiena e sui fianchi stringendola sempre di più mentre lei lo abbracciava forte, mordendogli il labbro inferiore e accarezzandogli le spalle. "Troppo romanticismo...?" chiese ad un tratto Lea interrompendo il bacio. Thomas scrollò le spalle. "Decisamente, così rischiamo di arrivare in ritardo al tuo funerale." sorrise lui. "Mhh già. Ah Tommy, io ho l'auricolare fuori uso." "Non c'è problema, te ne creo un altro collegato con il mio, così farai tutti i miei trasferimenti." il ragazzo corse in salotto e tirò fuori dal cassrtto del tavolo che si trovava in mezzo alla stanza, tutto l'occorrente per creare un auricolare illegale. "Non una parola." disse a Lea che già aveva pronta qualche battutina sarcastica. La ragazza chiuse la bocca, non riuscendo però a trattenere un sorriso. L'auricolare fu pronto in cinque minuti. "Agente Thomas chiede trasferimento nell'area posteriore dell'Agenzia." La sua richiesta fu accolta con una velocità inaudita, probabilmente perché i Macchinisti sapevano del suo particolare legame con la presunta morta. Atterrarono sul parco dietro l'Agenzia. "Tu nasconditi per ora." gli disse Thomas e si avviò verso la sala dove si sarebbe tenuto il funerale. Era tutto completamente bianco, come il suo grado. Il colore dei Generali Temporali, dei Geniet, era il bianco e quel giorno si sarebbe reso omaggio al miglior Generale che l'Agenzia avesse mai visto. Headstrich, in grigio come sempre, stonava palesemente con il candore di quell'allestimento e la bocca storta in una smorfia di disapprovazione faceva trasparire tranquillamente il suo pensiero al riguardo. Non c'erano sedie, solo una lapide bianca in fondo alla stanza, con sopra inciso: Agente Neumalea. Generale Temporale, eroe di guerra. Un signore con i capelli brizzolati e gli occhi lucidi si avvicinò ad Headstrich. "Il suo nome è Sarah Moonwhite." nonostante sembrasse distrutto, la sua voce era ferma. "Signor Moonwhite, Sarah non è mai esistita, ora la prego torni al suo posto vicino ai nostri Agenti. Anche se questo non è il suo posto." Thomas sentì la conversazione di sfuggita e ebbe il forte istinto di prendere a schiaffi Headstrich, ma si controllò. Guardare quella lapide, pensare che lei sarebbe potuta tranquillamente essere morta, distrusse Thomas ancora di più. Erano presenti quel giorno non solo gli Agenti ma anche i Professori, i Macchinisti, gli Archivisti e tutti coloro che in un modo o nell'altro erano collegati all'Agenzia. "Siamo qui oggi per ricordare un nostro Generale temporale caduto valorosamente per la salvezza del mondo." iniziò Headstrich "purtroppo però non condivido i sentimenti che vi hanno spinto a chiedere a gran voce il funerale. L'Agente era irrispettosa, egoista, disubbidiente e..." Non finì mai la frase perché qualcun altro la finì per lei. "...imprevedibile." Neumalea faceva così il suo ingresso teatrale nella stanza, mentre Thomas sorridev pensando alla sua carriera di attrice melodrammatica. Aveva la divisa da Generale e i capelli raccolti in una coda tirata che la rendeva ancora più severa. Sarebbe potuto essere un fantasma, la sua divisa bianca si confondeva con il candido della pareti. "Sempre gentile, Headstrich." continuò imperterrita lei "oh si, sono viva. Come? Vada a chiedere alla Storia, anche se di solito non ha voglia di parlare con le vecchie noiose. Detto questo sono molto onorata per avermi acclamato come eroina. Bene ora ce ne andiamo. Dove sta il mio Thomas?" Dentro la sala c'era un silenzio tombale. Tutti gli occhi erano rivolti verso quella figura che aveva sarcasticamente commentato il discorso del direttore, insolentemente ringraziato per il funerale e sfacciatamente chiesto di un Agente. Headstrich si passò una mano tra i capelli, non sapeva se essere spaventata o disgustata. "Che sei tu l'abbiamo appurato al primo insulto, come non è lecito chiedere da quello che ho capito ma almeno perché questa messa in scena?" domandò la direttrice esausta. "Perché è la regina della commedia, lei." A rispondere non era stata lei ma Thomas che sorridendo, le era andato incontro e le aveva passato il braccio dietro la schiena. "Sarah..." una voce si levò dall'assemblea e fece la sua comparsa l'uomo brizzolato. Aveva gli occhi stanchi e lo stesso sorriso storto di Lea. La ragazza rimase pietrificata. Quello non se l'aspettava, non sapeva come reagire, era passato così tanto tempo... "Papà, come mai sei qui?" "Non avrei potuto fare altrimenti. Mi sono perso la tua vita, almeno avrei onorato la tua morte." Lea si sciolse dall'abbraccio di Thomas per correre incontro al padre e stringerlo forte. "Papà! Oh quanto mi sei mancato!" "Per questo impediamo agli Agenti di venire in contatto con i loro concepitori." sentenziò Headstrich. "Concepitori?" Lea alzò lo sguardo "Come se fossero due persone da usare per raggiungere uno scopo, come se fossero due macchine usate per produrre il vostro caso umano da usare per vantarvi con l'Universo. Mia madre mi ha tenuta in grembo per nove mesi. Pensa che non contano niente quei nove mesi? Illusa. Non potete togliere a un bambino una madre e anche solo illudervi che non ne sentirà una mancanza così atroce da distruggerlo interiormente. Un bambino ha bisogno di una madre. E di un padre che ascolti i suoi pianti e li culli con fermezza, che non vizi, che protegga. Ma voi questo lo sapete, giocate proprio su questa disperazione per creare gli Agenti. Create i nuovi orfani, non vi fate schifo?" Aveva detto queste parole di getto, non pensando a quanto somigliassero al discorso di Alexander tanto tempo prima. Loro erano i nuovi orfani, senza madre e senza padre, cresciuti dalla logica. Lea si rivolse suo padre. "E la mamma?" Non era sicura di voler sentire la risposta, il volto di suo padre era già abbastanza espressivo. L'uomo però non rispose a Lea, ma a Headstrich. "Non potete pensare di portare via una figlia a una madre e sperare che non impazzisca. O non muoia di dolore. E' sopravvissuta per tre anni dopo che te ne sei andata, io invece ancora mi trascino nella vita." le ultime parole erano rivolte alla figlia. Lea si arrabbiò. Thomas corse a prenderle la mano per tranquillizzarla, con scarsi risultati. "Io ti ucciderò." sussurrò verso Headstrich.
   
 
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