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Autore: TimeFlies    29/02/2016    5 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 21




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21. Scarlett

«Sì, hai completamente ragione, i ragazzi sono solo un peso.» Convenni sperando con tutta me stessa che James, a pochi metri da me, non mi sentisse.
Dall’altro capo, Beth si esibì in un sospiro teatrale. «Esatto! Voglio dire, pretendono che tu sia sempre carina e truccata e poi a malapena ti guardano.»
Una parte di me non poté fare a meno di pensare che non tutti erano così, e di sicuro non il suo ex: Adam guardava con attenzione chiunque gli stesse davanti, i suoi occhi blu sembravano sempre affamati di dettagli. Quando qualcosa lo interessava.
Sentii una piccola fitta di colpevolezza quando mi resi conto che il rancore di Beth era dovuto a questo, al fatto che Adam non la guardasse come lei voleva essere guardata.
«Già… Dovrebbero rimettere la testa a posto.» Mormorai lanciandomi un’occhiata alle spalle e sorridendo a James come per rassicurarlo.
Elisabeth non poteva scegliere un momento peggiore per chiamarmi. O forse non poteva sceglierne uno migliore. Ero uscita con James per fare un giro in città, niente di impegnativo, ma neanche di troppo interessante. Solo che stavo perdendo un sacco di tempo dietro alla telefonata di Beth e probabilmente a lui questo non andava a genio, bastava guardare la piega infastidita delle sue labbra per capirlo.
«Sai che ti dico? La vita da single è cento volte meglio. Al diavolo i ragazzi e tutte le loro pretese.» Dichiarò la mia migliore amica con enfasi. «Ah, a proposito, sabato ti va di fare un po’ di shopping?»
«Certo. Conta pure su di me, Beth.» Confermai, metà sollevata e metà delusa che quella conversazione stesse giungendo al termine.
«Grazie Scarlett, sei un tesoro!» Esclamò lei.
«Figurati, lo faccio volentieri.» Replicai sorridendo.
Riattaccai, trassi un respiro molto profondo e mi voltai per tornare da James. Mi accolse con un piccolo sorriso e non potei fare a meno di trovarlo tenero.
«Tutto okay?» Chiese.
Annuii scostandomi una ciocca di capelli dagli occhi. «Sì, tutto bene…»
In quel momento il mio cellulare, che avevo ancora in mano, squillò di nuovo. Imprecai mentalmente, lanciai un’occhiata allo schermo e tutta l’irritazione sparì: era Adam. «Torno subito, scusa.» Dissi lanciando un’occhiata di scuse a James.
Mi allontanai di nuovo, questa volta mettendo più distanza tra noi, prima di portarmi il telefono all’orecchio. «Adam, ehi.»
«Ciao Scar.» Rispose lui.
Sentire il soprannome che mi aveva dato mi fece sorridere, mio malgrado: era la prima volta che qualcuno mi trovava un nomignolo, anche perché Scarlett non è facile da abbreviare. E il fatto che qualcuno mi avesse dato un diminutivo mi faceva sentire lusingata. 
«Perché mi hai chiamata?» Domandai osservando distrattamente la vetrina di un negozio di vestiti.
«Ecco, ho bisogno di favore. Per le ripetizioni di oggi, ti dispiacerebbe venire a casa mia?» Spiegò con una nota esitante nella voce.
«Sì, certo, non credo ci sia nessun problema.» Confermai. «Come mai?»
«Mio fratello mi ha lasciato sua figlia per un paio d’ore.» Rispose e, chissà perché, mi immaginai di vederlo arricciare appena le labbra.
Mi ritrovai a sorridere. «Oh, quindi fai il babysitter?»
Lo sentii sospirare. «Non c’è niente di divertente, Scar.»
Mi morsi un labbro per non ridere. «No, infatti. Ti ci vedo proprio, sai?»
«Guarda che Lena mi adora.» Borbottò eppure sapevo che stava sorridendo anche lui.
«Allora okay, non voglio discutere con una bambina.» Ribattei. «Mi dai il tuo indirizzo?» Aggiunsi incastrando il cellulare tra la spalla e l’orecchio mentre cercavo una penna nella borsa.
«Madison Street, numero 10.» Rispose. «Comunque grazie.»
«Di nulla.» Mormorai prima di stappare la penna con i denti e scribacchiarmi il nome della strada sul palmo della mano. «Allora ci vediamo dopo?»
«A dopo, Scar.» Replicò.
Trattenni il fiato per un secondo mentre riattaccavo. Vedere casa sua era una cosa che non avrei mai pensato di fare, anche perché fino a poco tempo prima non lo volevo assolutamente nella mia vita. Adesso qualcosa era cambiato, e buona parte delle mie convinzioni erano state sconvolte. E chissà cos’altro avrebbe combinato quel ragazzo dagli occhi blu.
Tornai da James con un sorriso di scuse e l’espressione più supplicante che riuscii a trovare. «Mi dispiace, a quanto pare oggi servo a tutti…»
Lui sorrise appena. «Già, sei molto ricercata, eh?» Mi prese per mano intrecciando le dita alle mie. «Andiamo a fare una passeggiata nel parco? È qui vicino.»
Annuii sentendo di doverli dimostrare un po’ d’entusiasmo per farmi perdonare. «Sì, volentieri.»
Sembrò rilassarsi e riacquistare fiducia in sé. Si chinò su di me per baciarmi, ma, quando le sue labbra trovarono le mie, non sentii nessuna scintilla.
Era come se qualcuno avesse ucciso le mie famose “farfalle nello stomaco”. E non potei fare a meno di sentirmi in colpa per quel mio improvviso disinteresse verso il ragazzo che dicevo di amare.

James non mi era sembrato molto entusiasta di dovermi accompagnare a casa di Adam, lo avevo intuito subito. Mentre guidava, infatti, aveva un’espressione corrucciata e quasi infastidita.
Gli avevo detto più volte di non preoccuparsi e che sarei potuta andare a piedi. Si era rifiutato di lasciarmi andare da sola e devo ammettere che mi aveva fatto piacere sapere che si preoccupava per me.
«Quindi… Adam ti da ripetizioni?» Chiese tamburellando sul volante.
«Già. Io e la matematica non andiamo molto d’accordo, ma a lui riesce bene così… mi da una mano.» Spiegai.
«Uhm… Se me lo avessi detto avrei potuto farlo anch’io.» Commentò.
Lo guardai, sorpresa. «Oh… Beh, ho pensato che visto che avevi cambiato scuola magari dovevi adattarti al programma.»
Annuì, come sovrappensiero. «Sì, forse.»
«Senti, ho apprezzato il fatto che tu abbia deciso di accompagnarmi. Davvero.» Mormorai. «È stato molto gentile da parte tua.»
Mi fece un sorriso un po’ incerto. «Ehi, tu sei la mia ragazza, okay? Per te questo ed altro.»
Gli sorrisi. «Grazie. Di nuovo.»
Lui fece un piccolo cenno d’assenso prima di accostare l’auto ad un marciapiede. «Numero 10, giusto?»
Lanciai un’occhiata fuori dal finestrino: a quando pareva Adam viveva in una di quelle villette tutte uguali con un minuscolo giardino davanti. In effetti, devo ammettere che era così che mi immaginavo casa sua, più o meno.
«Sì, dev’essere questa.» Confermai. Presi la borsa e mi allungai per baciarlo sperando segretamente che le farfalle nella mia pancia fossero tornate. «A domani.»
«A domani.» Rispose scostandosi da me. «E buona lezione. Credo.»
Sorrisi scuotendo la testa. «Speriamo.»
Scesi dalla macchina chiudendomi lo sportello alle spalle. James mi fece un cenno di saluto che ricambiai. Appena si fu allontanato, mi voltai verso la casa e la raggiunsi.
Indugiai per un attimo al momento di bussare: e se mi avesse aperto suo fratello? O sua madre? Che avrei detto? “Ehi, suo figlio mi deve dare ripetizioni, è in casa?”. Sarei morta dall’imbarazzo.
Non mi aspettavo minimamente che sarebbe stata una bambina dai lunghi capelli biondi ad aprirmi la porta. Rimanemmo a guardarci per qualche secondo, senza sapere cosa fare. Lei aveva grandi occhi di un azzurro più chiaro rispetto a quelli di Adam. Dimostrava quattro o cinque anni, ma sembrava piuttosto sveglia e vivace. Aveva le mani macchiate di tempera di vari colori e non aveva risparmiato neanche la maglietta che indossava.
Mi schiarii la gola. «Ehm… C’è Adam?»
«Lo zio?» Chiese osservandomi con curiosità.
Esitai per un attimo. «Uh, sì, lui.»
«Scarlett.» La sua voce mi fece alzare gli occhi quasi senza che me ne rendessi conto.
Adam era in piedi dietro sua nipote e mi sorrideva. Indossava una maglietta nera a maniche lunghe e dei jeans semplici. Sentii un sorriso nascermi sulle labbra.
«A quanto pare sei sopravvissuto alla pittura, eh?» Lo provocai.
Alzò gli occhi al cielo. «Avevi dubbi?»
La bambina lo tirò per una manica. «È la tua fidanzata?»
Il sorriso di Adam si fece più ampio quando abbassò lo sguardo su di lei. «No, bionda, è solo un’amica.»
Lei mi lanciò un’occhiata per poi tornare a guardare Adam. «Okay.» Disse scrollando le piccole spalle.
Si infilò in casa di corsa senza dare a nessuno il tempo di rispondere. Adam la seguì con lo sguardo per un attimo prima di riportare l’attenzione su di me.
Si mordicchiò il labbro. «Prendo il libro e possiamo andare, mmh?»
«Sì, perfetto.» Concordai.
Mi fece un piccolo sorriso prima di rientrare lasciando la porta aperta. Mi strinsi le braccia al petto e trassi un respiro profondo: era andata meglio di quello che pensavo. E dovevo ammettere che sua nipote era davvero carina.
Sussultai quando un cane apparve sulla soglia. Era un border collie, se non mi sbagliavo: muso appuntito, pelo lungo bianco e nero, orecchie a punta ripiegate, corpo snello. Mi guardava annusando l’aria.
Non riuscii a fare a meno di inginocchiarmi e allungare una mano verso di lui. O lei. Il cane sollevò le orecchie e mi fiutò per un attimo prima di lasciarsi accarezzare. Si mise a scodinzolare e mugolò piano. Avevo sempre voluto un cane, ma visto che mia mamma non c’era mai non aveva voluto lasciarmelo prendere. Questo non aveva impedito ad una piccola Scarlett di sei anni di fare amicizia con tutti i cani del quartiere.
Qualcuno si schiarì la gola facendomi trasalire. Sollevai di scatto la testa proprio mentre il cane si sdraiava sulla schiena. Davanti a me c’era un uomo giovane, sulla trentina, con capelli scuri tagliati molto corti e occhi chiari. Era alto e muscoloso e aveva un cipiglio non proprio rassicurante. Mi rimisi in piedi, imbarazzata, e mi infilai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lui continuava a studiarmi con aria sospettosa. «Tu sei?»
«Un’amica di Adam.» Mormorai con un fil di voce.
Lui sollevò un sopracciglio. «Ah, davvero?»
«Sì, davvero.» Confermò Adam apparendo al fianco dell’uomo. «Non devi fare il terzo grado a tutti quelli che si presentano alla porta, sai?»
L’altro sembrò lievemente sorpreso. «Oh… Ehm, non è quello che stavo facendo.»
«Bene, perché non ce n’è bisogno.» Commentò Adam prima di voltarsi verso di me. «Possiamo andare.»
«Dove?» Intervenne l’uomo.
Adam sospirò e sollevò il libro di matematica. «Dove vuoi che andiamo, Louis? Le do ripetizioni.»
Louis si grattò la testa, imbarazzato. «Uh… Bene. Divertitevi.»
Adam alzò gli occhi al cielo e mi fece cenno di seguirlo. Si chiuse la porta alle spalle bloccando così ogni tentativo di Louis di aggiungere altro. Seguii il ragazzo con gli occhi color tempesta fino alla sua auto e mi sedetti al posto del passeggero. Lui prese posto al volante e inserì le chiavi nel quadro.
«Scusa se te lo chiedo, ma sono un pochino confusa: chi era quello?» Domandai.
Lui trasse un respiro profondo. «Mio fratello. Ti avevo accennato qualcosa, no?»
«Sì, mi sembra proprio di sì.» Risposi. «Quindi è lui il padre della bambina?»
Annuì stringendo le labbra. «Esatto.»
«E a te non va tanto a genio, mmh?» Indovinai osservandolo.
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso sghembo. «È così evidente?»
«Basta prestare un po’ d’attenzione alla postura, ai movimenti, agli occhi…» Spiegai. «I telefilm polizieschi sono utili in questo senso.»
«Gli voglio bene, ma… Lui è sempre così perfetto… E ha già una famiglia. È stupido, lo so, però a volte mi viene da pensare che lui sia semplicemente migliore di me.» Mormorò.
Senza pensarci, gli misi una mano sul braccio. «Non è vero. Cioè, io non lo conosco, ma so che tu sei… incredibile.»
Si morse il labbro e mi lanciò un’occhiata. «Grazie Scar.»
Gli sorrisi, cosa che mi veniva incredibilmente naturale. «Di nulla.»

Dopo un’estenuante lotta con i radicali durata poco più di un’ora, convinsi Adam ad uscire sul portico per prendere un po’ d’aria. Ci appoggiammo entrambi alla ringhiera, l’uno accanto all’altro, con le spalle che si sfioravano.
Mi piaceva guardare il bosco, anche se i ricordi che avevo delle notti passate lì non erano proprio piacevoli. Nonostante tutto, l’imponenza degli alberi, l’uniformità delle loro fronde, l’odore umido e corposo del muschio e dell’erba… si amalgamavano così bene che sembrava impossibile allontanarsi.
Adam mi prese delicatamente una mano tra le sue. Gli lanciai un’occhiata di sottecchi, sorpresa: sembrava perso nei suoi pensieri, teneva lo sguardo basso e si stava mordendo il labbro inferiore. La sua pelle era lievemente calda e, in un certo senso, anche rassicurante, piacevole.
In effetti, mi sarebbe piaciuto farmi abbracciare da lui. L’avevo già fatto una volta, ma in quel momento non ero stata completamente in me visto che ero reduce da una notte di plenilunio. Quello era stata un gesto dettato dall’impulso e dal sollievo di sapere che ero riuscita a controllarmi, a non fargli male.
Mentre io mi facevo prendere dai ricordi, Adam aveva cominciato ad accarezzarmi le nocche. Si soffermò con le dita sull’anello che mi aveva regalato mia mamma. Il suo tocco era leggero, quasi esitante. Sospirai e appoggiai la testa alla sua spalla.
Sentii il suo sguardo addosso, probabilmente un’occhiata sorpresa come quella che gli avevo rivolto io. Improvvisamente mi resi conto che non avevo mai vissuto momenti del genere con James: stavamo bene insieme, questo sì, ma non mi ero mai sentita così rilassata e a mio agio. Questo perché avevo sempre paura che qualcosa potesse tradirmi, magari le iridi che cambiavano colore, o le zanne che spuntavano all’improvviso, rivelando quello che ero realmente.
Con Adam questo rischio non esisteva, perché lui sapeva tutto e l’aveva accettato. E questa era una delle cose più strane che mi fosse mai successa: aveva accettato la mia natura pericolosa e selvaggia, aveva accettato l’animale che si nascondeva in me, aveva accettato i miei sbalzi d’umore e le mie reazioni troppo avventate. Aveva accettato tutto questo, ci aveva fatto i conti, ed era ancora lì.
C’era voluto del tempo perché me ne rendessi conto, perché smettessi di vederlo come una minaccia, ma dopo il litigio e la successiva riappacificazione, io ed Adam ci eravamo avvicinati molto. E per un po’ neanche me n’ero accorta. Ci avevo fatto caso solo quando mi ero ritrovata a ridere con lui per una battuta stupida e piuttosto patetica, solo quando stare seduti vicini durante le ripetizioni non mi dava più fastidio, solo quando avevo preso l’abitudine di dargli un bacio sulla guancia ogni volta che mi riaccompagnava a casa.
«Posso farti una domanda?» Chiesi osservandolo di sottecchi. «Ma devi essere completamente sincero.»
«Certo, Scar. Puoi chiedermi qualunque cosa.» Confermò voltandosi verso di me.
Trassi un respiro profondo. «Secondo te riuscirò a non prendere un’altra F nel prossimo compito? No, perché, se ne prendo davvero un’altra saranno cinque di fila.»
Sorrise prima di mordicchiarsi il labbro. «No che non prenderai un’altra F. Sei già migliorata un sacco, qualche altra lezione e sarai pronta per il compito.»
«Okay,» Mormorai, «voglio crederti.»
«Non hai ragione per non farlo. Te lo direi se fossi un caso disperato.» Replicò lui inarcando le sopracciglia, gli occhi blu attraversati da un lampo divertito.
Gli scoccai un’occhiataccia che ebbe l’unico risultato di farlo sorridere. E il suo sorriso visto da vicino era ancora più bello. Sfilai la mano dalla sua e incrociai le braccia al petto sforzandomi di non ridere di fronte alla sua espressione prima ferita e poi offesa.
«Che c’è? Non sai accettare la verità?» Mi stuzzicò voltandosi a guardarmi.
Ignorai bellamente la nostra differenza d’altezza, spesso fonte di irritazione, e sollevai il mento. «Se dovessi bocciare, sarai tu a pagarne le conseguenze, lo sai, vero?»
«Allora farò in modo che tu non bocci, dovessi darti ripetizioni tutti i giorni.» Dichiarò.
Feci per replicare, ma mi bloccai quando notai una piccola macchia di pittura verde sulla sua guancia. D’istinto, feci un passo avanti e gli presi il viso tra le mani, lo sguardo concentrato sul colore.
Lui si irrigidì e trattenne il fiato, gli occhi blu confusi e disorientati che cercavano i miei. Solo in quel momento mi resi conto di quanto poco fosse lo spazio che ci separava, era questione di centimetri scarsi. “Ho un ragazzo”, pensai mordendomi il labbro, eppure una parte di me notò comunque il calore della sua pelle e la consistenza dei suoi capelli tra le dita.
Deglutii e mi affrettai a pulire la macchia di pittura prima di indietreggiare di un paio di passi. Quasi a dimostrare l’onestà delle mie intenzioni gli mostrai il polpastrello sporco di verde.
«A quanto pare la pittura ha colpito.» Mormorai, la voce che tremava appena.
Adam mi guardava come mi stesse vedendo per la prima volta, il petto che si alzava e si abbassava seguendo un ritmo discontinuo, gli occhi color tempesta fissi nei miei.
«Grazie.» Sussurrò, e fu quasi un sospiro.
La parte più drastica di me pensò che ci saremmo baciati e che i sensi di colpa mi avrebbero ucciso definitivamente perché avrei baciato l’ex della mia migliore amica e tradito il mio ragazzo in una volta sola.
Non successe, però. Infatti, ci voltammo entrambi verso il bosco come se continuare a guardarsi fosse stato troppo imbarazzante. E, in effetti, lo era. Dopo qualche minuto di silenzio carico di tensione, mi schiarii la gola: non volevo rovinare il mio rapporto con lui per colpa di un mio gesto impulsivo.
«Quindi… la bambina di prima è tua nipote… Come si chiama?» Domandai pregando mentalmente che passasse tutto, che quell’inconveniente venisse dimenticato.
«Si chiama Lena.» Rispose e mi sembrò più calmo.
«È un bel nome.» Commentai. «Vive con voi?»
Scosse la testa. «No, lei e i suoi genitori vivono a Tacoma, a sud di Seattle. Louis però è un marine, quindi quando è in congedo vengono dai miei.»
«Oh, forte.» Mormorai.
Annuì distrattamente. «Si è arruolato a diciotto anni.»
«Accidenti… E la mamma della bambina? Anche lei è nell’esercito?» Chiesi.
Un sorriso quasi inconsapevole gli incurvò le labbra. «No, Hanna lavora nella sede di un giornale. Lei e Louis sono conosciuti grazie ad alcuni amici in comune.»
«Che cosa carina.» Sussurrai. «Sono sposati?»
«Sì, da cinque anni.» Rispose. «Louis ha chiesto ad Hanna di sposarlo quando ha scoperto che era incinta.»
«È stato un bel gesto da parte sua. Sposarla intendo. A volte gli uomini non riescono ad essere abbastanza coraggiosi da prendersi le loro responsabilità.» Commentai cupa.
I suoi occhi blu si soffermarono sul mio viso. «Ti riferisci a tuo padre?»
Mi irrigidii, improvvisamente sulla difensiva. «Come fai a sapere di lui?»
Esitò per un attimo e distolse lo sguardo. «Ehm… Ho semplicemente pensato che non parli mai di lui, lo eviti sempre, e che quindi ci doveva essere un qualche tipo di tensione tra voi.»
Deglutii e mi morsi il labbro. «Sì, la tensione c’è. Ma, come hai detto tu, evito sempre questo argomento.»
Lui fece una smorfia. «Devo essere sincero con te. Sei stata tu a parlarmi di tuo padre. La notte della festa di Selena, ricordi? Eri ubriaca e mentre ti riaccompagnavo a casa hai cominciato a raccontarmi di lui.»
Rimasi sorpresa nel sentirgli dire una cosa del genere: si era assunto un rischio enorme confessandomi ciò di cui gli avevo parlato quando non ero lucida. Trassi un respiro profondo e pregai che la mia voce non tremasse. «Che ti ho detto?»
«Che tuo padre se n’è andato all’improvviso, quando tu avevi sette anni. E che chiese subito il divorzio. E che tua mamma lo amava ancora.» Mormorò. «Hai detto anche che è facile fare male alle persone: le illudi, magari senza neanche rendertene conto, che per te sono importanti e poi basta un semplice gesto per rovinare tutto e lasciare un segno indelebile.»
«Già… Sembra proprio una cosa da me.» Sussurrai osservando l’intreccio degli alberi davanti a noi.
«Hai detto che il tuo nome non ti piace perché l’unico modo per abbreviarlo è Scar, che vuol dire cicatrice e tu non volevi essere niente del genere, per nessuno.» Aggiunse a bassa voce. «Questa cosa mi è rimasta in mente ed è da qui che ho preso l’idea per il tuo… soprannome.»
Non riuscii a fare a meno di sorridere. «Quando mi ubriaco divento piuttosto filosofica, mmh?»
«Un po’ sì.» Convenne prima di passarsi una mano tra i capelli. «Senti, mi dispiace non avertelo detto prima. È solo che… ecco, non è che i nostri rapporti fossero poi così buoni in quel periodo quindi…»
«Ehi, va tutto bene. Se me l’avessi rivelato qualche settimana fa probabilmente mi avresti dato il pretesto per mettere in atto tutte le minacce che ti avevo promesso.» Replicai prima di allungarmi per dargli un bacio sulla guancia. «E poi, se te l’ho detto un motivo c’è. Credo. Insomma, neanche Elisabeth sa tutta la storia.»
Si voltò verso di me, sorpreso. «No?»
Scossi la testa. «Non me la sono sentita di dirle… i dettagli, ecco. Le dissi solo che i miei erano divorziati. Punto. Per me non è facile trovare qualcuno di cui fidarmi al punto da arrivare a confessare cose del genere. Non voglio la pietà o la compassione della gente. Sai come fanno, no? Quando ti vedono sofferente perché i tuoi si sono lasciati diventano tutti santi e ti offrono aiuto, ma al momento in cui ne hai veramente bisogno non c’è mai nessuno.»
«È una verità orribile.» Commentò lui arricciando appena le labbra.
«Già. Ma non potrebbe essere altrimenti. Insomma, non affrontiamo neanche i nostri di demoni, figurati se ci mettiamo a fare i conti con quegli degli altri.» Ribattei portandomi una mano alla collana: era un piccolo ciondolo argentato a forma di foglia che avevo comprato per pochi dollari ad una bancarella. Non aveva nessun valore, però era delicata e bella e aveva attirato subito la mia attenzione.
Lui sospirò. «Sai, ti sbagliavi: sei filosofica anche da sobria.»
Mi misi a ridere e gli lanciai un’occhiata. «Più o meno. Anche se a me sembra di essere più che altro pessimista.»
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso. «Probabilmente sono la persona meno indicata, ma voglio farti sapere che se hai bisogno devi solo chiamarmi. A qualunque ora.»
Per un qualche strano motivo, sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi: era riuscito a commuovermi ed erano davvero poche le persone che potevano vantare di aver fatto una cosa del genere.
Sbattei le palpebre per riprendere il controllo e trassi un respiro profondo. «Grazie Adam, sul serio. Sei fantastico.»
«Figurati Scar. Lo faccio volentieri.» E si voltò per darmi un bacio sulla guancia.
Quando si allontanò dal mio viso, rimanemmo a guardarci negli occhi per quella che sembrò un’eternità carica di parole non dette, rancori, frustrazione, ma anche alleanze, amicizia e qualcosa in più, qualcosa a cui non riuscii a dare un nome.




SPAZIO AUTRICE: Cu :3
Prima di tutto, ho una comunicazione di servizio da fare: dal 13 al 19 Marzo sarò in gita con la scuola e quindi non potrò dedicarmi ad Efp, per questo vi dico fin da ora che aggiornerò sabato 12 così da non lasciarvi troppo tempo senza un nuovo capitolo. Anche perché il prossimo è uno dei più importanti. E sarà molto Adamett.
Detto questo, passiamo al capitolo. Dopo Adam e Beth, anche Scarlett sembra essere insicura della propria relazione con James: che sia per via del ragazzo con gli occhi color tempesta? Può darsi.
La scena sul portico è probabilmente una delle mie preferite e voglio dedicarla -se è possibile dedicare una scena- a quel dolcetto di Juliet Leben che mi ricorda con pazienza infinita che ciò che scrivo non è da buttare <3
Adam e Scarlett, in questa scena, si mostrano esattamente per come sono, lei impulsiva e sempre armata di buone intenzioni, lui più riflessivo e cauto. Sono loro al cento per cento. E poi mi è piaciuto un sacco scrivere di Scar che gli pulisce la guancia *-* Non so, è stato un momento dolce e "puro", ecco.
Inoltre, Adam in questo capitolo si è aperto e a confessato a Scar ciò che lei stessa gli ha detto mentre era ubriaca. E lei non gli è saltata alla gola come avrebbe fatto prima e come aveva promesso di fare. In effetti, ve ne sarete accorti da soli, gli Adamett sono meno diffidenti l'uno nei confronti dell'altra. Stanno cominciando a fidarsi, finalmente direi.
Il prossimo capitolo sarà molto, molto intenso, questo posso dirvelo. Da quello dopo ancora, invece, il 23°, entreremo nella seconda metà della storia! *-*
Penso di avervi detto tutto, quindi colgo l'occasione per ringraziarvi di cuore per il tempo che dedicate a questa storia <3
Ci vediamo il 12 Marzo **

TimeFlies




  
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