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Autore: j a r t    29/02/2016    3 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- 15 -
 
Federico e Michael si svegliarono abbracciati nel letto matrimoniale, e nessuno dei due riusciva a pensare ad un risveglio migliore. Si guardarono negli occhi per lungo tempo, sorridendosi teneramente come due ragazzini alla loro prima cotta. A Federico non dispiaceva sentirsi così, dal momento che era davvero felice con Michael, e solo con lui finalmente non sentiva il bisogno di fingere e rifugiarsi dietro quel muro da duro che ogni tanto metteva su.
Michael diede una rapida occhiata all’orario segnato sul suo cellulare, quindi riaffondò la testa nel cuscino e richiuse gli occhi.
«Mmm, dobiamo alzarci, ci aspetta l’aereo» mugolò contro il tessuto del cuscino, tanto che Federico riuscì a capire a stento il significato di quei suoni.
Il tatuato rise.
«Infatti: dovresti alzarti, non riaddormentarti.»
Il riccio sembrava ancora in letargo quando Federico uscì dal bagno dopo essersi lavato e aprì l’armadio per scegliere cosa indossare. Lui era sempre così indeciso, quindi restò per un po’ in boxer davanti all’armadio che condividevano. Gli abiti vistosi e colorati di Michael occupavano gran parte del mobile, lasciando alle sue poche magliette solo un misero spazietto sulla sinistra. Federico sorrise: anche quella era una caratteristica di Michael che aveva imparato ad apprezzare.
Improvvisamente Federico sentì qualcosa di umido dietro al collo e capì che erano le labbra di Michael, che avevano cominciato ad esplorare la sua pelle. Il riccio poggiò poi le mani sui suoi fianchi e a Federico venne un brivido per il calore del corpo di Michael che si contrapponeva al proprio, fresco per la doccia appena fatta.
«Così ti salto addosso» ridacchiò Federico, chiudendo gli occhi e percependo già calore al basso ventre.
«Fallo» sussurrò Michael al suo orecchio in maniera così eccitante che Federico se ne fregò dell’aereo da prendere e si rivoltò nell’abbraccio, spingendo il riccio contro il letto.
Il corpo di Michael ricadde pesantemente sul materasso e il riccio rise, divertito dalla foga che aveva impiegato Federico. Il tatuato sfilò subito i boxer del ragazzo e i suoi, che vennero prontamente gettati sul pavimento della stanza. Fece per distendersi sul corpo di Michael, ma questo lo anticipò e lo fermò per i fianchi, tirandosi su dal letto. Guardò Federico negli occhi con una punta di malizia che lo faceva impazzire. Quindi si abbassò inginocchiandosi davanti al tatuato e afferrò il suo membro già eccitato. Fece scorrere la mano per la sua lunghezza, per un po’, poi si avvicinò con la testa e schiuse le labbra per prenderlo in bocca. Federico chiuse un attimo gli occhi per il piacere, poi li riaprì e li posò in quelli del riccio, che lo guardavano in maniera fin troppo eccitante. Michael continuò con la bocca per un po’, poi Federico lo staccò altrimenti non avrebbe retto. Il riccio si distese sul letto e Federico gli fu addosso, tenendosi su con le mani. Fece strusciare le loro erezioni e Michael chiuse gli occhi, gettando leggermente la testa all’indietro e mugolando di piacere. Federico portò una mano alla sua erezione e cominciò a strusciare, provocando al riccio ulteriori gemiti di piacere. Mentre Michael teneva ancora gli occhi chiusi e rannicchiava le gambe al petto, Federico si leccò due dita della mano e le avvicinò all’apertura dell’altro. Il riccio riaprì gli occhi e schiuse leggermente la bocca. Il tatuato introdusse un dito alla volta e attese che si abituasse, poi avvicinò il suo membro all’apertura dell’altro e lo penetrò, non senza sentire i gemiti di entrambi - quelli rochi di Federico e quelli acuti di Michael - librarsi per la stanza.
Federico uscì e rientrò dal riccio, inizialmente con lentezza, poi accelerando sempre più il ritmo man mano che si avvicinava all’orgasmo.
Vennero quasi insieme, con un gemito più forte degli altri, dopodiché Federico si accasciò sul letto accanto al riccio. I loro respiri erano affannati e i loro cuori battevano forte, ma si sorridevano.
«Ceci est notre petite mort»* sussurrò Michael.
 
Dovettero sbrigarsi per non perdere il volo, quindi attraversarono tutto l’aeroporto correndo, bagagli in una mano e biglietti nell’altra. Federico si fermò di botto e Michael gli andò contro, facendolo quasi cadere in avanti.
«Mich, cazzo!» Sbraitò Federico.
«Scusa, ma tu ti fermi a improvviso!»
Federico lasciò perdere.
«Qui dobbiamo fare il check-in.»
 
Anche quella volta Federico stava per sentirsi male, in aereo, ma Michael riuscì a distrarlo e a non fargli costantemente pensare a quanti metri d’altezza si trovassero. Perciò il tatuato vomitò solo una volta nel piccolo bagno, mezz’ora prima del loro atterraggio.
 
Londra era magnifica, proprio come Federico aveva immaginato e come Michael ricordava. Per il tatuato c’era aria di cultura ed eleganza, per il riccio di casa e nostalgia. Ma adesso Federico era diventato la sua casa, quindi scosse la testa e tentò di non pensare alla sua famiglia. Almeno finché Federico non parlò.
Avevano sistemato le valigie nell’albergo londinese e adesso si trovavano a fare due passi in strada.
«Mich... qui abita la tua famiglia, vero?»
Michael annuì e affondò la testa nel foulard di cotone color corallo.
Il tatuato gli lanciò un’occhiata e capì che il riccio non voleva parlarne. Lui però voleva sapere, perciò si sedette su una panchina poco distante e invitò Michael a fare lo stesso.
«Stiamo insieme, ormai. Ti amo, ci amiamo, e lo sai che con me puoi parlare. Devi parlare, Mich, perché non puoi affrontare tutto da solo.»
Michael lo guardò con i suoi occhioni ambrati e accennò un piccolo sorriso tenero, poi rivolse di nuovo lo sguardo all’asfalto della strada.
«Ti ho deto che mio padre... lui non accetta della mia sessualità. Non lo ha mai fatto, ma mi ha tenuto in casa perché mia madre lo aveva convinto a farlo. Poi sono diventato maggiorenne e sono andatto a vivere a casa del mio ex Rick, e poi di Danny, dopo alcuni anni. Mio padre non ha voluto più tenere nesun rapporto con me, non ci siamo più sentiti da quando me ne sono andato di casa.»
«E con tua madre?»
«Mia madre non era d’acordo che io anda...ssi» Federico annuì, «a vivere con quei ragazi che neanche conoscevo. Ma io preferivo, sinceramente. Con lei al inizio ci sentivamo ogni tanto. Mi chiedeva come andava, cose così. E anche con i miei fratelli, ho tre sorele e un fratelo» Michael ridacchiò, Federico sgranò gli occhi ma non disse nulla.
«Poi ho deciso di seguire Danny in Italia. Ho litigato molto con mia madre perché lei non voleva. Ma io ho fato comunque di testa mia e non ho voluto più sentirla, doppo
«Ti mancano?»
Michael si inumidì le labbra.
«Tanto. Mia madre e miei fratelli tanto. Anche se mia madre si è arabiata con me, non mi importa. Mi manca lo stesso. Lei non è come mio padre.»
Federico annuì e allungò lo sguardo in strada: capiva perfettamente.
«Perché non vai a trovare loro, almeno?»
Il tatuato parlò solo di Michael perché, per quanto avrebbe voluto, sapeva che era troppo presto conoscere sua madre e i suoi fratelli.
«No, io... non so. E se poi trovo anche mio padre?»
Federico non seppe cosa rispondere e perciò scrollò semplicemente le spalle.
«Puoi sempre ignorarlo. Pensaci.»
Poi il tatuato saltò su e gli porse la mano. Il riccio gli sorrise dolcemente e afferrò la sua mano mentre si alzava, intrecciando le loro dita.
«In tutto questo mi è venuta fame» constatò Federico, mentre il suo stomaco ne dava conferma brontolando lievemente.
Michael rise e fece ciondolare le loro mani avanti e indietro.
«Andiamo a mangiare!»
 
Pranzarono in un pub di Londra che Michael conosceva bene, anche se lo ricordava diverso. Durante gli anni della sua assenza il locale era stato rinnovato, anche se alcuni dettagli erano rimasti gli stessi, come i vinili appesi alle pareti e le locandine di film cult inglesi.
Ordinarono dei panini e Federico si stupì di quanto questi potessero essere grossi e deliziosi.
«Basta, non ne posso più.»
Federico abbandonò nel cestino che fungeva da piatto un terzo del panino che aveva ordinato. Michael lo prese prontamente e se lo ficcò in bocca. Federico lo guardò con un sopracciglio alzato, sconcertato.
«Ma dove cazzo la metti tutta quella roba?»
Il riccio non rispose perché aveva le guance piene e tentava a fatica di masticare. La scena per il tatuato fu troppo divertente, tanto che scoppiò a ridere sonoramente attirando l’attenzione dei due tavolini vicini. L’altro gli lanciò un’occhiataccia e mandò giù il primo pezzo di quel panino, la parte che era riuscito a masticare.
«Ftronfo» borbottò con ancora il panino in bocca e l’altro rise ancora di più.
 
Anche Londra era troppo grande per essere visitata in soli due giorni, quindi Michael dovette fare un mini-itinerario che cominciò quel pomeriggio stesso. Si diressero verso il Tamigi subito dopo pranzo.
«Andiamo su London Eye!» Esclamò il riccio gettando in aria le braccia, una volta scesi dal taxi.
Federico indicò impaurito la grossa ruota panoramica che sovrastava il Tamigi e l’altro annuì sorridendo.
«Ma Mich... io ho le vertigini.»
Il sorriso del riccio si spense, poi questo alzò un sopracciglio.
«Tu ieri sera non ha detto niente su Tour Eiffel.»
Federico si portò una mano al mento, pensieroso e sorpreso. Già, ieri notte era così distratto dalle coccole di Michael che non aveva accusato neanche un giramento di testa.
«Hai ragione. Forse è perché era notte... e poi c’eri tu che mi tenevi stretto e io davvero non ho avuto un attimo per pensarci.»
Lo sapeva che le vertigini erano solo una questione inerente alla sua psiche, ma non gli era mai capitato di distrarsi tanto da non pensarci neanche per un attimo.
«Comunque ora non possiamo andarci. È giorno e finirei per vomitare nel Tamigi» concluse.
L’altro rise e scrollò le spalle.
Evitarono il London Eye e passarono invece sul Westminster Brige per giungere al palazzo del Parlamento e al Big Ben. Passarono poi per l’abbazia di Westminster e qui Michael si fermò un attimo.
«Sai, qui hanno celebrato il funerale di Lady Diana. Elton John ha cantato per la prima volta Candle in the wind
«Dio, quella canzone fa piangere. La mettono su a tutti i funerali, vero?»
Michael alzò le spalle.
«Non so. Forse.»
 
Arrivarono più tardi davanti al Palazzo della regina, dove videro le famose guardie immobili.
«Devo troppo farmi un selfie con questi tizi.»
Federico si avviò a passo spedito verso una delle guardie ma fu prontamente tirato indietro dal riccio, che aveva sul volto uno sguardo irritato.
«Noi inglesi odiamo i turisti che fano queste cose stuppide. Non fare anche tu.»
Il tatuato ci restò male, ma non insistette.
«Voi inglesi non sapete proprio divertirvi.»
Michael alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. Sembrava averla presa davvero sul personale.
«Voi italiani siete infantili» replicò.
«E voi dei bacchettoni
Michael non conosceva quella parola, e perciò lo guardò inclinando la testa di lato e corrugando la fronte, cose che faceva ogni qual volta non aveva mai sentito il vocabolo usato.
«Significa che voi inglesi siete rigidi» precisò.
«Ah sì? Voi no rispettate mai le regole. Anche le carte non butate nel cestino. Con un cestino a due metri da voi.»
Anche Federico si sentì punto nell’orgoglio.
«Ehi, non è vero. Anzi sì. Saremo anche incivili ma voi non sapete godervi la vita.»
«Pff» sbuffò Michael ridendo.
Federico ebbe la netta sensazione che in quella faccenda non tutti e due ne sarebbero usciti illesi.
«Non sbuffare. E dimmi la cosa più divertente che hai fatto in vita tua.»
Michael ci pensò su per molto tempo.
«Non lo so, Fedé, è dificile» concluse leggermente confuso.
Federico rise di gusto.
«È perché hai fatto così poche cose divertenti in vita tua che addirittura non te le ricordi.»
 Michael mise una sorta di broncio.
«No è vero.»
«Sì che lo è. Lo sai che lo è. Altrimenti potresti dimostrarmi il contrario facendoti un selfie con quelle guardie» sorrise Federico.
Michael gli lanciò un’occhiataccia.
«Anche no. È una cosa stuppida
«Come vuoi» lo schernì l’altro. «Allora, andiamo?»
Federico lo incitava a continuare la visita di Londra, ma il riccio lo guardava con le braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. Lo sapeva che Michael avrebbe accettato la sfida, che non gli avrebbe dato ragione per nessun motivo al mondo. E infatti il tatuato rise nel vederlo avvicinarsi a grandi falcate alla guardia davanti al palazzo. Con la sua camminata goffa raggiunse l’uomo dal grosso copricapo nero ed estrasse il cellulare dalla tasca per farsi un selfie con lui. Fece il segno della vittoria con le dita e scattò, con un sorriso nervoso e tiratissimo che fece ancora più ridere Federico, che da lontano si godeva la scena.
Michael tornò ancora imbronciato e mostrò la foto al suo ragazzo.
«Contento adeso?» Domandò ancora imbronciato.
Federico sorrise e lo tirò a sé in un abbraccio da cui Michael tentò invano di liberarsi.
«Dai, te la sei presa?» Gli sussurrò dolcemente all’orecchio.
«No.»
Federico rise e pensò che Michael fosse un po’ come le donne: quando dicono che va tutto bene, è l’esatto contrario.
«Dai, piccolo!»
«Io sono più grande di te» gli fece notare l’altro.
«Allora ti chiamo patatone. Sai che ti ho salvato così in rubrica?»
Michael si accigliò e si sciolse dal suo abbraccio.
«Per te sono una grande patata?»
Era confuso e la sua faccia fece ridere ancor di più Federico.
«Non letteralmente, scemo! In realtà in italiano si dice patatone di una persona un po’ goffa.»
«Ah, grazie» roteò gli occhi al cielo.
«Ma dai! Lo dico teneramente!»
Il tatuato lo abbracciò di nuovo e questa volta il riccio non oppose resistenza.
«Alora tu per me da ogi sei “stronzo”. E lo dico teneramente, eh» disse ironico e la cosa fece ridere entrambi.
 
Era ormai sera quando, dopo aver visitato Trafalgar Square, tornarono al loro hotel per cenare. Dopo cena erano troppo stanchi per uscire di nuovo per le strade di Londra. Michael aveva pianificato di portare Federico in un bar che lui amava tantissimo, ma i loro corpi reclamarono meritato riposo dopo tre giorni di cammino in giro per Parigi e Londra.
Michael era steso di traverso sul letto matrimoniale e mangiucchiava delle patatine fritte da una busta mentre guardava Capitan America in tv. Federico non capiva un accidenti di quel film in inglese, perciò se ne stava a sistemare la sua roba tra l’armadio e la valigia - da perfettino qual era il riccio lo aveva rimproverato almeno tre volte di far ordine nella sua parte di armadio, e quello poteva essere il momento giusto.
«Sai, ho deciso di andare a trovare la mia familia domani.»
Michael pronunciò quelle parole continuando a tenere lo sguardo fisso su Chris Evans in tv. Federico si fermò e si voltò verso di lui, vedendolo addentare una patatina fritta tondeggiante. Il tatuato sorrise.
«Sono felice che tu abbia deciso questo.»
Anche il riccio sorrise.
«Vieni con me, domani. Please.»
Federico lo guardò a lungo e capì che l’altro ci sperava davvero. Aveva bisogno di lui per affrontare la sua famiglia.
«Tu sei sicuro? Insomma... come la prenderanno i tuoi?»
Il riccio non voleva pensarci.
«No mi interessa. Veddremo
Federico avrebbe voluto dirgli che forse era troppo presto, ma proprio non se la sentiva di lasciarlo solo in quel momento.
 
Eppure, per tutta la notte, Federico non fece altro che pensare a dare una definizione al loro rapporto. Non sapeva ancora cos’erano, e quello lo spaventava terribilmente. Ma allo stesso tempo desiderava scrollarsi di dosso ogni etichetta e godersi semplicemente Michael, il suo modo di essere e il suo modo di fare. Si rigirò nel letto e si trovò a pochi centimetri dal volto del riccio. Era buio pesto, nella loro camera, ma sentiva il caldo respiro del ragazzo arrivare a sfiorargli il pomo d’Adamo. E poteva ben immaginarselo, con le lunghe ciglia a riposare sulle guance e i boccoli castani che gli ricadevano sulla fronte. Non aveva bisogno di guardarlo, della luce, tanto gli sembrava di conoscerlo da sempre. E anche la sua voce, se ci pensava, gli pareva di sentirla da una vita: Michael che lo chiamava con quell’accento quasi sempre sbagliato. Federico sorrise nel buio e decise che, almeno per quella sera, non voleva dare nessuna etichetta a quel rapporto.
 
 
NOTE
* Letteralmente: “Questo è il nostro orgasmo”. In francese però è più chic.


ANGOLO AUTRICE
Ancora fluff! Godetevi questi momenti, neh, che l'angst tornerà. Non è una minaccia, è una promessa (cit.) <3 vi voglio bene. Ho fatto la nottata/mattinata per guardare le premiazioni degli Oscars e mi sento quasi (quasi, eh) uno zombie. Eppure ne è valsa la pena. <3
Grazie come sempre a chi legge ma soprattutto a chi recensisce, perché mi fa davvero piacere sentire le vostre opinioni! Too much piacere <3
Ciaone belli <3
  
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