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Autore: Kimmy_90    01/03/2016    0 recensioni
La Regio è salda da millenni, sostenuta da una forte e solida gerarchia meritocratica: in cima, i Philosophi, sotto, la Gens. In mezzo v'è la colla della Regio, i Custodes, a guida delle milizie. Vestiti di nero, hanno il volto scuro e le mani chiarissime. Puliti, alti, statuari.
I bambini li chiamano Ombre.
Le Ombre prendono i bambini.
E mentre la società rimane ferma, inamovibile, la tecnologia avanza – tanto lenta quanto inesorabile, fino al punto di non ritorno.
Il rinculo.
Ecco cosa significava davvero.
La spalla che sussulta. La presa che sembra sfuggire.
L’impulso.
Odore di bruciato, e di metallo rovente.
Saeb lasciò che lo guardassero, mentre si calmavano. Un rumore del genere non lo avevano mai sentito, se non durante un temporale. Ma quella era la natura.
Miran, invece, fra le mani serrava un oggetto puramente umano. Preciso e geometrico come solo l’ingegneria della Regio sapeva fare.
“Questo.” disse poi il Rector, facendosi sentire da ognuno di loro “Era uno sparo.”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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9. Bocciato



Entrò in aula, rumoroso, con la mano ancora a coprire l’orecchio.

Non fece in tempo a guardarsi attorno che una voce, ormai nota, urlò: “Eccolo!

Jukka saltava letteralmente di tre gradini in tre gradini, scendendo verso di lui – e additandolo compiaciuto. “Ve l’avevo detto, io! Il Bocciato!”

Miran indietreggiò di qualche millimetro, vedendosi il bambino come rotolargli addosso: ma Jukka si fermò di scatto, a qualche metro da lui. “Levati, Agricola – stai intasando il passaggio!”

Sentì una gomitata sulla schiena, a confermare quel che aveva appena detto l’altro: confuso, Miran si spostò, tintinnando.

“Ah, il bocciato.” farfugliò una bambina, la proprietaria del gomito che lo aveva colpito. Lo guardò torva e si sfilò dalla porta, andando a sedersi fra i primi banchi.

Levatosi dall’entrata, Miran rimaneva in piedi in mezzo alla scalinata – mentre altre strisce rosa gli passavano di fianco. Qualche secondo, e aveva già ricevuto due spallate.

“Allora, chi scommette?” continuò Jukka, tonante.

“Non si scommette, Agricolae!” protestò qualcun altro.

“Due giorni!”

“Che?”

“Due minuti!”

“Ma dai –”

“Vediamo di mandarlo via subito, eh?”

“No, non vale così!”

Miran, muto, rimaneva addossato al muro della scalinata. Si sentiva a disagio.

Certo che si sentiva a disagio.

Era stato bocciato.

Strinse i denti, e fece per rispondere alla quinta spallata che ricevette: s’ingrossò tutto, alzando furente le spalle per caricare un colpo che non arrivò mai a destinazione.

Fermo, Miran.

Fermo.

Sfiatò, rendendosi conto che non era una buona idea: sentì Jukka ridere, sguaiato.

“Allora, te ne vai o no?”

“Piantatela di scommettere, Agricolae!”

“Fatti i cazzi tuo – IH!” Questo era il verso tipico di chi aveva ricevuto un colpo allo stomaco.

“Non usare parole da Agricola, Agricola!”

“Fanculo!”

Botte. Miran intravide due di loro avventarsi su una figurina dalla pelle perlacea e la testa arancione. Qualche urla.

Tipico. Chi era il genio che s’era messo a sproloquiare? Non ricordava di aver sentito parole del genere dai tempi delle due stelle – se non prima.

L’attenzione della platea si era spostata verso la zuffa, e lui pensò fosse un buon momento per trovare un posto a sedere e tenerselo stretto.

Ma ogni suo movimento lo faceva tintinnare: ricevette un altro paio di spallate, e nel tempo che ci impiegò ad attraversare il corridoio verso il posto più vicino – ecco: di nuovo erano tutti su di lui.

“Perché ti siedi, Agricola?”

Miran cercò di restare impassibile, sedendosi. Strinse la borraccia fra le ginocchia, mentre apriva la sopravveste per toglierla.

Così finalmente avrebbe finito di far rumore, quel maledetto campanello.

“Non credo che tu possa togliertela, quella.” Nel marasma, Jukka gli si era ulteriormente avvicinato.

Il bambino si muoveva sicuro fra gli altri compagni, dominante in mezzo ai più che si spostavano non appena finivano sulla sua strada. A Miran sembrava quasi impossibile, ma Jukka non era solo il più grosso: era il più, e basta. Spiccava su gli altri e, a parte qualche lamento dalle prime file, tutti parevano pendere dalle sue labbra.

Si ritrovò il suo muso scavato a una spanna scarsa dal naso – si sporgeva su di lui dalla fila superiore, completamente poggiato sulle braccia. Gli sorrise, quasi mostrandogli i denti.

Miran sostenne lo sguardo, nascondendo la sua interdizione.

Era pur sempre uno studente del Ludus, bocciato o non bocciato che fosse.

Aveva diritto a sedersi, come di togliersi la sopravveste.

Loro lo sapevano bene. Dicevano idiozie.

Ma essere soli contro quel che pareva un branco intero – cambiava la prospettiva delle cose.

Faceva sembrare stupide le ovvietà, e ovvie le stupidità. Si era reso subito conto che non sarebbe potuto venire alle mani, o lo avrebbero sopraffatto: trecento contro uno. Non poteva ovviamente andare a frignare dai Magistri – no. Per quanto quel che andavano blaterando le strisce rosa fossero assurdità, ai Magistri ciò non interessava. E, se li interessava, li avrebbero ripresi da soli.

Inoltre, lui e le strisce rosa erano nello stesso anno di studi – anche se più piccoli, non poteva più trattarli come tali. E loro, com’era chiaro, non avevano alcuna intenzione di considerarsi inferiori a lui. Semmai il contrario.

Non erano così ben articolati i pensieri che gli rimbalzavano in testa: c’era più sensazione che idea, in ciò che faceva.

Sentì l’impulso di sostenere lo sguardo di Jukka, e così fece.

Sentì il bisogno di tacere, e tacque.

E anche se il suo primo istinto, spallata dopo spallata, era stato quello di restituire le botte subite, un secondo istinto – indifferente alla rabbia, e ben più lucido del primo – lo aveva fermato.

Mentre fissava gli occhi scuri di Jukka, in un gioco lungo minuti, Miran sentiva lo stomaco sempre più contratto – e una paura lontana farsi strada nei suoi muscoli.

Scappa – gli diceva. Vai via.

Torna a casa.

Non puoi sostenere questo per il resto della tua vita. Questo non è il Ludus che conosci. Questo non è quel che sei venuto a fare qui.

Hai fallito.

“Vattene.” sillabò Jukka.

“Vattene.” rispose Miran.

“Non ti vogliamo, bocciato.”

Vide Jukka sorridere. Tacque.

“Allora?”

Continuò a tacere.

Non aveva idea di come rispondere.

“Perché non te ne vai?” insistette Jukka.

“E tu? Perché non te ne vai?”

Dapprima perplesso, Jukka poi sfiatò ridacchiando: “Perché io non ho un campanello, Agricola.”

“Che importa – non serve mica un campanello, per abbandonare il Ludus.”

Questa, Jukka, sembrava non aspettarsela. Rimase in silenzio, mentre cercava di far rientrare quell’affermazione pellegrina nel suo schema di idee.

Miran si accorse subito d’averlo colto alla sprovvista – non aveva neanche ben capito come, ma era successo. Approfittò della situazione senza attendere oltre: “Chi è l’Agricola che sproloquia?”

“Quella?” Intervenne una voce alla sua destra: “Il suo Nomen è Radi1

Ehi!” parve ruggire Jukka, scostando finalmente gli occhi da Miran. “Razza di Agricola, fatti gli affacci tuoi – non vedi che ci sto parlando io, col bocciato?”

Miran seguì lo sguardo di Jukka: a parlare era stato un bambino con gli occhi sottili e i lineamenti infantili, dal fisico asciutto – quasi ossuto. Non appena Jukka prese a urlargli contro quello sussultò e scostò il volto, come a nascondersi.

Ehi! Asha2!” continuò Jukka, inviperito. “Guardami quando ti parlo, Agricola!”

Asha non rispose, apparentemente impegnato a far cose sullo schermo del suo banco.

Miran fece allora per sporgersi dal suo posto, in cerca della testa arancione che evidentemente rispondeva al Nomen di Radi. La vide con la coda dell’occhio, ma non fece in tempo a metterla a fuoco che ricevette uno scappellotto: “Sono quassù, Agricola.“ grugnì Jukka. “Stavamo parlando, noi due – ”

“E perché Radi sproloquia?” chiese allora Miran, voltandosi verso Jukka.

“E cosa ne so io? Qua si parlava di campanelli, lo ricordi o no?”

Si era palesemente alterato. Miran non mollò: “Io non ho mai sentito nessuno sproloquiare così, al mio anno.”

“È solo Radi che è tanto Agricola da usar quelle parole.” gli rispose quello, sbuffando poi dalle narici. “Ora però ci sei anche tu, voglio vedere – chi dei due è peggio.”

“Io non sproloquio.” fece Miran, fermo. “Sono un bocciato, ma non sproloquio.”

“Hah! – ” Jukka sembrava non voler rinunciare alle molestie “– vedremo!”. A costo di dire cose insensate.

Ma aveva il coltello dalla parte del manico, quindi poteva permetterselo.

Miran lo vide sedersi, senza preavviso, lì dove s’era piazzato – non aggiungendo altro. Non comprendendo bene il motivo di quel comportamento, lo scrutò perplesso.

Pochi secondi dopo, il Magister entrò in aula.


La lezione del mattino non fu drammaticamente noiosa come Miran aveva temuto: rimase ben sveglio per il resto della prima ora, durante la quale ebbe dei momenti in cui s’era completamente dimenticato del campanello e della bocciatura.

Ma cadendo con lo sguardo sui polsini della sua camicia finiva immancabilmente con il risvegliarsi da quell'istante di serena obnubilazione. Vicino a lui c’era il vuoto, a parte Jukka – ch’era rimasto seduto nel posto sopra il suo – e Asha, a qualche posto alla sua destra: il secondo, solitario, sembrava aver scelto intenzionalmente di tenersi alla larga dal resto della classe.

Quando fu ora di andare al refettorio, Miran dovette ritornare a fare i conti con la realtà dei fatti: la borraccia stretta in una mano e la sopravveste sottobraccio, non appena si avviò si ritrovò nuovamente a ricevere una serie di spintoni e gomitate – e sì che il campanello era zittito dalla stoffa, altrimenti, s’immaginava, la razione sarebbe stata doppia.

Era riuscito a recuperare in fretta il suo vassoio, cercando di evitare i fastidi dei nuovi compagni, e s’era seduto all’angolo di una tavolata cercando di mangiare in fretta e silenzio. Sebbene, al refettorio, la maggior parte delle strisce rosa lo ignorasse, la quiete non durò a lungo.

“Ma quanto mangi?”

Jukka non sembrava intenzionato a mollarlo: gli si sedette di fronte, allungandosi incuriosito sul suo vassoio.

“Quel che mi danno – come tutti.”s’era lasciato sfuggire Miran.

Sciocca idea quella di rispondere.

“Ti mettono all’ingrasso per farti bocciare ancora, non vedi?”

Tacque.

“Sei finito.” insistette Jukka.

Miran continuò a mangiare, boccone dopo boccone: gli altri compagni si tenevano alla larga, sedendosi al più sull’estremità opposta della lunga tavolata.

“Ehi, guarda che ti sto parlando, bocciato.” insistette Jukka.

L’altro accelerò il ritmo con cui buttava il cibo in bocca, sforzandosi di non trangugiar tutto troppo in fretta – o digerire sarebbe stato un bel problema. Capito che quello non sembrava più intenzionato a far parola, Jukka grugnì e si mise a sua volta a mangiare: rimasero in silenzio, Miran con gli occhi fissi al piatto, Jukka con gli occhi fissi su Miran.

Quando quest’ultimo ebbe finito di mangiare, si alzò di scatto afferrando il vassoio: “Beh – io mi congedo. Ciao, Jukka.”

Voltò le spalle alla striscia rosa e si dileguò, recuperando al volo la propria sopravveste.

Jukka lo guardò allontanarsi, colto alla sprovvista: incapace di rispondere a tono, si limitò a osservarne la schiena che spariva fra la folla del refettorio.



***


Isia gli si avvicin dopo una ventina di minuti: Miran, accovacciato nell’ombra in cima alle gradinate, sentì un colpetto sulla spalla. Si voltò verso l’uomo, sorridendogli: con un cenno del capo il Magister lo invitò all’esterno dell’auditorium.

“Forza, muoviti.” gli disse Isia, mentre andava a riaccendere la luce del corridoio – che Miran aveva spento quand’era entrato. “Che poi tocca ai piccoli.”

Il bambino, che per entrare senza far rumore aveva appallottolato la sopravveste, la srotolò indossandola. Isia si fermò di colpo, non appena sent il suono del campanello di Miran.

“Hai fallito l’esame?” chiese.

Quello annuì.


Jukka si sorprese a cercare Miran durante gli allenamenti del pomeriggio.

Nessun tintinnio – ma questo se l’aspettava: la divisa da ginnastica non prevedeva il campanello.

Miran, però, non c’era. Di questo ne fu rapidamente certo.

La cosa non gli tornava: perplesso, annusava l’aria più spesso di quanto non avesse mai fatto.


Isia sembrava interdetto. “Perch sei ancora qui?”

Miran s’immobilizzò. Lo vide stingere i pugni lungo i fianchi, lo sguardo perso nel vuoto.

“Dovrei andarmene?” chiese il bambino, fissandolo.

Isia si morse la lingua, rendendosi conto che gli stava dando un’anomala confidenza. Tanto da porgli una domanda stupida e retorica: fuori dal ruolo di Magister. Quello era un grosso errore: non avrebbe dovuto più commetterne uno simile.

Perch era ancora l, Miran? Beh, di sicuro nessuno lo aveva mandato via.

Stava a lui decidere.

E vista la perseveranza con cui si presentava, ogni anno, alla cerimonia dei nuovi studenti, sarebbe stato stupido pensare che non avrebbe fatto altrettanto con gli studi.

O, come minimo, ci avrebbe provato.

“Se non vuoi andartene, nessuno può obbligarti a farlo –” ripeté, meccanico, il Magister.

Doveva rientrare nei binari. Riprese a camminare, Miran al seguito.


“Ehi.”

Jukka non rispose.

“Ehi! Sto parlando con te, scemo!”

Il bambino rifilò una gomitata a Radi, che gli sedeva di fianco. Quella per poco non sputò il boccone sul piatto: lo ricambiò con una spallata, e un altro insulto.

“Che vuoi? Hai la terra in bocca, Agricola? Vai un po’ a zappare!”

“Io? Vacci tu, piuttosto, che è tutto il giorno che vai cercando il bocciato. Cos’è, ti brucia di aver perso la scommessa? Avevo detto io che non sarebbe durato un giorno, o sbaglio?”

“Potrebbe anche aver deciso di non seguire le lezioni, sapete?” puntualizzò Asha, seduto di fronte a Radi.

“Taci, Asha!” ringhiò Jukka. “Non cerco nessuno, io!”

Qualcuno fece schioccare la lingua.

“Ehi!” saltò nuovamente su il bambino. “Se hai qualcosa da dire veni a dirmelo in faccia, Kisanee3!”

“Non ho nulla da dire.” bofonchiò la bambina, esile e bionda. “Solo vorrei del silenzio.”

“E sai che me ne importa!” le diede contro Jukka, che s’infervorava con non poca facilità. Tanto che s’era quasi alzato in piedi, per poter gridare tutto il suo disprezzo in faccia a Kisanee.

“Tanta agitazione per un bocciato.” Zara, seduta fra Asha e Kisanee, schiuse le labbra per la prima volta in tutta la giornata.

Chi stava intorno a lei si zittì, come sorpresi a sentirne la voce. La bambina, scura sia di carnagione che di capelli ed occhi, allungò minimamente il capo per indicare, con un cenno, un punto indistinto in fondo al refettorio. “È lì, se tanto vi preme.”

Indispettito, Jukka si paralizzò. Corrugò la fronte, serrando i denti. Poi, di scatto, si voltò: lo vide a stento all’entrata del refettorio, con il vassoio in mano. Miran indossava maglietta e pantaloncini da allenamento, e camminava un po’ malamente.

“Ecco dov’era.” commentò Asha. “Dal gatto.”

“Se le è pure prese forte.” aggiunse Jukka, continuando a fissarlo.

Miran, dopo un po’, s’accorse d’essere osservato. Si voltò verso di loro, ancora in fila per il pasto, e con un gesto rapido e del tutto inaspettato levò la mano a salutarli.

“Merda, ci ha visti.”

“Ma la pianti?!” questa volta fu Kisanee a prendersela, tirando a Radi un calcio sotto il tavolo. “Agricola!”

“Muoviti a finire, o viene a rompere – piuttosto!”

Kisanee grugnì qualcosa, storcendo le labbra con puro sprezzo.

“Dev’essere Agricola dentro, quello, per averne prese così tante.”

“Vedrai quando toccherà a te, Asha.” lo sfotté Radi. “Sarà che li frustano per il semplice esser bocciati. E tu non duri, te lo garantisco.”

“Ah – e tu, invece?” il bambino s’impettì, sibilante. “Con quel tuo linguaggio, pensi forse ti consentiranno di diventar Custos?”

“Vorrà dire che sarò Philosophus, allora –”

“– sì, sògnatelo!”

“Ehi!” – nel tempo del battibecco, Miran li aveva raggiunti.

Quelli lo guardarono sconcertati, a causa dell’atteggiamento del ragazzino: che stava facendo? Tutta la mattina era rimasto quieto o quasi.

Non sentendo risposta, Miran si sedette accanto a Radi – approfittando di un metro di panca libera.

“Ma che vuoi?”

“Salutare.”

“Vattene.”

“Devo anche mangiare.”

“Ci sono altri tavoli, fila!”

Miran fece spallucce: “Qui, lì - non è che importi. Tanto a qualcuno darò fastidio in ogni caso, tanto vale sia qualcuno di cui conosco il Nomen.”

Digrignò i denti, in un sorriso grande e fasullo; poi si mise a mangiare. Al che, Radi non perse tempo: iniziò a spingerlo, per allontanarlo, puntandogli il gomito sulla spalla. Lo spostò di qualche centimetro, fissandolo astiosa.

Ma non si poteva disturbare chi mangiava, né ostacolarlo durante il pasto: quella era una regola ben salda nelle loro menti. Radi si era già spinta oltre, non insistette. Non fisicamente, per lo meno: mentre gli altri lo ignoravano, più interessati al proprio vassoio che al bocciato, lei perse lungo tempo a scrutarlo con pieno disappunto.

“Allora, Agricola?” chiese d’un tratto la bambina.

“Allora che?” fece lui, mandato giù il boccone.

“Com’è che sei ancora qui? T’han pure punito, sarebbe il caso ti levassi dai piedi, stupido.”

Calcio di Kisanee a Radi.

“Ma che c’entra? Mi puniscono sempre.”

“Che?”

“Mica pensi che me la sia vista col gatto per la bocciatura?” domandò Miran, perplesso.

Kisanee, di fronte, si lasciò scappare uno sbuffo divertito.

“E allora?”

“Ma quante code hai, tu?” li interruppe Jukka, sporgendosi verso di lui. “Ancora sanguini.” Sembrava turbato, addirittura.

Zara levò lentamente lo sguardo dal vassoio, osservando i tre: Jukka, Radi, poi Miran.

Il terzo se ne accorse: lasciò pendente la domanda di Jukka, più interessato a studiare la bambina.

“Qual è il tuo Nomen?” le chiese.

“È Zara.” rispose Jukka per lei. “Ehi, bocciato, rispondimi. Quante code?”

Nel frattempo, Zara aveva abbassato nuovamente gli occhi. Muta, mangiava – incurante di ciò che le succedeva attorno.

“Quante?” Miran si sporse a sua volta, verso Jukka. “Sette.”

Radi scoppiò a ridere, sguaiata: “Sette!” ripeté, quasi gridando. “Perculi o che?”

Kisanee non sapeva nemmeno se il verbo perculare esistesse in un qualsiasi dialetto della Regio; di sicuro, non nella Lingua: un ulteriore calcio a Radi era di dovere.

“Se sei tanto Agricola da essere arrivato a sette code, ben ti sta il campanello” Commentò Jukka. “Anzi, direi che è tardi. Non dovresti esse più al Ludus da tempo.”

“Ma che importa, il gatto? Tanto ci si passa tutti.”

“Non raccontare storie, sette code sono un numero assurdo!”

“E voi che v’interessa? Io ho risposto perché me lo hai chiesto, se no me lo tenevo per me. Sai che m’importa.”

“Importa a me! Non solo bocciato, ma pure bugiardo.”

“Pensa come credi.” Tagliò lì, mangiando in fretta e non rialzando più gli occhi dal piatto.

“Indubbiamente!” Jukka doveva avere l’ultima parola, quello era un dato assodato.

Finirono in silenzio il pasto: Miran se la sbrigò addirittura prima degli altri. Senza dire altro si alzò e se ne andò via.

Rimasti al tavolo senza il bocciato, Jukka e Radi si lasciarono andare in un lungo sbuffo, guardandosi complici. “Che rottura.” fece la bambina.

“Quello è fuori.” aggiunse l’altro.

“Sette code – ma ti pare che ce la beviamo, poi, noialtri?”

Io ne ho tre.”

“Hah!” lo additò Radi. “Io quattro.”

“Vantatene, eh.” la apostrofò Asha.

“Taci, Asha!”
“Che si faccia a gara sul numero di code del gatto, poi – siete tanto Agricolae da aver la terra fin nelle mutande.”

Jukka s’issò di scatto sul tavolo, allungandosi per tirare una manata in faccia ad Asha: quello schivò per un soffio, ritrovandosi un graffio sulla punta del naso. “Ehi! Sto mangiando!”

“E allora non dar noia a me!”

“Se parli da Agricola, ti tratto da Agricola!”

“Vediamo allora se insisti quando inizierò a dartele sul serio!”

“Sembri un Bellator, ma ti senti?”

“Sempre meglio di uno che nemmeno riuscirà a menar l’aratro, magro come sei!”

Asha dilatò furibondo le narici, serrando di denti: fece un respiro profondo e, le labbra serrate, decise di tacere. Da tempo ormai aveva imparato che per evitare guai con Jukka, di qualsiasi natura, bastava non rispondere. Per l’appunto, l’importante era lasciargli l’ultima parola: poi se ne sarebbe stato buono.

Tacquero, e la cosa finì lì.

“Voi non avete ancora capito chi è quello?” chiese distrattamente Kisanee.

Zara parve spostare lo sguardo verso la bambina, per quanto sempre rimanesse fissa sul proprio piatto. A fare attenzione, si sarebbe detto che annuisse.

“Che?” chiese Radi, che non seguiva. “Ma chi?”

“Miran, Agricola.”

“E quindi?”

“Miran è quello del secondo anno.” spiegò Zara, senza alzare gli occhi.

Radi rimase immobile in un’espressione ebete, mentre ad Asha e Jukka s’illuminava il volto.

“Tu dici?” domandò il primo.

“Ma sì, è vero.” Jukka s’era come svegliato da un sonno agitato: “Ecco! Adesso ho capito!”
“Ma dite quello del discorso dell’Helios?” Radi si faceva incredula sempre più. “Scherzate? Come fa uno così ad arrivare al quinto anno?”

“E ci torna pure!” aggiunse Jukka.

“Di che parli?”

“Quello è fuori.” commentò Asha.

“Ehi!” protestò Radi. “Torna dove?”

“Se sei lenta, Radi.” l’apostrofò Asha, borioso: cosa rara, esser nella posizione di poter fare il saccente. Ne approfittò senza remore.

“Siete voi che siete scemi! Vi pare possa esser vivo uno che fa una cosa simile ogni anno?! Idioti!”

Quella era talmente all’angolo che tutti gli altri si astennero dal punirne il linguaggio.

“Sette code, ha detto.” continuò Jukka “Ma è pazzo davvero, allora. Ora capisco.”

“Come fa a esser vivo?” insisteva l’altra, rifiutandosi di credere a quel delirio. “Che, mi perculate anche voialtri, adesso? Eh? Sette code? Sette?!

“Arriva a nove, il gatto – dicono.” spiegò Asha. “C’è senza dubbio un motivo.”

“Certo, per ammazzare!”

“Via, mica crederai che si muoia davvero. Sono storie.”

“Lo han pur detto i Magistri!”

“Sì, ma sarà successo una volta, forse due! Sei proprio tonta, Radi.”

A quel punto Asha si rese conto di aver sbagliato strategia: stava parlando con Radi, non con Jukka. Del secondo conosceva bene le reazioni, ma su di lei non aveva grandi conoscenze: se Jukka poteva blandirlo dandogli ragione e lasciandogli l’ultima parola, lei… no. Vide gli occhi della bambina farsi sempre più violenti, finché, di scatto, quella non saltò sul tavolo e gli si lanciò addosso. Zara, accanto a lui, si scostò quel tanto da evitare qualsiasi contatto con i due prima che Radi lo buttasse a terra: Asha aveva provato a schivarla, ma quella lo aveva afferrato per il lembo della maglia e, al pavimento, se l’era trascinato giù con lei.

“Agricola!” riuscì ad urlare Asha, ricevendo poi il primo pugno: Radi nemmeno si dava allo sproloquio, muta e concentrata sulla zuffa.

Gli altri si alzarono, allontanandosi dai due e andandosene.



***


Egli ha, indubbiamente, il profilo psicologico migliore con cui abbia lavorato negli ultimi sei anni.

Così aveva scritto, senza quasi staccar la penna dal foglio per la rapidità dei suoi gesti.

Per quanto Saan abbia iniziato a consultarsi con i pedagoghi e i selezionatori anziani, vista la particolarità della situazione e l’evolvere del tutto inaspettato degli eventi, vi chiedo umilmente di rimettere Miran sotto la mia responsabilità e il mio controllo, di modo che possa gestire al meglio il seguito, qualunque esso sia.

Si fermò un attimo, la mente tanto avvinghiata nei pensieri da suonarle muta.

Decise di firmare, e basta.


La risposta dell’Helios giunse tramite una rapida missiva, alla sesta ora: meno di un giorno era passato. Significava che aveva a cuore la questione, e ciò era un bene.

No.

Sapeva indubbiamente essere sintetico.

Il discorso continuava a metà pagina, di modo che quelle due lettere fossero ben chiare, sole, nel bianco della prima parte del foglio.

A voler correggere in itinere si rischia di rovinar tutto il sistema. Abbi fede nelle premesse, ed agisci solo in caso estremo. Non è tempo.






[1] Pronuncia: Ràdi

[2] Pronuncia: Àʃa (ʃ è il suono “sc” di pesce)

[3] Pronuncia: Kìsanë



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Nota dell’Autrice


Domando scusa per il “ritardo” (chi mi conosce sa che pubblico a ritmi non costanti, per quanto cerchi di evitarlo).

Questo capitolo mi è stato molto difficile XD ma anche molto divertente. Non volevo sfociare nel “povero piccolo bimbo emarginato odiato da tutti” né nel “super bimbo che va contro tutto il sistema perché SÌ, LUI È UN GANZO, PUNTO.

Spero di aver reso abbastanza l’idea, donando qualche pennellata dei personaggi che poi saranno fra il nocciolo duro della vicenda.


Grazie come sempre di passar da queste parti.


Pandi


   
 
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