10. La
cinta
Tre giorni erano
passati dall’inizio della sessione di sopravvivenza: Radi sentiva di star
iniziando a puzzare, e la cosa non le piaceva per niente. Ma in quella situazione avrebbe dovuto dar priorità a un’igiene di tipo
diverso da quella cui era abituata, sacrificandosi; e poi, altri due giorni e
non se ne sarebbe più accorta, dell’odore che emanava. Per
intanto cercava di non prestarci troppa attenzione.
Si sistemò il
cappuccio della spessa felpa che indossavano per quelle occasioni, la cui parte
interna era foderata di pelliccia: faceva freddo, e nella sacca che portava
sulla spalla c’erano altre due maglie da usare la notte – assieme a una
manciata di coperte isotermiche.
“Quanto ti
manca?”
Nessuna risposta.
Aggrappato a un ramo proprio sopra la sua testa, Jukka era intento a staccarne
metodicamente le foglie – non prima di averle accuratamente ispezionate:
in questo genere di cose era meticoloso, mentre Radi preferiva fare in fretta,
per levarsi il prima possibile dalla zona. La primavera
era alle porte e l’ultima cosa con cui la bambina voleva avere a che fare era
un animale uscito dal letargo, soprattutto un orso. Le era bastato l’incontro ravvicinato
avuto al primo anno: tratta in salvo da un Magister, da allora si era convinta
che la Morte avesse quattro enormi zanne gialle e i margini della bocca
penduli. Ovviamente il solo spavento, al Ludus, non bastava: dopo l’orso venne
il gatto. Fu un’esperienza altamente educativa.
Jukka la stava ignorando, concentrato. Dopo qualche altro minuto di oculata
selezione, chiuse finalmente la sua sacca e si lasciò scivolare giù dal ramo: per attutire la caduta si flesse tanto da ritrovarsi pressoché
carponi, davanti all’altra.
“Poi?” chiese,
rialzandosi in piedi.
“Dovremmo
cercare del cibo – ho fame.”
“Dai, abbiamo
quasi fatto!”
“Hai
finito tutte le tue razioni, io le mie non te le do.”
“Io
mi arrangio. Dopo,
però. Adesso dimmi cosa manca.”
Radi grugnì,
incamminandosi. “Urtica dioica.”
“Quella la prendi
tu.”
Il sodalizio fra
Radi e Jukka era di lunga data, iniziato durante una sessione di sopravvivenza.
Tre o quattro volte l’anno i bambini venivano portati
nei boschi che circondavano il Ludus, e lì – dopo qualche lezione –
lasciati ad arrangiarsi. All’inizio i Magistri si limitavano a osservare come
si comportassero, per poter impostare le sessioni
successive e riuscire a dar loro rapidamente tutti gli strumenti per evitare di
lasciarci la pelle: fra questi, imparare a star lontani da piante e funghi velenosi,
dagli animali pericolosi, prendere confidenza con il terreno del bosco,
imparare a nutrirsi, accendere un fuoco, bollire l’acqua e dormire in luoghi
riparati. Da lì in poi, mentre affinavano l’arte della sopravvivenza – ad
esempio imparando a scuoiare conigli – ai bambini veniva
assegnato un compito: poteva essere trovare un luogo, un oggetto, raccogliere
piante o procurarsi selvaggina. Dovevano svolgerlo entro un certo tempo, pena
la saletta e il gatto. Imparavano in fretta.
Jukka e Radi non
erano stati certo i primi a scoprire i vantaggi della cooperazione –
nessuno specificava come gli obbiettivi dovessero essere raggiunti –, anche se, fra
i due, Radi sapeva benissimo di essere quella a beneficarne di più.
Dopo il suo
incontro con l’orso, la bambina aveva adottato la strategia di seguire sempre
qualcun altro durante una sessione. Anche qui, non era
né la prima né l’ultima a farlo, e niente glielo impediva – a meno che
gli altri s’accorgessero d’esser spiati, e se la prendessero a male.
Ma lei era brava.
Veramente
brava.
Per tutto il
primo anno e metà del secondo non fu mai scoperta da
nessuno, e pedinò deliberatamente una vasta manciata di suoi compagni.
Poi,
un giorno, dal bosco emerse una voce:
“Ti sento!”
Peccato che, sino
a quel momento, lei non avesse sentito lui.
Era vero che stava
cercando qualcuno a cui accodarsi, ma non
aveva ancora visto, o sentito, Jukka.
“Smettila!”
continuò quello.
Evidentemente
erano vicini da un po’.
Jukka le si palesò
spuntando dal nulla, enorme come era sempre stato – erano
entrambi strisce blu, ma a vedere il bambino da lontano chiunque avrebbe
pensato ad un quattro stelle.
Litigarono per
due minuti buoni, finché, di colpo, Jukka non si zittì.
Rimase muto e
all’erta. Radi con lui.
La bambina non
seppe mai cosa, esattamente, avesse provocato nell’altro quella reazione: ma fu
alquanto persuasiva. Da allora non lo mollò per un
istante, restandogli addosso come una zecca. Entro breve, da parassita divenne
simbionte, facendo così iniziare la loro cooperazione. Oramai non c’era una sessione di sopravvivenza in cui non lavorassero insieme.
Le ortiche si trovavano piuttosto facilmente, infestanti i muri di cinta. Prenderle era un altro discorso: non impossibile, ma comunque impegnativo.
Non appena la recinzione fu loro visibile, Radi si tirò la
manica della felpa sulla mano, iniziando a cecare con lo sguardo le piante che
le parevano più adatte. Non che fosse il periodo migliore per l’ortica, ma
forse, con un po’ di fortuna...
“Aspetta.” La bloccò Jukka.
Radi obbedì. Al solito, doveva esserci qualcosa che lui aveva notato, mentre a lei era sfuggito.
“Miran!”
Miran? Ma dove?
Radi si guardò attorno, finché un
fruscio non fece palesare il
bocciato: quasi con orrore, la bambina scoprì che si trovava oltre la
cinta.
Miran li salutava con ampi movimenti del braccio, mezzo
appeso a un albero – in alto, molto in alto: in piedi su un grosso un
ramo, si reggeva al tronco per non cadere. Doveva trovarsi ad almeno sei metri
dal suolo, considerato che il muro di cinta ne misurava tre e che sopra ad esso c’erano altri due metri di rete, e lui, comunque,
era più in alto.
“Ma è un Agricola.” borbottò Radi.
“Che fai?” gli chiese, urlando, Jukka. “Non si può andare di
là! Ma come fai a essere ancora vivo, tu?”
“Guarda che non è vietato –” gridò Miran, per poi voltar loro le spalle e muoversi lungo l’albero.
Jukka e Radi si avvicinarono alla cinta, mentre il bocciato
si aggrappava alla rete, scendendo fino al muro. Gli altri due i misero un po’ per
trovare una zona abbastanza libera da potersi arrampicare senza rischiare
l’orticaria: ora erano tutti e tre in cima al muro, divisi solo dalla rete.
“Come fai a dire che non è vietato?” pontificò la bambina:
“C’è un muro!”
“Nessun Magister ha mai detto di non oltrepassarlo. Guarda
che mica finisce il mondo, dietro la cinta.”
“Ma così esci dal Ludus –”
Jukka era ancor meno convinto di Radi, al riguardo.
“No.”
I due lo guardarono allibiti. “Come no?”
“No no. La cinta delimita la zona dove facciamo la sopravvivenza, mica il Ludus.”
“E tu, questo, lo sai perché hai già fatto il quinto anno una volta?” ribatté Jukka, acido.
“No –” se a Miran mancava una cosa, quella era la voglia di litigare. “ – ci ero
andato già due anni fa.” Spiegò, facendo spallucce.
Radi e Jukka lo squadrarono, poco convinti. Se pensava di
poterla passare liscia, a raccontare panzane di tal portata, aveva sbagliato
pubblico.
“Bugiardo.” fece, lapidario, Jukka:
“Bocciato e bugiardo.” rimarcò, sull’adirato andante. Se non ci aveva messo piede
lui, oltre la cinta, figurarsi il bocciato – basso e stupido, ecco cos’era. Oltre che bugiardo.
Miran, in tutta risposta, si voltò: scansando la sacca che
portava sulla schiena, si prese la cintola dei
pantaloni e li abbassò, mutande
incluse, a far vedere la natica sinistra. I due, dall’altra parte della rete,
rimirarono fra l’inorridito e l’estasiato tre lunghe cicatrici che gliela
percorrevano quasi tutta, oblique.
“Era un orso?” chiese Radi, sconvolta. “E allora?” Si fece
svanire lo stupore in un lampo: “Anche io ho
incontrato un orso, di qua.” Incrociò le braccia al petto, sprezzante.
“È di un felino –” la corresse Jukka, attonito. Come faceva a essere ancora vivo, quell’agricola? Radi rimase a sua volta a bocca aperta.
“Esatto, era un puma – stanno sugli alberi, per quello mi ha preso. Raccontò Miran “Non lo sapevo. Adesso lo so.”
“E poi?” chiese Radi “Sono arrivati i Magistri?”
“I Magistri non intervengono, se stai oltre la cinta –” grugnì Jukka.
“Già. Però ero vicino: ho scavalcato.”
“E poi?” chiese nuovamente Radi.
“E poi c’è il gatto.” Sibilò Jukka.
“Sì.”
Rimasero in silenzio. Jukka sembrava molto arrabbiato: Miran, che non voleva certo farlo adirare, gli sorrideva. Al che propose: “Andiamo a fare un giro insieme. Così vi mostro.”
“Cosa? I puma? Che se poi ne usciamo vivi ci ammazzano di
frustate?”
“Dai, quella che di frustate si muore è una farsa – ”
disse Radi.
Miran li guardò perplesso. “No, è
vero. Isia mi ha detto che tre anni fa una striscia rossa –”
“Isia il Magister?” più la conversazione andava avanti, più
ai due dentro la cinta sembrava assurda.
“Sì, uno di quelli delle punizioni.” Rispose Miran, come se
stesse dicendo una banalità.
Chiamare un Magister per nome non era una banalità.
Rimasero in silenzio, per non continuare a pontificare
l’ovvio: andare oltre le mura di cinta, parlare di un
Magister al pari di uno studente qualsiasi – per non parlare delle
punizioni, che affrontava come se nulla fosse.
“Ma tu quante volte vieni punito?”
domandò Radi, senza più ben sapere se essere sarcastica o sinceramente curiosa
in merito.
“Due o tre al mese.”
“Cosa?”
“Ma di grosse ne faccio un paio all’anno.”
“Secondo me tu sei un pallone gonfiato e basta.”
Miran li scrutava, inebetito dall’accusa, per lui assurda: era
stato Jukka quello che aveva cercato gloria
facendo a botte con uno più grande,
mica lui. Se proprio bisognava esser precisi, il
pallone gonfiato era l’altro. Lui si limitava a... farsi punire un po’ più
spesso del solito. Ma era affar suo. Loro che
centravano, a volergli dare così tanto contro?
“Beh. Peccato. Di qua è bello.”
Stufo d’esser trattato come un qualsiasi due stelle che pensa d’esser chissà chi, Miran scese dal muro, scomparendo
dalla loro vista e addentrandosi dentro la boscaglia al di fuori della cinta.
Radi lo guardò allontanarsi, tanto
concentrata da non notare che anche Jukka era sceso. Dopo un po’ la chiamò:
“Ehi! L’ortica?”
La bambina lo raggiunse.
“Potremmo andare a dare un’occhiata, quando abbiamo finito
– dobbiamo stare qui ancora tre giorni...”
Jukka grugnì. “Io di là non ci vado. Vacci
da sola.”
Radi, da sola, non si sarebbe mossa. Non era il suo stile.
“Perché?” chiese, mettendosi a cercare fra le ortiche quelle
che le parevano più adatte alla raccolta.
“È pericoloso.”
“Ma non è vietato, non ti puniscono se ci vai.”
“È pericoloso” rimarcò Jukka “Non sono un Agricola come il bocciato, io. Giuro che non
metterò mai piede lì dentro.”
Il discorso finì lì.
Jukka controllava il fuoco, nella notte, mentre Radi
dormiva. Irrequieto, continuava a rigirare le braci, gli occhi puntati sulla fiamma:
ma non c’era motivo di stare in allarme – il bosco dormiva, e i pericoli
erano ben lontani da loro. Eppure, ogni scricchiolio lontano lo faceva
sussultare.
Come aveva fatto Miran a cavarsela oltre la cinta? Era
possibile? O era lui ad essere un pavido?
No.
Conosceva
il bosco come i palmi delle sue mani, se
non meglio – certo, anche il bocciato avrà avuto le sue conoscenze e
abilità – ma Jukka era ben conscio di essere particolarmente portato per
la sopravvivenza.
Jukka sentiva.
Con le orecchie e le narici.
Jukka percepiva. Sapeva. Ascoltava e interpretava.
I suoni, gli ululati lontani, il canto
degli uccelli diurni e quelli notturni.
Stava per nevicare.
Lui lo sapeva. Gli altri no.
E sapeva anche che oltre la cinta c’era molto di peggio di
quel che si poteva trovare all’interno: un puma ne era solo un esempio.
Ricordava odori acri e pungenti. Fremiti grevi.
Maledetto bocciato. Come osava cavarsela in un luogo che a lui, Jukka, urlava pericolo da ogni angolo? C’era un motivo se avevano costruito un muro!
Pungolò con il bastoncino che aveva in mano una brace, oramai incenerita: questa si aprì in due, e poi si dissolse in cenere.
Di scatto si alzò: prese le loro due sacche, e iniziò ad armeggiare con il contenuto.
Radi aprì gli occhi in un sussulro: Jukka, torvo, la stava
scuotendo vigorosamente.
“E dai! Svegliati!”
Quella mugugnò, alzandosi intontita. L’altro, in piedi davanti a lei, le porgeva la sua sacca – la propria in spalla. Lo scrutò interrogativa.
“Voglio stare solo. Ho già diviso le erbe per i Magistri. Controlla pure.”
Radi non aveva motivo di dubitare di lui. Prese semplicemente la sacca, mettendosela
in spalla e continuando a guardarlo.
“Perché?” chiese poi, prima che quello le voltasse le spalle
senza dare spiegazione alcuna.
“Perché sì.”
“Mica vai di là?”
“Fatti gli affari tuoi.”
Si
allontanò.
Bene. Ora Radi doveva trovare qualcun
altro a cui
accodarsi – o come minimo da
pedinare. Meglio così,
si sarebbe allenata –
diventare una spia, una volta Custos, non sarebbe stato male.
Scavalcò in rapidità, anche se ogni fibra del suo corpo gli
diceva che si stava comportando da agricola. Una volta oltre inspirò
profondamente, cercando di farsi un’idea di quel che c’era intorno a lui. Decise di avanzare sul terreno, e
camminò a lungo: cercava di orizzontarsi in continuazione, senza mai perdere di
vista la zona da cui era entrato.
Trascorse quasi mezza giornata. Il sole calava oltre il
mezzogiorno, e Jukka iniziava a pensare di aver fatto una cosa stupida.
Tornò indietro.
Nel solo trascorrere della prima ora Jukka aveva
accuratamente evitato tre predatori, di cui probabilmente uno era un orso. Non uno di quelli dentro. Uno di
quelli fuori:
tre volte più
grosso.
Miran mentiva. Se ne convinse, convincendosi anche
che quell’Agricola fosse già tornato dentro la zona sicura.
Si trovava a metà strada quando la sua attenzione fu
catturata da una presenza conosciuta. Immobilizzatosi, prese a muoversi
lentamente e il più silenziosamente possibile: si arrampicò con cautela su di
un albero, così da poter guardare in lontananza senza essere scoperto.
La macchiolina scura, seminascosta, non sembrava affatto essere Miran.
Jukka si avvicinò, spostandosi di ramo in ramo, sempre
prediligendo il silenzio alla velocità.
Zara.
Impossibile non riconoscerla, piccola com’era, e con quella
carnagione color biscotto. Si muoveva cauta nel sottobosco,
concentrata, e sola. Jukka trattenne
il respiro, sorpreso oltre ogni dire. Tergiversò per qualche minuto, finché la
bambina non puntò gli occhi nerissimi addosso a lui: e non li
spostò più.
Visto.
A quel punto scese dall’albero, avvicinandosi liberamente.
“Di solito è Radi che gioca a fare
la spia.” fu il commento di Zara, una volta che gli fu vicino. Perse
rapidamente interesse, ricominciando a muoversi.
“Che ci fai oltre le mura?” chiese alla compagna.
“Vado in giro.” rispose, la voce tenue ma salda. “Vai via.”
Guardava ovunque, tranne che lui. “Sto sola.”
“Hai visto anche tu che da queste parti gira il bocciato?”
“Sei qui per lui? È oltre il fiume, l’ho visto stamattina.”
Jukka si arrestò. Il fiume era piuttosto lontano – almeno
altre tre fasce, prima di arrivarci, e senza essere tornato indietro come
invece aveva fatto. Zara era veloce.
Si riprese, ricominciando a camminarle appresso: “Guarda che
qui è pericoloso.”
“Lo so. Puoi andare, adesso?”
“Perché venite in zone pericolose!?”
sbottò il bambino.
Zara si fermò, guardandolo: era raro incrociare il suo
sguardo, non sembrava amare il contatto visivo. Infatti
scostò rapidamente gli occhi. “È più interessante, qui. Ormai il bosco interno
lo conosco a memoria. Mi annoia.”
Jukka non poteva darle torto – anche se, più che di
noia, avrebbe parlato di sicurezza.
“Voi siete fuori di testa.”
“Io e Miran, intendi?” domandò, riprendendo a camminare. Si
fermò, guardando fisso in alto, verso gli alberi. Poi riprese, con passi cauti.
A Jukka sembrava di vedere un animale selvatico. “Non ho mai parlato con
quello. Io sono io e lui è lui. E tu sei tu. Anche tu sei fuori dalle mura. Se ti fa tanto paura, torna dentro.”
“La paura non è un disonore!” Saltò su Jukka. “Morire in
modo stupido lo è! La paura serve!”
“Lo so.”
Jukka non si aspettava una risposta del genere. Si ammutolì.
“Per favore, voglio stare sola.
Ciao, Jukka. Buona fortuna.”
“Come vuoi. Buona fortuna.”
Jukka e Radi procedettero soli sino al rientro dalla
sessione: tutti i cinque stelle raggiunsero la
postazione di ritrovo in orario, solo in tre senza tutte le erbe che erano
state loro commissionate. Uno aveva confuso l’urtica dioica con l’urtica urens: male. Meglio non avere nulla che avere la
cosa sbagliata – o un giorno avrebbero potuto
rischiare di avvelenare un loro compagno, in quel modo.
“Allora, sei stato fuori?” chiese Radi al bambino. Quello annuì. Non era persona da menzogna. “Meno male che...”
“Taci.”
Miran li aveva già raggiunti: “Sei stato fuori?” chiese,
avendo sentito quanto dicevano prima. “Hai visto che non è niente di che?”
“È pericoloso.” “Ma se sei sano
–” “Non centra.”
“Voglio andarci anche io, allora.” Disse
Radi, sentendosi esclusa. “Avevi detto di non volerci andare – cos’è, ti
rallento?”
“La prossima volta vieni con me.”
propose Miran.
In un primo momento l’idea la fece illuminare: non durò
granché. Non era sicura di voler abbandonare la protezione di Jukka per quella
di Miran. Jukka lo conosceva. Erano collaborativi.
Di Miran non si poteva fidare altrettanto ciecamente.
“No.” disse la bambina. “Non vado in giro con i bocciati.”
Miran fece spallucce. “Come vuoi.”
Mi prostro chiedendo scusa
per il lungo silenzio.
Come ho scritto sto facendo esperimenti su wattpad, mentre vado avanti con la
stesura (sono a poco meno di un terzo di quel che ho già preparato, eh) e con
il resto della mia vita – se mai v’interessasse, sono riuscita a
recuperare la mia laurea magistrale, lavoro come borsista e giusto due
settimane fa sono riuscita a farmi ammettere a un dottorato – che spero
non mi uccida tanto quanto promette di fare… ad ogni modo, se per caso vi
trovate in quel luogo oscuro che è wattpad, dove mi sto muovendo come fossi
sulle uova, il mio profilo è questo: https://www.wattpad.com/user/ElenaTea90
non so quanto durerà la mia esperienza su quella
piattaforma, potrei scocciarmi dopodomani – non sono sicura che mi
piaccia. Efp rimane il mio punto di riferimento, non c’è nulla da fare: non
sarà famoso o strutturato o dio sa cosa, ma per me è sempre una garanzia.
Saluti
Pandi