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Autore: Kimmy_90    11/07/2016    0 recensioni
La Regio è salda da millenni, sostenuta da una forte e solida gerarchia meritocratica: in cima, i Philosophi, sotto, la Gens. In mezzo v'è la colla della Regio, i Custodes, a guida delle milizie. Vestiti di nero, hanno il volto scuro e le mani chiarissime. Puliti, alti, statuari.
I bambini li chiamano Ombre.
Le Ombre prendono i bambini.
E mentre la società rimane ferma, inamovibile, la tecnologia avanza – tanto lenta quanto inesorabile, fino al punto di non ritorno.
Il rinculo.
Ecco cosa significava davvero.
La spalla che sussulta. La presa che sembra sfuggire.
L’impulso.
Odore di bruciato, e di metallo rovente.
Saeb lasciò che lo guardassero, mentre si calmavano. Un rumore del genere non lo avevano mai sentito, se non durante un temporale. Ma quella era la natura.
Miran, invece, fra le mani serrava un oggetto puramente umano. Preciso e geometrico come solo l’ingegneria della Regio sapeva fare.
“Questo.” disse poi il Rector, facendosi sentire da ognuno di loro “Era uno sparo.”
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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10. La cinta

 

 

Tre giorni erano passati dall’inizio della sessione di sopravvivenza: Radi sentiva di star iniziando a puzzare, e la cosa non le piaceva per niente. Ma in quella situazione avrebbe dovuto dar priorità a un’igiene di tipo diverso da quella cui era abituata, sacrificandosi; e poi, altri due giorni e non se ne sarebbe più accorta, dell’odore che emanava. Per intanto cercava di non prestarci troppa attenzione.

Si sistemò il cappuccio della spessa felpa che indossavano per quelle occasioni, la cui parte interna era foderata di pelliccia: faceva freddo, e nella sacca che portava sulla spalla c’erano altre due maglie  da usare la notte – assieme a una manciata di coperte isotermiche.

“Quanto ti manca?”

Nessuna risposta. Aggrappato a un ramo proprio sopra la sua testa, Jukka era intento a staccarne metodicamente le foglie – non prima di averle accuratamente ispezionate: in questo genere di cose era meticoloso, mentre Radi preferiva fare in fretta, per levarsi il prima possibile dalla zona. La primavera era alle porte e l’ultima cosa con cui la bambina voleva avere a che fare era un animale uscito dal letargo, soprattutto un orso. Le era bastato l’incontro ravvicinato avuto al primo anno: tratta in salvo da un Magister, da allora si era convinta che la Morte avesse quattro enormi zanne gialle e i margini della bocca penduli. Ovviamente il solo spavento, al Ludus, non bastava: dopo l’orso venne il gatto. Fu un’esperienza altamente educativa.

Jukka la stava ignorando, concentrato. Dopo qualche altro minuto di oculata selezione, chiuse finalmente la sua sacca e si lasciò scivolare giù dal ramo: per attutire la caduta si flesse tanto da ritrovarsi pressoché carponi, davanti all’altra.

“Poi?” chiese, rialzandosi in piedi.

“Dovremmo cercare del cibo – ho fame.”


“Dai, abbiamo quasi fatto!”


“Hai finito tutte le tue razioni, io le mie non te le do.”


“Io mi arrangio. Dopo, però. Adesso dimmi cosa manca.”


Radi grugnì, incamminandosi. “Urtica dioica.”


“Quella la prendi tu.”

 

Il sodalizio fra Radi e Jukka era di lunga data, iniziato durante una sessione di sopravvivenza. Tre o quattro volte l’anno i bambini venivano portati nei boschi che circondavano il Ludus, e lì – dopo qualche lezione – lasciati ad arrangiarsi. All’inizio i Magistri si limitavano a osservare come si comportassero, per poter impostare le sessioni successive e riuscire a dar loro rapidamente tutti gli strumenti per evitare di lasciarci la pelle: fra questi, imparare a star lontani da piante e funghi velenosi, dagli animali pericolosi, prendere confidenza con il terreno del bosco, imparare a nutrirsi, accendere un fuoco, bollire l’acqua e dormire in luoghi riparati. Da lì in poi, mentre affinavano l’arte della sopravvivenza – ad esempio imparando a scuoiare conigli – ai bambini veniva assegnato un compito: poteva essere trovare un luogo, un oggetto, raccogliere piante o procurarsi selvaggina. Dovevano svolgerlo entro un certo tempo, pena la saletta e il gatto. Imparavano in fretta.

Jukka e Radi non erano stati certo i primi a scoprire i vantaggi della cooperazione – nessuno specificava come gli obbiettivi dovessero essere raggiunti –, anche se, fra i due, Radi sapeva benissimo di essere quella a beneficarne di più.

Dopo il suo incontro con l’orso, la bambina aveva adottato la strategia di seguire sempre qualcun altro durante una sessione. Anche qui, non era né la prima né l’ultima a farlo, e niente glielo impediva – a meno che gli altri s’accorgessero d’esser spiati, e se la prendessero a male.

Ma lei era brava.


Veramente brava.


Per tutto il primo anno e metà del secondo non fu mai scoperta da nessuno, e pedinò deliberatamente una vasta manciata di suoi compagni.
Poi, un giorno, dal bosco emerse una voce:
“Ti sento!”

Peccato che, sino a quel momento, lei non avesse sentito lui.
Era vero che stava cercando qualcuno a cui accodarsi, ma non aveva ancora visto, o sentito, Jukka.

“Smettila!” continuò quello.


Evidentemente erano vicini da un po’.
Jukka le si palesò spuntando dal nulla, enorme come era sempre stato – erano entrambi strisce blu, ma a vedere il bambino da lontano chiunque avrebbe pensato ad un quattro stelle.

Litigarono per due minuti buoni, finché, di colpo, Jukka non si zittì.

Rimase muto e all’erta. Radi con lui.

La bambina non seppe mai cosa, esattamente, avesse provocato nell’altro quella reazione: ma fu alquanto persuasiva. Da allora non lo mollò per un istante, restandogli addosso come una zecca. Entro breve, da parassita divenne simbionte, facendo così iniziare la loro cooperazione. Oramai non c’era una sessione di sopravvivenza in cui non lavorassero insieme.

 

Le ortiche si trovavano piuttosto facilmente, infestanti i muri di cinta. Prenderle era un altro discorso: non impossibile, ma comunque impegnativo.

Non appena la recinzione fu loro visibile, Radi si tirò la manica della felpa sulla mano, iniziando a cecare con lo sguardo le piante che le parevano più adatte. Non che fosse il periodo migliore per l’ortica, ma forse, con un po’ di fortuna...

“Aspetta.” La bloccò Jukka.


Radi obbedì.
Al solito, doveva esserci qualcosa che lui aveva notato, mentre a lei era sfuggito.

“Miran!”

Miran?
Ma dove?


Radi si guardò attorno, finché un fruscio non fece palesare il bocciato: quasi con orrore, la bambina scoprì che si trovava oltre la cinta.

Miran li salutava con ampi movimenti del braccio, mezzo appeso a un albero – in alto, molto in alto: in piedi su un grosso un ramo, si reggeva al tronco per non cadere. Doveva trovarsi ad almeno sei metri dal suolo, considerato che il muro di cinta ne misurava tre e che sopra ad esso c’erano altri due metri di rete, e lui, comunque, era più in alto.

Ma è un Agricola.” borbottò Radi.

“Che fai?” gli chiese, urlando, Jukka. “Non si può andare di là! Ma come fai a essere ancora vivo, tu?”

“Guarda che non è vietato –” gridò Miran, per poi voltar loro le spalle e muoversi lungo l’albero.

Jukka e Radi si avvicinarono alla cinta, mentre il bocciato si aggrappava alla rete, scendendo fino al muro. Gli altri due i misero un po’ per trovare una zona abbastanza libera da potersi arrampicare senza rischiare l’orticaria: ora erano tutti e tre in cima al muro, divisi solo dalla rete.

“Come fai a dire che non è vietato?” pontificò la bambina: “C’è un muro!”

“Nessun Magister ha mai detto di non oltrepassarlo. Guarda che mica finisce il mondo, dietro la cinta.

“Ma così esci dal Ludus –” Jukka era ancor meno convinto di Radi, al riguardo.

“No.”


I due lo guardarono allibiti.
“Come no?”


“No no. La cinta delimita la zona dove facciamo la sopravvivenza, mica il Ludus.”


“E tu, questo, lo sai perché hai già fatto il quinto anno una volta?” ribatté Jukka, acido.


“No –” se a Miran mancava una cosa, quella era la voglia di litigare. “ – ci ero andato già due anni fa.” Spiegò, facendo spallucce.

Radi e Jukka lo squadrarono, poco convinti. Se pensava di poterla passare liscia, a raccontare panzane di tal portata, aveva sbagliato pubblico.

“Bugiardo.” fece, lapidario, Jukka: “Bocciato e bugiardo.” rimarcò, sull’adirato andante. Se non ci aveva messo piede lui, oltre la cinta, figurarsi il bocciato basso e stupido, ecco cos’era. Oltre che bugiardo.

Miran, in tutta risposta, si voltò: scansando la sacca che portava sulla schiena, si prese la cintola dei

pantaloni e li abbassò, mutande incluse, a far vedere la natica sinistra. I due, dall’altra parte della rete, rimirarono fra l’inorridito e l’estasiato tre lunghe cicatrici che gliela percorrevano quasi tutta, oblique.

“Era un orso?” chiese Radi, sconvolta. “E allora?” Si fece svanire lo stupore in un lampo: “Anche io ho incontrato un orso, di qua.” Incrociò le braccia al petto, sprezzante.

“È di un felino –” la corresse Jukka, attonito.
Come faceva a essere ancora vivo, quell’agricola? Radi rimase a sua volta a bocca aperta.


“Esatto, era un puma – stanno sugli alberi, per quello mi ha preso. Raccontò Miran “Non lo sapevo. Adesso lo so.”


“E poi?” chiese Radi “Sono arrivati i Magistri?”

“I Magistri non intervengono, se stai oltre la cinta –” grugnì Jukka.

“Già. Però ero vicino: ho scavalcato.

“E poi?” chiese nuovamente Radi.


“E poi c’è il gatto.” Sibilò Jukka.


“Sì.”


Rimasero in silenzio. Jukka sembrava molto arrabbiato: Miran, che non voleva certo farlo adirare, gli sorrideva. Al che propose: “Andiamo a fare un giro insieme. Così vi mostro.”

“Cosa? I puma? Che se poi ne usciamo vivi ci ammazzano di frustate?

“Dai, quella che di frustate si muore è una farsa – ” disse Radi.

Miran li guardò perplesso. “No, è vero. Isia mi ha detto che tre anni fa una striscia rossa –

“Isia il Magister?” più la conversazione andava avanti, più ai due dentro la cinta sembrava assurda.

“Sì, uno di quelli delle punizioni.” Rispose Miran, come se stesse dicendo una banalità.

Chiamare un Magister per nome non era una banalità.

Rimasero in silenzio, per non continuare a pontificare l’ovvio: andare oltre le mura di cinta, parlare di un Magister al pari di uno studente qualsiasi – per non parlare delle punizioni, che affrontava come se nulla fosse.

“Ma tu quante volte vieni punito?” domandò Radi, senza più ben sapere se essere sarcastica o sinceramente curiosa in merito.

“Due o tre al mese.”


“Cosa?”


“Ma di grosse ne faccio un paio all’anno.”


“Secondo me tu sei un pallone gonfiato e basta.”


Miran li scrutava, inebetito dall’accusa, per lui assurda: era stato Jukka quello che aveva cercato gloria

facendo a botte con uno più grande, mica lui. Se proprio bisognava esser precisi, il pallone gonfiato era l’altro. Lui si limitava a... farsi punire un po’ più spesso del solito. Ma era affar suo. Loro che centravano, a volergli dare così tanto contro?

“Beh. Peccato. Di qua è bello.”

Stufo d’esser trattato come un qualsiasi due stelle che pensa d’esser chissà chi, Miran scese dal muro, scomparendo dalla loro vista e addentrandosi dentro la boscaglia al di fuori della cinta.

Radi lo guardò allontanarsi, tanto concentrata da non notare che anche Jukka era sceso. Dopo un po’ la chiamò: “Ehi! L’ortica?”

La bambina lo raggiunse.

“Potremmo andare a dare un’occhiata, quando abbiamo finito – dobbiamo stare qui ancora tre giorni...

Jukka grugnì. “Io di là non ci vado. Vacci da sola.”

Radi, da sola, non si sarebbe mossa. Non era il suo stile.

“Perché?” chiese, mettendosi a cercare fra le ortiche quelle che le parevano più adatte alla raccolta.

“È pericoloso.”


“Ma non è vietato, non ti puniscono se ci vai.”


“È pericoloso” rimarcò Jukka “Non sono un Agricola come il bocciato, io. Giuro che non metterò mai piede lì dentro.

Il discorso finì lì.

 

Jukka controllava il fuoco, nella notte, mentre Radi dormiva. Irrequieto, continuava a rigirare le braci, gli occhi puntati sulla fiamma: ma non c’era motivo di stare in allarme – il bosco dormiva, e i pericoli erano ben lontani da loro. Eppure, ogni scricchiolio lontano lo faceva sussultare.

Come aveva fatto Miran a cavarsela oltre la cinta? Era possibile? O era lui ad essere un pavido?
No.
Conosceva il bosco come i palmi delle sue mani, se non meglio – certo, anche il bocciato avrà avuto le sue conoscenze e abilità – ma Jukka era ben conscio di essere particolarmente portato per la sopravvivenza.

Jukka sentiva.


Con le orecchie e le narici.


Jukka percepiva. Sapeva. Ascoltava e interpretava.

I suoni, gli ululati lontani, il canto degli uccelli diurni e quelli notturni.

Stava per nevicare.

Lui lo sapeva. Gli altri no.

E sapeva anche che oltre la cinta c’era molto di peggio di quel che si poteva trovare all’interno: un puma ne era solo un esempio.

Ricordava odori acri e pungenti. Fremiti grevi.

Maledetto bocciato.
Come osava cavarsela in un luogo che a lui, Jukka, urlava pericolo da ogni angolo?
C’era un motivo se avevano costruito un muro!

Pungolò con il bastoncino che aveva in mano una brace, oramai incenerita: questa si aprì in due, e poi si dissolse in cenere.

Di scatto si alzò: prese le loro due sacche, e iniziò ad armeggiare con il contenuto.

 

Radi aprì gli occhi in un sussulro: Jukka, torvo, la stava scuotendo vigorosamente.

“E dai! Svegliati!”


Quella mugugnò, alzandosi intontita.
L’altro, in piedi davanti a lei, le porgeva la sua sacca – la propria in spalla. Lo scrutò interrogativa.

“Voglio stare solo. Ho già diviso le erbe per i Magistri. Controlla pure.”


Radi non aveva motivo di dubitare di lui. Prese semplicemente la sacca, mettendosela in spalla e continuando a guardarlo.

“Perché?” chiese poi, prima che quello le voltasse le spalle senza dare spiegazione alcuna.

“Perché sì.”


“Mica vai di là?”


“Fatti gli affari tuoi.”
Si allontanò.
Bene. Ora Radi doveva trovare qualcun altro a cui

accodarsi – o come minimo da pedinare. Meglio così,

si sarebbe allenata – diventare una spia, una volta Custos, non sarebbe stato male.

Scavalcò in rapidità, anche se ogni fibra del suo corpo gli diceva che si stava comportando da agricola. Una volta oltre inspirò profondamente, cercando di farsi un’idea di quel che c’era intorno a lui. Decise di avanzare sul terreno, e camminò a lungo: cercava di orizzontarsi in continuazione, senza mai perdere di vista la zona da cui era entrato.

Trascorse quasi mezza giornata. Il sole calava oltre il mezzogiorno, e Jukka iniziava a pensare di aver fatto una cosa stupida.

Tornò indietro.

Nel solo trascorrere della prima ora Jukka aveva accuratamente evitato tre predatori, di cui probabilmente uno era un orso. Non uno di quelli dentro. Uno di quelli fuori:
tre volte più grosso.
Miran mentiva. Se ne convinse, convincendosi anche che quell’Agricola fosse già tornato dentro la zona sicura.

Si trovava a metà strada quando la sua attenzione fu catturata da una presenza conosciuta. Immobilizzatosi, prese a muoversi lentamente e il più silenziosamente possibile: si arrampicò con cautela su di un albero, così da poter guardare in lontananza senza essere scoperto.

La macchiolina scura, seminascosta, non sembrava affatto essere Miran.

Jukka si avvicinò, spostandosi di ramo in ramo, sempre prediligendo il silenzio alla velocità.

Zara.

Impossibile non riconoscerla, piccola com’era, e con quella carnagione color biscotto. Si muoveva cauta nel sottobosco, concentrata, e sola. Jukka trattenne il respiro, sorpreso oltre ogni dire. Tergiversò per qualche minuto, finché la bambina non puntò gli occhi nerissimi addosso a lui: e non li spostò più.

Visto.

A quel punto scese dall’albero, avvicinandosi liberamente.

“Di solito è Radi che gioca a fare la spia.” fu il commento di Zara, una volta che gli fu vicino. Perse rapidamente interesse, ricominciando a muoversi.

“Che ci fai oltre le mura?” chiese alla compagna.

“Vado in giro.” rispose, la voce tenue ma salda. “Vai via.” Guardava ovunque, tranne che lui. “Sto sola.”

“Hai visto anche tu che da queste parti gira il bocciato?”

“Sei qui per lui? È oltre il fiume, l’ho visto stamattina.”

Jukka si arrestò. Il fiume era piuttosto lontano – almeno altre tre fasce, prima di arrivarci, e senza essere tornato indietro come invece aveva fatto. Zara era veloce.

Si riprese, ricominciando a camminarle appresso: “Guarda che qui è pericoloso.”

“Lo so. Puoi andare, adesso?”

“Perché venite in zone pericolose!?” sbottò il bambino.

Zara si fermò, guardandolo: era raro incrociare il suo sguardo, non sembrava amare il contatto visivo. Infatti scostò rapidamente gli occhi. “È più interessante, qui. Ormai il bosco interno lo conosco a memoria. Mi annoia.”

Jukka non poteva darle torto – anche se, più che di noia, avrebbe parlato di sicurezza.

“Voi siete fuori di testa.”

“Io e Miran, intendi?” domandò, riprendendo a camminare. Si fermò, guardando fisso in alto, verso gli alberi. Poi riprese, con passi cauti. A Jukka sembrava di vedere un animale selvatico. “Non ho mai parlato con quello. Io sono io e lui è lui. E tu sei tu. Anche tu sei fuori dalle mura. Se ti fa tanto paura, torna dentro.”

“La paura non è un disonore!” Saltò su Jukka. “Morire in modo stupido lo è! La paura serve!”

“Lo so.”

Jukka non si aspettava una risposta del genere. Si ammutolì.

“Per favore, voglio stare sola. Ciao, Jukka. Buona fortuna.”

“Come vuoi. Buona fortuna.”

Jukka e Radi procedettero soli sino al rientro dalla sessione: tutti i cinque stelle raggiunsero la postazione di ritrovo in orario, solo in tre senza tutte le erbe che erano state loro commissionate. Uno aveva confuso l’urtica dioica con l’urtica urens: male. Meglio non avere nulla che avere la cosa sbagliata – o un giorno avrebbero potuto rischiare di avvelenare un loro compagno, in quel modo.

“Allora, sei stato fuori?” chiese Radi al bambino. Quello annuì. Non era persona da menzogna. “Meno male che...”
“Taci.”

Miran li aveva già raggiunti: “Sei stato fuori?” chiese, avendo sentito quanto dicevano prima. “Hai visto che non è niente di che?”

“È pericoloso.” “Ma se sei sano –” “Non centra.”

“Voglio andarci anche io, allora.” Disse Radi, sentendosi esclusa. “Avevi detto di non volerci andare – cos’è, ti rallento?”

“La prossima volta vieni con me.” propose Miran.

In un primo momento l’idea la fece illuminare: non durò granché. Non era sicura di voler abbandonare la protezione di Jukka per quella di Miran. Jukka lo conosceva. Erano collaborativi.

Di Miran non si poteva fidare altrettanto ciecamente.

“No.” disse la bambina. “Non vado in giro con i bocciati.”

Miran fece spallucce. “Come vuoi.”

 

 

 

 

 

 

 

Mi prostro chiedendo scusa per il lungo silenzio.
Come ho scritto sto facendo esperimenti su wattpad, mentre vado avanti con la stesura (sono a poco meno di un terzo di quel che ho già preparato, eh) e con il resto della mia vita – se mai v’interessasse, sono riuscita a recuperare la mia laurea magistrale, lavoro come borsista e giusto due settimane fa sono riuscita a farmi ammettere a un dottorato – che spero non mi uccida tanto quanto promette di fare… ad ogni modo, se per caso vi trovate in quel luogo oscuro che è wattpad, dove mi sto muovendo come fossi sulle uova, il mio profilo è questo: https://www.wattpad.com/user/ElenaTea90
non so quanto durerà la mia esperienza su quella piattaforma, potrei scocciarmi dopodomani – non sono sicura che mi piaccia. Efp rimane il mio punto di riferimento, non c’è nulla da fare: non sarà famoso o strutturato o dio sa cosa, ma per me è sempre una garanzia.

Saluti

Pandi

   
 
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