Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: xX__Eli_Sev__Xx    02/03/2016    3 recensioni
È strano pensare che per una volta a salvare la situazione non sia stato Sherlock Holmes, ma la sua nemesi, James Moriarty. Ma quando il suo volto compare sugli schermi di tutto il paese, Sherlock sa bene che non può essere Jim, l'autore di quel messaggio. Qualcun altro sta tentando di trattenerlo a Londra. Qualcuno che sta tentando di ottenere qualcosa da lui. Qualcuno che conosce i suoi punti deboli e sa come sfruttarli a suo favore. Qualcuno che si spingerà così oltre da riuscire a stravolgere completamente il mondo di Sherlock Holmes, un mondo che il giovane consulente investigativo aveva sempre dato per scontato.
Questa volta, Sherlock non si ritroverà ad affrontare un semplice criminale, ma dovrà fare i conti anche con se stesso e con le proprie ombre e come sempre non sarà solo.
Il gioco è ricominciato.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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This is war
 

The fear
 
 
 Dopo altri due giorni in cui Sherlock era rimasto nella più completa solitudine, finalmente la porta della stanza si aprì. Sherrinford fece il suo ingresso e avanzò fino al materasso.
 Il consulente investigativo era seduto sul materasso, il capo poggiato alla parete, il volto pallido e scavato. Quando aprì gli occhi e sollevò gli occhi sul volto del fratellastro, gli rivolse uno sguardo carico d’odio.
 «Oh, avanti, non guardami così, fratellino. Credevo che avessi capito cosa sarebbe successo, quando John Watson è arrivato qui.» esordì Sherrinford, inginocchiandosi di fronte a lui. «Era abbastanza ovvio che l’avrei usato come arma contro di te, proprio come avevo fatto con Mycroft.»
 Sherlock ringhiò. «Dov’è?»                                                    
 «È insieme ai miei uomini. Si stanno divertendo parecchio, sai?» rispose l’altro, ghignando. «Devo dire che il tuo dottore è un vero soldato. Composto, resistente al dolore e alla pressione psicologica e soprattutto fedele al suo migliore amico.»
 «Se provi a toccarlo-»
 «Cosa? Mi uccidi? Mi denunci alla polizia?» lo sfidò Sherrinford, poi scosse il capo, sollevando le sopracciglia. «Non credo che riusciresti ad ottenere qualcosa. Prima che tu possa fare qualcosa, sarei già lontano e l’unico uomo che tu abbia mai amato sarebbe già morto da un po’.» detto questo si mise in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro di fronte a lui. «In ogni caso, sono venuto a farti sapere che Scotland Yard è molto vicina a scoprire la nostra posizione. Presto saranno qui.»
 «Non sembri preoccupato.» fece notare Sherlock.
 Sherrinford sollevò le sopracciglia. «Credi qualche agente di Scotland Yard dovrebbe spaventarmi?» chiese. «Sono solo poliziotti e io li ho in pugno.»
 «Cosa te lo fa pensare?»
 «Ho te.»
 Sherlock aggrottò le sopracciglia.
 «Andiamo, William…» replicò Sherrinford, sinceramente divertito. «Credi di essere l’unico ad avere dei punti deboli? Anche Gregory Lestrade ne ha uno e si dà il caso che sia proprio tu.»
 Il consulente investigativo rimase impassibile per non lasciare trapelare nulla, ma nella sua mente presero ad accavallarsi milioni di pensieri. Lui era il punto debole di Lestrade e Sherrinford l’avrebbe utilizzato per fargli del male, proprio come aveva fatto con Mycroft e John.
 «Per questo hai ucciso Mycroft?» domandò il più giovane. «Perché sapevi che ero il suo punto debole, proprio come lui era il mio?»
 «Non l’ho ucciso io. È stata Mary.»
 «Tu le hai chiesto di farlo, sapendo che avrebbe fatto di tutto per proteggere suo marito.» fece notare Sherlock. Poi scosse il capo. «Perché non hai semplicemente torturato e ucciso me, se volevi vendetta? Perché te la sei presa con Mycroft? Lui non c’entrava nulla, non aveva colpe. Se mio padre ti ha abbandonato è stata colpa mia.» 
 «Colpire lui e vederti andare in pezzi è stato molto più divertente.» rispose Sherrinford.
 Sherlock fu costretto ad abbassare lo sguardo per nascondere le lacrime che gli avevano appannato la vista. Il ricordo di Mycroft, freddo e immobile, su uno dei tavoli dell’obitorio, tornò a galla e gli tolse il fiato.
 Sherrinford ghignò. «Dev’essere stata una scena gloriosa.» aggiunse. «Il grande Mycroft Holmes, in un bagno di sangue, su un marciapiede di uno quartiere alla periferia di Londra… davvero un bel modo per morire per il Governo Inglese.»
 Il consulente investigativo ringhiò e scattò in avanti, pronto a colpire il fratello, ma Sherrinford fu più veloce: chiuse la mano intorno ai ricci corvini di Sherlock e lo spinse contro la parete, bloccandolo per impedirgli di muoversi.
 Sherlock gemette, sentendo una fitta attraversargli il capo.
 «Cosa credi di fare, William?» ringhiò, chinandosi su di lui per parlargli all’orecchio. «Sei troppo debole per difenderti o per difendere qualcun altro. Questa volta non potrai fare l’eroe e tutti coloro che ami la pagheranno per colpa tua… soffriranno, moriranno tra atroci sofferenze, solo perché tu non sei stato furbo abbastanza da fermarmi.» rise. «Sarà un piacere vederti crollare sotto il peso del senso di colpa.» con uno strattone, spinse nuovamente il capo del fratello contro la parete.
 Il consulente investigativo cadde sul materasso, reggendosi la testa e ansimando. «Uccidi me…» riuscì a mormorare. «Prendi me e lascia stare la mia famiglia. Ti prego…»
 Sherrinford rise, sinceramente divertito. «Sentirti implorare è musica per le mie orecchie…» disse. «Ma no. Ucciderti non risolverebbe il problema. Non soffriresti abbastanza, e io voglio che tu arrivi a patire le pene dell’inferno, proprio com’è successo a me a causa tua. Quando sarai annientato dal dolore, allora in quel momento la mia vendetta sarà conclusa. Ma fino ad allora, William, goditi il tuo dolore.» concluse. Lo osservò ancora per qualche secondo, poi, con un sorriso malizioso dipinto sulle labbra, si voltò e uscì com’era arrivato.
 
 Sherlock aprì gli occhi di scatto, svegliato da un rumore improvviso e per un momento credette di aver sognato. Una fitta potente gli attraversò gli occhi e la testa a causa dei colpi ricevuti al capo. Si portò una mano alla fronte, chiudendo nuovamente gli occhi per qualche secondo, per mantenere la lucidità. Durante le ultime due notti non era riuscito a chiudere occhio: gli era sembrato di trovarsi in un costante stato di dormiveglia, come se fosse tornato sul tetto del Bart’s e stesse per cadere nel vuoto, per poi risollevarsi e cadere ancora, all’infinito. E poi tutti quei rumori improvvisi… non erano reali, erano stati prodotti dalla sua mente, assordata da quel terribile silenzio.
 Tuttavia, in quel momento, quando riaprì gli occhi, ebbe la certezza di essere sveglio. E a dargliene conferma furono gli occhi color cioccolato di Lestrade, puntati nei suoi, e le sue mani poggiate sulle sue guance, calde a contatto con la sua pelle fredda…
 «Sherlock» ripeté l’Ispettore.
 La sua voce calma e rassicurante accarezzò le orecchie e la mente del consulente investigativo con delicatezza, riportandolo completamente alla realtà. Lestrade era reale. Era lì, in carne e ossa, di fronte a lui.
 Holmes aggrottò le sopracciglia e socchiuse gli occhi, per studiare il volto dell’Ispettore, a pochi centimetri dal suo. «Lestrade?» chiese, cercando un’altra conferma. Poteva davvero essere lui? Poteva davvero averlo trovato?
 «Sì, sono io.» confermò l’altro, accennando un sorriso, visibilmente sollevato dal fatto che il suo amico fosse cosciente. «Stai bene?» domandò accarezzandogli le guance per tenerlo sveglio e studiando il suo capo, fasciato da una sciarpa.
 Sherlock annuì, circondandogli i polsi con le mani. «Come…?» chiese, ma si interruppe prima di concludere la frase. Non importava come fosse arrivato lì, per quello ci sarebbe stato tempo. C’era invece qualcos’altro… qualcosa di importante che avrebbe dovuto chiedere… ma cos’era? A un tratto ricordò. «Sherrinford… l’avete arrestato?»
 Greg scosse il capo. «Non è qui.»
 Il consulente investigativo sentì un tuffo al cuore. «Cosa?» chiese, confuso.
 «Quando siamo entrati non abbiamo trovato nessuno.» spiegò il poliziotto. «Il capannone è completamente vuoto. Nel circondario non ci sono auto o furgoni. Chiunque fosse qui, se n’è andato prima del nostro arrivo.»
 Sherlock sentì il suo cuore accelerare e martellare nella sua cassa toracica con violenza. Abbassò lo sguardo, portandosi una mano alla fronte e chiudendo gli occhi. Ecco perché Lestrade stava bene, nonostante Sherrinford avesse minacciato di fargli del male. Ma non aveva senso… perché suo fratello se n’era andato? Aveva detto che gliel’avrebbe fatta pagare, quindi perché aveva lasciato il capannone? Nulla sembrava avere senso… cosa diavolo aveva in mente?
 «Non è possibile…» borbottò Sherlock tra sé e sé. Poi, facendo leva sulle braccia, tentò di mettersi in piedi.
 Lestrade, intuendo che stesse tentando di mettersi in piedi, lo prese per un braccio, mentre con l’altro gli circondava la vita per impedirgli di cadere. Lo aiutò ad alzarsi e poi lo lasciò andare.
 «È impossibile.» mormorò il consulente investigativo. «Lui era… era qui… ha detto che avrebbe… e che vi stava aspettando…»
 Sherlock barcollò, malfermo sulle gambe, e Greg lo sorresse appena in tempo, prima che cadesse a terra. «Penseremo dopo a Sherrinford. Adesso devo portarti dai paramedici. Sei sotto shock, hai bisogno di cure.» disse, avendo capito che l’amico era in evidente stato confusionale.
 «No, devo…» ansimò, sentendo le gambe cedere nuovamente.
 «Devi calmarti.» concluse Greg per lui, reggendolo per i fianchi. «Va tutto bene.»
 «John» sbottò il consulente investigativo, quando il volto del suo migliore amico gli balenò nella mente. Sì. Sì, era John. Era John a cui doveva pensare in quel momento, non a se stesso. Si liberò dalla presa di Lestrade e scosse il capo. «Devo… devo trovarlo… Sherrinford ha detto che l’avrebbe ucciso…»
 «Sherlock, stai straparlando.» affermò Greg, tentando nuovamente di avvicinarsi. «Devi calmarti e hai bisogno che i paramedici ti controllino quella ferita alla testa.»
 «No» Sherlock scosse il capo, incontrando lo sguardo dell’Ispettore. «John. Devo trovare John.» e detto questo si avviò fuori dalla stanza con passo spedito.
 Quando l’avevano trasportato lì era privo di sensi, perciò non aveva avuto la possibilità di osservare il capannone. Quando si ritrovò nel corridoio, vide che c’erano tre porte a sinistra e due a destra. John doveva essere lì, dietro una di quelle porte: Sherrinford non poteva averlo portato via con sé. Dopotutto, se il suo piano era quello di fuggire, il medico l’avrebbe solo rallentato.
 Il consulente investigativo si diresse verso la prima porta a sinistra e la spalancò, ma la stanza era vuota. Quindi passò alla seconda porta, però anche in quella stanza non c’era nessuno. Allora si mosse verso destra e spinse la pesante porta in ferro accanto a quella della stanza in cui era stato rinchiuso e lo vide.
 La pallida luce che penetrava dall’esterno illuminava una sedia posta al centro della stanza. Il medico era stato legato ad una sedia – i polsi legati ai braccioli con lacci di plastica, in modo che non potesse muoversi o ribellarsi – e sembrava privo di sensi, a giudicare dal capo chino e dall’immobilità del suo corpo.
 O forse è già troppo tardi, sussurrò una voce nell’angolino più recondito della mente di Sherlock. Scosse il capo. No, si disse. Non è morto. Non può essere morto.
 Senza attendere oltre, l’uomo corse verso di lui e si inginocchiò di fronte all’amico.
 «John» ansimò prendendogli il volto fra le mani, vedendo che era coperto di ferite di ogni genere. Watson era pallido come un cencio, più di quanto lo stesso Sherlock fosse mai stato, ma il consulente investigativo poté sentire il suo cuore battere flebilmente sotto i polpastrelli. Si concesse un sospiro di sollievo: era ancora vivo. «John…» lo chiamò nuovamente, ma l’amico non rispose.
 «Sherlock» la voce ansante di Lestrade, dietro di sé, lo fece voltare verso la porta.
 «Servono i paramedici» disse Sherlock.
 Quando gli occhi dell’Ispettore si posarono sul corpo di Watson, si spalancarono per il terrore e l’uomo impallidì di colpo. «Dio, Sherlock, devi liberarlo subito.» disse con urgenza, avvicinandosi e inginocchiandosi al suo fianco. «Gli hanno tagliato i polsi.»
 Sherlock raggelò e tornò a voltarsi verso John. Solo allora notò le due pozze di sangue ai piedi della sedia e sollevando lo sguardo sulle braccia dell’amico e vide che i polsi erano lacerati così profondamente, che le vene recise stavano sanguinando copiosamente, macchiando il pavimento.   
 «No… no, no, no…» gemette, poi si rivolse a Lestrade. «Dammi qualcosa per tagliare i lacci.»
 Greg si guardò intorno e vide, accanto alla sedia, il coltello utilizzato per ferire il dottore. Era ancora macchiato di sangue, ma sarebbe andato bene per tagliare i lacci di plastica che lo tenevano inchiodato alla sedia. Lo prese, infischiandosene delle impronte che avrebbe contaminato, e con due colpi secchi tagliò i lacci.
 Il corpo del medico cadde in avanti. Sherlock lo prese prontamente tra le braccia, stringendolo al petto e accompagnandolo nella caduta, adagiandolo sul pavimento. «John…» sussurrò accarezzandogli una guancia e cullandolo. Gli diede dei leggeri colpetti sulle guance. «John, per favore… non morire…»
 Lestrade si volse verso la porta. «I paramedici!» gridò. Poi, tornando a guardare Sherlock, riprese. «Dobbiamo fermare l’emorragia, Sherlock. Ho bisogno della tua sciarpa.» disse. Si tolse la propria e la legò intorno a uno dei polsi di Watson stringendo quanto bastava per bloccare temporaneamente l’emorragia, poi prese quella che Sherlock teneva avvolta intorno al collo e fece lo stesso con l’altro polso. 
 I paramedici entrarono con una barella. «Largo» dissero soltanto e quando Lestrade ebbe allontanato Sherlock da John, i tre infermieri caricarono il medico sulla barella e uscirono dal capannone, partendo con l’ambulanza a sirene spiegate.
 Greg poggiò una mano sulla spalla di Sherlock, con fare rassicurante. «Andrà tutto bene.» assicurò. «Ce la farà.»
 Sherlock sospirò, sempre più pallido. Inspirò profondamente un paio di volte per riprendere il controllo di sé, poi annuì.
 «Ok» disse l’Ispettore. «Vieni, ti porto all’ospedale per-»
 Si sentirono degli spari proveniente dall’esterno.
 I due uomini si voltarono contemporaneamente e aggrottarono le sopracciglia.
 Cosa stava succedendo?
 Senza perdere tempo corsero entrambi verso l’esterno. La luce grigiastra di Londra li colpì, accecandoli per qualche istante. Sbattendo più volte le palpebre riuscirono a mettere a fuoco ciò che li circondava, appena in tempo per vedere due poliziotti a terra e Sherrinford avanzare con passo spedito, con una pistola stretta in pugno.
 Greg estrasse la pistola e si parò davanti a Sherlock. «Getta l’arma!» ordinò puntandola contro Sherrinford, mentre altri poliziotti, nascosti dietro le auto lo tenevano sotto tiro.
 L’altro nemmeno sembrò notarlo. «È un piacere conoscerla di persona, Ispettore Lestrade!» esclamò Sherrinford, sorridendo sornione. «Non vedovo l’ora di incontrare le persone per cui mio fratello aveva dato la vita. Ho conosciuto John e adesso lei.»
 «Metti giù quella pistola!» gridò nuovamente Lestrade.
 Sherrinford la sollevò, puntandola contro il poliziotto e caricando il cane. «Perché non la mette giù lei e non si fa da parte?» chiese. «Questa è una questione che riguarda me e William.»
 «Non credo che lo farò.» disse Greg con voce ferma, continuando a tenere l’arma puntata contro l’uomo. «Ora metti giù quella maledetta pistola o ti pianto una pallottola in fronte.»
 Sherrinford rise. «Vorrei vederla provare.»
 Lestrade premette il grilletto e il potente rombo dello sparo risuonò nell’aria. Il proiettile colpì Sherrinford alla gamba, facendolo barcollare e cadere a terra, emettendo un gemito di dolore, misto a un ringhio di frustrazione.
 Donovan uscì allo scoperto con la pistola tra le mani, insieme ad altri due agenti, avanzando di corsa per raggiungerlo e per arrestarlo, ma lui sembrò non notarlo: l’attenzione di Sherrinford era tutta per suo fratello, che lo stava osservando, pallido e impassibile.
 Il fratellastro rivolse al consulente investigativo un ghigno soddisfatto. «Addio, William.» gemette. «Goditi il senso di colpa.» e detto questo si portò la pistola alla bocca e sparò.
 Gli agenti si bloccarono e inorridirono, abbassando le pistole. Donovan sollevò la radio e comunicò qualcosa alla stazione, poi rivolse un cenno ai paramedici perché si avvicinassero per portare via il corpo senza vita dell’uomo.
 Sherlock lo osservò per qualche istante, ancora scosso di fronte alle azioni apparentemente prive di senso del fratellastro. Gli aveva promesso di fargliela pagare per avergli rovinato la vita e poi si uccideva? Che senso aveva avuto mettere in atto un piano del genere per poi togliersi la vita? Non poteva essere finita così… non aveva senso…
 Il corso dei suoi pensieri venne interrotto da un gemito. Sherlock si volse e vide Lestrade con il capo chino, portarsi una mano al petto. Quando Holmes si sporse per capire quale fosse il problema, raggelò. Proprio come il poliziotto, anche Sherrinford era riuscito a sparare e andare a segno. Il proiettile aveva colpito l’Ispettore dritto al petto, dove adesso si stava allargando una macchia di sangue.
 «Lestrade» sussurrò il consulente investigativo, impallidendo.
 La pistola gli sfuggì dalle mani di Greg, che gemette e barcollò sulle gambe.
 Sherlock lo afferrò prontamente, accompagnandolo nella caduta, sentendolo aggrapparsi alle sue spalle. Si inginocchiò al suo fianco, gli resse la testa con una mano e poggiò l’altra sulla ferita, facendo pressione e tentando di bloccare il sangue.
 «Lestrade, tieni duro» disse, poi si volse verso Donovan. «Chiama i paramedici!»
 La donna annuì e senza esitare corse verso l’ambulanza che stava arrivando sul posto.
 L’Ispettore ansimò e il suo corpo tremò tra le braccia del moro. La sua mano si poggiò su quella che Sherlock teneva premuta sul suo petto e le loro dita si intrecciarono. «Sherlock, mi dispiace…» bofonchiò, gemendo dal dolore.
 «Stai zitto. Risparmia il fiato.» ordinò l’altro e vedendo le palpebre di Lestrade tremare e il suo respiro farsi sempre più rotto, gli poggiò una mano sulla guancia, percorrendola con le dita. «Ho rinunciato a due anni della mia vita per proteggerti. Non puoi morirmi fra le braccia, hai capito?» disse. Avrebbe voluto suonare convincente, ma la sua voce tremante e le lacrime che gli avevano appannato la vista lo tradirono.
 Gli occhi di Lestrade si riversarono all’indietro.
 «Lestrade?» lo chiamò Sherlock, ma il poliziotto non si mosse. «Greg!» il consulente investigativo lo scosse, portando una mano al suo volto e ignorando le lacrime che gli avevano bagnato le guance e che stavano cadendo sul viso dell’Ispettore. «Greg, apri gli occhi… ti prego…»
 I paramedici si avvicinarono e Donovan allontanò Holmes dall’Ispettore.
 «Lasciami» protestò Sherlock. «Lasciami.»
 «Non puoi fare nulla per lui.» replicò la donna, mentre i paramedici caricavano Lestrade su una barella per trasportarlo all’ospedale.
 «Voglio andare con lui… lasciami andare, Donovan!» ringhiò, liberandosi dalla sua presa e detto questo seguì i paramedici, entrando nel retro dell’ambulanza, che partì a sirene spiegate.  
 
 Sherlock era immobile, seduto sulla seggiola tra i materassi su cui John e Lestrade erano stati fatti sdraiare.
 Erano usciti qualche ora prima dalla sala operatoria e i medici avevano assicurato che sarebbe servito del tempo, ma si sarebbero presto ripresi. Nonostante fossero ancora entrambi sotto anestesia e profondamente addormentati, Sherlock si era rifiutato di lasciare la stanza. Aveva presto posto sulla sedia e da lì non si era più mosso.
 Il ricordo di Sherrinford che si sparava, togliendosi la vita di fronte a lui continuava a tormentarlo. Non riusciva a comprendere perché il suo fratellastro si fosse ucciso dopo aver fatto tutta quella fatica per ideare e mettere in atto il suo piano. Aveva covato la sua vendetta per vent’anni e alla fine decideva di uccidersi. Persino per qualcuno pazzo quanto Sherrinford non aveva senso. A meno che, si ritrovò a pensare il consulente investigativo, non avesse attuato la medesima strategia di Moriarty, uccidere per lasciare spazio ad un complice. Ma chi poteva voler portare avanti una follia del genere?
 Sherlock scosse il capo, sospirando. Aveva bisogno di schiarirsi le idee e forse solo allora avrebbe capito il perché di quel gesto così azzardato e apparentemente privo di senso.
 
 John poteva percepire ogni cosa attorno a sé: il suono di ogni macchinario, l’odore di disinfettante che impregnava la stanza, il materasso sotto il suo corpo. Eppure non riusciva ad aprire gli occhi. Per quanto lo volesse, per quanto ci stesse provando, era troppo debole per muovere anche solo un muscolo del suo corpo. Sembrava quasi di esserci intrappolato dentro, come in un labirinto da cui è impossibile uscire.
 Non ricordava come fosse arrivato lì, in ospedale, ma sapeva che era un buon segno e che probabilmente, considerando che era stato sequestrato da Sherrinford, era anche stato liberato se era arrivato fin lì.
 Il suo primo pensiero coerente fu: Sherlock. Il suo volto gli balenò nella mente e il suo nome gli salì alle labbra quasi automaticamente, lasciandole con un suono flebile e sommesso.
 «Sherlock…»
 
 Sherlock sollevò lo sguardo di scatto, non appena udì la voce di John sussurrare il suo nome. Puntò gli occhi sul viso del medico e d’istinto poggiò la propria mano sulla sua.
 «Sono qui, John» mormorò.
 Da quando John e Lestrade erano stati trasferiti lì – su sua richiesta – aveva preso posto sulla seggiola tra i due materassi e aveva atteso. Non si era allontanato dalla stanza nemmeno per un secondo. Voleva essere lì nel caso in cui entrambi si fossero svegliati; non poteva e non voleva lasciarli soli, non sapendo che entrambi erano lì per colpa sua.
 Il medico inspirò profondamente e dopo un momento, lentamente, aprì gli occhi. Sbatté più volte le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco ciò che lo circondava, poi inclinò il capo per voltarsi verso il consulente investigativo. Quando i loro occhi si incontrarono, sulle labbra del dottore fece capolino un sorriso accennato. Mosse la mano, andando a stringere quella dell’amico.
 «Ciao» sussurrò.
 «Ciao» replicò Sherlock sorridendo a sua volta. «Come ti senti?» domandò e con l’altra mano gli accarezzò delicatamente il viso beandosi della sensazione delle sue dita a contatto con la pelle del suo migliore amico. Lo osservò per qualche secondo, studiando il suo volto pallido segnato dalla stanchezza, il leggero strato di barba che gli incorniciava le labbra e gli accarezzava le guance e i capelli color sabbia, che sembravano brillanti rispetto al colore ceruleo della sua pelle.
 John inspirò profondamente. «Leggero…» mormorò.
 Sherlock gli accarezzò il dorso della mano. «È perché hai perso molto sangue.» spiegò. «Quando io e Greg ti abbiamo trovato avevi i polsi lacerati. Non sapevamo da quanto tempo fossi lì, ma avevi già perso molto sangue e…» si interruppe e abbassò lo sguardo. «Credevo di averti perso.» ammise alla fine.
 Watson sollevò una mano e con il dorso delle dita gli accarezzò una guancia, portando l’amico a risollevare lo sguardo. Quando i loro occhi si incontrarono, il dottore sorrise dolcemente. «Sono ancora qui.» disse. «Tu stai bene? Come va la testa?»
 Sherlock sorrise e si portò una mano alla testa, sfiorando la ferita sotto i ricci corvini. «Sono bastati sette punti. La ferita si era rimarginata quasi completamente quando sono arrivato.» spiegò. «Voi eravate messi molto peggio.»
 John aggrottò le sopracciglia. «Noi?»
 «Tu e Lestrade.» rispose il consulente investigativo. Poi si scostò per permettere al medico di vedere il corpo di Greg, steso sul materasso alle sue spalle. Sospirò e tornò a volgersi verso l’amico. «Sherrinford gli ha sparato prima di uccidersi. Il proiettile ha sfiorato lo stomaco, ma i medici hanno arginato l’emorragia prima che fosse troppo tardi. È privo di sensi da tre giorni, ma presto dovrebbe svegliarsi.»
 «Sherrinford si è ucciso?» esclamò Watson, sollevando il capo dal cuscino. La testa venne attraversata da una fitta potente, che lo costrinse a portarsi una mano alla fronte, a chiudere gli occhi. Gemette, colto da un improvviso capogiro.
 Sherlock gli poggiò una mano sulla spalla, per invitarlo a rimanere sdraiato. «Ti spiegherò tutto, te lo prometto. Ora, però, devi riposare.» disse con voce ferma. «Rimani sdraiato e chiudi gli occhi. Avremo tempo per le spiegazioni.» 
 John inspirò profondamente un paio di volte, poi annuì. «Devi riposare anche tu.» mormorò con voce impastata.
 «Lo sto facendo da tre giorni.» fece notare il moro. «Sono seduto su questa sedia da settantadue ore, senza casi da risolvere o attività da svolgere. Se non è riposo questo…»
 «Dovresti dormire.» precisò John. «Stare seduto su una sedia in plastica a vegliare sugli infermi non si può definire riposo.»
 Holmes scosse il capo. «Non riuscirai a smuovermi di qui. Non me ne vado.» affermò, poggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto. «Ora dormi. Non costringermi a drogarti con la morfina.»
 Una risata leggera lasciò le labbra di John. «Non sia mai.» concluse e sprofondò nuovamente nei cuscini, chiudendo gli occhi.
 Sherlock sospirò, poi si volse verso il letto su cui Lestrade era stato fatto sdraiare. Erano giorni che sperava potesse riaprire gli occhi, ma il poliziotto continuava ad essere pallido e immobile, marmoreo quanto una statua, privo di sensi. I medici gli avevano assicurato che era normale, ma l’uomo non era tranquillo. Lestrade non poteva morire. Non poteva perdere anche lui com’era successo con Mycroft.
 «Sherlock?» lo chiamò John, riportandolo alla realtà.
 Il consulente investigativo si voltò nuovamente verso di lui, vedendo che il dottore lo stava osservando. I loro occhi blu si incontrarono e Sherlock gli sorrise. «Che succede?» domandò.
 «Puoi tenermi la mano?» chiese John, timidamente.
 Holmes sorrise dolcemente, poi prese la mano del medico e la strinse, accarezzandone il dorso il pollice. «Tutte le volte che vuoi.»
 Il dottore sorrise e dopo un momento scivolò nel sonno.
 
ANGOLO DELL’AUTRICE
Bonjour! ;) Rieccomi qui con il quarto capitolo ;)
Credo non ci sia nulla da spiegare, perciò non mi dilungo più di tanto.
Colgo l’occasione per ringraziare coloro che mi hanno inserito la mia storia tra le preferite/ricordate/seguite, coloro che recensiscono e tutti i lettori silenziosi che leggono anche solo qualche frase della mia storia :) Grazie di cuore a tutti!♥♥
A venerdì con il prossimo capitolo… bacioni.
Eli♥
 
   
 
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