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Autore: tsubasa_rukia3    04/03/2016    0 recensioni
Estratto dal secondo capitolo:" C'era chi si nutriva di sesso, chi di gelosia, chi di sangue e chi semplicemente del dolore altrui. Tutti rispettavano la regola non scritta: uccidere SOLO se si viene scoperti.
A parte i caduti, fae abbastanza stupidi da essere stati corrotti dalla loro essenza sovrannaturale.
Per questo esistevano i Galath: per difendere la pace del mondo umano, o questa era la favola ufficiale dell'Agenzia. Jasmine, sapeva fin dall'inizio che gli umani non potevano combatterli ad armi pari, pertanto il lavoro sporco dovevano farlo quei bastardini usciti dai fae e unirsi all'Agenzia; altra scelta era la morte; ma la triste mietitrice, in un modo o in un altro, ti prendeva al suo fianco".
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda Missione: Vafanculo al 'Riposo Forzato'!

Jasmine rimase incosciente per tutto il tragitto che impiegarono a raggiungere l'infermeria dell'Agenzia, ovvero tre ore in autostrada.
Andrej cercò di risistemarsi la spalla slogata e per poco non svenne quando riuscì nell'impresa.
L'autista e il passeggero rimasero lapidamente in silenzio e nessuno osò proferire parola, mentre la piccola cacciatrice si ritrovò a ritingere il sedile posteriore di rosso.
Le altre macchine erano rimaste per "disinfettare" l'area e molto probabilmente avrebbero portato dei Pulitori per sicurezza.
Andrej si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo quando intravide l'alto grattacielo dell'Agenzia.
Le mura di metallo, vetro e legno si estendevano rigidi, sfidando le rosee nuvole dell'alba e illuminando l'area circostante privata con i suoi riflessi.
Gli agenti, che erano con loro, parcheggiarono a raso con l'ingresso e scesero dalla macchina per aprire i sportelli posteriori.
Andrej rifiutò l'aiuto per camminare verso l'interno dell'edificio e gli agenti non fecero molta protesta, purtroppo Jasmine era incosciente per poterli scacciare in malo modo.
Il russo li seguì e i tre lo aspettarono davanti gli ascensori, una volta dentro si rese conto che si stavano dirigendo in un piano a lui sconosciuto.
I due uomini, ben piazzati e dal completo grigio anonimo, sembravano indifferenti al sangue che perdeva Jasmine e se ne stettero in piedi come se stessero aspettando di raggiungere il posto di lavoro in un noioso ufficio pieno di scartoffie. D'altro canto l'apacità dei due esseri permise ad Andrej di risparmiare le energie al minimo necessario, ovvero, a rimanere in piedi e non svenire; forse la botta alla tempia aveva fatto qualche danno e solo ora che l'adrenalina se n'era andata poteva iniziare a percepire la vera entità delle sue ferite.
Il russo non si mostrò particolarmente preoccupato, dopotutto gli bastava rompere uno dei suoi sigilli e la sua capacità rigenerativa sarebbe migliorata drasticamente. 
Le porte metalliche dell'ascensore si aprirono rivelando un corridoio lungo, spartano e ampio, le luci rendevano l'ambiente particolarmente chiaro, soprattutto perché si scontravano con le pareti bianche e rivestite di cera.
Seguendo i due colleghi dentro un dedalo di corridoi, entrò in una stanza ampia e spartana. L'aula era completamente in legno e qualsiasi cosa lì dentro sembrava derivata da alberi antichi e ben stagionati dopo la loro morte.
Il letto di cotone, sostenuto da uno scheletro in quercia, si tinse velocemente di rosso e notando che la velocità del liquido era rallentata, Andrej capì subito che Jasmine ne aveva perso troppo.
«Dove andate?», chiese nel vederli uscire dalla stanza.
«Qui finiscono le nostre competenze», rispose l'ultimo senza fermarsi.
Andrej si sedette su uno sgabello semplice in ciliegio, aspettando il susseguirsi degli eventi. 
Ci vollero cinque minuti prima di sentire un rumore di tacchi sul parquet, e dalla porta uscì una figura femminile e minuta. Il caschetto di capelli mossi e biondi non si curò di lui e prestò tutta l'attenzione su Jasmine. Senza voltarsi iniziò a parlare con l'unico partner cosciente.
«Siete stati morsi da un mutaforma, un licantropo o un vampiro?», domandò in tono annoiato.
«No».
«Avete ingerito una sostanza sospetta o vi hanno somministrato del veleno?».
«No», sospirò.
«Siete stati aggrediti da creature classificabili come "non-morti"?».
«Sì». L'infermiera annuì a se stessa e uscì senza dargli spiegazioni. 
Andrej ne approfittò per togliere il sigillo che limitava le sue abilità rigenerative e con sollievo si sentì quasi subito meglio.

L'infermiera tornò con una figura a lui familiare e dalle orecchie a punta, seguita da una dottoressa dalla testa particolare: i capelli e il normale volto non esistevano, al loro posto delle sacche di pelle coriacee si ammassavano una sopra l'altra e due fori fungevano da orecchie.
Che schifo. Qualche Pulitore ha perso il controllo, constatò semi-disgustato. Sapeva che i loro ibridi avevano delle eccellenti abilità telepatiche e, strano a dirsi, capacità di osservazione.
L'ibrido proruppe degli strani brontolii verso Crisantemae e si allontanò con calma.
«Signor Andrej, avrei preferito rivederla in una situazione piùpiacevole»», lo salutò la minore dei McPhilip.
«Il sentimento è reciproco», rispose con vigore maggiore di prima.
«Per favore, si metta qui vicino a Jasmine. Grazie mille, Fantis.», ringraziò la sua collega e mise su un fianco sua sorella; le osservò le ciglia lunghe in quel volto quasi cereo. 
«Sia ben chiaro, russo. Ciò che vedete o intravederete qui dentro, DEVE rimanere qui dentro. Chiaro?», gli intimò non appena Fantis fu fuori portata d'orecchio. 
Rimanendo sola con loro, la donna dal piccolo codino platino, appoggiò le mani sui lobi della rossa e tolse gli orecchini così rivelando le sue vere condizioni.
Il sangue pareva sgorgare da una piccola, ma profonda, attaccatura delle quattro ali destrose. A Crisantemae le pianse il cuore nel vedere sua sorella in quelle condizioni e sapendo che il sangue che ancora sgorgava era lento, troppo sieroso e chiaro capì che non aveva altra scelta se non il Chanter.
«Le doleur dans mon coeur comence sa marche pour le ciel noir...» "Il dolore dentro al mio cuore incomincia il suo cammino verso il cielo nero...", incominciò stringendo le mani contro il suo petto poco sviluppato.
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Jasmine sentiva i suoi capelli danzare contro la sua schiena scoperta. Notò di avere una veste cobalto che le stringeva il seno e si estendeva fino alle sue caviglie in una cascata di seta, le spalle e le braccia non erano altro che una rete di tessuto semitrasparente costellata di piccoli Swarovski sopra delle decorazioni floreali.
Stranamente, dentro quella fitta nebbia, si sentì a suo agio e poté distendere le sue ali nel loro massimo splendore.

Non sapeva quanto tempo era passato, ma non le importava; qualsiasi fosse il prezzo di quella pace lo avrebbe pagato volentieri.
Rasserenata, fece qualcosa che non osava dalla sua infanzia: iniziò a cantare col cuore.
«bound my life to my sorrow and my hope to my freedom just to let you know I'm alive!
Let me smile and I'll show you the world.
So let's dance! Let's dance! Let's dance for our reunion!
The birds are singing for you and the water keep shining for me.
My heart shout a secret that even I don't know so let me hear it from your voice».
"Lego la mia vita ai miei dolori e la mia speranza alla mia libertà, solo, lasciami farti sapere che sono viva!
Permettimi di sorridere e ti mostrerò il mondo.
Quindi danziamoDanziamoDanziamo per la nostra unione!
Gli uccelli stanno cantando per te e l'acqua risplende per me.
Il mio cuore grida un segreto che nemmeno io conosco quindi lasciami ascoltarlo tramite la tua voce", nonostante il testo fosse triste il ritmo che ne uscì dalla sua voce fu allegro e vivace.
Come attirati da quel richiamo allegro-amaro, dalla nebbia comparve un serpente spesso e dotato di quattro zampe sottili con tre artigli ciascuno.
Il muso parve molto meno simile a uno serpentino e più assomigliante un leone, ma allo stesso tempo non lo era.
All'improvviso, dalle sue fauci semiaperte si liberò un ruggito e solo in quell'istante Jasmine si svegliò. 
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Aprì gli occhi con una tale forza da sentire le sopracciglia schizzare verso l'alto. La luce repentina la costrinse a sbattere più volte le palpebre e ci vollero dei minuti buoni prima di iniziare a capire dove fosse, dopotutto non era la prima volta che si trovava lì: l'infermeria privata dei livelli A e superiori.
Le parve di udire un continuo lamento, un respiratore automatico e una fastidiosissima sequenza regolare di bip.
Porcatroia che male! Gridò internamente. 
Notò, nauseata, che in bocca la sua saliva era amara, segno che non mangiava da troppo tempo coi suoi denti e questo le parve qualcosa di davvero grave; ma trovò assolutamente disgustose quelle tre sacche e mezzo di sangue che si collegavano ai suoi avambracci.
Si sedette con fatica, inveendo dentro la sua testa contro ogni cosa sacra dentro di lei, e si tolse tutti e sei i tubi di plastica che osavano entrare dentro il suo organismo.
Ovviamente, quando i sensori cardiaci si staccarono insieme al resto, la macchina lanciò un'allarme acuto e stridulo.
La testa chiedeva pietà trovandosi in mezzo a quella macchina infernale e al suo vicino lamentoso, coperto da una tenda.
Immediatamente, due infermiere si precipitarono al suo cospetto e inorridirono nel vedere il sangue che scivolava dai tubi verso il pavimento e la paziente tentare di alzarsi.
«Agente J Secondo!», la rimproverò l'infermiera dai capelli cotonati e dalla pelle bitorzoluta. La fae semi-gargoile ben conosceva il temperamento dell'agente J e sapeva benissimo che l'avrebbe ignorata finché non fosse intervenuto il responsabile Maximilian in persona e senza attendere oltre usò il portatile in ferro e piombo puro dell'Agenzia per chiamarlo.
Jasmine ignorò il richiamo formale dell'infermiera semi-gargoile, insieme alla evidente novizia mora, e si apprestò a staccare il deretano dal materasso medico.
Una scossa la costrinse a sedersi. Riprovò e un'altra piccola onda sismica la costrinse a risedersi.
Notò che la vecchiaccia sorrideva e la guardò male.
«Non avrai osato!», le sputò.
«Tesoro, non impressioni nessuno», la novizia terrorizzata alle sue spalle parve pensarla molto diversamente.
«PER LE SACRE LEGGI DEI PORCI REALI! COSA È QUESTO CASINO! E TU STAI ZITTO STEVE! HAI SOLO UNA COSTOLA ROTTA E LO STOMACO PERFORATO!», gridò Maximilian entrando nella stanza rivestita in legno moderno.
Dèi dei cieli, aiutatemi. Non voglio ucciderlo.
«Come sta?», chiese in tono nello standard umano alla novizia infermiera.
«Gli ultimi dati confermano la sua stabilizzazione e il donatore si è ripreso completamente dopo due ore, signore», replicò la mora.
«Toglietevi, non ho intenzione di rimanere qui dentro un secondo di più!», ordinò con voce roca la Ghalat.
Maximilian sorrise compiaciuto di rivedere quella testa calda viva, ma ora che sapeva che stava bene non si sarebbe risparmiato e aveva la punizione giusta per lei.
«Jasmine, che peccato. Pensavo avessi deciso di unirti all'altra sponda», iniziò ironicamente.
«Non sono lesbica...», la confusione traspirò dalla voce.
«Davvero? Che peccato... Penso che forse dovresti tentare con qualche donna, mi sei sembrata più affine con loro».
«...».
«Bene, visto che ci siamo detti i nostri amorevoli convenevoli, penso che ora possiamo andare al piatto forte della serata: DUE MESI DI RIPOSO FORZATO, TRE MESI DI ARRESTI DOMICILIARI E TUTTI QUANTI CON L'OBBLIGO DELLA PRESENZA DEL TUO PARTNER!».
«A FAN CULO IL RIPOSO FORZATO!», riuscì a gridare prima di essere interrotta.
«TRE MESI DI RIPOSO FORZATO NEL PIANO DEL LOTO D'ORO E QUATTRO MESI DI ARRESTI DOMICILIARI CON LA PRESENZA OBBLIGATORIA DI ANDREJ! POSSIAMO FERMARCI QUI O AGGIUNGERE SANZIONI PIÙ PIACEVOLI, BIMBA!».
Odiava quando la chiamava in quel modo e se usava quell'appellativo voleva dire che aveva fatto qualcosa di veramente stupido. Si costrinse a mordere l'interno delle labbra e stringere i pugni per non replicare, ma mantenne ostinatamente lo sguardo fisso in quello del suo superiore.
Soddisfatto, Maximilian fece cessare i terremoti che agitavano le diverse medicine del piano e con un ghigno a spalle rilassate si diresse nuovamente nel suo ufficio.
«PEZZO DI TERRA SENZA CERVELLO!», sentì urlare mentre l'ascensore si chiudeva.

  
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