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Autore: Sethmentecontorta    06/03/2016    4 recensioni
Camminava muta, come chiusa in una bolla che la separava dal resto del mondo: i suoni e le immagini la toccavano solo a metà, qualunque gioia, volontà, felicità era scivolata via da tempo. Era solo una dodicenne, quanto tempo avrebbe resistito sola a quel modo? Che motivo aveva per andare avanti? Ah, lei lo sapeva eccome quale motivo la convinceva a continuare, seppur così.
Nonostante la sua mente fosse così offuscata da oscuri pensieri, l’animo appesantito, il suo passo incedeva leggero, invariato; attraversava strade, superava semafori, negozi, parchi, case, persone. Quel mondo che le appariva così distante, in cui i bambini ridevano giocando insieme, le ragazze come lei chiacchieravano dei loro amori adolescenziali o di qualunque cosa interessasse loro, gli adulti affannavano dietro al lavoro, ai figli, a mogli e mariti. Mentre la vita scorreva frenetica, lei camminava lentamente per la sua via; lo sguardo nel vuoto, la treccia ondeggiante lungo la schiena con un ritmo quasi ipnotico. Era così estranea.
~
|Remake di "The dreamer girl|OC, Kidou Yuuto, Goenji Shuuya, Fubuki Shirou, Fudou Akio|triste|
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto, Nuovo personaggio, Shawn/Shirou
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seth's corner: The dreamer girl era una storia a cui mi ero ampiamente affezionata, e mi sono pentita come per nessun'altra storia di averla cancellata, perciò era da molto che meditavo un remake (da quest'estate, a dirla tutta). Avviso per quei pochissimi di voi che avranno letto la vecchia versione, che ormai con quella prima storia questa ci azzecca poco o nulla, come vi potrete accorgere da subito. Non vi sentite spaesati perciò se vi sembra tutt'altra storia, in pratica lo è. L'immagine di questo capitolo è stata scattata da littlemewhatever. Come ultima cosa, mentre riscrivevo questo prologo ascoltavo questa canzone, per cui se volete ascoltarla durante la lettura la trovo adatta ad accompagnarla degnamente - e poi Weiss assomiglia alla mia pampinaH.
Detto ciò, vi auguro una buona lettura, e vi invito con tutto il cuore a lasciarmi un commento, anche se piccolo, è un progetto a cui tengo un casino, questo. 

Prologue Vacuum

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Solo... Sono solo...
Un bambino era adagiato su di un letto d'ospedale, il buio della notte gli lambiva il corpo con le sue dita fredde. Nessuna ferita troppo grave lo costringeva lì, eppure sentiva che il suo cuore pulsasse nel suo petto per errore, che tutto il resto in lui fosse già morto.
Mamma... Papà... Atsuya...
Lacrime luccicanti come piccoli ruscelli gli rigavano le guance e scendevano a bagnare il cuscino immacolato dall'odore pungente e sterile, lo stesso di ogni singolo oggetto in quel luogo.
Non voglio essere solo... Tornate... Per favore...
Si sentiva stanco, nel suo corpo sembrava non scorrere alcun tipo di energia, tanto che non riusciva a muovere un singolo muscolo; eppure non riusciva ad addormentarsi. Continuava a spezzare il silenzio che altrimenti sarebbe stato grave e totalizzante con i suoi respiri strozzati ed i suoi singhiozzi. La sua mente non accennava a smettere di rimestare voci e parole - le quali tutte puntavano alla stessa destinazione - caotici come oggetti nell’occhio di un ciclone, il suo sguardo non ne voleva sapere di distogliersi dai riflessi della luce lunare sul soffitto. Nonostante il gran numero di pensieri che vorticavano nella sua testa, non riusciva a focalizzarsi su alcuno di loro; continuavano a sfuggire alla sua presa, trascinati da quell’inarrestabile vortice, venendo subito sostituiti da un altro, e poi un altro, ed un altro ancora.
Perché...? Portatemi con voi... Non voglio...
Quando la luna era quasi giunta al termine del suo dominio sul cielo, finalmente le sue palpebre gli oscurarono la vista di quella stanza lattea come le stelle tra cui sarebbe voluto andare, scivolando nel freddo tepore di un sonno senza sogni, o forse semplicemente sognando il vuoto.
 
 
Urla, risate e canzoncine simbolo di infantile divertimento giungevano alle sue orecchie ovattati dalla lastra di vetro che la separava dalle fonti di tale frastuono, mentre le sue iridi del colore della cenere osservavano vigili ogni angolo del cortile affollato di bambini. Poggiò la piccola mano sul freddo divisorio, mentre fissava lo sguardo su una figura in particolare. Numerose parole, immagini e memorie le affollavano la testa, brulicavano e crescevano, provocandole un basso e costante lieve dolore alle tempie. Le dicevano che pensava troppo, per una bambina della sua età, che non le avrebbe fatto bene stare sempre sola a rimestare quel mare in tempesta nella sua mente, ma era la prima volta che ne sentiva veramente le conseguenze sul suo corpo. Paradossalmente al caos nella sua testa, sentiva il proprio petto vuoto. Guardò il piccolo pezzo di carta plastificata che teneva in mano, quel viso smunto e pallido, quei capelli biondo sporco, quelle pupille oscurate da sostanze stupefacenti, evidenziate da un paio di scure occhiaie. Non le assomigliava granché, per essere stata creduta sua figlia, ma aveva sempre pensato che forse quelle sostanze che gli adulti chiamavano droghe - per quanto lei non avesse idea di cosa fossero, sapeva solo che annebbiavano i sensi e rendevano tutto più gioioso, ma era un rimedio a breve termine ed a doppio taglio - avevano corrotto quel corpo tanto da non renderlo più riconoscibile, o forse era per via della foto. Era da quello che tentava di sfuggire, lei, con le droghe? Voleva scappare da quella burrasca? Si rifugiava su un isolotto vuoto e meraviglioso che poi veniva puntualmente ingoiato dai flutti, facendola naufragare di nuovo ed ancora più dolorosamente? Oh, povera mamma… Carezzò il volto smunto impresso nella piccola stampa, rivolgendogli un sorriso malinconico. È il momento di lasciare il passato, mamma, dobbiamo guardare al futuro.
Ruotò il capo quando udì i cardini della porta cigolare dietro di lei, la figura allampanata attraversare la soglia e venire nella sua direzione, abbassò gli occhi per non guardare in faccia quell’uomo, si concentrò soltanto sulla mano callosa e maschile che le tese. Scese dal divano su cui si era arrampicata per arrivare ad appoggiarsi sul gelido davanzale che le aveva intorpidito le membra e gli si avvicinò, senza alcuna fretta. Non c’era motivo per affrettarsi a voltare le spalle al quel luogo, a quei ricordi. Ripose la foto nella tasca del suo abito, scuro come la notte ammantata di nero, e prese come poteva quella mano che le veniva porta, essendo la sua di ben più piccole dimensioni. 
   
 
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