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Autore: PeaceS    07/03/2016    1 recensioni
Sequel di 3.00am
Lord Voldemort sembra scomparso: nascosto nell'ombra e in attesa di recuperare le sue forze, ricorda ai suoi avversari sporadicamente la sua presenza. Sono passati due anni e le premesse di Angelique si sono avverate: lui non è nel pieno delle sue forze e Albus Potter viaggia ininterrottamente per trovare un modo - un piano - che possa salvarli tutti. Nel mentre, Chrysanta Nott ritorna, ma il suo cuore appartiene già a qualcuno.
Il tempo passa e la verità sta per venire a galla: la vera identità di Scorpius sta lottando per uscire e lei, nonostante cerchi di cancellare ciò che è stato, sa che non sarà così facile.
Jackie Alaia e Joanne Smith giocano con i morti e Dalton Zabini con un libretto che, due anni prima, aveva reso Lily un mostro senz'anima.
Alice Paciock è passata al lato oscuro e si dice che suo fratello, ora, sia in giro per Londra... a dissanguare innocenti - e cercare di evitare l'unica donna che avesse mai amato, Roxanne Weasley.
Lucy Weasley, invece, è sempre più vicina al suo destino. E tra Mangiamorte, Demoni e Angeli, sente il fuoco dell'inferno cercare di bruciarla da dentro.
Lucifero è dentro lei.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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VI.

 

 

 

 

Ogni volta che la guardava, Jackie scopriva sempre qualcosa di nuovo su di lei – qualcosa che lo lasciava esterrefatto ogni giorno di più; prima le labbra, rosse come le ciliegie ora tese in un sorriso subdolo. Poi gli occhi, sempre più azzurri, sempre più grandi, ora quasi febbrili.
Lucy continuava ad avere incubi su incubi e la sua pelle era sempre più mortalmente pallida – i suoi capelli più rossi, il corpo più magro. Sembrava che qualcosa la stesse cambiando da dentro, e Jackie cominciava ad avere paura.
Perché c'era quel serpente che gli serpeggiava sotto pelle... quel serpente tentatore, maledetto, sinonimo di terrore, che gli sussurrava all'orecchio che lei era sempre meno sua. Lucy gli apparteneva sempre più poco, come se quegli incubi gliela stessero portando via.
Pezzo dopo pezzo. Lentamente. Letalmente.
“Cos'hai sognato questa notte?” bisbigliò Jackie, accendendosi la solita canna – stravaccato sul letto a baldacchino al centro della loro stanza da letto.
Lucy abbottonò la cerniera del vestito di pizzo nero che stava indossando come una seconda pelle e lui si beò del tessuto che le stringeva i fianchi e la vita stretta, mostrando le gambe attraverso il vertiginoso spacco che le arrivava all'inguine. Inghiottì a vuoto e lei sciolse i lunghi capelli – ora morbidi ricci sulle spalle scoperte.
“Ti interessa?” mormorò Lucy, girandosi completamente verso di lui e mostrandosi in tutta la sua magnificenza. I tacchi dal tacco alto slanciavano la figura esile e del rossetto rosso fuoco le infiammava la bocca – rapendogli il respiro e il senno. Rapendogli il raziocinio e la possibilità di ribellarsi.
Lui era suo, completamente. Era sempre stato così. Ma lei... Lucy era ancora sua? Gli sembrava di non riconoscerla più – di dormire, fare sesso e convivere con un'estranea.
Quegli incubi gliela stavano portando via.
Pezzo dopo pezzo. Lentamente. Letalmente.
“Dove stai andando?” domandò ancora, aspirando dal filtro della canna e lasciando che l'erba, per un solo attimo, gli ottemperasse i pensieri – divorandolo.
“Ti interessa?” ripeté come una nenia la ragazza, avanzando lentamente ai piedi del letto.
Jackie non aveva mai, MAI temuto un suo tradimento, ma ora quel serpente – oltre a mettergli paura – gli stava mostrando anche un mostro in cui lui non si era mai imbattuto. Era verde e si stava nutrendo della sua rabbia, del pensiero che qualcun altro potesse toccarla, baciarla, averla come l'aveva avuta lei.
La fissò e gli sembrò di impazzire. La guardò e gli sembrò di morire.
Diavolo, pensò. E quella parola, quel nome che aveva sempre invocato nei momenti di rabbia o assoluta delizia come quello, lo fece tremare da dentro.
Diavolo...Lucifero. Inferno...fiamme.
« Lei è mia. » Jackie sobbalzò quando una voce s'insinuò nei suoi pensieri, rude, simile al ringhio di un lupo rabbioso. Guardò Lucy, shockato, ma lei ora era a carponi sul letto e si stava avvicinando lentamente.
“Sei stata tu?” domandò, spaventato a morte. Lo ignorò e i suoi occhi quasi sembrarono di brace sotto la luce soffusa dell'abat-jour – con un riflesso rosso come il sangue che gli ghiacciò il sangue nelle vene.
“Lucy, chi ha parlato?” sibilò, senza muovere un singolo muscolo quando lei gli sfilò la canna delle dita per portarsela alle labbra. Aspirò e buttò la testa all'indietro, lasciando che i capelli s'infilassero appena nella fessura della profonda scollatura del vestito, proprio tra la valle dei seni piccoli e sodi.
Diavolo, ripeté mentalmente e di nuovo – proprio come un minuto prima – quella voce riparlò. « Lei è mia. » ed era una minaccia.
Jackie sbiancò, ma ora Lucy era seduta a cavalcioni su di lui e aveva spento la canna oramai consumata. I loro bacini collisero ed entrambi gemettero, ma Jackie sentiva ancora il rimbombo letale dell'eco di quella voce nella testa.
“Cosa sta succedendo?” sussurrò, stringendo un suo fianco tra le dita e strappandole un piccolo ansimo.
Lei lo guardò e i suoi occhi divennero neri come la pece, ma prima che lui potesse anche solo pensare di gridare Lucy lo aveva già baciato – intrufolando la lingua tra le sue labbra. E sapevano di vita, morte, rose e vaniglia, luce e buio... come se lei stessa stesse combattendo una guerra interiore e ancora non conoscesse l'esito. Il vincitore. Quello che avrebbe preso il sopravvento sulla sua anima.
“Lasciati andare. Non ci pensare o impazzirai” mormorò Lucy sulla sua bocca, alzando il vestito fino ai fianchi e alzando appena i fianchi per poterlo sentire meglio contro di sé.
Si mosse delicatamente e lui la guardò dal basso completamente soggiogato.
“Sono tua” disse ancora, con la schiena arcuata e Jackie affondò le dita nella sua schiena – lasciandole una scia rossastra lungo la spina dorsale.
Sì. sì. Lei era sua. O no?
Lucy abbassò le spalline sottili del vestito e lasciò che questo scivolasse via dal seno, che andava a ritmo del suo respiro affannato.
Lei era sua. O no? Chi gliela stava portando via?
Chi... chi?
“Tua” soffiò, sbottonandogli i pantaloni e accarezzandogli lentamente l'erezione attraverso i boxer neri.
Jackie ansimò, affossando la testa contro il cuscino e lei si allontanò con i fianchi abbastanza da arrivare con la bocca contro il suo bacino. Lo fissava dal basso, con gli occhi neri ardenti. Infuocati.
“Lucy...” la chiamò a bassa voce e lei sorrise, abbassando il tessuto e sfiorando con la punta del naso il glande. Gemette, affondando i capelli nei suoi capelli e avvicinandola ancora di più contro di sé.
Ora la sua lingua era contro tutta la sua lunghezza e lo stava avvolgendo piano, continuando a non distogliere lo sguardo dal suo.
Lei era sua. O no? Con chi... con chi faceva quelle cose? Chi la toccava come la toccava lui? E lei... da chi si era fatta rapire? Perché doveva essere per forza qualcosa di distruttivo per travolgerla in quel modo.
Ora era tutto nella sua bocca e a Jackie andò a fuoco, mentre il sangue gli scorreva al contrario nelle vene. La sua mano ora gli stava graffiando lo stomaco e vederla quasi sottomessa, intenta a procurargli piacere, lo mandò in estasi. L'afferrò per le braccia e la portò nuovamente su di sé – facendole allargare le gambe attorno il suo bacino.
Indossava delle sottili mutandine di pizzo e Jackie accarezzò il bordo con le dita tremanti, facendo scivolare lo sguardo sul suo corpo.
Lei era sua. O no?
Le spostò lentamente e la penetrò con due dita, guardandola inarcarsi su di lui.
“Di chi sei?” mormorò e lei sorrise, mostrando una schiera di denti bianchi come perle. Mosse il bacino contro le sue dita e lui penetrò più a fondo, godendo nel sentirla gemere lentamente – come se non volesse mostrargli il piacere che stava provando.
“Rispondi!” sbottò, togliendo le dita e invertendo le posizioni. Ora era su lei e la sovrastava. Ora era su di lei e la copriva completamente con il suo corpo.
Le alzò le gambe quel tanto da poter avere accesso completo e la penetrò lentamente, muovendo i fianchi di poco – mentre lei gemeva frustrata.
“Tua. Sono tua!” disse, affondando le unghia nei suoi fianchi e spingendolo con più forza contro di sé.
Anche se, entrambi, sapevano che era una bugia.
C'era qualcosa – o meglio, qualcuno – che aleggiava su di loro come la spada di Damocle pende sul capo, ma se Jackie aveva paura di perderla... quello da cui era terrorizzata Lucy era molto più pesante, diverso e le avvelenava l'anima.
Lei apparteneva a l'uomo dei suoi incubi... anche se non sapeva chi fosse o cosa volesse, sapeva che era così e se aveva suggerito a Jackie di non ascoltare nessuno – di lasciare fuori quella voce, la stessa che le dava il tormento – lei non ne poteva fare a meno.
Era stata già avvelenata.
Lei apparteneva a l'uomo dei suoi incubi ed era già impazzita.

 

 

La Mayor Manor era un immenso villino di mattoni rossi e grandi vetrate, costruita su un terreno vasto e isolato proprio su un grande fiume – in una landa desolata della Scozia. Di primo acchito, Lily la guardò incantato: attorniata da erba alta e verde e fiori in sboccio, sembrava la tipica casa dei sogni. A due piani, con altalene e piccole giostre da giardino, aveva le tegole del tetto che sembravano tante piccole fiammelle e il sole che illuminava – timido – ogni anfratto delle mura.
“Chi è là?” urlò una voce femminile, apparendo sull'uscio della porta.
Margarita, la donna che aveva smaterializzato lei e Scorpius lontani dall'ospedale, respirò a pieni polmoni; l'aria lì sembrava più pulita, quasi simile a quella di casa sua. “Sono io, Dom” rispose Lily, mentre la cugina si rilassava impercettibilmente.
Per poi allertarsi subito dopo. “Lily? Lily cos'è successo?” domandò, avanzando a tentoni.
Margarita guardò dispiaciuta gli occhi bianchi di quella bellissima donna – più simile ad un angelo che ad una strega; aveva lunghi capelli biondi come l'oro e la pelle di porcellana, con lunghe ciglia che ricoprirono lo sguardo opaco e la bocca carnosa.
“Non è successo nulla” mormorò Margarita, catalizzando l'attenzione su di sé.
“Chi c'è con te?” bisbigliò Dominique, avvolta in un delizioso abitino azzurro dalla gonna a campana. Scorpius si fece avanti e abbracciò la cugina acquisita con tenerezza – come se stesse maneggiando un qualcosa di estremamente fragile.
“Io e un'amica di Albus” le disse, avvolgendole un braccio attorno le spalle e strofinando di poco il palmo lungo il braccio.
Dominique si abbandonò contro di lui e sorrise, illuminando come il sole ciò che la circondava. “James sta bene, vero?” sussurrò, mentre Scorpius la dirottava dentro casa con le altre due donne alle calcagna.
“Sono qua, tesoro” sospirò James, prendendola per mano proprio quando si accomodarono tutti nella cucina. Una penisoletta al centro con dei sgabelli di legno, le pareti di un confortante rosso-oro, i fornelli e un lavabo – il minimo indispensabile per loro due. Il resto ce lo metteva l'amore, la tranquillità e quello che erano riusciti a costruirsi in quegli anni... lontani da tutto e tutti.
“Preparo il thé, tu siediti” le mormorò James tra i capelli, baciandole dolcemente il capo e aiutandola a sedersi accanto a Lily – ancora pallida.
“Allora... ora ce lo dici cosa succede?” disse Scorpius, incrociando le braccia al petto e guardando Margarita senza alcuna espressione in volto.
“Ma allora Albus è tornato?” s'intromise Dominique, con tono sorpreso.
“Oh sì, è piombato letteralmente in ospedale e ha cominciato a sbraitare di portare questi due lontani da lì perché stava per arrivare qualcuno che non potevano vedere” sibilò James, sarcastico, mettendo la caraffa del thé sul fuoco e sogghignando amaro.
“È scomparso all'improvviso, senza dirci un emerito cazzo, e ricompare come niente fosse” continuò, alzando la voce di qualche ottava. Dominique alzò il volto verso di lui e Margarita poté giurare di aver visto la dolcezza passare nei suoi occhi ciechi. La dolcezza e l'amore, quello puro. Quello indistruttibile.
“Avrà avuto le sue ragioni” cercò di placarlo Dom, ritornando poi a fissare il vuoto. “Ma chi...” iniziò, venendo interrotta a metà frase da un pianto.
James scattò sugli attenti. “Vado io, tranquilla” bloccò la donna, prima che potesse alzarsi.
Lily socchiuse gli occhi, quasi addolorata. “Come sta Ben?” domandò con voce piccina, quasi come se avesse paura di chiederglielo.
La donna strinse le spalle sulla difensiva, stringendo le dita al grembo. Dita dove una fede d'oro massiccio faceva bella mostra di sé proprio all'anulare sinistro.
“Sta bene, è in salute se è questo che mi stai domandando!” scattò, alzandosi dallo sgabello e avvicinandosi alla cucina. A tentoni cercò il bollitore per il thé e spense la fiamma una volta che sentì il familiare fischio dell'attrezzo.
“Non rispondermi in questo modo, sai cosa intendevo dire!” sbottò Lily, risentita.
James entrò nella stanza con un bambino dai capelli biondi tra le braccia; questo aveva il visino paffuto poggiato sulla spalla del padre e due delicati occhi azzurri che s'illuminarono non appena visualizzarono le due persone sedute a tavola.
Tia!” cinguettò, scalpicciando per farsi mettere a terra dal padre e correre proprio tra le braccia della rossa – che strinse il bambino di appena un anno con un sorriso tutto per lui.
“Ciao, ometto! Come stai?” disse, regalandogli un piccolo buffetto sulla guancia e lasciando che lui passasse il nasino contro la sua guancia.
“Bene” rispose tutto computo, corrucciando appena la fronte.
“Margarita... questa cosa che hai visto, sì, insomma... potresti tenerla per te?” mormorò James, fissando la vampira dall'altra parte della cucina.
Ma lei aveva già sentito. Guardò il piccolo con dolcezza – tipica del suo volto delicato – e sospirò; il bambino era piccolo, troppo piccolo per capire, ma quando sarebbe cresciuto... cosa gli avrebbero detto?
Perché non aveva mai conosciuto nessuno dei suoi parenti? Perché i suoi genitori lo tenevano così ben nascosto?
Non era nato con nessuna malformazione, ma cosa potevano dire davvero della sua testa? Quanto poteva essere... lucido?
“Io credo che la famiglia sia una gran cosa” bisbigliò Margarita, senza mai distogliere lo sguardo di rubino da quello limpido del bambino.
“E nonostante lui sia nato da sangue dello stesso sangue, è stato concepito con amore. Gli altri capiranno... ora. Non oltre.
E voi avrete bisogno d'aiuto quando sarà abbastanza grande da perdere assolutamente il lume della ragione. Non tutto ciò che luccica è oro” continuò e se James sgranò gli occhi, Dominique si abbracciò – cercando di infondersi calore.
“Di cosa stai parlando?” sussurrò proprio la donna, guardando nel vuoto.
Gli occhi sbiaditi, ma stanchi. E tristi.
“Fate come vi ho detto e basta” rispose Margarita, alzandosi e ignorando gli occhi di Scorpius Malfoy e Lily Potter su di sé. Sapeva cosa diceva. Aveva visto e non era uno bello spettacolo ciò che si era palesato davanti ai suoi occhi.
Quel bambino avrebbe disintegrato tutti loro... senza alcuna distinzione. Senza scegliere padre o madre, fratello o zio, lasciando solo cenere dietro sé.
Margarita si avvicinò alla grande finestra posta sul lavabo, che mostrava le grandi distese che si aprivano tutte attorno la tenuta. Aspirò il profumo di fiori e casa che sembrava imperniato ovunque, lì, e sorrise.
“Ciao Al” mormorò, proprio mentre un pop di materializzazione li avvisava della venuta del ragazzo.
Lo vide scrollare la chioma corvina e spostare gli occhi smeraldini su di lei.
“Ciao” e la sua bocca si tese, facendole battere il cuore.
Quel cuore... quel cuore che lei non sentiva battere da secoli, ora lo faceva molto lentamente. Valicando le leggi della fisica, del terreno e ultraterreno; lei da morta aveva il cuore che si muoveva. E cantava. Solo per lui.
“Allora?” disse Scorpius, guardandolo con gli occhi grigi intrisi d'ansia.
“C'era solo... una persona, che abbiamo visto tempo fa, ad Hogwarts... appena finita la battaglia.
Quel medimago, Lily... quel Marco. Tu te lo ricordi?” disse Albus, affacciandosi alla finestra e portandosi una mano tra i capelli – come se quella mezz'ora in compagnia della sua famiglia lo avesse distrutto.
Lily sgranò gli occhi, incredula e si portò una mano alla bocca.
No, pensò. Non poteva essere vero. Non poteva.
Non era possibile.
“Lily... Lily, stai bene?” la scosse Scorpius, prendendola per mano.
Guardò i suoi capelli biondi e gli occhi grigi, l'incarnato pallido e la bocca sottile – piena di amore, speranze, gioia. Lui le aveva regalato una vita normale, quella che aveva sempre desiderato per sé e tutti gli altri.
Lui le stava regalando un figlio, un matrimonio perfetto...
Si abbassò giusto in tempo e vomitò anche l'anima, nauseata da se stessa.
Nauseata da ciò che aveva fatto.
Il passato era tornato... e stava per rovinare tutto ciò per cui aveva lavorato.
Il passato era tornato... e stava per sotterrare la vita che aveva sempre desiderato.
Senza remore.

 

 

✞ ✞ ✞

 

Giravano a cerchio, studiandosi come se si vedessero la prima volta. I tacchi alti raschiavano sul pavimento in modo macabro e le bacchette erano basse, ma i loro occhi sembravano quasi voler penetrare nella testa dell'altra.
“In posizione” mormorò Lord Voldemort, fermo con le spalle poggiate al muro alla fine della stanza rettangolare.
Le due donne si fermarono una dinnanzi all'altra e improvvisamente la magia partì, senza che nessuno desse il via; Giselle McAdams formò un gigantesco arco con le braccia e un lampo di luce gialla investì completamente Alice Paciock, che si difese egregiamente – rimandando la magia alla proprietaria, che presa di sorpresa volò letteralmente dall'altra parte della sala.
E continuò. Senza pronunciare una sola parola, la sua bacchetta ardeva e lanciava incantesimi – illuminando la stanza a giorno. Luci di ogni colore s'infrangevano contro le mura, facendone crollare le pietre, e la stessa Alice sembrava dirigere un'orchestra – muovendo braccia e bacchetta come una sol cosa.
Il Signore Oscuro la guardò, completamente ammaliato dai suoi occhi spenti e vendicativi. Ammaliato dall'oscurità che era riuscito ad insidiare in lei, tanto da renderla irreparabile. Alice Paciock era un giocattolo irrimediabilmente rotto e nessuno... nemmeno lo stesso Harry Potter, che aveva accolto chiunque tra le sue file, avrebbe voluto che tornasse indietro.
Un passo avanti – un gesto violento delle mani – e Giselle urlò, accartocciata su se stessa.
Due passi – un arco plateale fatto col braccio – e la ragazza dai capelli bruni rantolò, con il sangue alla bocca e la fronte violacea per le continue scosse.
Tre passi – ora Alice aveva uno sguardo misericordioso e fissava il corpo ferito della compagna come di solito si guarda un insetto; alzò nuovamente la bacchetta, come se volesse darle il colpo di grazia, come se volesse ucciderla lì e porre fine alle sue pene. Al fatto che l'avesse abbandonata nel momento del bisogno quando era dovuta scappare dagli Auror... e difendersi sia da questi ultimi che da Lord Voldemort stesso, dal fatto che desiderasse davvero trovarsi al suo posto, quando in realtà lei non voleva fare altro che darsela a gambe e ritornare dall'unico uomo che avesse mai amato nella sua misera vita. Sì, Alice avrebbe voluto darle il colpo di grazia per la sua enorme stupidità, per essere una debole. Per volerlo negarlo... ma esserlo fin dentro le ossa.
“Ora basta. Sei ferita e non voglio che ti affatichi troppo” bisbigliò proprio lui, facendosi avanti e staccandosi dal muro alle sue spalle.
Il soppalco su cui erano state poste le due ragazze era a distanza di parecchi metri da lui, ma ad Alice sembrava di averlo così vicino da sentire il puzzo di decomposizione come se le stesse respirando sul collo.
“Sono molto compiaciuto dai tuoi progressi, mia cara” sussurrò ancora Lord Voldemort, avvicinandosi sempre di più.
Giselle ghignò dall'angolo in cui giaceva scomposta, ridendo di lei. Del fatto che ora l'uomo l'avesse raggiunta a grandi falcate e si fosse posto alle sue spalle, accarezzandole con avidità.
Giselle sapeva bene quanto ribrezzo provasse nell'essere toccata da lui e godeva... godeva nel vederla tremare sotto il suo tocco; Alice aveva fatto il passo più lungo della sua gamba e meritava tutto ciò che le stava succedendo. Tutto il dolore, i colpi e le punizioni che lui le impartiva. Meritava tutto quello e anche di più... molto di più. E Giselle l'avrebbe ammazzata se non fosse stata la sua unica salvezza. Se non fosse stata l'unica che avrebbe portato lei e suo fratello lontani dalle mani di quel pazzo – che ora stava guardando Alice con eloquenza.
Alice s'inchinò ed uscì velocemente dalla stanza dei giochi, come l'aveva soprannominata ironicamente l'Oscuro, lasciandoli soli; l'uomo la guardò dall'alto in basso, accarezzando senza alcun sentimento negli occhi rossi prima i riccioli bruni incrostati di sangue e poi il ghiaccio delle sue iridi. Fissò la scollatura generosa del vestito bianco che indossava e la consistenza liscia della seta che stringeva dolcemente le sue curve prosperose.
Lei... nata e cresciuta per stare al suo fianco, gemeva ai suoi piedi per i capricci di una stupida bambina. “Finalmente riesco a vedere qualcosa, in quella bella testolina che ti ritrovi” sussurrò Lord Voldemort, guardandola ora con un improvviso interesse.
Giselle impallidì e l'uomo storse la bocca pallida e sottile nell'imitazione grottesca di un sorriso. “Crucio” e l'incantesimo la colpì senza che lei se lo aspettasse, senza che potesse fare alcunché per proteggersi... cosa che non avrebbe potuto fare nemmeno se preparata.
La Maledizione senza Perdono le squarciò la pelle e i sensi, travolgendola con un dolore così assurdo che quasi le strappò il respiro. Il senno. Un urlo di totale agonia.
“Questo è per la tua debolezza” mormorò Lord Voldemort, muovendo di poco la bacchetta e lasciando che quelle scintille rossastre le bruciassero la carne.
Crucio” sibilò con ancora più cattiveria, maneggiando l'incantesimo come se non avesse fatto altro nella vita.
E urlò, fino a sgolarsi. Urlò, mentre il suo sistema nervoso andava in tilt e le ossa si liquefacevano per il dolore.
“La prossima volta mi aspetto molto di più da te, McAdams” e con quelle parole finì anche il martirio, perché lui si era già incamminato verso l'uscita.
Le fiammelle sui candelabri tremarono prima di spegnersi definitivamente e Giselle rimase al buio, a fissare le varie teche contenenti gli attrezzi di tortura e gli stendardi verde-argento a dare colore alle mura spoglie della sala rettangolare. Non una finestra, non uno spiraglio che le suggerisse che fosse ancora viva... tranne lo strazio.
Aveva le gambe poste in un modo quasi innaturale e i capelli aperti a ventaglio sul pavimento, mentre le braccia e il volto erano feriti da quelli che sembravano tanti e piccoli tagli. E fu così che la trovò Jackson, dopo un ben quarto d'ora passati a cercarla in lungo e largo per tutto il quartier generale.
“Giselle... Giselle!” urlò, correndo da lei e inginocchiandosi ai suoi piedi, con lo sguardo spalancato dal terrore e le mani tremanti.
La ragazza volse lo sguardo spento verso di lui, che tirò un sospiro di sollievo nel constatare che fosse viva. La sollevò contro il proprio petto – cullandola.
“Giselle, pensavo che... Santissimo Merlino!” annaspò, affondando il viso nei suoi capelli e aspirando a pieni polmoni il suo bellissimo profumo.
“Credevo di averti persa” mormorò ancora, senza che lei emettesse un singolo fiato. Le accarezzò la fronte, le guance tumefatte, lo sterno magro e il seno florido; strinse il busto sottile tra le braccia e singhiozzò appena, riscuotendola dal suo stato catatonico.
“Non piangere” bisbigliò Giselle, facendo fatica persino a parlare.
Era sempre stato lui ad asciugare le sue lacrime, non il contrario; era un peccato quasi mortale far piangere una persona così buona, bella e dolce come Jackson.
“Cosa ti ha fatto?” sussurrò, alzandola dal pavimento e prendendola in braccio come di solito si faceva con le principesse – come quando da bambina si addormentava sul divano e lui la riportava nella sua stanza, mettendola a letto.
“Va tutto bene”
Gli posò una mano sul petto, proprio lì, dove batteva il cuore e lo sentì accelerare piano. Batteva contro il suo palmo come se volesse ribellarsi, come se il suo tocco prima lo stordisse e poi lo rinvigorisse.
“Come ha potuto farti questo?”
Giselle sorrise. Sì... lei non era riuscita ad entrare nelle grazie del Lord Oscuro né di chiunque altro, ma aveva molto, ma molto di più.
Giselle aveva il cuore e l'anima di suo fratello e per lei valeva più di tutto l'oro e il potere del mondo.
Più di qualsiasi altra cosa.

 

   
 
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