Fanfic su artisti musicali > Mika
Segui la storia  |       
Autore: j a r t    07/03/2016    2 recensioni
Dal primo capitolo:
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
Genere: Angst, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Fedez, Morgan, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
- 16 -
 
NOTA: i dialoghi in corsivo sono pronunciati in inglese dai personaggi.
 
Per raggiungere la famiglia di Michael, il giorno seguente, dovettero rinunciare a gran parte della visita del resto della città.
Federico, tra l’altro, aveva l’ansia. Lo sapeva perché cominciarono a sudargli le mani dal mattino.
«Muoviti, Fede. Ho chiamato mamà e ha detto che ci sta aspetando per il pranzo.»
Federico annuì e si allacciò l’ultima scarpa prima di afferrare il cappotto e seguire il riccio fuori dall’hotel.
Anche Michael era nervoso. Durante il viaggio in taxi Federico lo fissò e lo vide torturarsi le labbra troppo spesso, con lo sguardo pensieroso e le dita delle mani che si intrecciavano e scioglievano di continuo. Il tatuato - sebbene non fosse meno nervoso di lui - gli prese delicatamente la mano destra e la strinse nella sua, intrecciando le dita con quelle lunghe del riccio.
Michael si voltò verso di lui e gli sorrise arricciando il naso e sentendosi leggermente più tranquillo.
Giunsero presto davanti un anonimo condominio in mattoncini rossi.
«Siamo arivati» annunciò Michael spalancando leggermente gli occhi ed entrambi scesero dall’automobile dopo aver pagato il tassista.
L’anonimo condominio aveva un grosso portone verde massiccio e a lato il citofono, che il riccio controllò prima di pigiare il pulsante relativo al nome “Penniman”.
«Chi è?» Domandò una voce femminile filtrata attraverso il citofono, da cui provenivano anche indistinti rumori di sottofondo.
«Sono io, ma’. Sono Mika.»
La donna tacque per un po’, poi aprì il portone e invitò entrambi a salire.
Non c’era l’ascensore, in quel piccolo condominio, e perciò dovettero salire fino al quinto piano a piedi. Federico guardò Michael e pensò che avrebbe voluto tanto saper spiccicare qualche parola di inglese; invece la sua conoscenza si limitava a poche frasi fatte e un po’ di grammatica puramente accademica e inutile in quel contesto.
«Hai detto Mika?» Gli domandò Federico mentre salivano le ultime rampe di scale.
«Sì, ho detto.»
«È il tuo soprannome? Perché non me lo hai mai detto?»
Il riccio scrollò le spalle.
«Solo in mia familia mi chiamano così. Sai, dopo che mi sono alontanato da loro non mi andava che qualcuno ancora mi chiamasse così.»
Il tatuato annuì.
«Però è carino. Mika. Perché non Mike?»
«Mike è mio padre.»
Arrivarono davanti alla porta dell’appartamento - da cui proveniva una certa confusione ovattata - dove una donna bassa e robusta li aspettava con la porta semi-aperta e una calda luce giallina alle spalle. La donna sorrise e in quel riso Federico ci vide il riflesso dell’ampio sorriso di Michael: ora sapeva da chi l’aveva ereditato. Per i resto i due erano completamente diversi: Michael era alto, magro e con i capelli ricci, mentre sua madre non aveva nessuna di quelle caratteristiche - che Federico pensò dovessero allora appartenere al padre. Al pensiero di quell’uomo al tatuato vennero ansia e brividi.
La donna si gettò contro Michael e lo stritolò nel suo forte abbraccio. Rideva e aveva le lacrime agli occhi, mentre il riccio aveva uno sguardo stupefatto e la bocca semi-aperta. Federico pensò che forse non si aspettava di essere trattato così, non dopo tutti quegli anni. E invece la donna sembrava aspettare quel momento da tutta la vita.
«Mi sei mancato, Mika» sussurrò lei emozionata.
Il riccio chiuse gli occhi e respirò il suo profumo - Federico l’aveva capito che a Michael piaceva, talvolta, annusare la gente - dopodiché sorrise e quando riaprì i suoi occhioni ambrati il tatuato li vide velati di lacrime. La madre lo lasciò andare e asciugò le sue lacrime che, invece, erano già rotolate giù da un bel po’ di tempo.
Nel guardare la scena Federico non aveva per un attimo smesso di sorridere: era qualcosa di meraviglioso, il legame che aveva davanti. E forse un po’ lo invidiava anche. Michael sembrò riscuotersi e trascinò Federico per un braccio facendolo avvicinare alla donna. Lei lo guardò un po’ confusa, come se avesse notato solo allora il ragazzo tatuato.
«Mamma, lui è Federico. È il mio ragazzo. Fede, lei è Joannie, mia madre.»
E Federico si sentì morire. Perché nella sua conoscenza puramente accademica dell’inglese sapeva il significato di “boyfriend”, e Michael l’aveva appena utilizzato per descriverlo. In un attimo il tatuato divenne bordeaux. Fortuna che il pianerottolo non era eccessivamente illuminato. Strinse le labbra e tese una mano alla donna, attendendo una sua reazione come un condannato al patibolo.
Joannie restò stupita solo per un attimo - forse perché non credeva che Michael avesse un altro ragazzo o forse per la sua pelle ricoperta di tatuaggi - poi tirò a sé Federico e lo strinse in un abbraccio. Il ragazzo pensò che era un vizio della famiglia Penniman quello di abbracciare qualunque essere vivente.
Dalla porta spuntò un Golden Retriever abbaiante, che evitò sapientemente le figure di Joannie e Federico e si catapultò su Michael. Il riccio spalancò la bocca per la sorpresa e prese a coccolare freneticamente il cane.
«Melachi!» Esclamò fra una coccola e l’altra, e allora realizzò quanto anche la cagnolina gli fosse mancata.
 
Non appena misero piede in casa, i due ragazzi notarono un odore di spezie che invadeva l’intero ambiente casalingo.
«Mia madre ha cucinato libanese» ridacchiò il riccio.
Il più piccolo invece ebbe un po’ di paura: raramente assaggiava cucine orientali e sperò con tutto sé stesso che la cucina libanese fosse davvero buona - non avrebbe mai fatto la scortesia di lasciare cibo nel piatto perché non gli piaceva.
Joannie richiamò a sé tutti i fratelli Penniman, che non appena videro la testa riccioluta di Michael far capolino in salotto, corsero verso di lui ad abbracciarlo.
Federico si fece da parte e osservò quel quadretto familiare che sembrava quasi una bellissima istantanea color seppia. Preso dal momento, estrasse il cellulare senza farsi vedere e scattò una foto del mega-abbraccio a cui stavano partecipando tutti i fratelli e la madre di Michael. Il riccio, al centro, era così felice che Federico avrebbe voluto vederlo così per sempre. E forse fu anche per quello che aveva scattato la foto, per imprimere quell’attimo. Posò di nuovo il cellulare in tasca e l’abbraccio lentamente si sciolse. Le sorelle di Michael e suo fratello - che, per inciso, era la fotocopia del riccio - cominciarono ad assalirlo con domande a ripetizione su come stava, sul  suo lavoro, e alla fine anche su Federico.
Joannie si ritirò in cucina e annunciò a tutti di lavarsi le mani, perché il pranzo era pronto.
Il piccolo bagno dell’appartamento si riempì di tutti i ragazzi e Federico si rese conto di quanto fossero rumorosi.
«Un bel po’ rumorosi, eh» domandò al riccio sorridendo.
L’altro ridacchiò mentre si asciugava le mani.
«E manca anche una mia sorela, Yasmine. È a New York per lavoro.»
Il tatuato alzò le sopracciglia e seguì Michael in sala da pranzo. Il tavolo non era molto grande, ma stracolmo di pietanze di tutti i tipi. Le pietanze libanesi erano servite in piatti molto colorati e dipinti a mano, mentre un servizio di piatti diverso era riservato ai cibi all’occidentale.
«È... un po’ troppa roba» constatò Federico.
«Lo so!» Rise Michael.
Quanto gli era mancato tutto quello.
 
Il pranzo filò liscio, anche se Michael doveva tradurre in italiano ogni frase pronunciata dai suoi familiari. Federico li trovò tutti dolci e simpatici e risero tantissimo per tutto il tempo, soprattutto quando il tatuato si sentì in colpa per non riuscire a mangiare tutto ciò che Joannie aveva preparato.
L’unico momento davvero serio ci fu quando Zuleika nominò il padre: disse al riccio che poteva stare tranquillo perché l’uomo era via per lavoro da diverse settimane.
Michael tirò un sospiro di sollievo e subito dopo si cambiò argomento, passando a parlare di Melachi e poi di gatti, vestiti, Milano.
Federico faticava a stare al passo con tutto perché spesso Michael, per rispondere ai fratelli, dimenticava di tradurgli qualche frase e a lui toccava recuperare il senso intero della discussione. Se c’era una cosa che però il tatuato aveva capito era che tutti i Penniman avevano mille idee e sensazioni che gli frullavano nella testa tutte insieme.
 
Dopo pranzo Michael trascinò con sé Federico in quella che una volta era la sua stanza: Joannie gli aveva rivelato di averla conservata identica a come il riccio l’aveva lasciata. Non appena Michael ci mise piede, si rese conto che era vero: tutto era al suo posto, a parte gli abiti e le cose indispensabili che aveva portato con sé anni prima.
La foto della sua ridente famiglia era ancora sul comodino. Il riccio la prese tra le mani e la guardò: lì erano tutti molto piccoli, ma nella loro vita i problemi non erano ancor arrivati. E soprattutto Michael vide suo padre sorridente, con gli occhiali da sole scuri e un braccio saldamente avvolto attorno alle sue piccole spalle. Federico si avvicinò e guardò la foto; poi rivolse lo sguardo al riccio e vide che dai suoi occhi dorati cadde rapidamente una lacrima, che percorse la guancia sinistra fino a scontrarsi con il dorso della sua mano.
«Recupererai il rapporto con tuo padre. Vedrai.»
Federico si sentì tremendamente ridicolo e banale per averlo detto, ma non riusciva proprio a trovare parole più adatte. Sapeva che gli stava mentendo, e lo sapeva anche Michael: non esiste sempre un lieto fine nei rapporti.
Eppure il riccio annuì, perché aveva bisogno di credere - almeno per un istante soltanto - che tutto si sarebbe sistemato, un giorno.
«Ti facio vedere altre foto» sorrise poi a Federico.
Il tatuato annuì e si sedette sul letto. L’altro allungò una mano verso il cassettone sotto il letto e nell’aprirlo una grossa quantità di polvere si sollevò. All’interno c’erano alcuni oggetti e svariati album fotografici. Il riccio ne prese uno con su scritto “8th bday” e si sedette accanto a Federico per cominciare a sfogliarlo.
Nelle prime foto Michael aveva un faccino rotondo con tanti boccoli che gli ricadevano sulla fronte e in testa un cappellino rosso a forma di cono, legato sulla sua testa tramite degli elastici sottili. Aveva un grosso sorriso che Federico riconobbe subito, perché nonostante gli anni era rimasto lo stesso; così come quella piccola fossetta che gli si formava sul lato sinistro. Il tatuato sorrise per la tenerezza di quelle foto.
Nelle foto successive Michael era abbracciato alle sue sorelle e tutti facevano delle facce buffe che lo fecero ridere immediatamente.
«Siete troppo teneri!» Esclamò Federico.
Il riccio rise con lui e continuò a sfogliare: c’era Joannie con il pancione - incinta di Fortuné - e poi ancora il padre di Michael che portava il piccolo Mika sulle spalle, i palloncini e le stelle filanti, gli invitati con lunghi abiti colorati che Federico non avrebbe mai conosciuto.
Poi, in alcuni scatti successivi, Michael piangeva: le sue sorelle lo circondavano e gli avevano disegnato stelline e cuoricini sul volto, dopodiché vi avevano appiccicato delle paillettes e brillantini e lo avevano truccato in maniera abbastanza blanda con un ombretto scadente e un lucidalabbra dall’aria molto appiccicosa.
«E questo?»
Federico scoppiò a ridere e Michael con lui, anche se visibilmente imbarazzato.
«Le mie sorelle facevano sempre questo, sai. Ero la loro bambola!»
Continuarono a sfogliare e nelle foto seguenti Michael non piangeva più; era invece dietro la torta dalle candeline azzurre, circondato da parenti e amici. In una foto soffiava le candeline, in un’altra tagliava la torta con un grosso coltello che era più nelle mani di Michael Sr. che nelle sue.
Il riccio passò velocemente le foto dov’era anche suo padre perché vederli così felici, insieme, gli faceva male.
Federico lo notò ma non disse nulla, semplicemente ad un certo punto indicò una delle foto davanti a loro.
«Questa non è del compleanno.»
Michael sorrise tristemente nel guardare l’ultima foto dell’album. Erano di nuovo tutti insieme, la numerosa famiglia Penniman abbracciata nello spazio davanti al castello di Disneyland Paris. Stavolta c’era anche Fortuné, piccolissimo, tenuto per mano da Joannie.
«No, infatti. Una volta che mio padre ci portò a Disneyland. Eravamo felicisimi
Il riccio fissò ancora la foto e poi richiuse rumorosamente l’album, riponendolo nuovamente nel cassettone sotto il letto.
 
L’abbiocco pomeridiano li colpì come due bambini. Federico e Michael si stesero sul letto e stettero a guardarsi per alcuni minuti, poi si addormentarono e Joannie li trovò così, uno di fronte all’altro, in un sonno profondo. A malincuore dovette svegliarli.
«Ehi» sussurrò dolcemente scuotendoli appena.
Federico si svegliò di soprassalto e nel vedere Joannie si sentì abbastanza in imbarazzo. Il riccio invece dormiva ancora beatamente mentre il più piccolo si metteva a sedere; Federico aiutò Joannie nel cercare di svegliare Michael e ci riuscirono solo quando lo scossero maggiormente. Michael si alzò ancora frastornato dal sonno.
«Non vorrete passare la giornata a dormire, spero» ridacchiò la donna con finto rimprovero e Michael annuì.
«Non posiamo dormire tuto il pomeriggio» si rivolse poi a Federico, il quale annuì a sua volta.
Il riccio si diresse in bagno e guardò il suo riflesso ancora assonnato nello specchio. Abbassò poi il viso verso il lavello e si sciacquò ripetutamente il volto nella speranza di riuscire a svegliarsi meglio.
Ad un certo punto sentì due calde mani cingergli i fianchi e un fugace bacio dietro la nuca. Le mani del riccio si aprirono lasciando ricadere l’acqua raccolta e sorridendo guardò Federico attraverso lo specchio. Il tatuato gli sorrise di rimando e gli lasciò un altro bacio sul collo, questa volta un po’ più lungo, alzandosi sulle punte per combattere quella dannata differenza di altezza. Le goccioline d’acqua che bagnavano le punte dei ricci di Michael ricaddero lungo la sua fronte e il collo, fino a scontrarsi con le labbra di Federico che non avevano ancora smesso di baciargli quella porzione di pelle candida.
Il riccio chiuse gli occhi per assaporare meglio quelle labbra morbide e calde che gli baciavano ripetutamente il collo. Poi portò le mani ancora bagnate su quelle di Federico che gli tenevano i fianchi e intrecciò le sue dita con quelle del più piccolo, accarezzandogliele. Il tatuato portò le mani oltre e le allacciò sul ventre del più alto, che prontamente le raggiunse con le sue. Federico avvicinò di più il bacino contro il sedere di Michael e questo sentì l’erezione dell’altro, cosa che influenzò sicuramente la sua, di erezione. Michael ridacchiò ancora con gli occhi chiusi e allora Federico si staccò dal suo collo e lo guardò. Il riccio riaprì gli occhi e le mani del tatuato scesero più giù, a slacciargli i pantaloni e tirare giù la zip.
«Fede» lo ammonì Michael, lanciando uno sguardo alla porta semi-aperta del bagno e mordendosi un labbro.
Il tatuato, seccato, andò a chiudere a chiave la porta e subito ritornò nella posizione di prima. Abbassò appena i pantaloni del più grande e cominciò a massaggiare l’erezione del riccio attraverso i boxer. Ancora con il labbro inferiore tra i denti, a Michael sfuggì un mugolio sospirato di piacere. Federico infilò una mano nei suoi boxer e tirò fuori l’erezione dell’altro, cominciando a strusciare la sua mano molto lentamente per tutta la lunghezza del membro. Il riccio portò la sua mano destra su quella del ragazzo e iniziò a muoverla insieme alla sua. Federico accelerò il ritmo e i gemiti acuti di Michael si sparsero flebili per il piccolo ambiente, nonostante stesse cercando in tutti i modi di trattenersi. Ad un certo punto Federico fermò la mano e, sotto lo sguardo confuso dell’altro, rigirò il riccio tra le sue braccia in modo da averlo di fronte a sé. Il tatuato si inginocchiò incerto davanti a Michael e questo capì cosa avesse intenzione di fare e ne restò stupito.
«Fedé... tu è sicuro?» Gli domandò preoccupato.
Ma Federico annuì e si convinse: non aveva mai fatto un pompino a un uomo, ma era giunto il momento di restituire a Michael quel piacere che lui gli dava ogni volta. Era giusto così; e non credeva fosse un debito, semplicemente voleva farlo. Voleva farlo per Michael, il suo ragazzo.
Federico si avvicinò al membro del riccio e lo prese in bocca. D’istinto Michael contrasse i muscoli delle gambe in un spasmo e chiuse gli occhi: sarebbe potuto venire anche solo grazie alla sensazione calda della sua erezione avvolta dalla bocca dell’altro. Eppure si trattenne e cercò di pensare ad altro. Il tatuato invece tentò di replicare alcune delle cose che Michael gli faceva sempre e che sapeva sarebbero piaciute anche a lui. Quindi leccò e succhiò delicatamente la punta del suo membro, poi l’avvolse completamente e mosse la testa avanti e indietro, mentre con le mani gli accarezzava le gambe ancora fasciate per metà dai pantaloni abbassati alle ginocchia. Michael non riuscì a resistere molto e si riversò nella bocca di Federico, che mandò tutto giù sebbene il lieve e naturale disgusto iniziale.
Quando il tatuato si rialzò, Michael non gli diede tregua e decise di occuparsi della sua erezione ancora da soddisfare. Con poca delicatezza il riccio afferrò il corpo di Federico e lo sbatté contro le piastrelle della parete del bagno. Il tatuato rise per la foga che ci stava mettendo l’altro, ma il suo sorriso scomparve quando Michael gli abbassò pantaloni e boxer e prese a masturbarlo mentre gli lasciava baci umidi e sensuali sul collo. La risata di Federico lasciò spazio solo ad ansiti rochi che si sparsero per la stanza e ai “ti amo” che si scambiarono.
 
Quando Michael e Federico scesero in cucina, Joannie li attendeva con due piattini di torta alle mandorle in mano e un’espressione maliziosa sul volto. Michael vide l’espressione di sua madre, che ammiccò per fagli capire che aveva sentito i due ragazzi in bagno. Il riccio divenne bordeaux, mentre Federico restava estraneo da quel gioco di sguardi e si limitava semplicemente a rifiutare la sua fetta di torta alle mandorle, troppo pieno il suo stomaco per poter contenere altro.
Non appena Michael ebbe finito la sua porzione di torta - e Federico cominciava a capacitarsi di avere un fidanzato che mangiava per tre persone - i due ragazzi salutarono Joannie e uscirono in strada a fare una passeggiata.
Riuscirono soltanto a visitare il British Museum per poco più di due ore, poi presero un gelato e percorsero la strada del ritorno nell’aria che diventava a poco a poco più fredda e scura.
«Sai, adoro la tua famiglia» buttò lì Federico, sorridendo. «Siete molto legati, si vede. Infatti dopo tutti questi anni di separazione per loro sembra che non te ne sia mai andato.»
Michael lo guardò e sorrise arricciando il naso. Anche Federico si girò verso di lui e nel guardare quell’espressione buffa e tenera, in un attimo, si alzò sulle punte e gli lasciò un dolce bacio sulla punta del naso. Il riccio lo strinse a sé in un grosso abbraccio che permise ad entrambi di respirare l’uno il profumo dell’altro. E si sentirono davvero bene, in quel momento.
 
La cena non ebbe meno portate del pranzo, a casa Penniman, e ancora una volta Federico si trovò a dover rinunciare alle ultime pietanze perché non ce la faceva più.
Dopo cena Joannie chiese ai due di restare a dormire, ma Michael rifiutò.
«Abbiamo l’hotel prenotato e pagato, e poi vi creeremmo solo disturbo nell’organizzare i letti.»
Joannie insistette, ma il riccio fu più testardo di lei e vinse, potendo contare anche sull’appoggio di Federico.
«È stato bello rivederti, Mika. Per tutti noi» concluse Joannie con già le lacrime agli occhi. «E fatevi vedere più spesso!» Li ammonì dolcemente e si scambiarono vari abbracci.
La donna aprì la porta e non appena i due ragazzi misero piede fuori dall’appartamento si scontrarono con Michael Penniman Sr. L’uomo era riuscito a rientrare un giorno prima del previsto dal viaggio di lavoro. I due si guardarono negli occhi solo per qualche decimo di secondo. Il cuore del riccio balzò in gola e prese a battere fortissimo, dopodiché il suo sguardo ricadde al pavimento. Anche Michael Sr. lo guardò per un attimo - attimo in cui constatò quanto suo figlio fosse cresciuto - poi lo ignorò e compì i restanti passi che gli servirono per entrare in casa. Joannie era ancora ferma sulla soglia della casa e rivolse un ultimo sguardo eloquente a Federico, il quale salutò con un cenno della mano e si affrettò a raggiungere il riccio che camminava spedito verso il portone.


ANGOLO AUTRICE
Finalmente Mich e Fede hanno incontrato la famiglia del libanese :3 sono tutti teneressimi e legatissimi, come io credo che siano nella realtà :* e anche Joannie la vedo un po' come una "nonna italiana del sud" che cucina sempre troppissimo ahah tipo per il doppio degli invitati, per intenderci òwò
Grazie veramente TANTISSIMO per tutte le attenzioni che state regalando a questa storia <3 sono troppo felice, grazie alla n -esima <3 e a lunedì con nuovo angst! No, dai. Forse. Boh.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mika / Vai alla pagina dell'autore: j a r t