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Autore: Amantide    07/03/2016    5 recensioni
AU [Percabeth] [Caleo] [Jasper] [Solangelo]
Annabeth è single, esattamente come lo sono le sue migliori amiche: Piper e Talia.
Sembra il presupposto ideale per organizzare una vacanza insieme al mare e rimuovere definitivamente il fantasma dell’ex fidanzato dalla sua vita. A sconvolgere quella che avrebbe dovuto essere una vacanza tranquilla ci penseranno Percy, Jason e Leo. Il primo è un bagnino affascinante che ha abbandonato la città e si è rifugiato al mare, dove conduce una vita sregolata lontano da tutti. Gli altri due sono amici da sempre, di quelli che viaggiano sempre in coppia e non perdono l’occasione di fare nuovi incontri, femminili soprattutto...
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jason/Piper, Leo Valdez, Percy Jackson, Percy/Annabeth, Talia Grace
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VENERDì

 
 
Annabeth aprì la porta di casa con il morale completamente a terra. Fortunatamente quella sera si era premurata di prendere la copia delle chiavi, scelta che si era rivelata particolarmente appropriata dal momento che, visto il netto rifiuto di Percy, non avrebbe certo potuto dormire con lui. Il suo comportamento l’aveva lasciata talmente di stucco che non riusciva a pensare ad altro e nel richiudere la porta non si preoccupò nemmeno di accompagnarla affinché non facesse rumore. Il racconto di quella sera l’aveva colpita nel profondo e si rese conto che avrebbe voluto passare con Percy il resto della nottata solo per poter conoscere altri dettagli sul suo conto. Era ancora assorta nei suoi pensieri quando vide Piper uscire improvvisamente dalla camera da letto. Aveva i capelli spettinati e i vestiti scomposti. Annabeth la studiò attentamente per qualche secondo, poi, prima che potesse dire qualunque cosa, vide una testa bionda fare capolino alle sue spalle. Era Jason, e aveva un’espressione non proprio felice impressa sul volto. Annabeth trasalì arrossendo improvvisamente. Era talmente tanto occupata a pensare a Percy e al suo atteggiamento da non aver minimamente pensato che potesse esserci qualcuno in casa.
“Oh cavolo!” Esclamò in preda all’imbarazzo. “Scusate, non volevo disturbarvi… vi lascio soli!” E così dicendo fece per tornare sui suoi passi.
“Non preoccuparti” Intervenne Piper con voce fredda e piatta. “Non hai interrotto nulla. Jason stava giusto per andarsene.” Aggiunse con un tono che non ammetteva repliche e le braccia incrociate al petto.
Senza che lei dovesse aggiungere altro Jason afferrò la felpa e lasciò l’appartamento senza dire una parola.
“Sì può sapere cosa diavolo succede?” osò domandare Annabeth dopo due minuti buoni di silenzio assoluto.
Piper fece spallucce e la cosa mandò in bestia Annabeth che colse quel gesto come scusa per adirarsi e sfogare su Piper tutto l’amaro in bocca che le aveva lasciato Percy.
“E questo cosa significa? Credevo che tra di voi le cose andassero bene, siete sempre avvinghiati e vi baciate senza ritegno!” Osservò Annabeth andando verso la cucina.
“Si certo, va sempre tutto bene fin quando non c’è un letto nei paraggi e loro si sentono in dovere di provare a scoparti.” Commentò Piper apatica.
“Aspetta” fece Annabeth accigliandosi. “Hai detto loro?”
“Sì, l’ho detto” confermò Piper.
“Quindi è una di quelle serate in cui parliamo male degli uomini e diciamo che sono tutti uguali?”
“Esattamente, guarda che l’ho capito che anche Percy ha fatto qualche cazzata. Hai una faccia…”
Annabeth fece una smorfia che confermò a Piper di aver fatto centro.
“Già” sospirò.
“Avanti, racconta, cos’ha combinato?” domandò Piper aprendo tutte le ante della cucina in cerca di qualcosa.
Annabeth si sedette al tavolo della cucina e osservò l’amica rovistare tra le scorte.
“Beh, ecco… è un po’ complicato da spiegare.” Temporeggiò Annabeth senza staccare gli occhi dall’amica che continuava a salire e scendere dalla sedia per arrivare ai ripiani più alti della cucina.
“La verità è che… ma si può sapere cosa diavolo stai cercando?” Sbottò Annabeth che non riusciva a concentrarsi con Piper che zampettava da una parte all’altra della cucina come una cavalletta.
“Questa” Annunciò Piper mostrando trionfante un barattolo di nutella da 1Kg. “Non si può parlare male degli uomini senza un bel barattolo di nutella!”
“Scusa ma tu non sei quella sempre attenta alla linea, la dieta e via dicendo?”
“Non quando gli uomini mi fanno incazzare!”
Annabeth scoppiò a ridere. “Tu sei matta!” Dichiarò mentre Piper estraeva due cucchiai da minestra dal cassetto.
“Bene… cosa mi stavi dicendo?”
“Che la situazione è complicata”
“Davvero? Io credevo che fosse piuttosto semplice invece, tu volevi una cosa senza sentimenti e Percy era il ragazzo ideale dal momento che è ancora cotto della sua ex. Mi sbaglio?”
“Non è così semplice.” Tagliò corto Annabeth affondando il suo cucchiaio nella nutella.
“Era così qualche giorno fa però!” Osservò Piper.
“Già”
“E cosa è cambiato da allora?”
“Te l’ho detto” sbuffò Annabeth, “è cambiato che ci siamo baciati!” Ammise ripensando a quanto quel bacio avesse scombussolato tutto. “La verità è che io mi ero ripromessa di non baciarlo perché sapevo che così facendo avrei messo di mezzo i sentimenti… ed era l’ultima cosa che volevo!” Spiegò un attimo prima di cacciarsi un generoso cucchiaio di nutella in bocca.
“Ahah!” fece Piper con un sorriso malizioso stampato in faccia.  “Mi hai appena confessato che provi dei sentimenti per lui!” Disse trionfante.
Annabeth scrollò le spalle. “Non è che provo dei sentimenti ben definiti… è solo che la situazione è molto diversa da com’era quando…”
“Quando ci andavi a letto e basta?” Suggerì Piper.
“Sì, esatto!”
In quel momento entrambe le ragazze si azzittirono colte alla sprovvista dal rumore della chiave che girava nella serratura della porta d’ingresso.
La porta si aprì con un lieve cigolio e Talia entrò in casa a testa bassa. Aveva un aspetto orribile, la sua espressione era a metà tra l’incazzato e quella di chi ha urgentemente bisogno di dormire. Gettò la borsa vicino all’attaccapanni e avanzò lungo il corridoio trascinandosi, entrambe le mani sulle tempie come se fosse in preda ad un forte mal di testa. Fu solo quando raggiunse la porta della cucina che si rese conto che le amiche la stavano guardando con aria interrogativa.
“Ti unisci a noi nel parlare male degli uomini?” Chiese Piper allegra.
“Se ti riferisci a mio fratello e mio cugino sappi che il problema non è tanto il fatto che siano uomini… dev’essere una cosa di famiglia.” E così dicendo deviò verso il bagno evitando ogni possibile domanda.
“Tu ci hai capito qualcosa?” Chiese Piper confusa.
“No… ma credo che non significhi niente di buono.” Intuì Annabeth attaccando un altro cucchiaio di nutella.
Cinque minuti più tardi Talia uscì dal bagno e sedette al tavolo con le amiche senza dire una parola.
“Hai intenzione di spiegarci cosa cavolo succede o dobbiamo tirare ad indovinare?” Domandò Piper che cominciava a spazientirsi. Dopotutto non era mai stata brava a tenere a bada la sua curiosità.
Annabeth spostò lo sguardo da Piper a Talia, in attesa che lei dicesse qualcosa di sua spontanea volontà. Fortunatamente, Talia si decise a parlare prima che Piper la sottoponesse ad un terzo grado.
“Ho appena rovinato un’amicizia di vent’anni…” confidò loro fissando intensamente il barattolo di nutella che aveva davanti agli occhi, incapace di alzare lo sguardo affrontando la faccia delle amiche.
Annabeth e Piper si scambiarono un’occhiata dubbiosa, nessuna delle due sembrava soddisfatta di quella misera spiegazione.
“Ho fatto sesso con Grover.” Tagliò corto Talia prima che loro potessero porle altre domande. Il silenzio piombò nella stanza, a tratti interrotto dal frinire di una cicala appostata su qualche albero in giardino.
“Quindi, volendo tornare ai vostri discorsi di poco fa, non sono solo gli uomini ad essere dei bastardi, ve l’ho detto… dev’essere una cosa di famiglia.” Ora anche Talia impugnava un cucchiaio e affondava la sua disperazione nella nutella.
“Ma… com’è potuto succedere?” fece Piper decisa a rompere quel silenzio imbarazzante.
“Grazie a tutto il vino che si sono bevuti a cena suppongo.” Intuì Annabeth.
“Già. Ma non è certo la prima sbronza che ci prendiamo insieme, eppure una cosa del genere non era mai capitata. Sono una persona orribile.” Sentenziò Talia in fissa sul barattolo di nutella che troneggiava in mezzo alla tavola. “Ma adesso basta parlare di me… dopotutto ho solo fatto sesso con il mio migliore amico e mi sento una merda per essermene andata da casa sua senza dire una parola. Raccontatemi di voi piuttosto… cosa hanno fatto quei due imbecilli questa volta?”
 
Quel venerdì si rivelò un pessimo giorno per trascorrere del tempo in spiaggia. Il cielo era grigio e coperto e in lontananza erano ben visibili degli enormi nuvoloni scuri, indubbiamente carichi di pioggia.
“Questo tempo riflette perfettamente il mio umore” dichiarò Talia poco prima di mezzogiorno. Era sdraiata sul lettino da più di un’ora e fissava la tela dell’ombrellone in preda ai suoi pensieri aprendo bocca di tanto in tanto per darsi dell’idiota. Quella mattina nessuno dei ragazzi aveva osato mettere piede in spiaggia, l’unico che non poteva starsene rintanato in casa era Percy che per ovvi motivi aveva raggiunto la spiaggia prima di tutti gli altri. Annabeth ignorò l’ennesimo piagnisteo di Talia e volse lo sguardo in riva al mare dove Percy stava innalzando bandiera rossa. Quella mattina non si erano ancora rivolti la parola e anche se ci fosse stata l’occasione Annabeth non avrebbe saputo come comportarsi. Era tremendamente arrabbiata per il suo comportamento della sera prima ma allo stesso tempo aveva una gran voglia di passare altro tempo in sua compagnia. Se lei era così combattuta sul comportamento più giusto da tenere con il ragazzo che le stava scombussolando la vita, lo stesso non si poteva dire di Piper che, dopo il pessimo approccio di Jason in camera da letto, era più che decisa a chiudere la loro relazione una volta per tutte.
“È uguale a tutti gli altri con cui sono stata” diceva ogni qualvolta le si riproponeva l’argomento, “vuole solo portarmi a letto. Cretina io che mi aspettavo qualcosa di diverso.” Aggiunse mentre le prime gocce di pioggia cominciavano a tamburellare sull’ombrellone.
Talia era talmente apatica da non riuscire più nemmeno a commentare la cosa e Annabeth, che aveva altro per la testa, si limitava ad annuire con il capo.
“Perché Percy se ne sta andando?” domandò allarmata quando lo vide radunare le sue cose e allontanarsi lungo la passerella che conduceva al bar.
“Perché questa giornata fa schifo” sbuffò Talia abbacchiata. “Nessuno sano di mente si farebbe un bagno con questo tempaccio. Ha messo bandiera rossa così può andarsene a casa, cosa che faremmo meglio a fare anche noi se non vogliamo rimanere fritte da un fulmine.” Suggerì Talia mentre cominciava a rivestirsi.
“Io ho un’idea migliore” intervenne Piper, “cosa ne dite di un po’ di shopping terapeutico?”
“Mi sembra una buona soluzione” convenne Talia sorprendendo Piper che mai si sarebbe aspettata tanta accondiscendenza da parte sua. Entrambe le ragazze stavano fissando Annabeth in attesa della sua approvazione.
“Ok, ok, come volete.” Disse infilandosi maglietta e pantaloncini.
Poco più tardi le ragazze stavano camminando per la via principale del paese. La pioggia si era fatta intensa e l’unico modo per non inzupparsi da capo a piedi era quello di cercare riparo sotto i balconi delle case che sovrastavano i negozi.
“Infiliamoci lì dentro.” Suggerì Piper indicando un negozio di abbigliamento vintage a pochi passi.
Annabeth si guardò intorno e oltre il negozio riconobbe il vicolo che conduceva al portone di Percy. Era un’idea folle ma la tentazione di raggiungerlo a casa era troppo forte per non tentare.
“Annabeth, hai intenzione di rimanere lì fuori sotto al diluvio?” Domandò Piper dall’interno del negozio.
Annabeth lanciò un’ultima occhiata al vicolo, poi fisso le amiche e disse loro che le avrebbe raggiunte a casa. Prese a correre lungo la strada acciottolata mentre la pioggia le inzuppava i capelli e i vestiti appesantendola ad ogni passo. Non aspettò che le amiche rispondessero e non si voltò a guardare le loro facce perché le conosceva abbastanza bene da riuscire ad immaginarsele senza bisogno di vederle. Piper probabilmente stava fissando la sua immagine allontanarsi a bocca aperta mentre Talia sospirava con un’alzata di spalle. Raggiunse il portone di Percy e lo trovò aperto, così s’intrufolò nel cortile interno e raggiunse il suo appartamento augurandosi che lui fosse in casa e non altrove. Bussò tre volte alla porta e respirò profondamente nel tentativo di riprendere fiato. Come avrebbe giustificato la sua presenza davanti alla sua porta? Non trovò il tempo di rifletterci a lungo perché la serratura scattò improvvisamente e la porta si aprì prima che lei riuscisse ad elaborare una scusa plausibile, in più la visione che gli si parò davanti non l’aiutò certo a riprendere il controllo dei suoi pensieri.
Percy doveva essere appena uscito dalla doccia perché aveva aperto la porta con indosso solo un asciugamano blu legato in vita, anzi, un bel po’ più giù della vita volendo essere precisi. Era scalzo e i capelli mori ancora bagnati gli si appiccicavano alla fronte abbronzata. Nella mano destra aveva una bottiglia di Beck’s che doveva aver appena stappato perché, oltre ad essere visibilmente ghiacciata, era ancora piena. Annabeth indugiò un momento sul suo corpo, c’erano delle goccioline d’acqua sparse qua e là sul petto e su quelle magnifiche spalle da nuotatore che l’avevano colpita fin dal primo giorno.
“Ciao” le disse con un ampio sorriso.
Annabeth si riscosse e si sforzò di non arrossire. “Ciao” esalò a fatica dopo essere riuscita a spostare gli occhi dal suo corpo per guardarlo in faccia; adesso si trovava in balia dei suoi occhi verdi.
Percy si sporse oltre la porta e diede un’occhiata fuori, pioveva ancora e quell’acquazzone non sembrava intenzionato a smettere.
“Ti inviterei ad entrare e ti offrirei una birra se solo tu non mi avessi espressamente richiesto di non essere carino con te.” Disse osservando attentamente Annabeth che non aveva più un centimetro di pelle asciutta. Lei fece una smorfia e si morsicò il labbro inferiore. Era a disagio, e la cosa peggiore era che in quel pasticcio ci si era messa da sola. Cosa diavolo le era venuto in mente? Raggiungere Percy a casa sua era stata una pessima idea e ora avrebbe tanto voluto tornare sui suoi passi fingendo che tutto ciò non fosse mai accaduto.
“No infatti, hai ragione, volevo solo essere sicura che fosse tutto ok… ti ho visto andare via dalla spiaggia così, all’improvviso…” Percy aprì la bocca per ribattere ma Annabeth fu più veloce: “Sì, me l’hai già detto che non sono brava a dire bugie.”
“Sì, questo lo so” fece lui un attimo prima di bere un sorso di birra. “A dire il vero ti stavo invitando ad entrare, non m’importa se mi hai chiesto di non essere carino con te, non ti lascio qui fuori a prendere la polmonite.” E così dicendo mise un braccio intorno alle spalle di Annabeth e l’accompagnò all’interno dell’appartamento. Richiuse la porta con calma e si voltò a guardarla. L’espressione imbronciata, i capelli arruffati e gli abiti fradici le conferivano un aspetto particolarmente buffo.
“Fossi in te, mi toglierei di dosso quei vestiti bagnati… anche se detto così pare brutto” osservò Percy, “va beh, fai quello che ti pare, io vado a vestirmi.” E con quella frase si chiuse in bagno. Ne uscì qualche minuto più tardi con indosso dei pantaloncini da basket e le infradito e Annabeth lo maledisse mentalmente per non aver indossato anche una maglietta, vederlo girare per casa mezzo nudo non faceva altro che complicare le cose. Percy avanzò verso Annabeth che si era seduta al tavolo della cucina e le porse una t-shirt che profumava di pulito.
“Non ho nulla della tua taglia ma meglio abbondante che striminzita.” Le disse con un occhiolino.
“Menomale che avevi deciso di non essere carino con me.” Disse lei afferrando la t-shirt controvoglia.
“Lo sai che mi viene un po’ difficile eseguire gli ordini.” Scherzò lui accendendo la TV e prendendo posto sul letto.
Annabeth si sfilò i vestiti bagnati ed indossò la maglietta di Percy sopra il costume. Era decisamente abbondante, ma la cosa non le dispiacque dal momento che riusciva a coprirle il sedere. Stese gli indumenti bagnati sul davanzale della finestra e prese posto accanto a Percy sul letto domandandosi che cosa diavolo stessero facendo di preciso. Fiondarsi a casa sua così senza preavviso era stato indubbiamente un gesto istintivo, il che poteva ancora essere una cosa accettabile, ma tutto il resto era assurdo: lui che la faceva entrare senza nemmeno domandarsi il perché di quella visita, le prestava dei vestiti come se fosse il suo fidanzato per poi finire sul letto uno accanto all’altra a guardare programmi televisivi improbabili senza neanche sapere com’erano arrivati a trovarsi in quella situazione. Nulla di tutto ciò poteva essere considerato normale.
“Che cosa stiamo facendo di preciso?” Domandò Annabeth qualche minuto più tardi. Quella situazione cominciava a metterla a disagio.
Percy si voltò a guardarla con un’espressione stranita e il telecomando della televisione in mano. “Non lo so” disse con un’alzata di spalle, “io sto guardando la TV, tu che fai?”
“Me ne sto qui seduta a fianco a te senza sapere cosa sta succedendo” replicò piccata.
Percy strabuzzò gli occhi. “Senti, ti presenti qui senza preavviso, ti accolgo e lascio che tu faccia come se fossi a casa tua… hai anche da lamentarti?”
“Non mi sto lamentando.”
“Allora perché non mi chiedi esplicitamente quello che vuoi sapere?” Chiese Percy con aria di sfida.
“A cosa ti riferisci?”
“Lo sai benissimo.”
“Ok, va bene” si arrese Annabeth che per l’ennesima volta in quella vacanza si domandò come facesse Percy ad intuire sempre i suoi pensieri, “la tua reazione di ieri sera mi ha lasciata di stucco. Non… non ti capisco.”
Percy si voltò a guardarla ed esitò un istante prima di parlare.
“Lo sai anche tu che mi stavi baciando solo per compassione” spiegò come se la cosa fosse più che ovvia.
“Come scusa?”
“Raccontarti del mio passato è stato un errore, ti ho fatto pena e hai pensato che baciarmi fosse la cosa giusta da fare.”
Annabeth prese un grosso respiro e si preparò a ribattere con enfasi ma quello che uscì dalla sua bocca furono solo una serie di parole balbettate e male assortite. “Io, io, co…cosa stai dicendo? Sei proprio fuori strada… non hai capito un bel niente.”
“E allora perché volevi baciarmi?” Tagliò corto lui andando dritto al punto. Annabeth faticò a sostenere quello sguardo così intenso e carico di parole non dette, poi si lasciò andare e dopo aver sospirato profondamente ammise: “perché mi piaci.” Fu una rivelazione anche per sé stessa e si stupì immensamente di quanto quelle tre semplici parole fossero potenti. Adesso che aveva finalmente trovato il coraggio di pronunciarle si sentiva più leggera nell’animo, anche se sostenere lo sguardo di Percy le risultava comunque impossibile.
“Ma se fino a due giorni fa non volevi nemmeno che ti baciassi” sbottò Percy colto alla sprovvista da quella dichiarazione così semplice e diretta.
“Infatti” sospirò lei, “non avrei mai dovuto permettertelo. Adesso non mi troverei in questa situazione!”
Annabeth si alzò di scatto dal letto e recuperò al volo le sue cose, infilò le infradito e si avviò all’uscita.
“Ehi! Ma cosa fai? Adesso te ne vai?” domandò Percy raggiungendola sulla porta. Erano a pochi centimetri l’una dall’altro e per la seconda volta nel giro di poche ore Annabeth sentì l’irrefrenabile istinto di baciarlo. Senza nemmeno sapere cosa stesse accadendo si ritrovò ad un soffio dalle sue labbra ma, mentre lei stava già assaporando mentalmente quel bacio, lui si scansò esattamente come aveva fatto la sera prima. Annabeth si riscosse mentre prendeva coscienza di quanto era appena accaduto e s’insultava per esserci cascata di nuovo.
“Perché mi fai questo?” Gli domandò cercando di non apparire troppo ferita da quel gesto.
“Annabeth non è così che funziona.” Percy scosse il capo e fece vagare lo sguardo per la stanza.
“E allora com’è che funziona? Perché proprio non lo capisco sai? Ci si bacia solo quando lo decidi tu? Facciamo sesso solo quando tu non sei troppo sbronzo da addormentarti?” Annabeth stava perdendo le staffe, tutto quel tira e molla la rendeva emotivamente instabile e cominciava a sentire il bisogno di scoppiare a piangere.
“Ehi” le sussurrò lui dolcemente poggiando la fronte contro la sua e prendendole entrambe le mai, “ho provato a farti uscire dal guscio ma tu te ne stai chiusa nella tua armatura e m’impedisci di apprezzarti per quello che sei. Ieri sera mi sono messo a nudo, ti ho raccontato delle cose personali che mai e poi mai avrei pensato di rivelare ad una ragazza che conosco da dieci giorni, eppure l’ho fatto; ma tu, tu non ti sei sognata nemmeno per un momento di farmi sapere chi sei, di mostrarmi anche solo uno scorcio della tua persona e questo non lo accetto, se dobbiamo giocare a questo gioco voglio farlo ad armi pari.” Quando smise di parlare, ruppe anche il loro contatto fisico e Annabeth si sentì investire da un brivido di freddo. Aprì la bocca per dire qualcosa ma si accorse che le mancavano sia le parole che la voce. Sapeva che se avesse lasciato quella casa senza dire nulla sarebbe finito tutto in quell’esatto istante, così si sforzò di parlare. “Che cosa vuoi sapere?” chiese con un filo di voce.
Percy si voltò a guardarla strabuzzando gli occhi, faticava a credere alle sue orecchie. “Annabeth non è un interrogatorio. Io vorrei sapere tutto di te, ma mi piacerebbe che fossi tu a parlarmene di tua spontanea volontà e non io a fare domande.”
Annabeth era ammutolita, non riusciva più a dire una parola. Aveva la sensazione che qualunque cosa dicesse fosse sbagliata e fuori luogo, così scelse il silenzio. Lui colse il suo disagio e decise di intervenire. “Ci vediamo un film?” Propose dopo aver costatato che il tempo non accennava a migliorare.
 
Quando Jason aprì gli occhi, la sveglia sul comodino segnava le due del pomeriggio. Si alzò dal letto controvoglia e raggiunse il bagno camminando con l’entusiasmo di uno che sta andando al patibolo. Alzò la tavoletta del water e urinò con una mano appoggiata al muro, gli occhi rigorosamente chiusi. Un tuono lo riscosse dal suo stato di torpore e fu solo allora che Jason scostò la tenda della finestra e si accorse del tempo londinese che aveva investito il paese. Entrò in cucina deciso a mettere qualcosa sotto i denti e trovò la stanza completamente sottosopra. C’erano ciotole, terrine e contenitori di ogni genere sparse per tutto il tavolo mentre il lavandino traboccava di cucchiai di legno, fruste e altre scodelle sporche. Per terra c’era della farina e probabilmente dello zucchero anche se Jason non si prese la briga di indagare a fondo.
“Ciao Jason!” Esclamò Leo raggiante rientrando dal balcone con in mano una scopa e una paletta. Indossava un grembiule a fiori piuttosto ridicolo, i capelli corvini erano più disordinati del solito ed erano sporchi di farina anche quelli.
“Si può sapere cosa diavolo sta succedendo?” domandò allibito.
“Ho invitato Calypso per cena e il menù sarà interamente cucinato da me!” Annunciò con orgoglio gonfiando il petto come un pavone.
A Jason cadde la mascella. Leo e la cucina non erano mai andati d’accordo. A stento distingueva il sale dallo zucchero, riusciva a combinare un disastro anche quando doveva semplicemente scaldare qualcosa nel microonde, per non parlare del suo rapporto con i fornelli. Da quando Jason lo conosceva, Leo aveva dato fuoco alla cucina di casa sua almeno tre volte e l’ultima cosa che voleva era che riuscisse ad incendiare anche quella della casa al mare.
“Leo, in qualità di amico mi sento in dovere di dirti che non la trovo una buona idea.” Gli confessò cercando di essere il più diplomatico possibile.
“Dimmi quando è stata l’ultima volta che hai giudicato positivamente una mia idea.” Sbuffò Leo.
Jason non commentò, scostò una sedia e ci si lasciò cadere di peso.
“Senti, ho un’idea…” disse Leo con ritrovato entusiasmo.
“Un’altra?” borbottò Jason sconsolato.
Leo ignorò quell’ultimo commento e proseguì il suo discorso imperterrito. “Perché non inviti anche Piper?”
Jason nascose la testa tra le mani, visto quello che era accaduto tra loro poche ore prima era decisamente la cosa peggiore che Leo potesse proporre.
“Leo” esordì Jason prendendo un gran respiro, “non penso che Piper voglia più vedermi.”
“Ieri notte le sei saltato addosso per caso? No perché con lei hai addirittura resistito qualche giorno, hai battuto il tuo record personale amico! Sono sinceramente ammirato, dico sul serio.”
“Non è divertente” fece Jason asciutto.
“Non sarà divertente ma è la verità; se non impari a tenere a freno i tuoi istinti non riuscirai mai a tenerti una ragazza per più di una settimana.” Lo rimproverò Leo brandendo un cucchiaio di legno degno di una vera massaia.
“Va beh, ho capito, vado a fare colazione al bar!” Annunciò Jason che sapeva di non essere in grado di sopportare le battutine di Leo ancora per molto.
Seduto da solo al bancone del bar davanti ad un cappuccino fumante, Jason afferrò il cellulare dalla tasca dei jeans e cominciò a scrivere un messaggio: “Ne ho combinata un’altra delle mie… che ne dici di una birretta tra cugini?”
Qualche isolato più a sud Percy sentì suonare il telefono ma ignorò il messaggio in arrivo. Al suo fianco Annabeth abbassò lo sguardo sullo schermo del telefono che si era appena illuminato in mezzo a loro.
“Hai cambiato sfondo?” Domandò notando l’assenza della foto insieme alla ex dai capelli rossi.
“Già” confermò lui mettendo in pausa il film per voltarsi a guardare Annabeth.
“È la medusa che mi ha punto?” Indagò Annabeth guardando con attenzione il nuovo sfondo.
Percy sorrise. “No, questa è un’altra specie. L’ho fotografata l’anno scorso durante un’immersione.”
“Hai il brevetto di sub?” Domandò Annabeth con ammirazione.
“Sì” annuì lui modesto. “Ecco una cosa che ancora non sapevi di me.”
Annabeth riconobbe un filo d’ironia nella voce di Percy e si sentì in colpa per essere stata così ermetica.
“Scusami se sono così fredda e distaccata nei tuoi confronti” riuscì a dire dopo qualche istante, “non sono sempre stata così…”
“Ti capisco… le brutte esperienze segnano chiunque.” Il suo tono adesso era cambiato, si era fatto comprensivo, quasi paterno e in quel momento Annabeth si accorse che erano sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Per la prima volta da quando l’aveva conosciuto stavano viaggiando sugli stessi binari.
“A gennaio ho scoperto che il mio fidanzato mi tradiva regolarmente.” Confessò Annabeth, lo sguardo perso a fissare il materasso. “Stavamo insieme da quasi tre anni e io ero convinta che fosse quello giusto… mio padre lo adorava e avevamo un sacco di progetti per un futuro insieme.” Le s’incrinò la voce ma dopo un bel respirò fu in grado di proseguire il suo racconto senza cedere alle lacrime. “Un pomeriggio uscii prima dall’università perché mancava un professore, così decisi di fargli una sorpresa. Mi presentai a casa sua senza avvisarlo e lo trovai in compagnia di un’altra… ogni tanto penso che se il mio professore di urbanistica quel giorno non si fosse ammalato oggi probabilmente starei ancora con lui, ignara di tutto.”
Anche se evitava categoricamente di guardarlo, sapeva di avere tutta l’attenzione di Percy su di sé; la televisione era in pausa da un po’ e non c’era nessun’altra fonte di distrazione nella stanza.
“Con il senno di poi mi sento veramente una stupida perché al di là dei tradimenti mi rendo conto solo ora di quante cose non funzionassero tra di noi. La verità è che ero così innamorata di lui da essere completamente cieca” adesso la voce di Annabeth era spezzata e le parole faticavano ad uscirle di bocca. “Ero così innamorata da accettare qualsiasi cosa… anche…”
“Anche che ti mettesse le mani addosso” concluse Percy al suo posto mentre un tuono improvviso faceva tremare i vetri dell’appartamento.
Annabeth sollevò il capo di colpo e guardò Percy sgranando gli occhi. “Come fai a saperlo?” Gli domandò con un filo di voce mentre una lacrima le rigava la guancia sinistra.
“Sono un attento osservatore” rivelò lui minimizzando la cosa con una lieve alzata di spalle.
Annabeth era senza parole, non solo Percy sembrava in grado di intercettare i suoi pensieri come già le aveva dimostrato in più di un’occasione, adesso stava anche dimostrando di conoscerla più di quanto lei conoscesse sé stessa.
“Non stiamo parlando di nei a forma di cuore! Questa non è una cosa che si osserva!” Gli fece notare Annabeth.
“E invece sì, è una cosa che ho notato tutte le volte che siamo stati insieme. Tu mi cerchi ma allo stesso tempo mi respingi. Dichiari di voler fare sesso con me ma ogni volta che ti sfioro invece di lasciarti andare t’irrigidisci, e se faccio qualcosa che non ti aspetti reagisci in modo aggressivo perché è evidente che hai dovuto imparare a difenderti.”
“Imparare a difendermi?” Ripeté Annabeth incredula.
“Ti sembra normale prendere a pugni nel costato il ragazzo con cui stai facendo sesso?”
Annabeth non riuscì a ribattere, forse Percy aveva ragione, il suo passato la stava condizionando più di quando potesse immaginare.
“Ho capito che tutti questi comportamenti andavano imputati a qualche brutta esperienza, che fossi delusa dagli uomini era più che evidente ma ho capito subito che non era solo quello il problema. Ho pensato che avessi qualche problema in famiglia, ma quando mi hai parlato di tuo padre ieri sera ho capito da come ne parlavi che ero fuori strada. Quando dieci minuti fa hai cominciato a parlare del tuo ex ho fatto due più due.”
Adesso Annabeth stava piangendo liberamente, aveva superato l’ostacolo della vergogna e accolse con gioia la spalla che Percy le offrì. Sì strinse a lui e si beò del suo calore e del suo conforto come mai aveva fatto con un uomo che non fosse suo padre.
“Mi dispiace” disse lui dopo qualche minuto di silenzio interrotto solo a tratti dai singhiozzi di Annabeth. “Non volevo farti rivivere brutti momenti.”
“No, invece adesso sto meglio.” Disse Annabeth sollevando il capo e asciugandosi le lacrime. “Ti ringrazio per questo sfogo. Questa è una cosa di cui non ho mai parlato con nessuno… neanche Piper e Talia lo sanno e ci terrei che non lo venissero a sapere… mi sento già abbastanza stupida per essere stata con lui tutto questo tempo, non c’è bisogno che sappiano anche che mi picchiava, lo reputano già un pezzo di merda senza che metta altra carne al fuoco.”
“Sì, lo capisco”
“Ho la tua parola?”
“Certo.”
I loro occhi s’incontrarono nell’esatto momento in cui un lampo illuminò a giorno la stanza. Erano vicini, più di quanto non lo fossero mai stati perché adesso entrambe le loro anime erano almeno in parte libere dai fantasmi del loro passato. Parlarne apertamente era stato per entrambi il primo passo per allontanarli.
“Adesso sei tu quello che vuole baciarmi per compassione?” domandò Annabeth in un sussurrò stringendosi più saldamente al suo petto.
“No” sospirò lui. “Se questa discussione fosse avvenuta prima di ieri probabilmente è quello che avrei fatto… ma oggi non posso permettermelo.”
Annabeth si accigliò.
“Non ti seguo” Dichiarò staccandosi dal suo petto controvoglia.
“Annabeth tu stai per tornare a casa…”
Quella verità travolse Annabeth come un treno in corsa. Quella vacanza era stata così frenetica e carica di emozioni che non aveva nemmeno avuto il tempo di rendersi conto che stava volgendo al termine.
“Beh, ma questo lo sapevi anche due giorni fa… non capisco cosa sia cambiato!”
“Te l’ho detto, prima di sapere che mia madre era incinta avevo quasi deciso di tornare a casa e finire l’università ma ora che aspetta un figlio non ho più un posto dove tornare… camera mia servirà a Charlie e io non voglio essere d’intralcio, è giusto che si godano questo momento. Il mio posto è qui Annabeth, sono destinato al mare, in un certo senso è come se l’avessi sempre saputo.”
Quella rivelazione rattristò Annabeth enormemente. Si era lanciata in una relazione con Percy senza preoccuparsi delle conseguenze e adesso che tutto avrebbe potuto cominciare lui la stava aiutando a comprendere che era finita. Mentre Annabeth rifletteva in silenzio, Percy allungò una mano e prese un tubetto di crema dal comodino. Svitò il tappo cominciò a spalmarsi la crema sul tatuaggio. Fu solo allora che Annabeth notò che qualcosa era cambiato; sotto il tridente era comparsa una nuova linea nettamente più nera dell’altra proprio perché più recente.
“Hai modificato il tatuaggio?” domandò Annabeth curiosa.
“Ci ho solo aggiunto un dettaglio” rispose lui riponendo il tubetto di crema sul comodino.
“Una linea?”
“Già”
“Come mai? Ha un significato particolare?”
“Per oggi accontentati di aver saputo che ho il brevetto di sub…”  disse Percy con un tono che fece capire ad Annabeth che doveva smettere di fare domande.
Abbacchiata, Annabeth si accoccolò sulla sua spalla senza sapere cosa dire e si lasciò cullare dal ritmo del suo respiro. Restarono in quella posizione senza parlare per alcuni minuti poi Annabeth sollevò lo sguardo su Percy e cercò le sue labbra. Nonostante fosse sorpreso da quel gesto Percy non riuscì a ritrarsi. Lasciò che Annabeth lo baciasse a fior di labbra come mai aveva fatto prima di allora. Le sue labbra erano morbide e delicate e profumavano lievemente di pesca. Dopo una serie di baci leggeri e affettuosi, Annabeth si rese conto di quanto lo stesse realmente desiderando. Posò entrambe le mani sulle sue spalle e lo spinse all’indietro in modo tale che si sdraiasse sul letto. Lui non oppose resistenza nonostante nella sua mente cominciassero ad affollarsi una serie di sentimenti contrastanti. Percy chiuse gli occhi nel momento in cui Annabeth riprese a baciarlo. Sentì il desiderio crescere bacio dopo bacio, fin quando lei dischiuse le labbra e cercò la sua lingua. Fu allora che la fermò impedendole di andare oltre.
“Non penso che sia una buona idea” le disse interrompendo quel contatto.
Lei si rabbuiò improvvisamente, capiva la situazione ma si rifiutava di accettarla.
“E cosa pensi allora?” domandò lei seduta sui talloni al suo fianco.
Il telefono di Percy suonò di nuovo. C’era un nuovo messaggio in arrivo e questa volta Percy colse la palla al balzo. Afferrò il cellulare e andò verso il frigorifero lasciando Annabeth seduta sul letto.
“Sto venendo da te.” Diceva l’ultimo messaggio che Jason gli aveva inviato. Percy cominciò a digitare freneticamente una risposta ma in quel momento gli arrivò un altro messaggio, questa volta era Grover e diceva più o meno la stessa cosa: “Sto uno schifo, ho bisogno di parlarti… ti dispiace se vengo da te?”
Percy sollevò un attimo lo sguardo dal telefono e vide che Annabeth era in piedi e aveva indossato i suoi vestiti.
“Te la lavo e te la faccio riavere, ok?” Disse in tono piuttosto scocciato.
“Ehi” obiettò Percy, “te ne stai andando?”
“Tu che dici?” fece lei in piedi sulla porta guardando Percy e la sua espressione perplessa. “Potevi trovarti una scusa migliore dei messaggi se proprio non volevi rispondermi.” E così dicendo uscì di casa richiudendosi la porta alle spalle.
Percy esitò un momento poi si decise ad agire; raggiunse la porta e quando la riaprì si trovò di fronte Jason e la sua faccia da funerale.
“Ho portato del Whiskey!” Esordì lui con un sorriso forzato mostrando una bottiglia di liquore.
“Sono le sei del pomeriggio!” Gli fece notare Percy mostrandogli l’orario sull’iphone.
“Hai cambiato sfondo?” domandò Jason ammirato.
Percy sbuffò e abbandonò il cellulare sulla mensola mentre Jason entrava in casa.
“Jason sono due giorni di fila che bevi da far schifo, non ti azzardare a sfondarti di whiskey!” Lo rimproverò Percy.
“Che razza di cugino ingrato sei? Il whiskey non è per me! È per te!”
“Ma io non lo voglio!” Protestò Percy rifiutando di buon grado la bottiglia che il cugino gli tendeva.
“Senti, ultimamente l’alcol mi fa combinare più casini del solito quindi voglio che tu beva un po’ e che ti metta nei guai. Almeno non mi sentirò più solo!”
“Io i casini li faccio senza bisogno di bere se la cosa ti consola.”
“Ahah! Ti riferisci forse al fatto che Annabeth se n’è andata via da questa casa furiosa?”
“Senti… sei venuto qui per parlarmi di quello che hai combinato o per criticare quello che resta della mia vita sentimentale?” Sbottò Percy mentre qualcuno suonava il campanello con insistenza.
Percy non attese la risposta di Jason e andò ad aprire la porta.
“Ciao Grover” disse facendo entrare l’amico.
“Non essere troppo contento di vedermi!” Disse Grover sarcastico. “E comunque potresti anche imparare a rispondere ai messaggi!”
“Ragazzi mi spiegate cosa cavolo ci fate qui?” Sbottò Percy guardando i suoi ospiti.
“Io ti dico già che mi trattengo per cena perché Leo mi ha sfrattato!”
“Ti ha sfrattato?” ripeté Percy incredulo.
“Sì, ha invitato a cena la gelataia e si è offerto di cucinare, non vi dico in che condizioni è la cucina…”
“Già che ci sono mangio qui anch’io se non ti dispiace.” Intervenne Grover gettandosi sul letto.
“Fossi in te non mi sdraierei su quel letto… quando sono arrivato Annabeth era appena andata via…”
Grover si affrettò a rialzarsi mentre Jason rideva.
“Non scomodarti” fece Percy lanciando un’occhiataccia al cugino. “Annabeth era qui, ma non è andata come dice Jason!”
“Allora di recente non sono andato in bianco solo io” commentò lui sollevato dall’idea che anche al cugino fosse andata male.
“Quindi cosa c’è per cena?” Domandò Grover che voleva a tutti i costi spostare la conversazione su un altro argomento.
“Vi avviso, il mio frigorifero è vuoto!” Fece sapere Percy.
“Ok, ordino una pizza!” Annunciò Grover staccando il volantino della pizzeria dal frigorifero e cominciando a scegliere dalla lista.
Un’ora più tardi Percy stava pagando le pizze al ragazzo in motorino sotto la pioggia battente.
Rientrò in casa con le pizze fumanti tra le braccia e sedette a tavola con gli amici.
 
Il locale di Frank era pieno nonostante la pioggia e lui non avrebbe potuto esserne più felice. Gli affari andavano bene e il passaparola gli stava facendo una bella pubblicità. Quella sera notò una serie di persone che non si erano ancora mai avvicinate al suo locale, primo fra tutti Nico, il tatuatore che aveva lo studio qualche via più in là.
Era un tipo solitario ma con tutti quei pircing e tatuaggi non poteva certo passare inosservato.
“Me lo faresti un bloody mary?” domandò appoggiandosi con entrambi i gomiti al bancone del bar.
“Certo!” Esclamò Frank felice di poter preparare un cocktail poco richiesto.
“Ehi ma allora il dono della parola ce l’hai! No perché ai miei messaggi non hai mai risposto.” Disse un ragazzo biondo prendendo posto sullo sgabello a fianco a Nico.
Lui si voltò a guardarlo in cagnesco. “Will! Cosa diavolo vuoi?” domandò seccato.
“Quello che ti ho già chiesto nei messaggi che tu hai bellamente ignorato.” Fece Will sorseggiando un margarita.
“Senza offesa ma non mi sembri esattamente un tipo da tatuaggi.”
“Perché? Tu tatui solo i tipi da tatuaggi?” domandò Will che sembrava in vena di provocarlo.
“Senti, in questo momento non sto lavorando quindi vorrei evitare di parlarne se non ti dispiace.”
“Benissimo… di cosa vuoi parlare allora?”
“Forse non mi sono spiegato, non voglio parlare con te!” Disse Nico nel modo più diretto possibile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di liberarsi del figlio del farmacista, ma lui non sembrava minimamente intenzionato a mollare il colpo.
 
Qualche via più in là, a casa di Talia le ragazze erano già in modalità pigiama sul divano con in mano una vaschetta di gelato a testa.
“Guardate come siamo ridotte per colpa degli uomini” disse Piper facendo zapping alla ricerca di qualcosa di decente da vedere.
In quel momento il telefono di Talia prese a squillare rumorosamente e lei dopo aver letto chi la stava chiamando andò a rispondere in camera sotto lo sguardo stranito delle amiche.
Tornò poco dopo con un diavolo per capello.
“Che succede?” domandò Annabeth che non sapeva più cosa aspettarsi da quella giornata così nefasta.
“Era mio cugino…” disse abbacchiata. “È in pronto soccorso con Jason e Grover.”


Angolo dell'autrice: Come vedete non sono morta. Purtroppo vengo da un periodo particolarmente avverso. Avete presente quei periodi della vita in cui non ne va bene una? Ecco, ultimamente sono successe una serie di cose spiacevoli una dietro l'altra e quando tutto intorno a te si fa nero anche la fatidica pagina bianca su cui sei solita scrivere ti appare più scura e quindi diventa particolarmente difficile, se non impossibile, scriverci sopra qualcosa. Vi avevo salutato l'ultima volta dicendo che avevo un'altra storia da aggiornare e che quindi vi avrei fatto aspettare di più, la verità è che con l'altra storia non sono riuscita ad andare avanti, ci ho provato per un bel po' di giorni ma quando ho visto che non cavavo un ragno dal buco ho preferito tornare su questa e sono veramente felice di essere riuscita a pubblicare il capitolo. Il tempo della storia probabilmente riflette il mio umore di questi giorni ma spero che il risultato in sé e la trama non vi abbiano delusi... Io dopo tutta questa fatica mi sento soddisfatta del risultato. In questo capitolo, per la prima volta, sento di aver dato il giusto spazio a tutti e spero che l'evolversi della storia sia di vostro gradimento. Spero che questo aggiornamento spazzi via questo periodo nero e lasci il posto ad uno decisamente più florido e soddisfacente. Ora tocca a voi, fatemi sapere la vostra con un commento e grazie infinite per avermi seguito anche questa volta. Siete i lettori migliori che un autore possa desiderare.
  
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