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Autore: lachatblanche    08/03/2016    1 recensioni
Dieci anni fa i detective Charles Xavier ed Erik Lehnsherr chiusero il caso di una grottesca serie di omicidi che tutt’ora continuano a inseguirli.
Quando vengono interrogati sugli avvenimenti, un decennio più tardi, trovano finalmente la conferma di qualcosa che entrambi avevano sospettato per un lungo periodo: vi è ancora del lavoro incompleto del quale si devono prendere cura, e il caso che pensavano di aver chiuso tempo fa in realtà è ancora aperto.
Una True Detective AU.
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto, Moira MacTaggert, Raven Darkholme/Mystica
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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“Pare lei abbia avuto alcune difficoltà col signor Xavier durante la vostra collaborazione, signor Lehnsherr.”

 

Lehnsherr a malapena guardò MacTaggert. “Definisca difficoltà.”

 

“Beh – differenze di opinione.”

 

Lehnsherr sbuffò. “Questo accade a tutti,” disse, roteando gli occhi. “Se lavori con qualcuno giorno dopo giorno è destino non sopportarsi un po’.” I suoi occhi vagarono dal detective Levine a Moira e dopodiché alzò un sopracciglio. L’espressione di Moira non cambiò, nonostante ciò Lehnsherr fece un sorriso beffardo prima di continuare. “Sicuro, Charles era un rompipalle,” ammise con un’alzata di spalle. “Ma era fatto così e io l’ho accettato.”

 

“Quindi non avete mai litigato su questioni importanti?”

 

“Prima della fine?” Lehnsherr fece passare un momento di riflessione e poi scosse il capo. “No, non davvero. Non mi crede?” Alzò un sopracciglio agli sguardi blandi dei detective. “Sono sicuro che voi abbiate controllato la nostra documentazione. Nessuno dei due si è mai lamentato dell’altro. Sono anche sicuro che vi siate accorti di questa peculiarità abbastanza in fretta.”

 

“Sono poche le lamentele che diventano ufficiali,” risposte Moira alzando le spalle con ostinazione. “Dovevo esserne certa.” A seguire alzò il mento. “Le è mai capitato di richiedere uno scambio partner, signor Lehnsherr?”

 

Lehnsherr scosse la testa. “No.”

 

Moira e Levine rimasero in silenzio.

 

Lehnsherr guardò entrambi e poi fece un sospiro. “Charles era un bravo detective,” disse, del tutto annoiato di fronte al loro scetticismo. “Più che buono, in effetti – era eccellente. Ne avevo avuti abbastanza di partner al di sotto delle capacità standard che mi aspettavo da un detective per comprendere quanto lui fosse raro, quindi credetemi – non lo avrei scambiato con nessuno ancora per molto.”

 

“Direbbe che Xavier sia stato un detective migliore di lei?” chiese MacTaggert, apparendo sinceramente incuriosita.

 

Lehnsherr stette in silenzio per un momento. “Era caotico,” disse infine. “Disordinato e arrogante e non sapeva seguire un ordine se da questo ne fosse dipesa la sua vita.”

 

“Eppure…” infierì MacTaggert.

 

“Eppure” sospirò Lehnsherr. “Eppure direi di sì – alla fin fine, non considerando tutta la dannata burocrazia e gli stereotipi sui detective – allora sì. Charles era un detective migliore di me.”

 

“E perché mai?”

 

Lehnsherr guardò con freddezza Moira prima di rispondere. “Charles ha qualcosa che io non ho,” disse con calma, accavallando lentamente una gamba sull’altra.

 

“Che cosa?” chiese con curiosità MacTaggert.

 

Lehnsherr sbatté gli occhi e poi alzò le spalle. “Immaginazione,” disse, e si portò la sigaretta alle labbra.

 

*

 

“Qualunque cosa sia, è più grande di quel che ci aspettavamo,” disse Charles sovrappensiero, morsicandosi il labbro inferiore mentre Erik guidava lontano dallo strip club. Diede una sfogliata ad un vecchio ed economico diario che timidamente Kitty gli aveva consegnato; lo aveva tenuto al segreto fra le sue cose, e adesso Charles stava studiando velocemente la calligrafia irregolare di Angel, le sue parole spesso cancellate o scritte sui bordi delle pagine, corrucciando la fronte nel tentativo di comprenderle. “Quello che posso dire è che sembra sia coinvolta più di una persona. Kitty ha detto che si unì ad un gruppo. Erik – un intero gruppo.” Fece una pausa, girando il capo per guardare accigliato fuori dal finestrino. “Quanto pensi sia grande un «gruppo»?” rifletté pigramente. “Pensi che sia più grande di una massa? Più piccolo di un’assemblea? Deve essere più piccolo di una setta…”

 

“È irrilevante,” lo interruppe bruscamente Erik prima che potesse continuare. “Stai operando su supposizioni, Charles. Non significa niente. Sappiamo entrambi che la ragazzina non conosceva nulla di tutto questo – tutto quel che ci ha detto erano dicerie. Questa storia della setta su cui ti sei fissato potrebbe non avere nulla a che fare con l’omicidio di Salvadore.”

 

“Non possiamo essere sicuri che sia una setta, Erik,” sibilò Charles con aria di rimprovero, sebbene fosse giunto ad una pagina del diario di Angel interamente coperta con le parole Il Re Nero, e poi solo una: Genosha. “Ma suppongo che possiamo affermare con certezza che ci sia un legame fra questo e la morte di Angel Salvadore. Sarebbe una coincidenza incredibile se non fosse così.”

 

“Giusto,” disse sarcasticamente Erik. “Perché le coincidenze non capitano mai.”

 

“Al contrario,” ribatté Charles con tono leggero. “Accadono sempre. Ecco perché sono coincidenze. Questo, però…” l’espressione di Charles si fece scura e i suoi occhi tornarono sul diario stretto nelle sue mani. “Tutta questa storia del Re Nero… non mi piace, Erik. Non mi piace affatto.”

 

“La ragazzina avrà probabilmente sentito male,” disse Erik sprezzante, guardando con rabbia la strada. “Non gli darei molta attenzione – lei stessa ha ammesso di non essere sicura di cosa avesse sentito.”

 

“E se non fosse così?” fece pressione Charles. “Se avesse sentito correttamente?”

 

“Allora forse stavano parlando di pezzi degli scacchi,” schioccò Erik. “Magari Angel Salvadore si era unita ad un club di scacchi.”

 

Charles si girò nella sua direzione con un sopracciglio sollevato. “Non credi seriamente a questa storia, vero?”

 

Erik lo guardò. “Ovviamente no,” disse in modo burbero. “Ma non significa che sia impossibile. È possibile tanto quanto la tua teoria del genio criminale, per dirne una. Cosa? Non dirmi che non era quello a cui stavi pensando.” Disse con sguardo di sfida.

 

Charles alzò le spalle. “Stavo pensando più che altro ad un’organizzazione criminale…” mormorò implacabilmente.

 

Erik si lasciò sfuggire una bestemmia. “Cristo,” biascicò. “Perché diavolo mi è stato accollato un partner come te? Non puoi semplicemente costruire castelli in aria, Charles. Non hai alcuna prova per le tue supposizioni. Non c’è alcuna logica!”

 

“Come la logica presente in tutti quegli omicidi?” chiese piano Charles. “Come la logica che vede Armando Muñoz e Angel Salvadore e Dio sa chi altro ammazzati?”

 

Erik si morse la lingua e continuò a guardare con rabbia il parabrezza della macchina. “C’era una logica,” disse infine, senza mai incontrare gli occhi di Charles. “Non sto dicendo che sia una logica sana e decente, ma è comunque logica. Semplicemente non sappiamo di che tipo sia, per ora.”

 

“La logica di un pazzo è difficilmente logica,” disse a voce bassa Charles, ma non apostrofò oltre il proprio pensiero.

 

Erik sospirò. “Quindi siamo d’accordo nell’essere in disaccordo,” disse con rassegnazione, facendo pressione sull’acceleratore.

 

Charles fece un sorriso e si girò per guardarlo. “Oh, amico mio,” disse affettuosamente. “Non è sempre così?”

 

*

 

“Mi racconti ancora la procedura, signor Xavier. Cosa successe dopo l’interrogatorio dei… colleghi della signorina Salvadore?”

 

Xavier sollevò un sopracciglio. “È tutto scritto nel rapporto, detective. Sono sicuro che lei lo abbia letto.”

 

“Non importa, mi piacerebbe sentirlo con le sue parole, per cortesia,” disse Moira, imperterrita.

 

Charles fece una smorfia. “Beh… mi dispiace comunicarle che la mia memoria presenta diverse lacune negli ultimi tempi,” disse in tono di scuse. “Lei mi sta chiedendo di raccontarle fatti accaduti una decade fa, sa.” Sospirò. “Ho paura di non poter essere un narratore affidabile. Farebbe meglio a controllare nel rapporto.”

 

“Paura di mandare tutto a rotoli, Xavier?” chiese Levine, i suoi occhi socchiusi. “Paura di dire qualcosa di incriminante?”

 

Xavier si voltò nella sua direzione. “Incriminante?” ripeté, la sua voce colma di disprezzo nonostante lo sguardo neutrale e franco. “Che idea curiosa. Come potrei mai incriminarmi, signor Levine?”

 

“Me lo dica lei,” grugnì Levine. “E per lei è detective Levine.”

 

Xavier sorrise. “Errore mio,” disse candidamente, sembrando piuttosto divertito. “Pare che mi sia difficile da ricordare. E invece lei, detective MacTaggert,” Xavier si girò verso di lei con l’ombra di un sorriso caldo stampato in faccia. “Pare che io non abbia nessuno problema a ricordare il suo titolo.”

 

“Cosa dovrebbe significare-” iniziò Levine, ma Moira stava già parlando.

 

“Perdoni l’opinione,” disse seccamente, ignorando Levine. “Ma lei non pare nutrire molto rispetto per i membri della sua stessa professione, signor Xavier.”

 

Xavier alzò lo sguardo in sorpresa. “Oh, ma non è vero,” disse, sembrando genuinamente stupito. “Generalmente riserbo un gran rispetto verso la polizia, glielo prometto.”

 

“Generalmente?” ripeté scaltramente Moira.

 

Il sorriso in risposta di Xavier fu lento e sottile. “Sì,” disse, il tono asciutto. “Vede detective, non è la professione che non rispetto. Sono gli individui che la esercitano ad essere un problema.”

 

*

 

“Grazie per averci ricevuto, detective Dukes,” disse gentilmente Charles. “Immagino che debba essere molto occupato al momento.”

 

Erik lanciò a Charles uno sguardo asciutto. Il detective Frederick Dukes non sembrava occupato. La sua scrivania non era ricoperta di fogli ma di pacchetti di cracker e scatole di ciambelle, e c’era anche un velo di polvere di zucchero sul colletto della sua camicia e sulla sua spaventosa e vasta pancia. Era un miracolo che l’uomo potesse sedersi dietro la scrivania.

 

“Siamo sempre felici di poter aiutare i colleghi del nostro dipartimento affilato,” disse vagamente il detective Dukes, sebbene lo sguardo imbronciato tradisse le sue parole. “Come posso aiutarvi, detectives…”

 

“Xavier e Lehnsherr,” rispose in tono amabile Charles, nonostante sapesse che difficilmente l’uomo avrebbe ricordato un nome più difficile di «Smith». “E siamo qui per parlare dell’omicidio di Mortimer Toynbee. Lei è il detective affidato al caso, giusto?”

 

“Ah,” Dukes si sollevò dalla sedia, cercando di togliersi lo zucchero dalla divisa. “Il caso Toynbee. Come lo chiamate voi.” Guardò Charles ed Erik con sospetto. “C’è una ragione precisa perché voi siate interessati al mio caso, signori?” Il mio fu palesemente sottolineato nella frase.

 

Erik e Charles si scambiarono uno sguardo. “Crediamo sia legato ad uno dei nostri casi, detective Dukes,” disse Charles tornando a guardarlo in faccia. “E che faccia parte di una serie di omicidi che sono stati commessi nella nostra contea. Forse ne ha sentito parlare.”

 

“Sì, penso di sì,” rimuginò Dukes, grattandosi il suo super secondo mento. “Un ragazzo scorticato, giusto? L’ho visto al telegiornale.”

 

Le labbra di Erik si pressarono. “Doveva essere lui,” disse, la sua voce velata da un tono oscuro.

 

“E voi pensate che il nostro uomo, Toynbee, sia un’altra vittima di quello psicopatico?” chiese Dukes, apparendo del tutto ignaro all’espressione sempre più scura di Erik.

 

“Esatto.”

 

Dukes si grattò il mento. “È un grosso salto nel vuoto quello che sta facendo, detective.”

 

“Non davvero,” disse con noncuranza Charles. “Tutte le nostre vittime sono state mutilate in qualche modo, esattamente come la sua. Non è un gran salto nel vuoto supporre-”

 

“A Toynbee è stata strappata la lingua,” lo interruppe Dukes, roteando gli occhi. “Non l’accomunerei al fatto di essere scorticati!”

 

“Non è differente,” disse Charles cautamente.

 

Dukes emise un suono impaziente. “Questo è il problema con i tipi come voi,” soffiò irritato scuotendo la testa. “State sempre a pensare che ci siano delle connessioni da fare.”

 

Erik si fece rigido. “Quali tipi come noi?” chiese con tono pericoloso, la voce bassa, ma Dukes parve non accorgersene. Stava guardando Charles, invece.

 

“Sa,” disse con noncuranza. “Qui è abbastanza lontano dal suo dipartimento, detective.”

 

Le sopracciglia di Charles si sollevarono. “La città qui affianco, detective Dukes,” disse con semplicità. “Siamo infatti come dei vicini di casa, in qualche modo.”

 

“Fa nulla,” continuò Dukes. “È abbastanza strano e improvviso per un assassino tagliare a pezzi della gente in un luogo così lontano.”

 

Il sorriso di Erik diventò sottile. “Gli assassini non tendono ad avere una giurisdizione, detective,” disse freddamente.

 

“No,” acconsentì Dukes, la sua espressione pensierosa. “Ma gli agenti di polizia sì.”

 

Erik sentì la schiena di Charles irrigidirsi. “Sta forse insinuando che non ci aiuterà, signor Dukes?”

 

Dukes alzò le spalle. “Sto solo facendo un’osservazione,” disse con pigrizia mentre si appoggiava per bene sulla sua sedia, il suo grosso stomaco pressato contro la scrivania. Gli occhi gli si socchiusero, “Ed è detective Dukes.”

 

Charles fece un debole sorriso. “Come dice lei,” asserì gentilmente, ma non disse nulla di più.

 

Dukes li guardò per un momento, dopodiché sospirò. “Lasciatemelo dire,” disse con un’esagerata bontà. “Ecco quello che farò. Farò portare qui il caso e voi due fenomeni potrete dargli un’occhiata – ma solo qui dentro, mi avete sentito? Non potete portarvelo fuori e non potete fare delle fotocopie. Questa è un’indagine ancora in corso, mi capite?”

 

La mascella di Erik si contrasse. “Abbiamo capito,” disse bruscamente.

 

Dukes lo studiò per un momento con i suoi grandi occhi porcini ricolmi di diffidenza per poi offrire un cenno di assenso soddisfatto e, allungando un enorme braccione, fare pressione sul pulsante del microfono posto sulla sua scrivania. “Allerdyce!” strascicò il nome. “Portami in ufficio il caso di Toynbee.” Si sentì un’imprecazione provenire dal microfono poco prima che Dukes allontanasse il dito dal bottone.

 

“Arriverà a minuti,” disse, gesticolando verso la porta con aria annoiata.

 

Due minuti più tardi si sentì bussare alla porta e un giovane ufficiale dai capelli disordinati e una settimana di barbetta entrò. “Ecco a lei, capo,” borbottò, lasciando cadere il file sulla scrivania e facendo così spostare alcune confezioni di ciambelle. “Il caso Toynbee.”

 

Dukes indicò Charles ed Erik con una sventolata di mano. “Daglielo a questi due,” brontolò. “Sono loro che l’hanno voluto.”

 

Allerdyce guardò entrambi con interesse, per poi passare il file fra le mani di Charles. “Ecco qui,” disse, facendo un sardonico sorrisetto quando la mano di Charles passò sopra a quella che sembrava con molto sospetto come una macchia di ketchup stampata sul fascicolo. “Non c’è molto da leggere. Toynbee ha avuto qualche precedente ma erano cose da niente – taccheggio, furto con scasso – quelle cose lì.”

 

“Causa del decesso?” chiese Erik, scrutando il fascicolo fra le mani di Charles.

 

Allerdyece sorrise. “È soffocato,” disse seccamente. “Nel suo stesso sangue. Per via della lingua tagliatagli… ma immagino che voi sappiate di quella parte della storia.”

 

“Vedo che l’esame tossicologico è risultato negativo,” mormorò sovrappensiero Charles. “Ma sembra ci siano delle escoriazioni sul polso di Toynbee e intorno al collo, come se qualcuno avesse tentato di tenerlo fermo al suolo… magari persino guardandolo soffocare.”

 

Allerdyce annuì. “Sì, è quello che immaginavo.” Roteò gli occhi al cielo quando Dukes tossicchiò. “Va bene, è quello che noi immaginavamo.” Lui ed Erik si scambiarono un’occhiata. Allerdyce gli fece un sorriso asciutto e poi continuò. “In più ci sono escoriazioni anche sullo stomaco e alcune costole rotte. Quel poveraccio si è preso davvero tante botte.”

 

“Pare proprio così, no?” sussurrò Charles, girando una pagina del file. Si fermò d’improvviso quando notò una pagina aggiunta nel fascicolo. “Cos’è questa?” chiese con tono sorpreso.

 

Persino Dukes si girò per guardare che cosa avesse catturato la sua attenzione. Quando la vide si lasciò sfuggire una risata fragorosa. “Questa?” rise. “Questa è un’importante pezzo di testimonianza, detective. Non lo vede?”

 

Charles fremette e, come Erik, si girò verso Allerdyce, il quale alzò le spalle e gli fece un sorriso pungente.

 

“Abbiamo fatto alcune domande alla famiglia di Toynbee,” spiegò, apparendo quasi dispiaciuto. “Abitava con sua sorella e la figlia di lei. La sorella era fuori la notte dell’omicidio ma la bambina era in casa ed entrambe hanno affermato che Mort fosse in casa per curare la nipote quella notte.”

 

Dukes fece una risata nasale. “Stava di sicuro mentendo par fare in modo che non chiamassimo i servizi sociali in merito ad una bambina lasciata sola in casa.”

 

“Quanti anni ha la bambina?”

 

“Cinque,” disse Dukes.

 

“Sette,” corresse Allerdyce. “La bambina ha sette anni, e ci ha detto che lo zio Mort era in casa quella notte e lei lo ha visto mentre lo rapivano.” Si fermò e fece un gesto per indicare il file. “Quello è un disegno che fece per rappresentare il rapinatore.”

 

Charles abbassò lo sguardo sulla pagina di fronte a sé. Su di essa era stato disegnato – a tutti gli effetti – il diavolo.

“Ha detto che il diavolo ha rapito suo zio?” disse Erik scettico, anche lui intento nell’osservare l’immagine, i suoi occhi si soffermarono sui goffi tratti di una matita rossa e sull’aggiunta di una lunga coda rossa con un punto disegnato all’estremità.

 

Allerdyce scrollò le spalle. “Questo è quello che ha detto lei,” disse con un cipiglio di scuse.

 

“Perché mai direbbe una cosa del genere?” chiese Charles corrucciato.

 

“La madre della bambina – la sorella di Toynbee – è una svitata ossessionata dalla religione,” disse Allerdyce aggiungendo un'altra alzata di spalle. “Possiede circa un centinaio di crocifissi in casa. La bambina è probabilmente cresciuta con la convinzione che tutti gli uomini cattivi fossero come il diavolo.”

 

Charles sospirò. “È possibile.” Disse, passandosi una mano sul volto.

 

“Sapete una cosa,” Disse magnanimamente Dukes, posando le dita sul suo enorme stomaco. “Per lo spirito di cooperazione, detectives, ecco cosa farò per voi.” Gesticolò verso il disegno con un sorriso stampato sul volto. “Questo disegno di cui siete tanto appassionati? È vostro!”

 

Charles sbatté gli occhi. “Mi scusi?” chiese sbigottito.

 

Il sorrisetto di Dukes si allargò maggiormente. “Come ho detto,” fece una smorfia soddisfatta. “Quel disegno è vostro ora. Potete tenervelo. Per la vostra indagine.”

 

“Ma a lei non serve?” chiese Charles, indignato. “Se la bambina è un testimone oculare, allora di sicuro-”

 

“Ce lo riprenderemo se mai ne avessimo bisogno, detective,” disse Dukes con condiscendenza.

 

Charles girò lo sguardo da Allerdyce, il quale portava un’espressione sofferente stampata sul viso, ad Erik, la cui faccia si era oscurata. Sospirò. “Grazie,” disse piano, recuperando il disegno dal fascicolo e con gentilezza mettendolo fra le proprie cose. “Lo terremo al sicuro nel caso ne abbiate mai bisogno.”

 

L’espressione compiaciuta sulla faccia di Dukes mostrava esattamente quanto fosse possibile quel pensiero.

 

“Non capirò mai come quell’uomo sia potuto diventare un detective,” digrignò i denti Erik circa una quindicina di minuti più tardi, quando sia lui che Charles ebbero lasciato finalmente l’ufficio di Dukes in seguito ad una mattina sprecata. “Quell’uomo è un vero idiota.”

 

“È stato straordinariamente inutile, sì,” convenne Charles, camminando a gran passi lontano dall’edificio.

 

Erik si fece torvo, la sua espressione improvvisamente contemplativa. “Pensi che fosse corrotto?” chiese insicuro.

 

Charles scosse la testa. “No,” sospirò. “Non corrotto, solo incompetente.”

 

Erik fece uno sbuffo. “Quasi quasi è peggio.”

 

Charles sorrise. “Non hai pazienta per l’incompetenza, vero amico mio?”

 

Erik gli lanciò uno sguardo pungente. “Charles,” disse con una cadenza strascicata. “Tenendo conto che sei il primo partner che non ho ancora minacciato di strangolamento e che non si è rassegnato dopo due settimane al mio fianco – cosa ne dici? Tra l’altro,” aggiunse offrendo una breve, obliqua occhiata a Charles. “Non è come se fossi l’unico qui intollerante all’incompetenza…”

 

Il sorriso di Charles si allargò. “Ovviamente hai ragione,” disse, facendo un’alzata di spalle. La sua bocca si contorse, “Solo che io lo nascondo meglio.”

 

*

 

“Ho guardato il suo rapporto, signor Xavier-”

 

“Felice di sentirlo.”

 

“Certo,” MacTaggert gli fece un sorriso sottile. “E da quello che ho letto sembra che lei e Lehnsherr siate saltati alla conclusione del serial killer abbastanza in fretta.”

 

Xavier apparve vagamente sorpreso. “Ci arrivammo in fretta?” meditò, suonando pensieroso. “Non potrei dirlo con certezza. Personalmente, ho sempre pensato che ci avessimo messo abbastanza tempo per arrivarci.”

 

“Il caso Salvadore si verificò mesi prima di quello di Muñoz,” disse con calma MacTaggert. “Non era nemmeno un suo caso. Ma dopo Muñoz all’improvviso lei si è convinto che l’uomo che cercavate fosse un serial killer.”

 

“Non furono solo Salvadore e Muñoz,” disse impetuosamente Xavier, prima di appoggiarsi indietro e alzare le spalle. “E cosa posso dire? Sono bravo nel vedere gli schemi. Alla fin fine si riduce sempre tutto a questo. Schemi.”

 

“Intende nel lavoro di un poliziotto?” si accigliò Levine.

 

“Nel lavoro di un poliziotto,” annuì Xavier. “E in tutto. Nella vita. Nella storia. Con le persone.” Gettò uno sguardo verso Levine. “Tutti sono prevedibili se li conosci bene.”

 

“La ringrazio per quest’affascinante divagazione, signor Xavier,” disse freddamente MacTaggert prima che Levine potesse rispondere. “Dev’essere la centesima volta nell’ultima ora.”

 

Xavier sorrise.

 

“Ora,” MacTaggert abbassò lo sguardo sul file stretto nelle sue mani. “Se è possibile rimetterci al lavoro, stavamo parlando della sua realizzazione riguardo a come gli omicidi fossero il lavoro di un serial killer.” Sfogliò fra le pagine del file. “Qui si dice che lei, signor Xavier, fosse interessato al caso Toynbee.”

 

Xavier alzò lo sguardo su di lei e dopodiché annuì. “Sì,” disse. “Calzava con lo schema.”

 

“Mutilazioni fisiche,” dichiarò MacTaggert con un cipiglio pensieroso. Xavier fece sì col capo. “E questo le fece credere di avere un serial killer fra le mani?”

 

“In realtà l’idea nacque prima,” ammise Xavier. “Il caso Toynbee confermò semplicemente quel che già sospettavamo.”

 

MacTaggert alzò un sopracciglio. “Con difficoltà potrebbe chiamare questa una conferma, signor Xavier,” disse dubbiosa. “Con solo tre casi per supportare la sua teoria.”

 

Xavier scosse le spalle. “Le regole di Mosca1, detective,” disse con semplicità. “Lei sa cosa dicono. La prima volta è un caso, la seconda una coincidenza, …”

 

“La terza è premeditazione,” finì MacTaggert, assottigliando gli occhi. “Capisco. Sfortunatamente, signor Xavier, pare che io fossi assente il giorno in cui insegnarono Fleming all’accademia come parte del protocollo di polizia. Mi dica, il suo superiore pensò che la sua spiegazione fosse accettabile?”

 

“Oh sì,” disse Xavier senza alcuna esitazione. “McCone era un uomo davvero intelligente. Capì immediatamente su cosa stessimo lavorando e ci diede campo libero col caso. Era con noi sin dall’inizio.”

 

*

 

Erik e Charles si scambiarono uno sguardo cauto mentre si sedettero sulle sedie di fronte al commissario capo McCone. Non si erano particolarmente sorpresi della convocazione; McCone era per natura un burocratico e, in quanto capo del dipartimento, spesso li chiamava cosicché potessero tenerlo aggiornato sul loro carico di lavoro.

 

Sin dall’inizio del caso Muñoz erano stati convocati circa cinque volte nelle ultime due settimane.

 

“Ebbene?” esigé McCone, girandosi per guardarli. “Cos’è questa storia di voi due che andate a dar fastidio ai dipartimenti limitrofi calpestando i piedi altrui?”

 

Charles inclinò la testa di lato. “Calpestando i piedi altrui, signore?” chiese sbattendo le palpebre con curiosità.

 

McCone gli lanciò un’occhiataccia. “Non guardarmi con quello sguardo da cerbiatto, Xavier,” ringhiò. “Sai molto bene di che cosa sto parlando.”

 

L’espressione piacevole di Charles rimase imperterrita. “In realtà, signore, non lo so,” disse con calma, alzando il mento. “Non ricordo di aver dato fastidio a nessun dipartimento o di aver calpestato i piedi a qualcuno.”

 

“Perché non l’abbiamo fatto,” disse risolutamente Erik, piegandosi in avanti sulla sua sedia e assottigliando lo sguardo. “Non abbiamo infastidito nessuno e sicuramente non abbiamo schiacciato i maledetti piedi di qualcuno.”

 

“Beh, questo non è quello che ho sentito io,” disse McCone cupamente, tirando fuori un foglio e sbattendolo con violenza sulla scrivania. “Ho una lamentela da un certo detective Dukes che dichiara che voi due siete stati un disturbo giù al suo ufficio.”

 

Erik e Charles si scambiarono un’occhiata prima che Erik si girasse verso McCone e facesse una detestabile sbuffata. “Se intendi il fatto che abbiamo forzato quell’idiota incompetente ad alzare quel suo pigro-”

 

“Siamo stati molto gentili,” interruppe Charles affabilmente, sorridendo a McCone quando si girò verso di lui con occhi semi chiusi. “E tutto quello che abbiamo fatto è stato solo chiedere di poter vedere i file di un suo caso. Nient’altro.”

 

“Questo non è quello che dice lui,” disse McCone, il tono feroce. “Dice che voi due siete stati problematici e offensivi.”

 

“Lo assicuro, non è stato così,” disse con calma Charles, sebbene la sua mascella fosse tesa. “Non abbiamo fatto nulla per legittimare una lamentela.”

 

“Beh, Dukes dice-”

 

“Credi che ce ne freghi qualcosa di che cosa dice quell’uomo?” lo aggredì Erik irritato. “È una barzelletta vivente, McCone. È stupido e tardo e incompetente, e dubito che abbia mai fatto un solo lavoro decente come detective in vita sua. Mi stai davvero dicendo che credi di più alle sue parole che alle nostre?”

 

“Credo al fatto che voi due siate una coppia di problematici,” disse McCone seguito da un sospiro, passandosi una mano sul volto. “Ma se dici che non avete fatto nulla di male, Erik, allora ti credo.”

 

“A me non crede, signore?” chiese innocentemente Charles.

 

McCone sbuffò. “Oh ti credo,” disse scuotendo la testa. “Ma – e non mi fraintendere, Xavier – in qualche modo trovo sia necessario ricordarmi di dover prendere tutto ciò che dici con le pinze.”

 

La fronte di Charles si corrucciò. “Che cosa strana,” mormorò, ma non apostrofò oltre.

 

McCone lo fissò per un istante prima di sospirare. “Ma stiamo divagando,” disse, sistemandosi meglio sulla propria sedia, “Qualcuno di voi due ha qualcosa di nuovo su cui fare rapporto? Oltre a Dukes, ecco.”

 

Erik e Charles si scambiarono uno sguardo ricolmo di significato. Finora erano stati molto riservati nel discutere del caso con McCone. Adesso, comunque, pareva fosse arrivato il momento di fargli sapere che cosa stava accadendo.

 

“Forse abbiamo qualcosa,” iniziò Erik cauto, preoccupandosi di guardare Charles che in cambio gli fece un cenno di assenso. “Ma non siamo ancora sicuri se sia una traccia tangibile.”

 

“Abbiamo interrogato alcune colleghe di Salvadore,” spiegò Charles di fronte allo sguardo inquisitore di McCone. “E abbiamo scoperto-”

 

“Fermi, fermi, fermi,” McCone alzò una mano a mezz’aria, interrompendoli. “Salvadore? Angel Salvadore?”

 

Erik e Charles si guardarono e dopodiché annuirono contemporaneamente. “Sì, signore.”

 

McCone li osservò perplesso. “Che cosa… il caso Salvadore è chiuso, voi ragazzi dovreste lavorare sul caso Muñoz!”

 

Charles fece un sorriso angusto. “Sì, signore,” disse con calma. “Ma abbiamo ragion di credere che Salvadore e Muñoz siano stati uccisi dallo-”

 

Whoa,” McCone tirò nuovamente su una mano. “Uccisi? La tua memoria deve avere qualche problema, Xavier, perché il caso Salvadore è stato decretato come un suicidio.”

 

“Oh, non ho dimenticato,” disse Charles risolutamente. “Semplicemente non approvo.”

 

Le sopracciglia di McCone balzarono all’insù. “Oh,” disse, la sua voce gocciolante di sarcasmo. “Non approvi. Beh ovviamente non approvi. Adesso riapro il caso semplicemente perché lo dici tu, cosa ne pensi?”

 

“Se non le dispiace,” disse Charles gentilmente. “Sarebbe davvero d’aiuto.”

 

“Peccato,” scattò McCone, guardandolo male. “Quel caso è chiuso, detective. Non ci curioserai oltre, mi hai capito?”

 

“Ma-”

 

“Maledizione, Xavier,” McCone gli lanciò uno sguardo truce. “Ho appena chiuso una telefonata con lo stramaledetto Consigliere e gli ho promesso personalmente che il caso Muñoz è un avvenimento unico che lo avremmo chiuso al più presto possibile. Non vuoi farmi apparire come un bugiardo, vero?”

 

“Meglio bugiardo che incompet-”

 

“Lehnsherr,” lo fermò McCone. “Tieni il tuo partner sotto controllo o Dio mi aiuti perché altrimenti farò in modo di mettervi come responsabili del traffico per il prossimo mese.”

 

Erik non disse nulla. Si limitò a girarsi verso Charles. Dopo un momento, Charles sospirò e girò gli occhi da un’altra parte, gesticolando ad Erik di prendere le redini.

 

McCone sollevò un sopracciglio. “Oh?” chiese del tutto non entusiasta all’idea.

 

“Ci sono segnali per cui Salvadore facesse parte di una qualche sorta di gruppo o setta. È possibile che questo gruppo abbia un legame con la sua morte. Il suo assassinio.”

 

“Questo è tutto molto interessante, ma non vedo cosa possa avere in comune con-”

 

“È stata fisicamente mutilata, signore,” lo interruppe Erik. “Proprio come Muñoz. Proprio come Toynbee. Proprio come tutti gli altri là fuori su cui dobbiamo ancora lavorare.”

 

Le labbra di McCone si assottigliarono. “Cosa stai cercando di dirmi esattamente, Lehnsherr?” esigé, restringendo gli occhi. “Dillo, forza.”

 

Erik lanciò prima un’occhiata a Charles, il quale annuì, prima di tornare su McCone. “Sto dicendo che abbiamo sotto mano un serial killer, signore,” disse francamente, guardando dritto negli occhi McCone. “Sto dicendo che pensiamo ci sia un serial killer là fuori che sta cacciando e mutilando le sue vittime, e che pensiamo ce ne saranno molte di più.”

 

McCone rimase a fissarli. “… Un serial killer,” disse insipidamente. “Voi due pensate che abbiamo sotto gli occhi uno stramaledettissimo serial killer?”

 

“Sì, signore.”

 

McCone chiuse gli occhi e imprecò. “Maledizione, che cazzo non va in voi due?” domandò. Dopodiché guardò male Erik. “Mi sarei immaginato un’idea così squinternata da parte di Xavier, ma tu, Lehnsherr? Sai molto bene di non dover dire cagate simili.”

 

“Non lo direi se non pensassi fosse vero, signore.” Disse Erik con fermezza, guardando davanti a sé e incontrando lo sguardo di McCone. “Quadra tutto. Le vittime, il modus operandi – ha tutto senso.”

 

“Per chi?” si lamentò McCone, abbassando gli occhi sulla sua scrivania e guardandola torvo.

 

Charles ed Erik si scambiarono un’occhiata.

 

Dopo un attimo, McCone gemette e si massaggiò gli occhi. “La stampa avrà una cavolo di giornata campale con questa storia,” soffiò, adocchiando con tristezza gli articoli di giornale incorniciati al muro in cui lo si ritraeva mentre scuoteva la mano col Consigliere. Sospirò e scosse nuovamente il capo. “Una cavolo di giornata campale,” mormorò amaramente.

 

Charles ed Erik si lanciarono l’ennesimo sguardo.

 

“Questo significa che ci crede, signore?” chiese Charles sembrando pieno di speranza.

 

Il volto di McCone si decorò di un sorriso beffardo. “Non voglio,” disse piattamente. “Ma è meglio confrontarlo ora che vedercelo poi messo nel culo in futuro. No,” disse scuotendo la testa. “Non possiamo ignorarlo. Voi ragazzi seguite la vostra idea del serial killer, ma – e ascoltatemi bene ora – tenetelo nascosto. Non voglio che tutto il dipartimento sappia che stiamo cercando un serial killer e sicuramente non voglio neanche che la cazzo di stampa lo venga a sapere. Mi avete capito?”

 

“Sì, signore,” Erik eseguì un cenno risoluto.

 

“Capito,” aggiunse Charles, anche lui annuendo.

 

McCone grugnì. “Bene,” disse, tornando a guardare i file posti sulla sua scrivania. “E adesso uscite immediatamente dal mio ufficio e andate a lavorare su questa vostra teoria del serial killer, e per l’amor del cielo – fatelo in fretta. Prima catturiamo questo psicopatico meglio è.” Fece un sorrisetto e poi girò uno sguardo colmo di risentimento verso il telefono. “Adesso, se voi ragazzi mi potete scusare, ho una telefonata da fare.” Sospirò. “E credetemi quando vi dico che il Consigliere non sarà felice di tutta questa storia.”

 

 

 

 

 

1 Le Regole di Mosca sono delle regole generali che si dice si siano evolute durante la Guerra Fredda per essere usate dalle spie che lavoravano a Mosca.

Nell’Internetional Spy Museum a Washington le regole sono le seguenti (per leggerle tutte cliccare il link seguente di Wikipedia©):

·         Non presumere

·         Non andare mai contro il tuo istinto

·         Non guardare mai indietro; non sei mai completamente solo

·         Murphy ha ragione (legge di Murphy in cui tutto quello che può andare male andrà sicuramente male)

·        

 

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