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Autore: Ray Wings    09/03/2016    1 recensioni
«Molly!» mi sentii chiamare e mi risvegliai dal mio shock. Mi voltai e lo cercai con gli occhi.
Dei vaganti mi si piazzarono davanti e vennero nella mia direzione.
Sentivo la sua voce ma non riuscivo a vederlo.
Arretrai.
Proiettili.
Morti.
Vaganti.
Ovunque guardassi una sola parola mi veniva alla mente: «Merda.»
Era la merda più totale.
E sapevo cosa dovevo fare se sentivo puzza di merda.
-OS ambientata dopo la mia vecchia long "a brand new world - a brand new me", un piccolo regalino per chi mi aveva seguita con tanto affetto :P all'interno ci sono info utili anche per le new entry, così possono leggerla tutti-
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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N.D.A.

A chi aveva seguito in passato la mia "A brand new world – A brand new me", avevo promesso un seguito. Ma ultimamente sono troppo presa da altre cose e altri lavori e non credo che potrei cominciare un'altra long, ciò nonostante non vi ho dimenticati! E non ho dimenticato la mia promessa. Così ho pensato, intanto, di pubblicare questa OS.
Spero possa piacervi ^_^
Chissà che magari un giorno non riesca davvero a renderla long, come avevo progettato.

Per le new entry, che non conoscono la mia vecchia Long, un paio di informazioni per orientarvi nella lettura: in essa, avevo inserito un nuovo personaggio (Alice) all'interno del gruppo, al tempo della fattoria di Hershel e all'inizio della prigione, facendola durare per tutto il primo periodo "Governatore". Alice aveva legato molto con Daryl e insieme, durante un'avventura/disavventura, avevano trovato Molly: una bambina di 8 anni dai capelli rossi, rimasta orfana. L'avevano portata alla fattoria e Molly si era legata molto ai suoi due salvatori.
Piccola curiosità: Molly, vuoi per lo shock, vuoi perché piccola e ogni tanto le parole si storpiano, una sera, mezza addormentata, non riesce a chiamare in maniera corretta "Daryl" e per sbaglio lo chiama "Daddy". La cosa però non dispiace al balestriere e glielo lascia fare, accollandosi quell'appellativo.
Spoiler necessario per comprendere la trama: alla fine Alice muore xD
Enjoy!



This is not the end


Prigione,
circa 1 anno dopo la morte di Alice

Uno sparo improvviso.
Sussultai e mi voltai verso il recinto della prigione. Proveniva da lì. Ma non ebbi tempo di vedere cosa lo avesse provocato.
«Vieni!» mi tirò Maggie, trascinandomi velocemente dietro un angolo, protetta dal casolare.
«Che succede?» chiesi, sussurrando.
«State indietro!!!» urlò Rick, precipitandosi nel cortile dove eravamo. Lo guardai allarmata e lessi nei suoi occhi la stessa paura che al momento avevamo tutti. Dietro di lui correvano anche Daryl e Tyreese. Vennero nella nostra direzione e Daryl si precipitò da me, inginocchiandosi. Mi guardò torvo in viso: «Stai bene?» mi chiese.
Annuii.
«Rick!» chiamò una voce in lontananza. Non fu difficile riconoscerla, tutti la conoscevamo lì dentro, perfino io.
«Vieni qui fuori. Dobbiamo parlare.» chiamò il Governatore.
«È qui?» chiesi sconvolta, guardando Daryl con aria riprovevole, come se fosse stata colpa sua. «Perché è qui? Era morto! Tu hai detto che... »
Daryl mi zittì con un severo "sh", ma potei leggere il senso di colpa nei suoi occhi. Lo aveva inseguito a lungo, cercandolo per vendicarsi di quanto aveva fatto ad Alice e a Merle. Non ero mai stata sicura che fosse giusto così, ma certo non sarei stata io a dirgli cosa era giusto fare. Lui sicuramente ne sapeva più di me. Ma poi aveva smesso di cercare e io, chissà perché, avevo creduto fosse davvero tutto finito.
Mi ero sbagliata.
Il Governatore era di nuovo alla nostra porta.
Chi si sarebbe portato via questa volta?
La paura mi chiuse per un istante i polmoni, impedendomi di respirare.
Perché era di nuovo alla prigione? Perché?!
Ci avvicinammo alla rete metallica, per osservare meglio e poter parlare con lui. Daryl mi spinse per una spalla, costringendomi a nascondermi dietro di lui e, ammetto, non disdegnai.
«Non spetta più a me! C'è un consiglio adesso! Sono loro che decidono!» urlò Rick.
«C'è Hershel nel consiglio?» chiese il Governatore. Non rispondemmo, ma osservammo quello che stava accadendo davanti a noi. Una donna mora si avvicinò a un auto, una delle tante, vicino a un carro armato. La donna sparì dietro lo sportello, poi ricomparve, facendo camminare davanti a sè Hershel, con le mani legate dietro la schiena.
Sussultai nel vederlo lì, in mezzo ai cattivi, legato e con la testa china. Strinsi tra le dita la camicia di Daryl, davanti a me, e, intimorita, mi schiacciai contro di lui. Alzai lo sguardo, cercando il suo viso, cercando, sciocca, nei suoi occhi chissà quale speranza. Lui sapeva sempre cosa fare, sapeva sempre come risolvere la situazione. Ero certa che avrei trovato le mie risposte.
Ma non fu così.
Ed ebbi paura.
«E che mi dici di Michonne? Anche lei è nel consiglio?» continuò il Governatore e un altro uomo, infilandosi sempre nella stessa auto, tirò per un braccio la donna di colore, accompagnandola vicino al vecchio. Furono entrambi fatti inginocchiare davanti al carro armato, con due uomini armati al loro fianco, per tenerli sotto tiro.
Guardai di nuovo Daryl, insistendo nella mia ricerca di risposte. Ma lui parve riflettere il mio sguardo intimorito, indirizzandolo a Rick. Daryl era la mia sicurezza, Rick la sua.
«Le decisioni non le prendo più io.» insistè Rick.
«Oggi dovrai prenderle tu.» rispose con sicurezza il Governatore. Aveva un conto in sospeso con Rick, era palese. Era con lui che ce l'aveva e con lui voleva vedersela.
«Vieni qui da me» proseguì il Governatore. «E facciamo due chiacchiere.»
Rick era irrequieto, forse quello più spaventato tra tutti. Era incredibile come ancora fosse un pilastro nel nostro gruppo, lui che più di tutti aveva vacillato. Eppure era lì e tutti noi volgevamo i nostri occhi ai suoi.
Rick ci guardò, cercando in noi la forza e il nostro consenso. Guardò soprattutto Daryl, la persona su cui contava di più. Poi si voltò verso Carl e disse a lui, ma forse più a se stesso: «Ehy. Possiamo farcela, ok?»
Carl annuì e Rick, sospirando, impugnò la pistola e si diresse attraverso il cortile, verso la recizione più esterna.
Daryl si voltò a guardare gli altri e si avvicinò lentamente a loro, per parlargli, senza essere sentito dal nemico. Io continuai a star attaccata alla sua camicia.
«Non possiamo ucciderli tutti. Facciamo il giro dal bosco, come avevamo pianificato. Non abbiamo abbastanza uomini. Avete controllato le provviste sull'autobus?»
«Sì.» rispose Sasha. «Il giorno prima della spedizione. Le razioni erano poche, ora ancora meno.»
«Ce la caveremo. Se si mette male andate verso l'autobus, ditelo a tutti.»
«E se nessuno capisse che si sta mettendo male? Quanto aspettiamo?» chiese Tyreese.
«Il più possibile.» rispose Daryl, prima di inginocchiarsi di nuovo verso di me, tenendo però lo sguardo fisso sul Governatore.
«Hai la tua daga?» mi chiese e io gli mostrai, quasi con orgoglio, il fodero appeso alla vita della mia salopette in jeans. Da quando Alice era morta, regalandomelo, non me lo toglievo mai di dosso se non per dormire. E anche in quelle occasioni, comunque, restava vicino a me, a portata di mano. Ne ero gelosissima.
«Resta nascosta. Se qualcosa va storto segui gli altri sull'autobus, ma ricorda quello che ti ho insegnato!»
«Segui il tuo istinto» recitai solennemente. «Se tutte le pecore vanno verso il pastore, ma tu senti che puzza di merda, scappa e fottiti delle regole.»
Se Alice fosse stata ancora viva avrebbe urlato per tre giorni nel sentirmi dire parolacce, ma da quando non c'era più e ad occuparsi di me era stato solo Daryl le cose erano cambiate. Tutto era cambiato. Mi ero ritrovata improvvisamente adulta, e agli adulti era permesso dire parolacce.
«Brava, piccola.» mi disse, dandomi un bacio sulla fronte. «Vai, ora.»
Annuii e mi voltai per scappare via, ma non lo feci subito. Una voce sussurrò al mio cuore e io, come mi era stato insegnato, seguii l'istinto: mi voltai nuovamente verso di lui e con un leggero balzo in avanti gli cinsi il collo con le braccia, stringendolo con tutta la forza che avevo.
Avevo paura.
Il pericolo era lì fuori, pronto a spararci addosso e io avevo paura che quello sarebbe stato l'ultimo momento insieme. Non volevo farla tragica, anche se oggettivamente lo era, ma avevo imparato che qualsiasi momento, anche il più banale, poteva essere l'utimo. E io non volevo andarmene senza aver prima ribadito quanto lui fosse importante per me.
«Andrà tutto bene, vedrai» mi rassicurò, stringendomi a sè con un braccio. «Vai. Forza!» mi incoraggiò ancora e io questa volta ubbidii. Andai a infilarmi in uno dei miei nascondigli preferiti, una sottile fessura tra il muro del casolare e uno di quei pesanti carrelli in ferro. Da lì sarebbe stato facile scappare in caso di pericolo, la copertura era assicurata fino alla prima rete, quella interna, e da lì sarei potuta sgattaiolare dietro il casolare e raggiungere facilmente l'autobus. Avevo vissuto abbastanza in quella prigione per conoscerne tutti i segreti, e costruirne di nuovi. Avevo i miei nascondigli, i miei tunnel e tutto ciò che era necessario a una bambina di otto anni per divertirsi e sentirsi padrona di quel posto.
Mi infilai e restai lì, con la testa leggermente sporgente in fuori, per continuare a tenere sotto controllo la situazione.
Daryl cominciò a distribuire armi tra i presenti, dopodichè si sitemò vicino a Carl, con un fucile ben spianato davanti a sè.
Rick, nel cortile esterno, continuava a parlare col Governatore, muovendosi agitatamente da una parte all'altra. Irrequieto.
Non riuscivo a sentire ciò che stavano dicendo e la cosa mi agitava un po'.
Ma potevo vedere.
E vidi all'improvviso il Governatore scendere dal carroarmato, con passi lunghi. Stava cominciando ad irritarsi e questo mi metteva ancora più paura. Prese la katana di Michonne e si avvicinò a Hershel, poggiando la lama sulla sua spalla, vicino al collo.
Parlò ancora.
Non lo sentii, ma in qualche modo sapevo cosa stava dicendo.
Era qualcosa di cui avrei dovuto avere paura.
Strinsi tra le dita l'elsa della daga, senza sfilarla, cercando in lei la forza e il coraggio.
Cominciarono a bruciarmi gli occhi, sentivo il bisogno di piangere, ma lottai. Non dovevo piangere. Daryl mi sgridava sempre quando lo facevo.
Tirai su col naso e strinsi ancora più forte l'elsa della mia arma.
«Ti prego, ti prego, ti prego» cominciai a mormorare tra me e me, in una privata pregheria. «Vattene. Vattene via. Lasciaci in pace.»
Mi sorpesi a tremare e continuai, sentendo la gola bruciare, nella mia preghiera.
Rick parlò, parlò a lungo, quasi urlando. Il Governatore abbassò l'arma, ascoltandolo. Cominciai a sperare. Stava funzionando! Strinsi le mani tra loro, lasciando la daga, incrociando le dita e pregai più forte.
«Ti prego! Lasciaci in pace. Ti prego.»
Non sapevo a chi stessi rivolgendo le mie parole, ma sapevo che, chiunque fosse, le stava ascoltando. E ne ero talmente felice che, nel tentativo di chiamare ancora di più la sua attenzione, aumentai la stretta delle mani, l'una dentro l'altra, fino a farmi quasi male.
Stava funzionando.
La katana non poggiava più sul collo di Hershel.
Stava funzionando.
Ma qualcosa andò storto.
Tutto crollò, l'entità divina che stava cercando di esaudire il mio desiderio morì all'improvviso e con lui la magia che stava compiendo.
Il Governatore con un colpo secco tagliò la gola a Hershel.
Urlai, ma mi affrettai a tapparmi la bocca da sola. Non dovevano sentirmi. Non riuscii a trattenere le lacrime, però, e scoppiai a piangere così forte che nemmeno le mani sulla mia bocca poterono tacere i miei lamenti.
Sentii altre urla, Maggie, Beth e forse Rick.
Poi non sentii altro che colpi di pistola.
Mi rannicchiai, urlando e disperandomi, cercando di restare nascosta dietro il mio enorme carrello. Qualche proiettile colpì anche lui, mettendomi ancora più paura. Mi portai le mani alle orecchie, cercando di tapparle. Non volevo sentirli.
Non volevo sentirMI.
Non volevo sentire dolore e paura.
Quella era casa mia.
Lasciatela in pace! Lasciate in pace la mia famiglia.
Urlai ancora, senza trattenermi.
Ma la mia voce fu sovrastata dal rumore del recinto che veniva piegato, sotto al peso del carroarmato.
Stavano entrando.
La mia casa.
Stavo perdendo la mia casa.
I proiettili continuavano a colpire il carrello, che ancora mi teneva protetta.
"Basta! Basta!" continuai a pensare, pregando che smettessero immediatamente... senza un motivo preciso, se non quello di continuare a vivere.
Quella era la mia casa.
Perché ce la stavano distruggendo? Cosa avevamo fatto di sbagliato? Non eravamo persone cattive, perché ci stavano sparando addosso?
Ancora colpi, ancora urla e il nemico, ormai nel cortile esterno, che avanzava.
«Va' nell'autobus!» sentii dire da Maggie, probabilmente non rivolta a me, ma questo mi ricordò una cosa importante.
«Segui il tuo istinto.» mormorai più volte tra me e me. Riportai velocemente la mano sull'elsa della daga e la strinsi.
«L'autobus. Devo andare... » mi dissi ancora, cercando di darmi degli ordini da seguire, o sarei rimasta lì aspettando di essere trovata e uccisa. Strisciai lungo il muro, restando nascosta dietro i carrelli metallici, continuando a proteggermi dai proiettili.
Poi un enorme esplosione fece saltare in aria il muro sopra la mia testa. Mi acquattai di nuovo, urlando terrorizzata per l'improvviso rumore e mi coprii la testa con le braccia in un istintivo gesto di protezione. Sentii i calcinacci arrivarmi addosso e in poco tempo fui seppellita dalla povere. Tossii e mi portai una mano alla bocca. Mi bruciavano gli occhi, ma dovevo andare avanti. Mi misi a gattoni, tenendo la testa bassa per evitare che altra polvere e altri calcinacci mi arrivassero in viso e proseguii, lenta.
Riuscii ad arrivare alla fine della fila, all'angolo del muro. Da lì sarei stata scoperta per un piccolo tratto, ma c'erano tavoli capovolti sparsi per la via con cui potevo proteggermi. Sporsi la testa e guardai in direzione del cancello, da dove stavano arrivando gli aggressori. Erano distanti da dove ero io, ma i proiettili arrivavano lo stesso fin lì. Potevo vedere sbuffi di povere al suolo ogni volta che uno lo colpiva. Rientrai con la testa e feci un paio di respiri profondi, dandomi il tempo per trovare il coraggio. Il primo tavolo era distante pochi passi, dovevo essere veloce.
«Uno, due e tre... » sospirai rapidamente, prima di lanciarmi fuori e cominciare a correre, con le braccia avvolte sopra la testa. Senti un colpo sfiorarmi la caviglia. Mi venne voglia di piangere, ma riuscii a trattenermi.
Raggiunsi il primo tavolo e mi fermai dietro di esso, per prendere fiato. Mi ero accorta solo in quel momento di aver trattenuto il respiro. Guardai davanti a me: riuscivo a intravedere l'autobus, sul retro del casolare. Dovevo solo arrivarci e il secondo tavolo era ancora più distante.
«Forza.» dissi tra me e me e, dopo altri respiri profondi, cominciai a correre di nuovo verso la mia nuova protezione. Mi fermai però a metà strada, inchiodando talmente forte da perdere l'equilibrio e cadere a terra.
Urlai.
Due vaganti mi stavano venendo incontro! Erano riusciti a entrare dai cancelli sfondati, non sapevo quando. Ma erano lì!
Mi voltai di scatto e, gattonando in un primo momento, poi tirandomi in piedi, scattai nell'altra direzione. Un proiettile atterrò davanti ai miei piedi, facendomi inchiodare di nuovo e cambiai di nuovo direzione. Ovunque andassi trovavo ostacoli e pericoli.
Senza rendermi conto, presa com'ero nello schivare vaganti e proiettili, mi allontanai dall'autobus invece che avvicinarmi.
Corsi dietro un altro tavolo, cercando protezione almeno dai proiettili, ma alcuni vaganti mi stavano ancora seguendo. Un altro sbucò all'improvviso da dietro il mio rifugio e io, urlando, scappai di nuovo. Dove, non sapevo, ma lontano da tutto quel trambusto. Cercavo un rifugio, lo trovavo, lottavo per raggiungerlo e poi ero costretta a correre di nuovo via.
Seguivo l'istinto. Proprio come mi era stato insegnato.
Corsi ancora, svoltai l'angolo di una colonna ma mi trovai di fronte altri tre vaganti. Mi voltai per tornare indietro. Ne avevo due alle spalle.
La voce mi uscì d'istinto.
«Daddy!!!» urlai, arretrando fino a trovarmi con le spalle al muro.
«Daddy!» urlai ancora, terrorizzata, non sapendo più da che parte andare. All'improvviso un vagante cadde a terra, poi un secondo. Un volto sbucò all'improvviso: lo conoscevo appena. Era uno degli abitanti della prigione, un nuovo aiutante di Rick, sapeva usare la pistola a sufficienza, ma non ricordavo il suo nome. Non avevo mai parlato molto con lui. Mi prese per un braccio e mi tirò via, trascinandomi, correndo verso il cancello.
Nella corsa vidi alla mia destra Daryl e d'istinto puntai i piedi, cercando di fermarmi. La strada era libera fino a lui, sarei potuta correre e lui mi avrebbe protetto e portata via. Ma l'uomo continuava a tirarmi con forza, tenendomi il polso talmente stretto da farmi quasi male.
«Lasciami!» ordinai, senza essere ascoltata.
«Lasciami! Daddy!!!» urlai ancora, voltandomi a guardarlo. Nonostante il rumore degli spari Daryl riuscì a sentire la mia voce e si voltò verso di me, vedendomi.
«Molly!» urlò, scattando in avanti per raggiungermi. Degli spari gli tagliarono la strada, costringendolo a fermarsi e tornare indietro, per proteggersi dietro a delle scatole in legno.
Io continuai a strattonare per liberarmi e a chiamarlo.
Fu tutto inutile.
«Daddy!!!» urlai ancora, ma quella volta la mia voce fu coperta da un altro urlo. Un proiettile raggiunse il braccio teso dell'uomo che mi stava trascinando, costringendolo a mollare la presa. Lui cadde a terra, urlando di dolore e io rimasi immobile, sconvolta da quanto fossi stata fortunata. Pochi centimetri più indietro e quel colpo avrebbe centrato me.
«Molly!» mi sentii chiamare e mi risvegliai dal mio shock. Mi voltai e lo cercai con gli occhi.
Dei vaganti mi si piazzarono davanti e vennero nella mia direzione.
Sentivo la sua voce ma non riuscivo a vederlo.
Arretrai.
Proiettili.
Morti.
Vaganti.
Ovunque guardassi una sola parola mi veniva alla mente: «Merda.»
Era la merda più totale.
E sapevo cosa dovevo fare se sentivo puzza di merda.
Scattai, voltando le spalle alla voce di Daryl che continuava disperato a chiamare il mio nome. Mi diressi verso uno squarcio nella recizione, mi acquattai e scivolai fuori. La mano di un vagante sfiorò la mia caviglia, ma per fortuna non riuscì a prendermi.
Cercai di tenermi sempre dietro alle auto e a tutto ciò che ora decorava il cortile esterno, cercando nella fortuna la mia unica protezione, dato che il pericolo era ovunque.
Riuscii a raggiungere la recinzione più esterna. Scattaiolai oltre l'apertura che l'aveva distrutta, riuscendo miracolosamente a schivare i proiettili, complice anche la mia bassa statura che non mi rendeva un obiettivo ben visibile.
Ben presto l'unica cosa che avevo intorno furono solo alberi.
Ma non mi fermai.
Sentivo la paura inseguirmi.
Non mi fermai.
E scappai via lasciandomi alle spalle una scia di lacrime e di addii mancati.


Da qualche parte, Georgia, 7 anni dopo

Correvo. Avevo freddo. Paura. Provavo dolore.
Tante cose potrei dire di quel giorno. Ma in verità solo una parola definirebbe veramente ciò che provavo: libertà.
Il respiro mi mancava, ero stanca, affamata e mi facevano male le gambe, ma il fiato dei miei inseguitori, ancora troppo vicino, mi dava la forza di andare avanti. I piedi nudi non smettevano di scontrarsi contro sassi e schegge, lasciando una leggera scia di sangue alle mie spalle, che certo non aiutava al mio scopo. Non scostavo i rami che mi venivano incontro, ferendomi le braccia, strappando quella stupida camicetta bianca che mi arrivava alle ginocchia. Unico abito che avevo addosso. Tutto era successo così velocemente che non avevo avuto tempo di prepararmi adeguatamente. Si era presentata l'occasione e io l'avevo presa al volo. L'unica cosa che ero riuscita a prendere, perdendo un po' di tempo e mettendo a rischio la riuscita della mia missione, era stata la mia vecchia daga. La mia fedele amica. Daga che ora stringevo con tutte le forze tra le dita, mentre correvo, scappavo, senza una meta precisa.
Mi sarei fermata solo quando avrei smesso di sentire puzza di merda.
Gli alberi finirono, finalmente, e sbucai su una strada. Davanti a me c'erano delle case, riuscii a contarne quattro prima che il bosco ricominciasse. Guardai a destra e sinistra, seguendo con lo sguardo la strada: se avessi proseguito in quella direzione, mi sarei ritrovata i miei inseguitori addosso nel giro di pochi minuti e solo Dio sa cosa mi avrebbero fatto.
C'era una sola via che potevo proseguire.
Un fruscio alla mia destra mi fece sussultare e mi voltai di scatto, alzando istintivamente la daga.
Un vagante mi venne incontro a fauci spalancate, mugolando, ruggendo. Arrancava, non era troppo veloce sulla sue gambe marce. Non era un pericolo, ma ciò mi diede modo di ricordarmi che dovevo sbrigarmi.
Corsi verso le quattro case e mi nascosi dietro la prima, infilandomi nel vicolo tra lei e quella di fianco.
Dovevo trovare una soluzione alternativa: se avessi continuato a scappare prima o poi mi sarei stancata e loro mi avrebbero raggiunto. Non era gente che si arrendeva con facilità.
Dovevo fargli perdere le mie tracce.
Un altro mugolio alle mie spalle e scattai di lato, schiacciandomi contro il muro appena in tempo per schivare la bocca puzzolente di un altro vagante.
Quegli stronzi erano ovunque e sbucavano dal niente.
E io...ero solo una stupida ragazzina di 15 anni in camicia da notte, appetibile e facile da afferrare perfino per un cane zoppo.
Troppo esposta.
Poi ebbi l'idea.
Afferrai i lembi della mia camicia e li tirai velocemente verso l'alto, sfilandomela e restando completamente nuda.
Il vagante tornò all'attacco, avventandosi su di me. Gli posai le mani sulle spalle e con tutta la forza che avevo lo spintonai.
«Aspetta, cazzo.» brontolai.
Il vagante si schiantò contro il muro dietro, ma ovviamente non si arrese e si lanciò nuovamente verso di me. Lo spintonai ancora e cominciai a indietreggiare lentamente verso l'interno del vicolo, pregando che non ce ne fossero altri appostati dietro i cassonetti. Impugnai la mia daga con la stessa mano che reggeva la camicetta e posai la punta affilata contro il palmo dell'altra.
Tremavo come una foglia, maledetto freddo! Maledetta paura!
Senza esitazione, incisi la mia stessa mano non troppo in profondità, trattenendo un lamento.
La ferita cominciò a vomitare sangue.
Bruciava come l'inferno, ma al momento la paura superava il dolore.
Cominciai a sporcare la mia camicetta con il mio stesso sangue, mentre ancora indietreggiavo, facendomi seguire dal vagante.
Poi sventolai la camicia pregna di sangue davanti a me, invitandolo ad afferrarla come un torero con il suo mantello rosso.
Come previsto, ci si lanciò contro, anche se probabilmente mirava a me.
Lasciai la camicetta, strattonandola per farla ben incastrare tra le dita del vagante e con una piroetta degna del torero che sentivo di essero, schivai il suo attacco.
Gli posai velocemente le mani sulle spalle e lo spinsi a terra, guadagnando tempo.
Corsi via, intenzianata a uscire dal vicolo e proseguire la mia fuga.
«Di qua!» sentii urlare dall'altro lato della strada e mi bloccai, schiacciandomi contro il muro della casa. Se fossi uscita in quel momento mi avrebbero vista e il mio piano sarebbe andato in fumo. Dietro di me il vagante si stava alzando, pronto a tornare all'attacco.
Ero nei guai.
Mi voltai di nuovo verso l'interno del vicolo e trovai la mia soluzione davanti ai miei occhi: il cassonetto.
Corsi da lui e l'aprii con urgenza.
Un altro vagante uscì all'improvviso da lì, urlando e spingendosi in avanti per prendermi e per poco non urlai. Le voci dietro di me si fecero più forti: «Controllate la strada, io e John andiamo a cercare lì dentro.»
Non potevo vederli, ma immaginavo cosa fosse il "lì dentro".
Dovevo sbrigarmi.
Mi lanciai contro il vagante nel cassonetto e con un colpo deciso al volto lo uccisi, poi con altrettanta velocità mi lasciai cadere all'interno di quell'inferno puzzolente e chiusi il portellone appena in tempo, prima che il mio amico con la camicetta si lanciasse su di esso nel tentativo di afferrarmi.
Chiusa lì dentro, al buio, tutto sembrava più rumoroso di quanto fosse in realtà, perfino il mio fiato smorzato.
Tremavo ancora come una foglia, ma stavolta ero sicura non era per il freddo.
Sentii il Vagante fuori dal cassonetto mugolare, colpendo la mia gabbia, innervosito dall'evenienza che non riuscisse a raggiungermi.
"Merda!" pensai "Così capiranno subito che sono qui dentro."
Dovevo trovare una soluzione, non volevo arrendermi così. Non potevo.
Guardai il mio coinquilino morto, steso al mio fianco. Non era messo troppo male, probabilmente non era morto da molto tempo e poi...era una donna. Ebbi un'idea e pregai nella mia fortuna.
Strinsi la daga tra le dita e con decisione, ma senza troppo impeto (dovevo evitare assolutamente di far rumore) le sfigurai il viso, rendendola irriconoscibile.
Le guardai i lunghi capelli: erano chiari, ma non certo rossi come i miei.
Dannato ceppo genetico poco diffuso!
Afferrai un po' di schifezze intorno a me, senza chiedermi cosa fossero (era meglio così) e le feci un rapido shampoo alla merda.
Sentii una porta sbattere non troppo lontano: i miei inseguitori avevano deciso di perlustrare prima l'interno della casa. La fortuna era dalla mia, quel giorno. Sarebbe stato un spreco farmi scoprire.
Le strappai gli abiti di dosso, ancora sforzandomi di essere silenziosa e rapida, e me li infilai io grossolanamente, lasciando nuda quella che sarebbe forse diventata la mia salvatrice.
«Ehy! Guarda!» sentii la voce non troppo lontano «Quel vagante...quella non è la sua camicetta?»
Stavano arrivando.
Scavai rapidamente nella sporcizia sotto di me e mi stesi in quella specie di fossa che avevo fatto. Mi ricoprii le gambe con le schifezze che avevo intorno. Le mani mi tremavano così tanto che non aiutavano la mia fretta.
Mi ricoprii fino alla vita, poi tirai il corpo del Vagante nudo sopra di me, nascondendomi lì sotto.
Un colpo e sentii il vagante fuori dal cassonetto cadere a terra, probabilmente morto.
Trattenni il fiato.
E la luce penentrò all'interno del mio nascondiglio, facendomi rendere conto solo allora che non ero nascosta poi così bene. Se avessi avuto qualche minuto in più sarei stata più accurata. Ma non l'avevo avuto, e tutto ciò che potevo fare al momento era pregare.
«Che schifo.» disse uno degli uomini, allontanandosi di qualche passo con una mano sul viso. Anche l'altro allontanò momentaneamente il viso, per evitare di vomitare.
In effetti l'odore lì dentro era terribile, ma la mia paura mi aveva impedito di preoccuparmene.
«Ehy, l'abbiamo trovata!» urlò uno dei due, al resto dei compagni sulla strada.
«Questo fottuto bastardo le ha mangiato la faccia.» comunicò l'altro.
«Dai chiudi, per favore. Mi viene da vomitare.» disse il primo e si allontanò.
Il portellone cominciò a scendere e io sentivo avrei potuto piangere di gioia.
«No, aspetta!»
Il cuore mi si fermò.
Smisi di respirare.
"Merda! Mi hanno scoperta!" pensai in preda al panico.
Sapevo che il mio piano era stato troppo frettoloso e grossolano per riuscire.
Chiusi gli occhi e strinsi la daga tra le dita: se mi avessero tirato fuori di lì, piuttosto mi sarei uccisa. Non volevo tornare indietro con quei bastardi, non mi avrebbero avuta ancora!
Sentii una mano poggiarsi avida su una tasca dei pantaloni e rufolò frettolosamente.
E si allontanò.
«Sigarette! Almeno qualcosa di buono... » disse la seconda voce maschile, sghignazzando compiaciuto.
Poi il cassonetto si richiuse.
Tornai a respirare e mi concessi il privilegio di piangere.
Sentii distintamente le loro voci e il rumore dei loro passi allontanarsi, ma non ebbi coraggio di muovermi.
E restai lì, chissà quanto tempo, forse ore, sommersa di merda puzzolente, a tremare e piangere.
Sette anni di prigionia, sette anni di sfruttamento e dolore, schiava di quegli stronzi che mi avevano trovata ai bordi di una strada da sola, in lacrime, e una prigione assaltata alle spalle.
Quel giorno avevo pregato che l'autobus fosse passato lì, avevo pregato che mi avessero ritrovata, che Daryl mi avesse ritrovata...invece erano stati loro a passare, con le loro rumorose motociclette e non si erano fatti scrupoli a considerare quella bambina abbandonata la loro nuova conquista.
Avevo imparato a cucinare, per loro.
Avevo imparato a ballare e cantare per alleviare le loro noiose serate.
Avevo imparate a pulire e lucidare le armi.
Avevo imparato a sopravvivere.
E, purtroppo, avevo già imparato ad essere donna.
Sette anni d'inferno, pregando che Daryl, Rick, Carol o chiunque altro, fosse sbucato da quegli alberi e li avesse uccisi tutti.
E ogni notte, volgendo gli occhi alla luna, ricordavo la soave voce di Alice che cantava la sua canzone, "Alice in wonderland".
«Ascoltami bene, non perdere neanche una parola. Concentrati solo sulla mia voce, Molly. Assolutamente solo sulla mia voce.*»
E io lo facevo. Chiudevo gli occhi e sentivo solo la sua voce. Non udivo i mugolii dei vaganti, non udivo le voci degli uomini che brindavano alle mie spalle, non udivo le terribili parole che mi rivolgevano, non udivo più niente... solo la sua voce, che cantava nella notte, "I'll survive when the world's crashin down, when i fall and hit the ground."
Presi dei grossi respiri, sforzandomi di trattenere le lacrime.
Avevo pianto abbastanza.
Ora era tempo di alzarsi.
"I will turn myself around"
Spostai il vagante che mi aveva salvato la vita da di dosso e mi sollevai a sedere.
Puzzavo come uno di loro, se uscendo ne avessi incontrato qualcuno probabilmente sarei passata inosservata.
Un altro grosso respiro.
Ora ero libera, finalmente. E avevo un obiettivo: «Daddy.»
"Don't you try to stop me!"
Mi asciugai rapidamente il viso dalle lacrime.
Non dovevo piangere.
Daryl mi sgridava sempre quando lo facevo.
"I won't cry."

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* = Quando Alice la trova insieme a Daryl, vengono presi d'assalto da una mandria di vaganti. Alice, tenendola in braccio, le chiede di cantare una canzone per distrarsi, così da non farla spaventare ma Molly, in quel periodo, stava attraversando una fase di Mutismo per colpa del trauma (aveva appena perso i genitori). Allora Alice decide lei di cantare, e le dice quella frase.
Mentre combatte e cerca di mettersi in salvo, canta "Alice in Wonderland".

   
 
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